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Pubbl. Gio, 7 Apr 2022

LŽIndagine Previa nel Codice di Diritto Canonico

Giancarlo Ruggiero
Dottorando di ricercaNessuna



Il presente contributo intende analizzare lŽistituto dellŽindagine previa allŽinterno del Codice di Diritto Canonico concentrandosi sullŽevoluzione della disciplina presente nel Codice del 1917 e in quello del 1983 con attenzione ad alcune problematiche ad essa afferenti.


Sommario: 1. Introduzione;2. L'lndagine Previa nel Codice del 1917;3. L'Indagine Previa nel Codice del 1983;4. Alcune problematiche (cenni); 5. Conclusioni.

Sommario: 1. Introduzione;2. L'lndagine Previa nel Codice del 1917;3. L'Indagine Previa nel Codice del 1983;4. Alcune problematiche (cenni); 5. Conclusioni.

1.  Introduzione

Scopo della presente trattazione è quello di offrire un'analisi puntuale e allo stesso tempo critica di un istituto dalla notevole importanza per il diritto canonico per quanto spesso trascurato o poco conosciuto ovvero l'indagine previa. Tale indagine appare oggi normata dai canoni 1717- 1719 del Codice del 1983 in misura alquanto minore rispetto alla precedente codificazione; ciò nonostante, tale istituto risulta essere uno dei punti cardine dell'intero processo penale sia giudiziale sia amministrativo. Stante la sua costitutività risulta essere opportuno cercare di evidenziare, nel dettaglio dapprima la sua configurazione nel Codice Piano- Benedettino e poi in quello attuale offrendo, altresì, alcuni spunti di riflessione su alcune problematiche ad essa afferenti. 

2. L'Indagine Previa nel Codice del 1917

L’istituto dell’indagine previa appare ben strutturato all’interno del Codice Pio-Benedettino, precisando sia colui al quale viene deputato l’esercizio dell’azione stessa, sia coloro che possono presentare la denuncia relativa alla possibile commissione di un delitto sia il modo con cui quest’ultima può essere compiuta.

Come si può facilmente intuire, la notizia di un delitto, tranne alcuni casi, non appare così manifesta: da qui la necessità di un istituto previo al processo vero e proprio attraverso il quale si possa accertare la fondatezza o meno della notitia criminis.  È questa, infatti, la definizione dell’indagine previa ovvero «l’atto con cui viene portato a notizia dell’autorità un reato» [1] 

Ma chi può denunciare all'autorità un reato? Il can.1935 risponde alla domanda affermando che qualunque fedele può denunciare il delitto sia per ottenere soddisfazione o per ottenere il risarcimento del danno o per amore della giustizia ma anche per riparare lo scandalo o il male provato. Da ciò si deduce l’ampio ventaglio delle ipotesi attraverso cui un fedele può presentare una denuncia, la quale tuttavia non è certamente un obbligo quanto una facoltà pur animata da diversi motivi giuridicamente definiti. Tuttavia, è lo stesso can. 1935 a disciplinare tre casi in cui il carattere facoltativo della denuncia cede il passo ad un vero e proprio obbligo; la prima di queste ipotesi è rappresentata dal can.1935 par. 2 il quale afferma che è fatto obbligo di denuncia ogni qualvolta in cui è la stessa legge o il precetto ad imporlo ovvero quando ciò è necessario per prevenire un pericolo o un imminente male pubblico[2]; la seconda è quella prevista dal can.2236 p.2 relativo all’obbligo di denuncia al S. Uffizio dei chierici e i religiosi iscritti ad una setta massonica o simile mentre la terza ed ultima ipotesi è quella che legge in combinato disposto i canoni 904 e 2368 p.2 laddove si prescrive a carico del penitente di denunciare il chierico che, stante la confessione, ha commesso il delitto di sollecitatio ad turpia con alcune conseguenze poste in capo al penitente se quest’ultimo non denuncia il crimine entro un anno dalla sua commissione.

