Pubbl. Ven, 30 Mag 2025
La digitalizzazione degli atti introduttivi nel processo ordinario: comparazione simultanea tra processo civile telematico e ordinamento canonico
Giovanni Margherita

La digitalizzazione del processo civile ha trasformato la gestione degli atti processuali, rendendo più rapida ed efficiente la costituzione delle parti grazie al Processo Civile Telematico (PCT). In contrasto, l’ordinamento canonico mantiene una modalità tradizionale, basata sulla trasmissione cartacea degli atti. Questo studio analizza le differenze tra i due sistemi, valutando i benefici e le criticità della digitalizzazione e le possibili prospettive di integrazione tecnologica nel processo canonico. Il confronto evidenzia come l’adozione di strumenti digitali, se regolamentata adeguatamente, possa migliorare l’accesso alla giustizia senza compromettere i principi fondanti dell’ordinamento ecclesiastico.
Sommario: 1. Premessa; 2. La costituzione delle parti in giudizio; 2.1 La parte attrice nel processo; 2.1.1 La costituzione dell’attore nel PCT in forma tradizionale o telematica; 2.1.2 Il libello introduttivo; 2.2 la parte convenuta nel processo; 2.2.1 La costituzione del convenuto nel PCT; 2.2.2 L’atto di citazione e la risposta del convenuto nell’ordinamento canonico; 2.3 I rischi e i benefici derivanti dalla costituzione delle parti per via analogica e per via telematica; 3. La mancata o tardiva costituzione delle parti; 3.1 L’art. 171 c.p.c. e i successivi regolamenti in materia; 3.1.1 La mancata costituzione di tutte le parti; 3.1.2 Tardiva costituzione di tutte le parti; 3.2. Gli effetti processuali della mancata o tardiva costituzione delle parti ex cann. 1592-1595; 3.2.1 L’assenza del convenuto; 3.2.2 L’assenza dell’attore; 3.2.3 Costituzione tardiva delle parti; 3.3 Dal PCT al processo canonico: prospettive comparatistiche; 4. Conclusione.
1. Premessa
La digitalizzazione ha rivoluzionato il panorama giuridico contemporaneo, ridefinendo i confini tra tradizione e innovazione nei procedimenti processuali. Il processo civile telematico (PCT), introdotto nel sistema giuridico italiano per rispondere alle esigenze di efficienza, velocità e sicurezza, rappresenta un esempio emblematico di come l’informatizzazione abbia trasformato l’iter processuale. In questo contesto, la digitalizzazione degli atti introduttivi costituisce un passaggio cruciale, in quanto incide direttamente sull’accesso alla giustizia, sulla costituzione delle parti in giudizio e sulla stessa dinamica del contraddittorio.
Parallelamente, l’ordinamento canonico conserva una struttura processuale radicata in una tradizione consolidata, nella quale la trasmissione e la gestione degli atti restano perlopiù ancorate al supporto cartaceo. Questa dicotomia tra un modello altamente informatizzato e uno che conserva un’impostazione più tradizionale solleva interrogativi di natura comparatistica: quali sono i vantaggi e le criticità della digitalizzazione nel diritto processuale? È possibile un’integrazione della tecnologia anche nel sistema canonico, senza comprometterne i principi fondanti?
L’obiettivo di questa analisi è quello di esaminare, attraverso un approccio comparativo, le modalità di costituzione delle parti nel processo civile telematico e nel processo canonico, evidenziando similitudini, differenze e possibili prospettive evolutive. Saranno presi in esame i profili normativi, i benefici e i rischi derivanti dalla digitalizzazione, nonché l’impatto che le nuove tecnologie possono avere sull’efficacia, sulla trasparenza e sulla sostenibilità del processo giudiziario. L’intento è quello di offrire una riflessione approfondita su come il progresso tecnologico possa essere armonizzato con le esigenze di tutela dei diritti e con le peculiarità di ciascun ordinamento giuridico.
2. La costituzione delle parti in giudizio
2.1 La parte attrice nel processo
La parte ricorrente o parte attrice è il soggetto che avvia il processo al fine di far valere un diritto che egli ritiene di avere.[1] Negli ordinamenti di riferimento, civile e canonico, si avrà modo di comprendere come, nella normativa, non si trovi una definizione del soggetto che ricorre in favore del riconoscimento del suo diritto ma soltanto indicazioni processuali sul suo naturale avvio grazie alla sua costituzione e alla citazione di parte. Invero la dottrina canonistica intende definire la parta attrice come qualsiasi soggetto che, tra i litiganti, chiede per primo al giudice di esaminare una questione inerente la causa presentando il necessario atto di costituzione[2].
Nel processo civile di cognizione e, in questa specifica sede, nel processo civile telematico non vengono presentate grandi differenze in quanto, come si avrà modo di leggere nel proseguo della trattazione, la costituzione in giudizio della parte attrice viene effettuata per via “tradizionale” cartacea e non anche per via telematica. Di seguito si cercherà di esporre le modalità di costituzione e in che modo essa possa avvenire seguendo il duplice binario informatico/cartaceo.
2.1.1 La costituzione dell’attore nel PCT in forma tradizionale o telematica
Nonostante l’avvento del processo civile telematico abbia introdotto innovazioni normative nell’impianto stesso del processo, soprattutto per ciò che riguarda l’informatizzazione dei documenti, andando ad analizzare la costituzione in giudizio dell’attore ci si sofferma sul dettato normativo dell’art. 165 c.p.c. in cui viene disposto che
L’attore, entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, [...], deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l’originale della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune ove ha sede il tribunale.
La prospettiva del codice processuale civile resta quella della costituzione, per così dire, “tradizionale” in cui viene effettuato il deposito in cancelleria della nota di iscrizione a ruolo e del fascicolo di parte e i relativi documenti che l’attore offre in comunicazione[3]. Tale normativa andrà analizzata, per uno sguardo d’insieme, con le relative disposizioni extra codicem che dopo l’avvento del PCT sono emerse e che effettivamente fanno emergere i limiti e i benefici in capo alla parte attrice rispetto alle modalità di costituzione, cartacea e/o telematica, che soggiacciono al processo ordinario.[4]
Come si è già avuto modo di esporre in precedenza, l’art. 16 bis, co. 1 del d.l. n. 179/2012 asserisce con termini perentori l’obbligatorietà del deposito telematico per gli atti endoprocessuali[5], mentre per gli atti introduttivi, e quindi per la stessa costituzione della parte attrice all’interno del rito ordinario, lo stesso articolo stabilisce che è «sempre ammesso» il deposito telematico. In conseguenza a quanto detto ne risulta che il deposito telematico è ammesso se l’atto di citazione è avvenuto in forma nativa analogica, sia se questo è stato notificato a mezzo PEC, sia se la notifica è avvenuta in via cartacea.
A primo acchito le previsioni dei commi 1 e 1 bis del citato art. 16 bis parrebbero richiamare l’obbligatorietà del deposito telematico per i soli atti delle parti precedentemente costituite, lasciando alla sola possibilità della forma telematica tutti gli altri atti (tra cui la costituzione delle parti), in alternativa al deposito “tradizionale”. Il quadro normativo risulta invero più articolato in quanto l’art. 9 ai commi 1 bis e 1 ter della l. n. 53/1994[6] prende in esame la prova della notificazione compiuta dall’avvocato a mezzo PEC, «senza distinguere il formato (cartaceo o digitale) dell’atto né la sua tipologia e risultando perciò riferibile anche agli atti introduttivi»[7].
1 bis. Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’articolo 3-bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
1 ter. In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis.
Da tale assunto, precisamente dal comma 1 ter, si deduce che l’avvocato non abbia la facoltà di autenticare la copia cartacea di quanto notificato a mezzo PEC e dei relativi documenti, ai fini del successivo deposito in cancelleria, ma che tale facoltà sia ad esso riservata quando sia impossibile procedere per via telematica. Condivisibilmente a quanto detto, conseguenza di ciò, quando la citazione sia stata notificata a norma dell’art. 3 bis della l. n. 53/1994, il deposito degli allegati attestanti la notificazione e la stessa citazione debbono essere effettuati per via telematica «all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici»[8]; con il risultato che per l’attore, costituito in modalità cartacea, resta l’onere «di fornire prova della notificazione e di depositare l’atto notificato nelle forme previste dalla legge»[9].
