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Pubbl. Dom, 7 Mar 2021

Secondo la Cassazione un post deridente su Facebook non integra il reato di stalking

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Francesco Gregorace
AvvocatoUniversità di Pisa



Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte interviene in un caso riguardante alcuni post pubblicati su Facebook, delimitando e precisando la condotta rilevante per la configurazione del reato previsto dall´art. 612-bis c.p.


ENG Trough the decision in comment, the Supreme Court intervenes in a case concerning some ”posts” published on Facebook, delimiting and specifying the conduct which relevant to the configuration of the crime provided for by art. 612-bis c.p.

Sommario: 1. Premessa; 2. Cenni sul delitto di stalking e soluzione adottata; 3. Il fatto; 4. La decisione; 5. Conclusioni. 

1. Premessa

Con il recente arresto Pretorio (n. 34512 Dicembre 2020) la Corte di Cassazione è intervenuta sulle caratteristiche che occorrono affinché possa integrarsi la condotta rilevante per il delitto di atti persecutori ai sensi dell’art. 612-bis c.p. In particolare, gli ermellini si sono espressi in relazione alla idoneità o meno dei comportamenti persecutori posti in essere tramite gli attuali strumenti di comunicazione ad integrare il requisito della invasività inevitabile.  

2. Cenni sul delitto di stalking e soluzione adottata

Il delitto di atti persecutori, introdotto dal d.l. 11 del 2009 al fine di contrastare il preoccupante fenomeno dello stalking, costituisce un reato abituale caratterizzato da una reiterazione di condotte moleste o minacciose che siano state la causa di uno o più degli eventi tipici previsti dalla norma, ovverosia: aver cagionato un grave stato d’ansia o paura; aver ingenerato un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto; aver costretto il soggetto passivo ad alterare le proprie abitudini di vita.[1]

L’introduzione di una specifica norma finalizzata a contrastare tale fenomeno ha destato talune perplessità. In particolare, i dubbi emersi al riguardo concernevano la reale necessità di elevare lo stalking a figura autonoma di reato. In dottrina, infatti, si riteneva che le condotte tipiche poste in essere dallo stalker fossero già coperte dalle tradizionali fattispecie previste dal codice penale, come le molestie, l’ingiuria, la diffamazione, la violenza privata o le lesioni. Inoltre, non può negarsi anche una obiettiva difficoltà di definire in maniera precisa e coerente con i principi di tassatività e determinatezza le condotte rientranti nell’alveo dell’art. 612-bis cp. In ogni caso, il termine stalking deriva dal linguaggio della caccia e, nella letteratura scientifica, si tende ad indentificarlo in un insieme di comportamenti ripetuti che abbiano un carattere intrusivo, minaccioso, violento e che siano produttivi di seri disagi, preoccupazioni e alterazione del complessivo equilibrio psicologico.[2] 

Ciò premesso, per quanto concerne il bene giuridico che la norma intende tutelare, si ritiene che si tratti di un reato plurioffensivo nel quale oggetto di tutela è sia la libertà morale del soggetto passivo ma anche, nelle ipotesi in cui le condotte assumano il carattere violento, la sua integrità fisica. Dunque, è più corretto dire che si è in presenza di un reato eventualmente plurioffensivo. Trattandosi di un reato comune il soggetto attivo può essere chiunque, anche se la prassi dimostra che in realtà si tratta di un soggetto che ha avuto dei trascorsi con la vittima[3].