Il can.1936 stabilisce le modalità attraverso le quali è possibile presentare la denuncia: da notare l’attenzione da parte del legislatore circa il requisito della forma scritta – escludendo così una denuncia fatta solo oralmente – della sottoscrizione da parte del denunciante e il soggetto deputato a riceverla ovvero l’Ordinario del luogo o il cancelliere della curia ovvero il parroco con il relativo obbligo di presentazione all’Ordinario stesso [3]. Non tutte le denunce, come può facilmente intuirsi, possono essere accolte: il can. 1942 esclude quelle presentate da parte di un nemico manifesto da parte del denunciato ovvero da una persona vile ed indegna nonché quelle anonime o prive di elementi sufficienti per poter ritenere fondata l’accusa. Il successivo capo evidenzia un passaggio interessante. In effetti il can. 1939 stabilisce che, dopo aver ricevuto la notizia del delitto «sive ex rumore et pubblica fama, sive ex denuntiatione, sive ex querela damni, sive ex inquisitione generali ab Ordinario facta» [4], è necessario compiere un’indagine speciale atta a verificare la fondatezza dell’accusa.

Ciò permette di sottolineare come, secondo il Codice 1917, si debba distinguere tra un’inquisizione generale ed una speciale. La prima consiste essenzialmente in una forma di vigilanza che l’Ordinario è tenuto a compiere nella sua diocesi mentre la seconda è atta, come suggerito, a verificare se l’accusa possa essere accolta o meno [5]. Tale indagine, sebbene possa essere compiuta personalmente dall’Ordinario, viene sovente affidata ad uno dei giudici sinodali presenti a meno che, per prudenti ragioni sia possibile anche affidarla ad altri purché ritenuti idonei da parte dell'Ordinario stesso. 

Interessante appare il disposto del can.1941 secondo cui l’investigatore non può essere delegato per tutte le cause ma solo per una sola particolare. Il legislatore, in questo senso, intende stabilire una certa “libertà” in capo all’Ordinario nello scegliere colui che deve svolgere l’indagine stessa evitando, in questo modo, qualunque rischio di collusione o di lesione della giustizia cercando, in ogni modo, di garantire la piena indipendenza e neutralità da parte dell’investigatore stesso il quale, pur non potendo ricoprire le funzioni di giudice nel possibile e successivo processo, è tenuto ad osservare le stesse disposizioni che il Codice impone verso i giudici ovvero dovrà emettere il giuramento de secreto servando e di adempiere al proprio munus nonché di non accettare alcun tipo di doni o favori[6]

L'investigatore dovrà compiere la sua indagine segretamente cercando in ogni modo di evitare che quest’ultima possa ledere il nome dell’indagato stesso. Secondo la dottrina [7] l’indagine deve rispondere ad alcuni requisiti: deve essere, oltre al requisito della segretezza, scritta e priva di contradditorio. Nulla viene detto a proposito di una qualche forma di partecipazione da parte dell’indiziato [8]. Tornando al munus dell’investigatore, va ricordato come costui può interrogare persone informate sui fatti ma solo quando questo appaia necessario all’indagine stessa con l’obbligo, lo si ribadisce, di mantenere il segreto ovvero può chiedere consiglio al promotore di giustizia, prima di chiudere l’indagine, qualora abbia avuto qualche difficoltà. 

Al termine dell’indagine previa l’inquisitore trasmette gli atti dell’Ordinario assieme ad un suo parere: a questo punto, ci ricorda il can. 1946, si possono avere tre possibilità. In primo luogo, se mancano prove a sostegno della colpevolezza dell’indiziato, quando ad esempio l’indagine previa non ha dimostrato che il delitto sia stato consumato o che il suo autore sia sconosciuto: in questo caso si procede ad archiviare la pratica. In secondo luogo, se vi sono indizi ma sufficienti per presentare una vera e propria accusa. Anche in questo caso si procede all’archiviazione pur potendo l’Ordinario sottoporre l’indiziato alla sua vigilanza   e agire, si casus ferat con un’opportuna ammonizione previa sua audizione. In terzo luogo, se gli elementi dimostrano come probabile la commissione del delitto, il suo presunto autore viene citato per un previo interrogatorio. Se questi confessa il suo delitto si procederà ad una correptio iudicialis con le limitazioni di cui al can.1948[9] ovvero se tale “correptio” fosse risultata insufficiente alla riparazione dello scandalo ovvero alla restituzione della giustizia o perché il reo non si è emendato, è prevista, a norma del canone 1954,  la trasmissione degli atti al promotore di giustizia affinché questi presenti al giudice apposito libello accusatorio avviando così il processo penale giudiziario vero e proprio normato dai canoni 1954-1959.