In seguito all’analisi della normativa che regola la costituzione della parte attrice, risulta interessante soffermarsi sugli effetti causati dalla mancanza del deposito telematico dei documenti informatici e dei suoi allegati. Nel caso in cui l’attore non abbia effettuato, come si è già specificato, il deposito telematico dei documenti informatici che attestano la notificazione entro i dieci giorni successivi, né vi abbia provveduto fino al giorno dell’udienza, il giudice non può ritenere il contraddittorio correttamente instaurato[10]. Nonostante il giudice sia investito del potere istruttorio, come normato all’art. 182, co. 1 c.p.c., in questo caso dovrà ordinare alla parte attrice di depositare per via telematica l’intera documentazione che attesti la prova della notificazione avvenuta a mezzo PEC; nel caso in cui il deposito telematico non sia possibile, sia perché la parte non abbia provveduto a ciò, sia per ragioni non ad essa imputabili, il giudice potrebbe ordinare la rinnovazione della stessa notificazione andando così a salvaguardare l’economia processuale.
Dopo aver esposto alcune considerazioni circa l’instaurazione del processo ordinario, a mo’ di chiosa è utile sintetizzare le diverse modalità di costituzione dell’attore secondo lo schema delineato dallo stesso legislatore e che porterebbero, de iure condendo, all’interno del sistema processuale canonico imputs su cui innestare un possibile rinnovamento all’interno delle dinamiche di costituzione che, come in seguito si avrà modo di esporre, rendano tale momento statico e confinato alla sola consegna in cancelleria del libello introduttivo.
1) Nel caso in cui la domanda venga posta con un atto di citazione nativo analogico (redatto su supporto cartaceo e successivamente sottoposto a notificazione telematica) notificato nelle forme tradizionali in cancelleria, l’attore potrà perfezionare la propria costituzione o per via cartacea o altrimenti telematica, così come suggerito dall’art. 16 bis, co. 1 bis del d.l. n. 179/2012, depositando il fascicolo di parte, la procura e alia documenta; 2) nel caso in cui la domanda venga posta con atto nativo digitale (ossia come documento informatico seguito da notificazione telematica) o con atto nativo analogico notificato a mezzo PEC al difensore, stando all’art. 3 bis della l. n. 53/1994, l’attore, oltre alla modalità scelta, dovrà comunque fornire telematicamente prova della notificazione secondo quanto disposto ai commi 1 bis e 1 ter dell’art. 9 della l. n. 53/1994; 3) nel caso in cui la domanda venga posta con atto di citazione nativo digitale o nativo analogico (di cui si è estratta copia conforme) notificato all’ufficiale giudiziario, l’attore potrà perfezionare la propria costituzione o in forma cartacea o telematica; infine 4) nel caso in cui si proceda con un atto di citazione “tradizionale”, l’attore potrà depositare in cancelleria la nota di iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l’originale cartaceo della citazione notificata, oppure depositare la documentazione per via telematica previa estrazione di copia informatica dell’originale atto introduttivo.[11]
Si evince come in tutte le modalità summenzionate l’attore è investito di piena libertà rispetto alla scelta con cui costituirsi; nonostante ciò, resta ferma la possibilità di notificare l’atto per via telematica avendo cura precedentemente di estrarne copia informatica così da poterlo inserire nell’apposito fascicolo informatico.
2.1.2 Il libello introduttivo
Prima di procedere all’analisi normativa e degli elementi che configurano il libello, all’interno dell’ordinamento canonico, risulta indispensabile chiarire il concetto di atto processuale in quanto difficilmente reperibile in ambito codicistico.
L’atto in questione consiste in una manifestazione di volontà, libera e responsabile, ed è in questo senso che bisognerà porlo in relazione al libello quale primo atto processuale. Si ricordi che l’intero processo canonico ruota intorno ad un interesse giuridico, motivo per cui si chiede la difesa processuale di un diritto, «mancando il quale non potrà essere instaurato alcun processo»[12].
È fondamentale che il soggetto interessato manifesti la sua volontà nel difendere i diritti di cui ne è privo e l’atto mediante il quale tale soggetto chiede all’organo giudiziale di intervenire è per l’appunto il libello introduttorio.[13]
La definizione di libello è rinvenibile, in dottrina, dalle parole del giurista Chiovenda, il quale pronuncia che il libello
è l’atto mediante il quale l’attore, affermando l’esistenza di una volontà concreta della legge che gli garantisce un bene, chiede che tale volontà legale sia attuata di fronte al convenuto, invocando a questo fine l’intervento dell’organo giudiziale.[14
Il libello, presentato dal soggetto che chiede l’intervento a difesa dei propri diritti lesi, oltre alla volontà ad agire processualmente, abbisogna di altri elementi essenziali che ne favoriscono la sua ammissibilità. Tali elementi, rinvenibili dal combinato dei cann. 1502[15] e 1504[16], divengono presupposto imprescindibile circa la valutazione dei medesimi da parte dell’organo giudiziale: elemento soggettivo, oggettivo, giuridico e postulatorio.
1. Elemento soggettivo. In tale elemento è racchiuso il cosiddetto rapporto processuale, tanto caro alla dottrina processual canonistica, che necessariamente nasce tra i soggetti coinvolti nello stesso[17]. I soggetti saranno: a) la parte attrice: quis petit, il soggetto che chiede tramite il processo l’attuazione della legge a difesa dei propri diritti. Tale soggetto può configurarsi come persona fisica o giuridica; in entrambi i casi, dovrà essere precisato con nome, cognome, indirizzo e nel caso in cui si figuri come persona giuridica anche il titolo di rappresentanza ex can. 1480. In questa sede è bene ricordare che per essere soggetto attivo nel processo sarà richiesta la capacità processuale, cioè quell’insieme di qualità proprie della persona che permettono di determinare se ha o meno la «posizione giuridica adeguata per essere parte in causa»[18]. Nel caso della parte attrice, la capacità attiva comprenderà la capacità giuridica cioè l’essere titolari di diritti, la capacità d’agire cioè di rivolgersi al giudice per la tutela dei propri diritti, e la capacità di postulare cioè di porre personalmente atti processuali; in mancanza di ciò si dovrà agire in giudizio mediante un’altra persona, tutori o curatori. b) la parte convenuta: a quo petatur, è la persona di fronte al quale si chiede qualcosa tramite il processo. Essendo il soggetto passivo, anche in questo caso, si richiedono delle qualità del soggetto affinché possa prendere parte alla causa.
La capacità passiva del convenuto si distingue in assoluta, per cui è tenuto a rispondere alla citazione del giudice e presenziare così al processo; e relativa, che riguarderà le eccezioni che il convenuto stesso potrà opporre alle pretese dell’attore. Questo elemento soggettivo passivo non potrà mai mancare in quanto il processo stesso si svolge in contraddittorio[19]; infine, c) il giudice: coram quo, è la persona destinataria dello stesso libello. Nell’atto processuale sarà cura dell’attore nell’indicare e specificare se si tratta di un giudice unico o il tribunale al quale è indirizzato il libello.
2. Elemento oggettivo. L’elemento oggettivo all’interno del libello introduttivo viene a configurarsi come la petizione concreta, il cosiddetto petitum. Tale elemento indicherà concretamente l’oggetto della controversia e in ciò il provvedimento che viene richiesto all’organo giudiziale[20]. Il petitum potrà essere molteplice ma, in questo caso, le richieste dovranno essere tra loro congruenti evitando in questo modo la loro contraddittorietà.
3. Elemento giuridico. All’interno del libello sarà necessario un ultimo elemento, quello giuridico, con il preciso compito di esprimere il fondamento della pretesa, la causa petendi, cioè le circostanze di fatto che attribuiscono i diritti con cui l’attore formula la sua richiesta. Tale titolo giuridico sarà costituito da due fattori: di diritto, in cui risulta necessaria l’esistenza di una legge alla base della propria richiesta; di fatto, in cui generatim saltem sarà necessario accludere i fatti concreti che faranno da supporto alla domanda attorea. Da tale richiesta e dalle circostanze di fatto emergerà il cosiddetto fumus boni iuris (parvenza di buon diritto), cioè la percezione di probabilità che quella causa, di cui si ha interesse, sia fondata[21].
4. Elemento postulatorio. L’ultimo elemento richiesto nella redazione del libello è costituito dalla invocazione di intervento del giudice[22] in cui si configura come il primo destinatario dello stesso.