Le condotte punite dalla norma, solitamente devono essere reiterate nel tempo ma in realtà, come chiarito dalla giurisprudenza, quel che conta è la loro idoneità a cagionare uno dei tre eventi alternativi previsti dalla norma[4]. In ogni caso la norma precisa che le condotte debbano assumere i connotati della molestia o della minaccia. La molestia ricorre quando si realizza un qualunque comportamento che rechi una turbativa a terzi, ingenerando nella persona offesa una alterazione dolorosa della condizione psichica. La minaccia, invece, si realizza quando si prospetta un male futuro e ingiusti, la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente.[5] Tuttavia, occorre evidenziare che le condotte rilevanti per la norma incriminatrice, ove prese singolarmente, possono anche consistere in atti leciti e socialmente accettati, ma che reiterati costantemente nel tempo rivelano il loro disvalore penale e la loro idoneità a turbare la psiche della vittima; si pensi al costante invio di regali, fiori, squilli, messaggi, incontri in apparenza “casuali” sul posto di lavoro o nelle vicinanze della propria abitazione. La giurisprudenza ha preso coscienza del fatto che non occorrano minacce molestie per integrare la condotta di reato ed ha affermato che “il soggetto che pone in essere molestie perpetrate attraverso l’invio di messaggi di posta elettronica, sms, messaggi attraverso il social network facebook, determinando uno stato d’ansia della vittima risponde del reato di stalking”.[6]

Ciò posto, emerge ictu oculi che le condotte, lecite o illecite, ripetute nel breve o nel lungo periodo, numerose o isolate, si caratterizzano sempre per la loro elevata invasività ed intromissione nella sfera più intima del soggetto passivo, al punto da essere idonee a provocare uno dei tre eventi previsti dalla norma.[7]

Per quanto concerne gli eventi alternativi per l’integrazione del reato, essi sono: il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, l’alterazione delle proprie abitudini di vita e un grave stato d’ansia o paura. Per quanto concerne il fondato timore che l’agente possa giungere ad azioni lesive per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legato da una relazione affettiva, premesso che la formula legislativa è poco felice e necessita di una reinterpretazione, perché la persona legata affettivamente deve essere terza e quindi diversa dal prossimo congiunto, il concetto di timore richiama alla mente uno stato d’animo ansiogeno, di paura per un pericolo incombente che non dev’essere immaginario, ma fondato su concrete circostanze di fatto.[8]

L’essere costretti ad alterare le proprie abitudini di vita, costituisce una locuzione estremamente generica che obbliga l’interprete ad accedere ad un canone ermeneutico restrittivo che consenta di escludere dall’alveo del penalmente rilevante quelle modifiche di abitudini che siano prive di significato rispetto allo stile di vita. In realtà, più che un evento sembra trattarsi di un effetto delle condotte descritte; se in un soggetto viene fatto insorgere il timore per la propria incolumità, ovvero gli si determina un grave e perdurante stato d’ansia e paura, appare logico che la conseguenza di ciò sia una sua alterazione delle abitudini di vita.[9]

Dei tre eventi indicati, quello che ha posto i maggiori problemi interpretativi, a causa dell’eccessiva vaghezza, è l’aver cagionato un perdurante e grave stato di ansia o di paura. Da un lato, infatti, si è sostenuto che l’aver utilizzato gli aggettivi “perdurante” e “grave” fosse indicativo del fatto che in tal caso il riferimento fosse a forme patologiche ed obiettive di disequilibrio psicologico e, pertanto, medicalmente accertabili.[10] La giurisprudenza, al contrario, ha affermato che lo stato di turbamento emotivo non deve necessariamente dipendere dall’accertamento di uno stato patologico, essendo sufficiente l’effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.[11]

La punibilità degli eventi descritti e causalmente riconducibili alle condotte poste in essere dal soggetto attivo, presuppongono che i comportamenti reiterati e persecutori posti in essere siano inevitabili. In altri termini, la persona offesa non deve avere a disposizione nessuna possibilità di evitare di essere perseguitata, se non quella di alterare le proprie abitudini di vita che, però, costituisce un evento del reato. Ragion per cui, come rilevato dalla Corte nella pronuncia in commento, occorre che la condotta, oltre che invasiva, sia anche inevitabile.