3.  L'Indagine Previa nel Codice del 1983

Dopo esserci soffermati sulla normativa del Codice del 1917, poniamo ora la nostra attenzione sulle attuali disposizioni codiciali che appaiono racchiuse nei canoni 1717 – 1719. Nonostante la riduzione dei canoni, l’istituto dell’indagine previa appare ancora uno degli elementi più capillari di tutto il processo penale canonico. In linea di prima approssimazione possiamo definire l’indagine previa come un istituto autonomo, di diritto amministrativo, che non va confuso con altre tipologie di istruttoria, comune tanto alla via giudiziale tanto a quella amministrativa la quale mira a stabilire la fondatezza o meno della notitia criminis. La sua natura giuridica, dunque, è quella di un atto amministrativo con tutte le conseguenze che esso comporta. 

Si tratta, come è stato notato di un’obbligazione posta in capo all’Ordinario, in seno al suo dovere di vigilanza pastorale [10], ogni qualvolta in cui giunge a quest’ultimo la possibile notizia di un crimine. Ciò impone dunque una breve digressione sul corretto significato della notitia criminis la quale può essere definita come «l’informazione ricevuta dalla competente autorità relativamente ad un fatto costituente delitto»[11] ; analizzando la norma è evidente come la finalità di questa indagine è quella di verificare la sussistenza del delitto con tutti i suoi elementi ovvero, in altri termini, di verificare la fondatezza dell’accusa «in modo da poter realizzare una prima valutazione circa la fondatezza delle notizie precedenti e poter così decidere, alla loro luce, sulle vie giuridiche da percorrere posteriormente»[12]Come si vede tale procedura assume un carattere preparatorio al processo costituendone un fondamentale presupposto: senza aver condotto codesta indagine non si potrà celebrare né un processo penale giudiziale né uno amministrativo. Essa appare necessaria in qualunque tipo di delitto non solo quelli riservati dovendo, allora agire, con una certa uniformità e una buona modalità di esecuzione proprio per la sua importanza e rilevanza.

Ciò presuppone quindi un particolare sforzo nella corretta esecuzione della stessa per non fare dell’indagine previa una sorta di “istruttoria anticipata” soprattutto per i limiti che lo stesso canone riporta in modo espresso.  Attraverso tale indagine l’Ordinario verrà, dunque, a conoscenza di quelle «informazioni necessarie per accertarsi della verità sui fatti riportati e sul suo eventuale autore; l’indagine previa è volta a verificare che la notizia del delitto sia o no fondata e così regolarsi circa le misure da adottare».[13]

È allora facile domandarsi ma come può l’Ordinario venire a conoscenza di codeste informazioni? Notiamo l’assenza – a differenza di quanto previsto dal can. 1939 – di specifici canali informativi che, tuttavia, secondo la dottrina prevalente [14], risultano ancora validi ed utilizzabili. Tra i mezzi utilizzabili particolare risalto assume la denuncia che può essere definita come la molla iniziale del processo penale, di per sé distinta da altre tipologie di denunce come quella caritatevole e quella canonica di cui al can.392 [15] la quale non ha carattere penale né comporta l’esercizio dell’azione penale avendo semplicemente natura informativa tanto che l’Ordinario stesso non è tenuto a darvi necessariamente seguito [16]. Ricevuta, nelle modalità sopra indicate, la notitia criminis, l’Ordinario dovrà verificare se questa è fondata.

Si tratta di un autentico discernimento che ha due estremi di non facile applicazione: da un lato verificare la fondatezza almeno verosimile della notizia e dell’altro rendersi conto dell’inutilità della denuncia se gli elementi forniti non forniscono alcun dettaglio né sul possibile delitto né sul suo autore.