A seguito della disamina degli elementi che soggiacciono nella redazione puntuale del libello, è necessario esaminare più in concreto la normativa codiciale che fa riferimento all’autore del libello, al contenuto e alla sua forma, e al modus procedendi per la sua ammissione o reiezione.
Andando ad esaminare in concreto l’autore del libello, primo criterio tra i suddetti citati, il can. 1501 non lascia dubbi sul fatto che la causa, oltre alla necessità del libello per poter avviare il processo, debba essere presentata da chi ne ha interesse o dallo stesso promotore di giustizia. È interessante notare che il canone in questione precisa il divieto rivolto al giudice con l’espressione “iudex nullam causam cognoscere potest”[23]; il giudice non potrà mai conoscere una causa se non interpellato, attraverso il cosiddetto elemento postulatorio, ed in questo si rinviene quello che è considerato il “principio dispositivo” secondo cui nemo iudex sine actore, con ciò il potere dell’organo giudiziale è sempre subordinato al potere di chi intenta l’azione; al contrario, una sentenza compiuta senza la domanda di parte sarebbe viziata di nullità insanabile. Tale principio dispositivo è esteso sino alla sentenza in quanto, secondo il disposto dei cann. 1611-1612[24], la stessa dovrà essere conforme all’oggetto del libello, vietando in questo modo l’arbitrio del giudice di giudicare fuori dai termini previsti nel libello.
Il secondo criterio da prendere in esame per valutare la legittimità del libello nella sua redazione è determinato dal suo contenuto e dalla sua forma. Un elemento imprescindibile per la buona riuscita nella redazione del libello, dal punto di vista qualitativo, è rappresentato dalla sua brevità (scrivendo solo ciò che è necessario così da rendere il racconto fluido e omogeneo), dall’ordine (avendo fisse le regole da seguire per la sua redazione) e dalla sua chiarezza (affinché risultino chiari gli elementi richiesti). Il libello è presentato, in forma scritta, alla cancelleria del tribunale, indirizzato al Vescovo o al Vicario giudiziale dello stesso tribunale.[25] All’interno della parte anagrafica, bisognerà indicare le generalità processuali, ovvero il nome, cognome dell’attore e del convenuto e in ultima analisi i domicili.
La scelta del tribunale non è del tutto arbitraria per la parte attrice ma segnata da specifici titoli di competenza che debbono essere rispettati per evitare nullità sanabili o meno della sentenza pronunciata. Riguardo alla redazione del libello, il can. 1503 §3 dichiara che «Il giudice può ammettere la domanda orale, ogniqualvolta o l’attore sia impedito nel presentare il libello o la causa comporti una ricerca facile e sia di minor importanza»; in entrambi i casi il libello dovrà risultare per iscritto, a differenza di quanto presentato ed esposto in materia di PCT, con verbale formulato dal notaio, letto di conseguenza all’attore e da esso sottoscritto in modo da renderlo efficace.
Prima di procedere all’analisi dei contenuti presenti nel libello introduttivo è bene porre in luce alcuni limiti dell’ordinamento canonico riguardo alla parte anagrafica dello stesso che, comparandolo con l’atto di citazione secondo il processo civile poco sopra esposto, risulta essere ancorato al principio della sola et unica modalità “disinformatizzata”. Indice di ciò è dato dall’indicazione, oltre che dalle generalità delle parti, dagli stessi domicili. Si è avuto modo di analizzare, riguardo al PCT, l’istituto del “domicilio digitale” in cui viene disposto che le notificazioni così come le comunicazioni riferite agli atti siano inviate tramite indirizzo PEC risultante dall’Indice Nazionale; in questo modo grazie al domicilio digitale, anche per ciò che riguardano gli atti canonici, le comunicazioni potrebbero diventare più celeri ma soprattutto affidabili in quanto l’uso della PEC garantisce al soggetto l’invio del documento nella casella di posta del destinatario indipendentemente dalla sua lettura.
Riprendendo le fila del discorso circa il contenuto del libello introduttivo esso dovrà contenere, oltre agli elementi indispensabili per natura la cui mancanza potrebbero provocare il rigetto del libello, e quelli necessari per la sua ammissione con cui è possibile ovviare alla loro mancanza grazie all’emendamento, la facti species cioè l’esposizione dei fatti che hanno dato natura alla lite in questione; questa rappresenterà la parte narrativa del libello. A questa bisognerà collegare un elemento fondamentale che, in mancanza di esso, potrebbe portare al rigetto del libello stesso: il fumus boni iuris[26], cioè quella percezione di probabilità che è sostenuta da elementi in iure e in facto. In ultima istanza, secondo il can. 1504 n. 3, il libello dovrà essere sottoscritto «dall’attore o dal suo procuratore, apponendovi giorno, mese e anno, nonché il luogo ove l’attore o il procuratore abitano o dissero di risiedere per ricevere gli atti»; queste sono definite clausole protocollarie.
In relazione all’esame del libello, bisognerà distinguere, rispetto la sua eventuale ammissione o reiezione, tre questioni fondamentali quali: i presupposti processuali, i termini e la procedura e in ultimo i rimedi contro la reiezione dello stesso libello.
Quando il libello viene consegnato in cancelleria, la prima questione da affrontare è l’affidamento della causa al giudice monocratico o collegiale. Dopo aver affidato la causa, il giudice dovrà valutare la propria competenza per giudicare quella specifica causa e la capacità legittima di stare in giudizio dell’attore. Ulteriore questione da trattare è il termine e la procedura per l’ammissione. Tale atto deve essere compiuto tramite decreto giudiziale entro un mese dalla ricezione del libello presso la cancelleria[27]. In caso di reiezione è comunque sempre necessario un decreto formale contenente le motivazioni del rigetto stesso del libello; la mancanza di motivi può condurre alla nullità del decreto stesso.[28] Ultima questione riguarda i rimedi contro la reiezione del libello da presentare entro 10 giorni; l’attore, che si vede rigettato il libello, ha a disposizione due rimedi giuridici: l’emendamento con la correzione di alcuni elementi del libello e ripresentazione dello stesso[29]; il ricorso che sarà deciso expeditissime e sarà perciò stesso inappellabile[30]. Si ricordi che il giudice «ha l’obbligo di ammettere o respingere il libello»[31] e in caso di rifiuto incombe l’obbligo di motivarlo; in caso contrario ciò comporta la nullità dello stesso decreto. Ultima menzione merita l’analisi del can. 1506 nella quale si presenta la possibilità che il giudice, entro un mese dalla presentazione del libello, non emetta decreto di ammissione o di rigetto dello stesso. In questo caso la parte interessata può fare istanza affinché il giudice adempi al suo compito e se nonostante ciò il giudice faccia silenzio, dopo ulteriori dieci giorni dalla data dell’istanza, il libello si considererà ammesso.
2.2 La parte convenuta nel processo
In seguito all’analisi delle modalità e della normativa che soggiace riguardo alla costituzione dell’attore nell’ordinamento canonico e nell’ordinamento civile con le dovute applicazioni riferite al PCT, si rende necessaria la disamina del secondo protagonista in ambito processuale: il convenuto.
Nell’ordinamento civile il convenuto è colui contro il quale l’attore fa valere la domanda giudiziale e che viene chiamato a esercitare il suo diritto di difesa davanti al giudice; per fare ciò il convenuto presenterà, in seguito alla conoscenza delle pretese attoree, l’atto contrapposto alla domanda introduttiva dello stesso attore. Allo stesso modo la dottrina canonistica indica il soggetto convenuto come la persona contro la quale si chiede l’intervento dell’organo giudiziale per applicare la legge a supporto del suo diritto di difesa.[32]
Se nulla cambia dal punto di vista normativo e dottrinale circa la definizione della parte convenuta nel processo civile e canonico, si noteranno e analizzeranno i diversi risvolti che in ambito civilistico si sono resi possibili grazie all’intervento della normativa sul processo civile telematico. Anche in questo caso, come già specificato riguardo alla parte attrice, si prenderanno in esame modalità e funzioni che non sono reperibili da fonti normative ma che grazie a disposizioni extra codicem sono risultati efficaci per il consueto binomio cartaceo/telematico che fa da sfondo all’intero lavoro di ricerca.
2.2.1 La costituzione del convenuto nel PCT
Il primo momento nella celebrazione del processo ordinario di cognizione all’interno dell’iter procedimentale è l’atto di citazione[33], atto mediante il quale «la domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa»[34]. L’atto di citazione[35] è lo strumento di cui la parte dispone per agire in giudizio e con la quale chiede al giudice di pronunciarsi sulle proprie pretese, consentendo che l’altra parte, il convenuto, possa difendersi nel rispetto del principio del contraddittorio[36].