Ciò posto, nel caso in esame la suprema corte ha giustamente rilevato come non vi fosse quella invasività dei comportamenti caratterizzanti la condotta di stalking. È evidente, infatti, che la pubblicazione di post irrisori su un social network non abbiano quel carattere invasivo ed inevitabile che, invece, potrebbero avere i messaggi privati o le continue telefonate.[12]

La fattispecie incriminatrice, come anticipato, è stata oggetto di forti critiche in relazione alla sua asserita indeterminatezza, al punto da sollevare una questione di legittimità costituzionale per difetto di tassatività. La consulta, espressasi sul punto con la sentenza 172 del 2014, ha ritenuto infondata la questione sostenendo che occorre procedere ad una interpretazione sistematica, collegando i singoli elementi costitutivi e prendendo in considerazione le ulteriori norme che disciplinano la materia ed il diritto vivente.[13] Un’ulteriore problematica sorta in relazione allo stalking ha riguardato il suo rapporto con la fattispecie dei maltrattamenti in famiglia ex art. 572 cp. In particolare, la questione è sorta perché il secondo comma dell’art. 612-bis cp prevede un aggravio di pena se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato. In questo caso, come affermato in giurisprudenza, «la forma aggravata del reato prevista dal 2° comma dell'art. 612-bis c.p. recupera ambiti referenziali latamente legati alla comunità della famiglia e che ne costituiscono - se così può dirsi - postume proiezioni temporali»[14], ragion per cui occorre stabilire quando la sequenza cronologica che parte dai maltrattamenti in famiglia - durante la convivenza - e prosegue con le condotte persecutorie post separazione, possa giungere a configurare, in concorso, anche il delitto di atti persecutori. A tal proposito l’orientamento ormai prevalente in giurisprudenza, risolvendo il conflitto apparente di norme tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori ai danni del coniuge convivente o persona legata da relazione sentimentale, sposta il confine tra le due fattispecie nel divorzio, perché solo questo fa cessare ogni vincolo tra i coniugi, o nella cessazione definitiva del rapporto. Pertanto, qualora le condotte siano state poste in essere in un contesto familiare in senso lato, troverà applicazione l’art. 572 c.p., se invece le condotte persecutorie siano poste in essere una volta cessata la convivenza di fatto ovvero dopo il divorzio potrà configurarsi lo stalking, anche in concorso con i maltrattamenti in famiglia. Tuttavia, nel caso di atti vessatori reiterati che perdurino anche dopo lo scioglimento del vincolo matrimoniale, le eventuali condotte poste in essere subito dopo non potranno essere cumulate alle precedenti, per cui per avere rilevanza penale queste ultime dovranno essere tali da integrare la fattispecie ex art. 612-bis cp.[15]

3. Il fatto

Ciò premesso, la questione posta all’attenzione della Suprema Corte nella pronuncia in commento concerneva la pubblicazione di post su Facebook da parte dell’imputato, conduttore della parte civile, nei quali irrideva i propri locatori accusandoli di porre in essere atteggiamenti contraddittori. In particolare, la derisione si basava sull’asserita contraddittorietà tra gli atteggiamenti moralisti, la forte credenza religiosa, nonché una forte propensione alla difesa degli animali, a fronte di alcuni inquilini tenuti “in nero” in totale evasione fiscale da parte dei proprietari dell’appartamento locato. L’imputato veniva pertanto accusato ai sensi dell’art. 612-bis c.p., in quanto avrebbe minacciato e molestato le parti civili tramite messaggi telefonici e sui social network aventi carattere ingiurioso e diffamatorio. In particolare, tramite la creazione di un profilo Facebook, l’imputato avrebbe costretto le parti civili a cambiare il numero di cellulare nonché il proprio profilo sul social, alterando in tal modo le loro abitudini id vita e provocando un grave stato di ansia e paura.