Appare così cruciale la figura dell’Ordinario al quale spetta il compito di indagare o personalmente o attraverso figura idonea ovvero l’investigatore. Ragioni pastorali spingono affinché non sia l’Ordinario a compiere l’indagine quanto un suo delegato, il quale può essere chierico o laico, uomo o donna, purché offra idonee garanzie per un corretto svolgimento dell’indagine stessa dovendo comunque agire con prudenza, evitando la divulgazione delle notizie che man mano raccoglie, le quali, poi, dovranno essere messe per iscritto e inserite in una apposita relazione da trasmettere all’Ordinario stesso. Sempre a proposito del ruolo dell’investigatore è opportuno ricordare quanto espresso dal can. 1717 par.3 in cui, oltre ad esplicitare le funzioni di quest’ultimo [17], stabilisce, riprendendo dal Codice precedente, come l'investigatore non può ricoprire l’ufficio di giudice nel caso in cui venga avviato successivamente un processo penale.

Ancora più nevralgico appare il disposto del can.1717 par.2 secondo cui, nello svolgimento dell’indagine, occorre non ledere, in nessun modo, la buona fama di alcuno. La norma in questione va letta in combinato disposto con il can.220, fungendo da monito giuridico affinché, per quanto l’indagine deve procedere a verificare l’accertamento dei fatti, questa non risulti essere troppo “invasiva” giustificandosi, in questo caso, il segreto inteso, non come un insabbiamento quanto piuttosto come un impegno morale a non divulgare notizie o informazioni ricevute a titolo confidenziale soprattutto per non creare scandalo all’interno della comunità [18]

Il canone 1718 statuisce sull’esito dell’indagine previa: spetta all’Ordinario decidere cosa fare, tenendo ovviamente conto dei risultati dell’indagine pur potendo, come ricorda il par.3, consultarsi con altri due giudici o esperti in diritto. In primo luogo, potrà disporre di celebrare il processo per infliggere o dichiarare la pena, stante però l’osservanza di quanto previsto dal can.1341, ovvero stabilire se procedere attraverso la via giudiziale – sempre da preferirsi – o quella amministrativa secondo quanto prescritto dal can.1342. Tutto ciò, in osservanza del par. 4 – il quale stabilisce che per evitare giudizi inutili, che l’Ordinario o l'investigatore, consenzienti le parti, dirima la questione dei danni secondo il giusto e l'onesto. La norma appare ampiamente significativa e nello stesso tempo densa di interpretazioni di cui si offrirà, in seguito, una breve lettura sistematica.

4. Alcune problematiche (cenni)

Dopo aver analizzato la normativa vigente è bene occuparsi di alcuni problemi afferenti all’indagine previa. In primo luogo, va sottolineata la crescente e capillare importanza che viene data a questo istituto soprattutto alla luce della normativa attuale; ciò richiede da parte dei tribunali una adeguata, indagine previa tenendo conto delle sue finalità e delle sue ricadute.

Osservando le disposizioni del Codice è possibile sollevare alcuni rilievi critici, frutto dell’analisi dottrinale e giurisprudenziale. Se è pacifico che non sia – ordinariamente – l’Ordinario a compiere, personalmente le indagini – è altrettanto evidente che occorre stabilire un ufficio stabile, come quello dell’investigatore, per rendere tale funzione ben riconosciuta e strutturata. Ciò appare comunque legato ad un tema di più ampio respiro ovvero l’istituzione di sezioni penali all’interno dei tribunali diocesani i quali – sovente – appaiono limitati alla sola competenza matrimoniale. In secondo luogo, l'assenza di una puntuale descrizione dei mezzi con cui l'autorità ecclesiale viene a conoscenza di un possibile delitto, non solo esprime la validità di quegli strumenti previsti dalla legislazione precedente ma, al contempo, rende possibile, in questo ambito, l'utilizzo dei moderni mezzi di comunicazione sociale a condizione, ovviamente, che ogni singola denuncia o segnalazione sia attentamente vagliata e valutata nei suoi elementi.