Tale strumento si rivolge a due distinti soggetti, il convenuto e il giudice, con il quale si instaura un rapporto processuale[37] diverso e con due scopi nettamente differenti: rispetto alla figura del giudice, si formalizzerà la proposta della parte attrice che andrà a definire l’oggetto del processo descritto nell’atto, la cosiddetta editio actionis[38]; mentre riguardo al convenuto si andrà ad analizzare e quindi conoscere l’oggetto della controversia, la cosiddetta vacatio in ius[39], consentendo, in questo modo, che il rapporto processuale continui secondo il principio del contraddittorio.
La parte deve rendere nota e palese la propria legittimazione con l’atto di citazione e, specularmente, con l’atto di costituzione i quali, cristallizzando la posizione processuale, costituiscono l’unica fonte sulla quale la controparte deve fare affidamento e in relazione alla quale calibra le proprie difese; sicché, ove sorga ragione per interpretare una pluralità di ruoli, è in detti atti che la parte deve indicare quale dei ruoli intende spendere, non potendosi integrare tali indicazioni attraverso il ricorso ad elementi estrinseci, quali la nota d’iscrizione a ruolo o la procura.[40]
Secondo quanto disposto all’art. 166 c.p.c. la costituzione del convenuto, per mezzo del procuratore o personalmente, deve avvenire «almeno entro settanta giorni dell’udienza di comparizione» secondo quanto stabilito dal d. lgs. n. 149/2022; mentre la parte che non si costituisce entro il termine fissato dall’articolo appena menzionato viene dichiarata contumace con ordinanza del giudice istruttore. Riguardo a quanto normato dall’art. 16 bis del d.l. n. 79/2012 ai commi 1 e 1 bis, anche per il convenuto vale la regola per cui la propria costituzione potrà avvenire secondo quanto la tradizione indica e cioè «depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all’articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione», o anche telematicamente.
In quest’ultima ipotesi, in cui decida di costituirsi telematicamente, il convenuto dovrà inserire all’interno della busta telematica: 1) la comparsa di risposta nativa digitale o copia informatica della comparsa analogica; 2) i documenti offerti in comunicazione; 3) la procura alle liti. In seguito alla creazione della busta telematica, la parte convenuta apporrà la propria firma digitale sull’Atto Principale, sulla procura alle liti e sul file DatiAtto.xml e in ultima istanza invia la stessa busta a mezzo PEC al tribunale presso cui si è costituito[41].
Tali formalità debbono essere osservate anche nel caso in cui vi sia un terzo ad intervenire volontariamente all’interno della causa. Alla risposta del convenuto, depositata tempestivamente entro i venti giorni previ l’udienza, sono collegati i presunti impedimenti e decadenze secondo quanto normato agli artt. 38[42] (incompetenza per materia) e 167 c.p.c.[43] (eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito) e, riguardo alla volontà di chiamare un terzo in causa, all’art. 269 c.p.c.[44].
L’appena citato art. 269 c.p.c. prevede per il convenuto che intende chiamare terzi in causa la loro menzione all’interno della stessa comparsa di risposta; gli elementi che dovranno essere inclusi nella presente trattazione riguarderanno: la forma del decreto; le modalità della sua comunicazione; ed infine la modalità di citazione del terzo.
1) La forma del decreto. Riguardo all’emissione di provvedimenti, il giudice non è obbligato ad adottare la forma digitale né di trasmettere telematicamente il fascicolo informatico; egli potrà scegliere se redigere il verbale di causa in formato digitale o su supporto cartaceo. Nel caso in cui si optasse per l’ultima ipotesi citata, l’art. 15, co. 4 del d.m. n. 44/2011[45] prevede per il cancelliere il potere di estrazione di copia informatica dello stesso provvedimento del giudice e di inserirlo successivamente nell’apposito fascicolo informatico dopo averlo autografato con firma digitale, mentre nel caso in cui il giudice optasse per la redazione in formato digitale, si vedrà come esso avrà a disposizione una consolle in cui poter accedere telematicamente a tutti i dati del processo.
2) Le modalità della sua comunicazione. Le successive comunicazioni del decreto alle parti in giudizio dovranno avvenire per via telematica in quanto la normativa, all’art. 16, co. 4 del d.l. n. 179/2012, prevede che
Nei procedimenti civili [...] le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni.
A tale regola fanno eccezione le comunicazioni in cui non sia possibile procedere telematicamente per cause non imputabili al destinatario e quelle in cui la parte non abbia eletto il domicilio digitale presso un indirizzo PEC; in questi casi la cancelleria provvederà ad inviare le comunicazioni secondo le consuete modalità tradizionali.[46] È interessante notare come all’interno di questa procedura, così come in molte altre nel PCT, si faccia menzione della eventuale possibilità per la via cartacea per ciò che riguarda la comunicazione. In questo è possibile ravvisare un grande beneficio per l’intero impianto processualistico in quanto vengono garantite le modalità in egual misura, preferendo la via telematica ma non accantonando la via cartacea. Se si dovesse ragionare con le peculiarità proprie del diritto comparato si potrebbe addivenire ad una possibile soluzione anche in ambito canonistico e cioè quella di non demonizzare “a priori” la via telematica preferendo la modalità cartacea ma al contrario favorendo un approccio dinamico in cui le due esperienze possano convivere o meglio risultare funzionali per il buon andamento delle fasi processuali.
3) La modalità di citazione del terzo.[47] La citazione del terzo viene effettuata dal convenuto nella udienza fissata dal giudice. L’atto di citazione potrà essere effettuato su supporto cartaceo e così notificato secondo le modalità tradizionali; redatto come atto nativo digitale ed essere notificato telematicamente; effettuato su supporto cartaceo e notificato telematicamente o notificato ad alcuni convenuti per via telematica e ad altri in modalità cartacea. Una volta che il terzo abbia ricevuto la notificazione, se intende costituirsi, dovrà curare la sua chiamata nei termini previsti dagli artt. 166 e 167 c.p.c. e nelle modalità scelte dal terzo chiamato ad intervenire.
Riguardo all’osservanza dei termini di decadenza, in ultimo, è bene precisare quando il deposito telematico da parte del convenuto possa dirsi perfezionato[48]. Riprendendo il disposto dell’art. 16 bis, co. 7 del d.l. n. 179/2012, gli atti trasmessi in via telematica si intendono depositati nel momento in cui viene generata la RdAC (ricevuta di avvenuta consegna) da parte del gestore PEC del Ministero della giustizia, secondo cui
Il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza e si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile[49]. [...] Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza.
Le cancellerie provvederanno all’accettazione degli atti entro la giornata del deposito secondo l’ordine cronologico delle buste. Per gli atti pervenuti dopo le ore 12, l’accettazione sarà effettuata entro il termine della giornata se non si riscontrano incombenze d’ufficio; inoltre, se ne assicura comunque l’accettazione per il giorno successivo all’invio[50].
Per concludere, ai fini probatori, così come già enunciato nel capitolo precedente, è consigliato per l’avvocato conservare, a titolo di garanzia, le copie di tutte le comunicazioni avvenute tramite posta elettronica certificata, riguardanti lo stesso deposito effettuato.
2.2.2 L’atto di citazione e la risposta del convenuto nell’ordinamento canonico
Analizzato l’atto di citazione nel processo civile e i limiti delle modalità esposte all’interno dell’ordinamento canonico si prosegue la trattazione con l’analisi dell’atto di citazione e della risposta del convenuto nel processo canonico.
Se il libello è atto mediante il quale l’attore si rivolge all’organo giudiziale, ed è propriamente atto attoreo, la citazione è quell’atto processuale che vede come protagonista principale l’organo giudiziale e così lo «stabilirsi al completo del rapporto processuale mediante la chiamata del convenuto»[51] e il suo diritto a contraddire le pretese dell’attore; per cui la citazione in dottrina viene intesa come
l’atto giudiziale mediante il quale il convenuto, a richiesta dell’attore e per autorità del giudice stesso, viene chiamato per la prima volta in giudizio, affinché, dopo averlo notificato legittimamente, si renda presente nel processo.[52]
Questo atto, che vede il giudice quale soggetto attivo, deve essere inteso come atto di giurisdizione. Ciò significa che a tale potestà sorge una situazione passiva che consiste nell’obbligo di rispondere; per questo motivo la citazione, circoscritta nell’ambito di competenza del giudice, consiste nell’emanazione del decreto di citazione e nell’esecuzione del decreto stesso mediante la notificazione al convenuto. Scopo della citazione è principalmente la chiamata della parte convenuta ad intervenire nel processo garantendo così il suo diritto di difesa di fronte alle pretese dell’attore.