4. La decisione

La Cassazione, dopo aver evidenziato che le asserite “tempeste di messaggi” ricevuti da parte dell’imputato non avessero trovato alcun riscontro nella memoria dei telefoni delle parti civili, ha puntualizzato come le visualizzazioni della pagina Facebook della parte civile erano consentite dallo stesso profilo pubblico adottato dalla donna, pertanto la sua pagina era accessibile a chiunque. Inoltre, nella pagina facebook aperta dall’imputato non vi era alcuna indicazione dei nomi o comunque di riferimenti che potessero consentire di individuare le “vittime” dello scherno. Ragion per cui, il supremo consesso ha ravvisato nella pubblicazione dei post un intento ironico, irridente ed in quanto tale perfettamente lecito perché rientrante nel legittimo diritto di critica ed ha concluso ritenendo inammissibile il ricorso statuendo il seguente principio di diritto “in tema di stalking, la pubblicazione di post meramente canzonatori ed irridenti su una pagina Facebook accessibile a chiunque non integra la condotta degli atti persecutori ex art. 612 bis c.p., mancando il requisito dell’invasività inevitabile connessa invece all’invio di messaggi privati (mediante SMS, whatsup, telefonate) e, se rientra nei limiti della legittima libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica, è legittima.”

La statuizione è coerente con la precedente giurisprudenza la quale, quando ha avuto modo di esprimersi in relazione al reato in commento perpetrato tramite condotte sui social network, ha sempre fatto riferimento a condotte reiterate di pubblicazioni sui social aventi contenuto denigratorio e violando il suo diritto alla riservatezza, o comunque a messaggi inviati tramite facebook idonei a determinare nella vittima uno stato di ansia o comunque condotte invasive della sfera giuridica della persona offesa. In tal caso, la vicenda sottoposta all’esame della Corte era nettamente diversa, non vi era alcun contenuto denigratorio e, soprattutto, tutte le ironie erano espresse in maniera generica senza che fossero individuabili i destinatari, ragion per cui non può dirsi esserci stata una invasione della sfera personale dei conduttori dell’appartamento che ha occasionato la derisione.

5. Conclusioni

La pronuncia in commento appare pienamente condivisibile sotto il profilo della soluzione giuridica adottata e pertanto va salutata con favore. Certamente non può revocarsi in dubbio come nel caso di specie non sussistessero i presupposti per l’integrazione degli atti persecutori, essendo evidente come la creazione di un profilo facebook funzionale alla mera ironia su una particolare situazione trattata in maniera generica, anche se espressa in maniera sgradevole, non possa mai essere equiparata alle minacce e molestie reiterate e inevitabili che connotano lo stalking. La norma ha inteso tutelare quelle situazioni psicologicamente insostenibili che comportano un vero e proprio stravolgimento della vita, con notevoli ripercussioni sulla tranquillità psichica della persona; cosa assolutamente incompatibile con la condotta posta in essere dall’imputato nel caso in esame.

Tuttavia, la pronuncia tocca una problematica particolarmente preoccupante dell’era moderna e cioè la diffusione di messaggi diffamatori, ingiuriosi e di incitamento all’odio che ormai sembra aver trovato terreno fertile sui social network. Infatti, se è vero che nel caso di specie l’imputato ha semplicemente esercitato il suo diritto di critica, è anche vero che facebook e più in generale i social son diventati “la piazza del libero insulto”, dando vita a quel fenomeno denominato hate speech sul quale ancora non esista alcuna normativa a livello internazionale e sul quale de iure condendo occorrerebbe un intervento condiviso.


Note e riferimenti bibliografici

[1] M. SANTISE, F. ZUNICA, Coordinate ermeneutiche di diritto penale, quarta edizione 2018, pag. 612-613, Giappichelli Editore, Napoli 2018.

[2] G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, volume II tomo primo, i delitti contro la persona, quarta edizione, Zanichelli Editore, pag. 224, Bologna, 2013. 

[3] Cfr. Cassazione penale, sezione III, sentenza n. 11920 del 2018, massima: “in tema di atti persecutori, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 612-bis c.p. per relazione affettiva non s’intende necessariamente la sola stabile condivisione della vita comune, ma anche il legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione”.

[4] Cfr. Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 33843 del 20128: “integrano il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale”.

[5] M. SANTISE, F. ZUNICA, op.citata, pag. 614-615.