Ancora più stringente risulta essere, come già ricordato, la disposizione del can. 1718 p.3 secondo cui l’Ordinario può ascoltare altri giudici o esperti in diritto. Tale fattispecie – per quanto sottolinei una certa facoltatività da parte di quest’ultimo – dovrebbe essere maggiormente applicata. Non si tratta certamente di una decisione collegiate – dal momento che la questione rimane in capo all’Ordinario – quanto piuttosto di favorire una piena corresponsabilità ecclesiale soprattutto in fattispecie delicate come possono essere quelle penali. La presenza di esperti, purché provvisti di adeguato titolo accademico – può rivelarsi particolarmente utile e nello stesso tempo adeguata al fine di un corretto esercizio della funzione penale provvedendo, se le circostanze lo richiedono, a misure ad hoc stante l’entità del delitto, le sue circostanze e il soggetto autore del misfatto.

Ed è proprio questo tema quello che appare più pregante: la stessa terminologia non aiuta dal momento che si parla spesso di reo evidenziando una sorta di colpevolezza che in questa fase non sussiste né può sussistere proprio per la natura processuale a cui afferisce l’indagine previa. Dalle disposizioni codiciali si deduce come il soggetto passivo dell’indagine ovvero l’indagato rimanga del tutto all’oscuro dell’indagine stessa tant’è che – come è stato scritto – nel caso in cui gli elementi raccolti dimostrassero l’infondatezza della notitia criminis l’indagato non verrebbe mai a sapere di un’indagine compiuta nei suoi riguardi [19].  

Tuttavia, stante il riferimento cardine del can. 1341 e ricordando come la pena, all’interno dell’ordinamento canonico, risulta essere l’extrema ratio a cui ricorrere, è vivamente opportuno che l’indagato venga consultato, in particolar modo nelle fasi finali dell’indagine. Ciò è esplicitato dall’art. 8 del Motu Proprio Vos estis lux mundi che stabilisce inoltre, molto opportunamente, l’assistenza da parte di un procuratore.

La norma non intende far sì che l’indagine previa si trasformi in un’istruttoria anticipata essendo questa rivolta unicamente alla fase più specificamente processuale quanto piuttosto a favorire quel processo di emendazione dell’autore con mezzi pastorali o anche servendosi dei rimedi penali dell’ammonizione e della correzione previsti dal can.1339. Occorrerà dunque evitare che l’indagato presti giuramento nonché è da evitare la presenza di testimoni; sarà dunque compito degli operatori favorire un clima di accoglienza e di dialogo pur nella diversità dei ruoli senza per questo ledere, in nessun modo e in ogni caso, alla necessaria giustizia per garantire la comunione ecclesiale tra tutti i battezzati.

5. Conclusioni

Il presente contributo ha inteso offrire una trattazione sull’istituto dell’indagine previa sia nel Codice del 1917 sia in quello vigente. In modo particolare si è posta l’attenzione sull’evoluzione storico giuridica di questo istituto tra i due Codici evidenziando, seppur nella riduzione numerica dei canoni, la volontà da parte del legislatore di considerare l’indagine previa come uno strumento capillare per il processo penale essendo comune sia alla via giudiziale sia a quella amministrativa. Ci si è soffermato sulla sua natura marcatamente amministrativa che la rende autonoma e distinta da altre tipologie di indagini e soprattutto evita un suo inquadramento in una forma di istruttoria tipica della fase processuale.

Essa è preposta alla verifica della fondatezza della notizia di un crimine, il quale rappresenta un male per la vita della comunità ecclesiale; con ciò non si intende affermare che il delitto è stato effettivamente compiuto quanto provvedere ad una prima verifica della sua possibile commissione. Attraverso l’indagine previa l’Ordinario o l’Investigatore dovrà verificare, con prudenza senza ledere alla buona fama del soggetto passivo, elementi utili circa i fatti, le circostanze e l’imputabilità senza però che da ciò si debba necessariamente celebrare un processo.