Secondo il can. 1507 §1, la citazione viene fatta al momento dell’ammissione del libello; l’atto dovrà avvenire entro il termine di un mese dalla presentazione del libello e ciò pone in evidenza come il giudice unico o collegio giudicante abbia già esaminato la propria competenza e valutato il libello per la sua eventuale ammissione. Le ipotesi previste dalla normativa vigente riguardo il momento della citazione risultano essere tre: 1) ordinare alla parte convenuta di presentare per iscritto le proprie osservazioni sul petitum;[53] 2) ordinare alla parte convenuta di comparire dinanzi al giudice per concordare i dubbi eventualmente insieme all’altra parte; 3) l’eventualità di ammissione ipso iure del libello.
A differenza degli elementi sostanziali e funzionali presenti nel libello, la citazione, quale decreto, dovrà contenere la editio actionis cioè comprendere il petitum e la causa petendi presenti all’interno del libello. Il contenuto della citazione dovrà schematicamente far conoscere e presentare al destinatario dello stesso la richiesta dell’attore; perciò, tale atto non potrà prescindere dagli elementi essenziali dell’editio actionis.[54] Ulteriore momento essenziale dell’atto di citazione è la notificazione del decreto del giudice al soggetto interessato dello stesso. Si tratterà dell’esecuzione del decreto di citazione che potrà avvenire in diversi modi: la prima modalità di esecuzione è la tradizionale consegna a mano tramite l’ufficiale del tribunale, il cursore; una diversa modalità interviene nel caso in cui non si conosca il domicilio del convenuto e si procede, per tale ragione, tramite editto da affiggere nella bacheca del tribunale stesso.[55] Avvenuta la legittima notifica della citazione si ha l’inizio dell’istanza giudiziale come normato dal can. 1517.
Tali modalità, facente parte di una dottrina ben ancorata alla tradizione, esulano dalle possibilità fin qui esposte a proposito della telematicità degli atti per cui non sembrano sussistere delle modalità in qualche modo che possano essere associate a quelle già menzionate nel PCT. Certamente, così come accade nello stesso processo telematico, resta in vigore la tradizionale consegna in cancelleria dell’atto, mentre cade nel dimenticatoio la possibilità di comunicazione dell’atto di citazione tramite l’invio di posta elettronica certificata al destinatario che abbia eventualmente eletto il proprio domicilio digitale anche presso un terzo titolare di PEC.
Inoltre, si dovrà considerare che l’avvenuta elezione di domicilio presso un terzo può determinare la validità della «trasmissione a mezzo PEC effettuata tanto al domicilio fisico del terzo quanto all’indirizzo PEC di quest’ultimo»[56].
In seguito all’analisi dell’atto di citazione, ultimo soggetto del rapporto processuale è il convenuto al quale spetta rispondere al decreto di citazione dell’organo giudiziale e all’invito della parte attorea di presentarsi in processo per ascoltare le pretese della stessa. Ancor prima di addentrarci negli istituti giuridici che integrano la risposta dello stesso soggetto nonché sull’analisi normativa, è doveroso specificare cosa si intenda per risposta del convenuto e cioè «la manifestazione di volontà formale del convenuto fatta pervenire al giudice per contestare la pretesa dell’attore, come requisito previo alla definizione dei termini della controversia»[57].
Per poter individuare gli istituti giuridici connessi alla risposta del convenuto è necessario ricordare le stesse ipotesi di risposta che risultano essere: la chiamata a rispondere per iscritto; la chiamata a comparire dinanzi al giudice; la convocazione di entrambe le parti. In tutti questi casi, la volontà del convenuto di presentarsi in giudizio dovrà compiersi con alcuni elementi essenziali desunti dal dettato normativo e dalla stessa dottrina. Se la risposta del convenuto è l’atto di manifestazione formale della propria volontà rispetto alla petizione attorea, è interessante sottolineare cosa si intenda per petizione dell’attore, in cosa consista il ruolo del giudice quale destinatario della risposta del convenuto e quali siano le diverse ipotesi di risposta dello stesso.
Il convenuto, citato per rispondere alla petizione attorea manifestata all’interno del libello inviato insieme al decreto di citazione, dovrà conoscere gli elementi essenziali dell’editio actionis. Riguardo alla petizione attorea, il can. 1513 §2 indica che
Le richieste e le risposte delle parti, oltre che nel libello introduttorio della lite, possono essere espresse o nella risposta alla citazione o in dichiarazioni fatte a voce avanti al giudice; ma nelle cause più difficili le parti devono essere convocate dal giudice per concordare il dubbio o i dubbi, a cui si dovrà rispondere nella sentenza.
Con ciò viene a concretizzarsi il ruolo del giudice in quanto da esso dipenderà «la comprensione della posizione processuale del convenuto»[58].
Dinanzi alla petizione dell’attore, il convenuto dovrà rispondere e lo potrà fare in diversi modi che saranno valutati dal giudice prima di emettere il suo decreto; le ipotesi di risposta previste dalla normativa possono essere: 1) Coincidenza con le pretese attoree. Si è dinanzi al caso di contestazione affermativa. Tale modalità non prevede opposizione da parte del convenuto ma rinuncia dello stesso ad essere assistito e alla possibile difesa. In caso di coincidenza globale, il convenuto aderisce in tutto alla pretesa dell’attore. 2) Opposizione. Le ipotesi di opposizione possono riguardare diversi gradi di contraddizione rispetto alla petizione dell’attore. In questo caso il giudice, oltre ad interpretare i fatti manifestati dalla parte convenuta, procederà con la richiesta al convenuto di essere affiancato da un patrono. Le principali ipotesi di opposizione riguardano: le eccezioni dilatorie[59], in cui il convenuto si limiterà ad affermare fatti con la precisa intenzione di differire la conclusione della controversia; le eccezioni perentorie, che estinguono il diritto preteso dall’attore in conseguenza a quanto affermato dallo stesso convenuto sull’esistenza stessa di fatti; la negazione ha luogo nel momento in cui il convenuto risponde con una propria contestazione giuridica alle pretese dell’attore; ed infine l’azione riconvenzionale[60] in cui il convenuto non soltanto nega le pretese dell’attore ma presenta una domanda contro di lui. 3) Inattività. Tale ipotesi si presenta in assenza del convenuto. In questo caso il giudice potrà dichiarare assente la parte e procedere ugualmente nel processo. Infine, 4) La remissione alla giustizia del tribunale. In quest’ultimo caso il convenuto potrà dichiarare di sottomettersi alla giustizia del tribunale a cui è affidata la causa.
2.3 I rischi e i benefici derivanti dalla costituzione delle parti per via analogica e per via telematica
Dopo aver illustrato le modalità di costituzione della parte attrice e della parte convenuta nel processo civile telematico e nel processo canonico si rende plausibile una comparazione tra la costituzione per così dire “tradizionale” e la costituzione digitale o telematica. Nel processo civile ci si è resi conto come l’atto di costituzione, dal punto di vita normativo, resta la consueta consegna in cancelleria del fascicolo di parte con alia documenta che si vuole far conoscere per l’oggetto della causa, ex art. 165 c.p.c.; medesima conseguenza la si ottiene nel processo canonico con la consegna del libello con cui la parte attrice afferma l’esistenza di una volontà che gli garantisce un bene.[61]
Una maggiore difficoltà si riscontra, come illustrato largamente a proposito del processo civile, nella possibilità per la parte di scegliere la modalità più congeniale per porre in essere la citazione; in questo caso la dottrina non potrà esimersi nell’avere uno sguardo d’insieme per entrambe le modalità in quanto lo stesso articolo 16 bis, co. 1 del d.l. n. 179/2012 oltre ad asserire l’obbligatorietà del deposito telematico per gli atti endoprocessuali, stabilisce la sempre ammissione del deposito telematico per tutti gli altri atti. In conseguenza a quanto detto ne risulta che il deposito telematico è ammesso se l’atto di citazione è avvenuto in forma nativa analogica, sia se questo è stato notificato a mezzo PEC, sia se la notifica è avvenuta in via cartacea.