[6] Cfr. Cassazione penale, sentenza n. 32404 del 2010. In senso analogo, Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 26049 del 2019, massima: “integra l’elemento materiale del delitto di atti persecutori la condotta di chi reiteratamente pubblica sui social network foto o messaggi aventi contenuto denigratorio della persona offesa – con riferimenti alla sfera della sua libertà sentimentale e sessuale – in violazione del suo diritto alla riservatezza”.

[7] F. CARINGELLA, A. SALERNO, A. TRINCI, Manuale ragionato di diritto penale parte speciale, pag. 439-440, Dike Giudirica, Roma, Ottobre, 2020. 

[8] G. FIANDACA, E. MUSCO, op. citata, pag. 231.

[9] M. SANTISE, F. ZUNICA, op.citata, pag. 617.

[10] F. CARINGELLA, A. SALERNO A. TRINCI op. citata,pag. 441-442.

[11] Cfr. Cassazione penale, sentenza del 7 marzo 2011 numero 8832; in senso analogo, Cassazione penale numero 14391 del 2012, in motivazione: “In tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata". 

[12] Cfr. Cassazione penale, sentenza del 3 novembre 2020 numero 34512: “Ciò posto, la Corte territoriale ha ritenuto provata soltanto la condotta di pubblicazione di post canzonatori su una pagina Facebook, che, però, non erano indirizzati direttamente alle parti civili, come i messaggi privati, ma pubblicati su una pagina "pubblica", visibile a tutti gli utenti del social network, la cui lettura era dunque rimessa alla scelta individuale; sicchè manca, nella fattispecie, l'invasività inevitabile connessa all'invio di messaggi "privati", mediante SMS, Whatsapp, e telefonate, che caratterizza gli atti persecutori rilevanti ai sensi dell'art, 612 bis c.p.”.

[13] Cfr. Corte Costituzionale, sentenza 174 del 2014: “Non è fondata, in riferimento all'art. 25, comma 2, cost., per violazione del principio di determinatezza, la q.l.c. dell'art. 612 bis c.p., che disciplina il reato di atti persecutori. Premesso che le modificazioni dell'art. 612 bis c.p. intervenute successivamente all'ordinanza di rimessione non comportano la necessità di restituire gli atti al rimettente, trattandosi di modifiche che incidono su aspetti della disposizione che non attengono alla denunciata violazione del principio di determinatezza, la fattispecie delineata dalla disposizione censurata si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia contemplate dagli art. 612 e 660 c.p., in quanto, nel prevedere un'autonoma figura di reato, il legislatore ha ulteriormente connotato tali condotte, richiedendo che siano realizzate in modo reiterato e idoneo a cagionare almeno uno degli eventi indicati (stato di ansia o di paura, timore per l'incolumità e cambiamento delle abitudini di vita), al fine di circoscrivere la nuova area di illecito a specifici fenomeni di molestia assillante che si caratterizzano per un atteggiamento predatorio nei confronti della vittima. Ne consegue che, tenuto anche conto che il principio di determinatezza non esclude l'ammissibilità di formule elastiche, la cui valenza riceve adeguata luce dalla finalità dell'incriminazione e dal quadro normativo su cui la previsione si innesta, non risulta, quindi, in alcun modo attenuata la determinatezza della incriminazione rispetto alle fattispecie di molestie o di minacce, tenuto conto anche del "diritto vivente" che qualifica il delitto in questione come reato abituale di evento (sent. n. 27 del 1961, 120 del 1963, 191 del 1970, 126 del 1971, 42 del 1972, 96 del 1981, 79 del 1982, 62 del 1986, 5, 302 del 2004, 282 del 2010, 186 del 2013, 139 del 2014).”

[14] Cfr. Cassazione penale, Sezione VI, sentenza 24 novembre 2011, n. 24575.

[15] Cfr. C. MINNELLA, La Cassazione traccia la linea di confine tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di stalking, in Diritto Penale Contemporaneo, 20 luglio 2012, www.dirittopenalecontemporaneo.it