Si è inoltre evidenziato la necessità di porre maggiore attenzione nei confronti dell’indagato favorendone la sua partecipazione in modo particolare alle ultime fasi dell’indagine. Tale riferimento appare confermato, altresì, dalla attuale normativa voluta espressamente da Papa Francesco e ben espressa in diversi Motu Propri promulgati tra il 2016 e il 2020. La partecipazione – anche mediante idoneo procuratore – dell’indagato intende favorire percorsi di accompagnamento, emendazione e di riconciliazione senza che per questo venga meno la necessità di garantire una forma adeguata di giustizia e di risarcimento.

Per questo appare fortemente attuale la necessità di un potenziamento di questo istituto provvedendo anche all’erezione di tribunali ecclesiastici interdiocesani con competenza penale e favorendo la formazione di personale specializzato capace di occuparsi, in modo rigoroso e specifico, di tali provvedimenti secondo la legge della Chiesa.


Note e riferimenti bibliografici

[1] P. CIPROTTI,  Denuncia penale (diritto canonico) , in Enciclopedia del Diritto, 1964, 12, 210.

[2] Can.1935 par.2. CIC 1917.

[3] Can.1937 CIC 1917. Circa l’obbligo di trasmissione all’Ordinario, ciò si evince dalla lettura del suddetto canone. L’espressione “[scriptis est consignanda et statim ad Ordinarium deferenda” intende sottolineare attraverso l’uso del gerundivo un dovere che si traduce dunque in un obbligo nei confronti dell’Ordinario del luogo.

[4] Can. 1939 p.1

[5] Sul punto la letteratura è abbastanza ampia. Si segnala per tutti M. LEGA- B. BARTOCCETTI, Commentarius in iudicia ecclesiastica iuxta codicem iuris canici, Romae,1930, III, 224.

[6] Così il can.1941 p.2.

[7] Cit. P.TORQUEBIAU, De la procèdure criminelle, in Traité de droit canonique, a cura di Naz, Paris, 1954, 41.

[8] Il punto verrà ripreso successivamente ma si può ricordare come la risposta da parte della dottrina fosse negativa. Cit. M.LEGA- V. BARTOCCETTI, Commentarius in iudicia, 23.

[9] La disposizione del can.1948 appare tassativa:«1º In delictis quae poenam secumferunt excommunicationis specialissimo vel speciali modo Sedi Apostolicae reservatae, aut privationis beneficii, infamiae, depositionis aut degradationis; 2º Quando agitur de ferenda sententia declaratoria poenae vindicativae vel censurae in quam quis inciderit;  3º Quando Ordinarius existimet eam non sufficere reparationi scandali et restitutioni iustitiae».

[10] Cit. M. CORTEZ DIEGUEZ, La investigación  previa al proceso penal canόnico y el proceso administrativo penal, in Revista Espaňola de  Derecho Canόnico, 2013, 70, 513 – 536.

[11] Cit. C. PAPALE, Il processo penale canonico. Commento al Codice di Diritto Canonico, Libro VII, Parte IV, Roma, 2012, 48.

[12] Cit. J.SANCHIS,  L’indagine previa al processo penale, in Ius Ecclesiae, 4, 1992, 528-529.

[13] Ibidem, 541. 

[14] Ibidem, 517.

[15] Cit. B.F. PIGHIN, Diritto penale canonico, Venezia, 2008, 535.

[16] Cit. J. SANCHIS, L’Indagine previa, 519 ss.

[17] L’investigatore ha gli stessi poteri che competano all’uditore secondo quanto previsto dal can. 1428.

[18] Per quadro più ampio ed esaustivo si veda P. LAGGES, The penal process: the preliminary investigation in light of the Essential Norms of The United States,  a cura di Cogan, Sacerdotes Iuris Gigestae 1.1. Miscellanea in honour of William H. Woestman, O.M.I., Otawa 200.

[19] L. GRAZIANO, La praevia investigatio e la tutela dei diritti nell’ordinamento penale canonico, in Processo penale e tutela dei diritti nell’ordinamento canonico a cura Cito, Milano, 2005, 503-504.