Un possibile rischio, dato dal duplice modo con cui la parte può depositare il proprio atto di citazione, è reso dalle molteplici forme di interpretazioni che dilagano extra codicem sul punto non avendo una normativa ad hoc che regola massimamente il deposito di tutti gli altri atti, diversi dagli atti endoprocessuali, in modalità telematica e/o cartacea. Da ciò deriverebbero diverse interpretazioni che porterebbero ad un maggior impiego di forze cognitive e di tempo che porterebbero a dilatare la fase iniziale dello stesso processo.
Di contro, un beneficio risultante dall’utilizzo del doppio binario informatico/cartaceo porterebbe, ad entrambi gli ordinamenti, un riallineamento sociale e culturale che vede, nel progresso tecnologico, la sua maggiore rappresentazione.
In ultima istanza è bene ribadire e sottolineare come, all’interno dell’ordinamento canonico, la dottrina processuale e da sfondo la normativa stessa tendono ad appoggiare la tesi secondo cui la consegna “a mano” dell’atto, che sia di costituzione o di risposta alla stessa, risulti essere più congeniale senza favorire, in nessun caso, un’equilibrata apertura verso le ormai ovvie modalità telematiche che porterebbero a sostenere, non soltanto celerità all’interno di una burocrazia ormai lenta e antiquata, ma anche affidabilità e indice di sicurezza.
Alla luce di quanto esposto, è opportuno proporre una sistematizzazione dei principali costi e benefici connessi alla costituzione delle parti per via analogica e telematica, al fine di chiarire l’impatto concreto delle diverse modalità sull’accesso alla giustizia e sullo svolgimento del contraddittorio.
Un’analisi approfondita dei profili comparati della costituzione delle parti in forma analogica e telematica impone una valutazione dei rispettivi costi e benefici, tanto sul piano giuridico quanto su quello organizzativo e sistemico.
Sul versante dei benefici legati alla costituzione telematica, occorre anzitutto richiamare l’incremento di efficienza e tempestività che essa comporta. Il deposito digitale degli atti consente una gestione più rapida dei fascicoli processuali, riduce i tempi di trattazione e limita la necessità di accesso fisico agli uffici giudiziari. Questo aspetto si traduce in un vantaggio tangibile in termini di razionalizzazione delle risorse, con un abbattimento dei costi operativi (ad esempio: stampa, materiali, logistica, tempi di attesa). Il sistema del Processo Civile Telematico, in tal senso, ha mostrato una sensibile riduzione dei tempi medi di trasmissione degli atti introduttivi, come rilevato anche da recenti analisi ministeriali.
Non meno rilevante è il tema della tracciabilità: l’infrastruttura telematica consente un controllo preciso sull’avvenuto deposito, attraverso ricevute di avvenuta consegna (RdAC) e notifiche PEC, garantendo così un livello elevato di sicurezza e certezza giuridica, elemento fondamentale per la corretta instaurazione del contraddittorio.
Tuttavia, non si può trascurare che l’accesso alla giustizia nella sua dimensione effettiva, così come normato nell’art. 24 della Costituzione e all’art. 6 CEDU, può risultare parzialmente compromesso da alcune criticità proprie della digitalizzazione. In particolare, la disomogenea alfabetizzazione digitale, nonché la complessità tecnica di alcuni adempimenti (firma digitale, generazione della busta telematica, gestione degli errori di sistema), pongono un serio rischio di esclusione per gli operatori meno dotati o per le parti non assistite da difensore.
In tale prospettiva, la forma analogica della costituzione, pur più onerosa in termini di tempo e risorse, conserva una maggiore accessibilità pratica e una semplicità operativa che risulta preferibile in contesti di minor alfabetizzazione informatica. Inoltre, essa garantisce, in modo più immediato, il controllo diretto da parte dell’ufficio ricevente, riducendo il rischio di errori tecnici nella trasmissione e ricezione degli atti.
Un ulteriore profilo critico, ben noto alla prassi, è legato al difetto di uniformità normativa. Il quadro giuridico vigente non disciplina in modo sistematico e unitario tutte le casistiche di deposito degli atti introduttivi, lasciando spazio a divergenze interpretative e applicative tra uffici giudiziari. Ciò può tradursi in una incertezza procedurale per le parti e in un aggravio di lavoro per i giudici, che devono sanare, in sede di prima udienza, irregolarità o omissioni connesse alla costituzione.
In conclusione, è possibile schematizzare il bilancio costi/benefici nei seguenti termini:
- Costituzione telematica:
- Benefici: efficienza temporale ed economica; tracciabilità degli atti; sostenibilità ambientale.
- Costi: barriere tecnologiche e cognitive; complessità tecnica; rischio di esclusione di soggetti fragili; incertezza normativa residua.
- Costituzione analogica:
- Benefici: accessibilità universale; familiarità per tutti gli operatori; minore esposizione a criticità tecniche.
- Costi: tempi più lunghi; costi materiali e organizzativi; minor sostenibilità.
Tali considerazioni, sebbene radicate nel contesto del processo civile, offrono spunti utili anche per una riflessione evolutiva in ambito canonico. In un’ottica comparatistica, l’introduzione regolamentata di strumenti digitali nel processo canonico, con garanzie adeguate di accesso e supporto, potrebbe contribuire a superare l’attuale rigidità cartacea, promuovendo al contempo celerità, trasparenza e tutela effettiva dei diritti delle parti.
3. La mancata o tardiva costituzione delle parti
3.1 L’art. 171 c.p.c. e i successivi regolamenti in materia
Nei paragrafi precedenti si è cercato di delineare il modus procedendi et operandi riguardo alla naturale costituzione delle parti e alla loro conseguente comparsa, all’interno del processo, secondo quanto stabilito negli artt. 165 e 166 c.p.c. rispettivamente per la parte attrice e la parte convenuta. Inoltre, si è tentato di configurare le diverse modalità di applicazione dello stesso processo secondo il consueto binomio telematico/cartaceo mettendo in evidenza le peculiarità di ciascuno.
Il codice di procedura civile, ovvero l’art. 171, prende altresì in esame e disciplina le diverse ipotesi di mancata costituzione delle parti nei termini stabiliti dallo stesso articolato e l’ipotesi in cui vi sia costituzione tempestiva di una parte e tardiva dell’altra aprendo in questo modo scenari interpretativi differenti.[62]
3.1.1 La mancata costituzione di tutte le parti
Andando ad analizzare l’ipotesi in cui vi sia mancata costituzione di tutte le parti, nei termini stabiliti, entro la prima udienza, l’art. 171 c.p.c.[63], al primo comma, stabilisce per il processo una fase di quiescenza come normato all’art. 307, primo e secondo comma, secondo cui
Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti si sia costituita entro il termine stabilito dall’articolo 166, ovvero, se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinata la cancellazione della causa dal ruolo, il processo, salvo il disposto dell’articolo 181 e dell’articolo 290, deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di tre mesi che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell’articolo 166, o dalla data del provvedimento di cancellazione; altrimenti il processo si estingue.
Il processo, una volta riassunto a norma del precedente comma, si estingue se nessuna delle parti si sia costituita, ovvero se nei casi previsti dalla legge il giudice ordini la cancellazione della causa dal ruolo.
L’articolo summenzionato stabilisce la possibilità di riassunzione della causa entro il termine perentorio di tre mesi che decorrono dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto che decorso inutilmente, causerà l’estinzione e la conseguente cancellazione della causa dal ruolo.
L’atto di riassunzione andrà notificato alle stesse parti nelle modalità già precisate nelle pagine precedenti, ossia nelle forme “tradizionali” o per via telematica.
Riguardo al successivo deposito varranno le stesse disposizioni già pronunciate in sede di costituzione dell’attore per cui la prova della notificazione potrà essere fornita in via cartacea soltanto nel caso in cui non sia possibile produrla per via telematica.
Altra disposizione rinvenibile nel secondo comma del già citato art. 171 c.p.c. riguarda l’ipotesi in cui una delle parti si sia costituita tempestivamente, secondo quanto disposto dai termini normativi, mentre l’altra parte si sia costituita tardivamente, ovvero fino alla prima udienza. Tale ipotesi non andrebbe ad inficiare il procedimento in quanto il legislatore, ponendo il quesito, determina per la parte che si costituisce tardivamente il termine ultimo fissato fino al giorno dell’udienza cosicché il processo possa proseguire normalmente fino alla decisione di merito. La disposizione si limita solo a precisare che «se è il convenuto a costituirsi oltre il termine di venti giorni prima dell’udienza, egli in ogni caso incappa nelle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c.[64], come pure nella decadenza dalla chiamata di terzi»[65], nonché nella decadenza dal poter eccepire l’incompetenza secondo quanto disposto dall’art. 38 c.p.c.[66]; nel caso in cui la parte, attore o convenuto, non si costituisce neanche nel termine fissato per la prima udienza, essa viene dichiarata contumace[67].
La normativa appena menzionata rispetto alla costituzione della parte nel termine previsto di venti giorni prima dell’udienza a pena di decadenza, nonostante mantenga il suo valore normativo è stata modificata con la cosiddetta riforma “Cartabia” in cui, all’art. 171, si esplicita che «se una delle parti si è costituita entro il termine rispettivamente a lei assegnato, l’altra parte può costituirsi successivamente fino alla prima udienza, ma restano ferme per il convenuto le decadenze di cui all’articolo 167».
Dopo quanto precisato risulta interessante specificare e così approfondire le modalità riguardanti le forme di costituzione, che siano tempestive o tardive: per la parte convenuta essa potrà avvenire sia in via tradizionale, con il deposito del fascicolo di parte in cancelleria, sia per via telematica; per ciò che riguarda la parte attrice si dovrà seguire quanto normato all’art. 9, commi 1 bis e 1 ter della l. n. 53/1994, secondo cui «se l’atto di citazione è stato notificato a mezzo PEC dal difensore ai sensi dell’art. 3 bis della medesima legge»[68]. Nei riguardi della cosiddetta costituzione tardiva “tradizionale” non vengono posti dei limiti in quanto il giorno fissato per l’udienza essa può essere effettuata dinanzi al giudice con la consegna materiale del fascicolo di parte, contenente l’atto di citazione, nel caso in cui si parli di parte attrice, o la comparsa di risposta, se diversamente si tratterà della parte convenuta, oltre agli alia documenta che vengono offerti in comunicazione. Risulta problematica, al contrario, la costituzione telematica nel giorno fissato per l’udienza soprattutto per ciò che riguarda il perfezionamento, così come annunciato anzitempo, del deposito telematico che, ricordiamo, non avviene automaticamente ma nel momento in cui viene generata la RdAC di parte del gestore PEC del Ministero della giustizia, in quanto non risulta sufficiente la sola trasmissione a mezzo PEC della busta telematica.[69] Ciò implica che la parte costituita tardivamente nel giorno fissato per l’udienza, secondo le modalità telematiche, non possa avere certezza che tale deposito sia disponibile nell’immediato; un’ipotesi potrà essere quella di proseguire, oltre al deposito telematico, con la consegna “tradizionale” dei documenti previsti per la costituzione o per la comparsa di risposta e di rendere edotto il giudice che si è provveduti anche al deposito telematico della stessa.
3.1.2 Tardiva costituzione di tutte le parti
Dopo aver illustrato per sommi capi le ipotesi, previste dagli articoli del codice di procedura civile, di mancata costituzione di tutte le parti e costituzione tempestiva di una parte e tardiva dell’altra, in questo paragrafo si cercherà di delineare, brevemente, le diverse ipotesi secondo cui tutte le parti compaiono tardivamente o in momenti e tempi distinti; per cui una parte perfeziona la sua costituzione tardivamente mentre l’altra manca del tutto alla sua stessa costituzione nel giorno fissato per l’udienza.[70]
Nell’ipotesi in cui nessuna delle parti si costituisca entro i termini fissati nel giorno dell’udienza e che tale adempimento avvenga tardivamente e in un secondo momento, si seguiranno le possibilità già ampiamente illustrate nei paragrafi precedenti riguardo alla costituzione dell’attore e/o del convenuto, a seconda che si tratti di modalità cartacea o telematica.[71]
Nonostante le considerazioni appena compiute risultino adeguate rispetto ai profili che entrambe le parti acquisiscono in tema di comparizione, parte della dottrina e parte della giurisprudenza riscontrano opposizioni sulle possibili conseguenze in merito a tale incombenza.
La giurisprudenza si vede contrapposta in due diversi filoni secondo cui, per il primo, il processo potrebbe proseguire soltanto nel momento in cui sussista la volontà di tutte le parti, compreso il convenuto; in caso contrario il giudice dovrà disporre la cancellazione della causa dal ruolo. Il secondo filone segue la linea secondo cui le parti, nonostante non abbiano perfezionato la loro costituzione nei termini previsti e avendolo fatto tardivamente, il giudice, in virtù della stessa costituzione, non potrà disporre la cancellazione della causa dal ruolo.[72]
Nel caso in cui si proceda secondo quanto esposto dal primo filone giurisprudenziale, alla cancellazione della causa dal ruolo si andrà ad applicare l’art. 307, co. 1 c.p.c. secondo cui
Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti si sia costituita entro il termine stabilito dall’art. 166, ovvero, se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinata la cancellazione della causa dal ruolo, il processo, salvo il disposto dell’art. 181 e dell’art. 290, deve essere riassunto davanti allo stesso giudice nel termine perentorio di tre mesi, che decorre rispettivamente dalla scadenza del termine per la costituzione del convenuto a norma dell’art. 166, o dalla data del provvedimento di cancellazione; altrimenti il processo si estingue.
Oltre agli articoli citati riguardo la riassunzione della causa, si precisa che ai sensi dell’art. 125, disp. att. c.p.c., la stessa riassunzione dovrà contenere:
1) l’indicazione del giudice davanti al quale si deve comparire;
2) il nome delle parti e dei loro difensori con procura;
3) il richiamo dell’atto introduttivo del giudizio;
4) l’indicazione dell’udienza in cui le parti debbono comparire, osservati i termini stabiliti dall’articolo 163-bis del Codice;
5) l’invito a costituirsi nei termini stabiliti dall’articolo 166 del Codice;
6) l’indicazione del provvedimento del giudice in base al quale è fatta la riassunzione, e, nel caso dell’art. 307 primo comma del Codice, l’indicazione della data della notificazione della citazione non seguita dalla costituzione delle parti, ovvero del provvedimento che ha ordinato la cancellazione della causa dal ruolo.
Se, prima della riassunzione, il giudice istruttore abbia tenuto l’udienza di prima comparizione, e la causa debba essere riassunta davanti allo stesso giudice, le parti debbono essere citate a comparire in una udienza d’istruzione. [...].
La comparsa è notificata a norma dell’art. 170 del Codice, ed alle parti non costituite deve essere notificata personalmente.
L’atto di riassunzione[73], secondo quanto indicato dall’art. 125 delle disposizioni attuative del Codice di procedura civile summenzionato, dovrà essere in ogni caso depositato telematicamente secondo quanto disposto dall’art. 16 bis, co. 1 del d.l. n. 179/2012.
In ultimo è bene chiarire l’eventualità secondo cui vi sia costituzione tardiva di una parte e mancata costituzione dell’altra; in questo specifico caso, il giudice ordinerà la cancellazione della causa dal ruolo con la conseguente quiescenza del processo e la possibilità di riassunzione secondo i termini già pronunciati precedentemente all’interno delle stesse disposizioni attuative, a pena di estinzione.
3.2 Gli effetti processuali della mancata o tardiva costituzione delle parti ex cann. 1592-1595
In seguito alla disamina dei risvolti dottrinali e normativi riguardo il processo civile e il modus procedendi dopo l’avvento del PCT risulta indispensabile esaminare gli effetti processuali della mancata o tardiva costituzione delle parti nell’ordinamento canonico.
All’interno del Codice di Diritto Canonico, precisamente nella parte riferita ai “Processi”, vengono a configurarsi le cosiddette cause incidentali[74], rispettivamente ai cann. 1587-1597. Il primo canone del gruppo appena citato illustra la consistenza e la portata di tali cause incidentali, per cui
Ogni qualvolta, cominciato il giudizio con la citazione, viene proposta una questione, la quale, benché non contenuta espressamente nel libello introduttorio della lite, risulta tuttavia così pertinente alla causa da dover essere per lo più risolta prima della questione principale.
Il canone appena illustrato, riguardo le cause incidentali, diviene terreno fertile su cui innestare il successivo percorso, in quanto nei cann. 1592-1595 vengono esaminate le ipotesi di mancata comparizione delle parti nel processo che, all’interno dell’ordinamento canonico, vengono considerate quale rinuncia al diritto di difesa o di prosecuzione dell’istanza.[75]
3.2.1 L’assenza del convenuto
Il primo soggetto che si andrà ad analizzare è il convenuto, soggetto contro il quale l’attore fa valere la domanda giudiziale e che viene chiamato ad esercitare il suo diritto di difesa dinanzi al giudice.
Per dichiarare, in questa eventualità, la sua assenza, il giudice dopo aver verificato che la sua citazione sia avvenuta legittimamente, dovrà emanare un decreto giudiziale in cui dichiari per l’appunto la sua assenza personalmente o tramite suo procuratore e che non abbia in nessun caso provveduto a rispondere per iscritto.[76] È bene evidenziare quanto la forma scritta, anche in questo momento del processo, divenga condicio sine qua non per la sua eventuale costituzione senza nemmeno pronunciarsi sulla remota possibilità che ciò avvenga in modalità telematica così come previsto nel PCT in cui entrambe le modalità, cartacea e/o telematica, possano rendere possibile ed effettiva la costituzione della parte. Allo stesso modo sarà legittimamente dichiarato assente il convenuto che, in seguito alla sua prima comparizione nel processo, non abbia curato la sua successiva comparizione. A tal proposito è bene ribadire che il giudice dovrà esaminare con certezza che la citazione sia stata legittimamente intimata e non ad esso impedita, al contrario dovrà provvedere ad una nuova citazione.[77]
L’effetto principale che ne deriva dall’assenza del convenuto è principalmente quella di esonerare il tribunale dalle comunicazioni relative al processo stesso eccetto la sentenza che le sarà notificata secondo quanto normato dal can. 1592 §1[78] e dall’istruzione DC art. 134 §3[79]. Si ricordi che tale effetto è ben distinto dalla posizione processuale in cui il convenuto si rimette alla giustizia del tribunale che lo stesso può decidere di attuare, in quanto soltanto in quest’ultimo caso andranno notificate non soltanto la sentenza ma anche tutti gli altri atti processuali.[80]
3.2.2 L’assenza dell’attore
In seguito alla disamina delle modalità che soggiacciono all’assenza del convenuto risulta doveroso richiamare il modus procedendi che in concreto riguarda la parte attrice. In riferimento alla normativa codicistica, il can. 1594 si riferisce al momento in cui «l’attore non comparve nel giorno ed ora fissati per la contestazione della lite né addusse idonea scusa». Nel caso appena citato sarà compito del giudice citare la parte per una seconda volta e con il successivo silenzio si presume abbia rinunciato all’istanza, secondo quanto stabilito dai cann. 1524-1525; la rinuncia «è una manifestazione di volontà espressa che ha per oggetto porre fine al processo dichiarando di non voler proseguire l’istanza, e che solo l’attore può compiere»[81]; tale rinuncia dovrà essere presentata per iscritto e firmata dalla parte attrice. Anche in questo caso non si fa menzione e non si prende in considerazione la possibilità per la parte, personalmente o tramite procuratore, di trasmettere tale rinuncia a mezzo PEC secondo le consuete modalità previste per i medesimi atti all’interno del PCT.
La rinuncia dovrà essere accettata o perlomeno non impugnata dalla parte convenuta in quanto nel caso non l’accetti, il processo seguirà le diverse fasi previste dalla normativa, mentre, se il convenuto accetta la rinuncia, caso assai probabile, il processo termina secondo quanto disposto al can. 1595. In ultima istanza gli effetti che l’assenza della parte attrice producono coincidono in parte con quelli relativi alla parte convenuta: gli sarà notificata soltanto la sentenza esclusi tutti gli altri atti e gli si imporrà il pagamento delle spese processuali che la stessa impose con l’instaurazione del processo stesso nel caso in cui non abbia dimostrato di avere un giusto impedimento.
3.2.3 Costituzione tardiva delle parti
L’ultima ipotesi che si configura nel macro argomento delle cause incidentali, sopra richiamate, è quella in cui le parti vengono a costituirsi tardivamente. Si fa riferimento, per l’esame in oggetto, al can. 1593 in cui si stabilisce che le parti costituite tardivamente possano entrare nel processo in qualunque fase esso si trovi adducendo prove e conclusioni purché il giudice eviti che tale comparizione non possa in nessun caso provocare ulteriori ed inutili lungaggini.
Se la costituzione, invece, dovesse avvenire successivamente alla conclusio in causa[82], la possibilità prima esposta, di poter addurre prove e conclusioni, viene limitata secondo quanto disposto dal can. 1600:
§1 Dopo la conclusione in causa il giudice può convocare ancora gli stessi o altri testi, oppure ordinare altre prove che in precedenza non furono richieste, soltanto:
1° nelle cause in cui si tratta del solo bene privato delle parti, se tutte le parti vi consentano;
2° nelle altre cause, udite le parti e purché vi sia una ragione grave e venga rimosso qualsiasi pericolo di frode o di subordinazione;
3° in tutte le cause, ogni qualvolta è probabile che, se la nuova prova non sia ammessa, si avrà una sentenza ingiusta per le ragioni di cui nel can. 1645, §2, nn. 1-3.
§2 Il giudice può inoltre ordinare o ammettere che sia prodotto un documento, che, senza colpa dell’interessato, non poté essere prodotto in precedenza.
§3 Le nuove prove siano pubblicate, osservato il can. 1598, §1.
Così come enunciato nel caso in cui ci sia assenza del convenuto o dell’attore, anche in questo caso gli effetti della mancata costituzione produrranno per la parte assente soltanto la sentenza definitiva e in questo caso la parte conserverà anche il diritto ad impugnarla pur non essendosi mai presentata in giudizio.
3.3 Dal PCT al processo canonico: prospettive comparatistiche
Dopo aver esaminato in concreto le varie ipotesi riguardanti la mancata o tardiva comparizione delle parti, all’interno del processo civile telematico e nel processo canonico, risulta possibile una comparazione tra i due ordinamenti. In questo caso, a differenza di quanto enunciato nelle precedenti pagine, la mancata comparizione delle parti e i successivi rimandi alle diverse ipotesi all’interno del PCT, vengono regolate con l’ausilio del già richiamato doppio binario informatico/cartaceo in cui è la parte interessata a seguire presumibilmente una modalità piuttosto che un’altra. In questo modo vengono garantite le due possibilità lasciando ampia discrezione e non avendo, all’interno dell’ordinamento una strada preferibile rispetto ad un’altra. Sarà compito del cancelliere, in questo caso, estrarre copia conforme ed inserirla all’interno del fascicolo informatico di parte.
A differenza di quanto detto, nel processo canonico tale possibilità viene reclusa a discapito della modalità telematica che, come si è già avuto modo di sottolineare, mantiene come focus la sola modalità cartacea che diventa così scenario per l’intero iter processuale.
Certamente il modus operandi nell’ordinamento canonico non risulta condannabile in quanto
Nello specifico dei dati di natura digitale, l’attenzione alla sicurezza nel loro trattamento richiede l’applicazione di adeguate misure informatiche, a cui il decreto CEI18 fa cenno [...], ma la determinazione pratica e le modalità concrete di attuazione di dette misure sarà sempre da valutarsi con consulenze tecniche specifiche, evitando improvvisazioni o soluzioni semplicistiche.[83]
È indubbio che i tribunali ecclesiastici necessitano di una ridefinizione dal punto di vista tecnico e strumentale e che, al giorno d’oggi, risulta ormai impellente. La motivazione di ciò ricade esclusivamente sul fattore comunitario e sul fine ultimo della salus aeterna animarum: i fedeli animati dallo spirito comunitario, desiderosi di rivedere la propria situazione ecclesiale, necessitano, oltre che di un confronto paritetico, anche di un dinamismo che le strutture ecclesiali scarseggiano ad operare. Certamente le “nostre” comunità, riempite di speranza e fiducia, devono riporre il loro operato su basi già ampiamente consolidate, come nel PCT, e lasciare che la scrittura diventi uno dei molteplici tasselli su cui innestare e impiantare l’intero apparato processuale.[84]
Gli strumenti offerti dal continuo sviluppo del mondo digitale e della rete internet mettono a disposizione anche dei processi canonici delle possibilità impensabili al momento della promulgazione dell’attuale Codice, con tutte le potenzialità e le problematicità proprie di tali strumenti prima ancora che nella loro applicazione nelle procedure processuali.[85]
Sicuramente il continuo sviluppo delle tecnologie e le numerose necessità emerse nella pandemia di Covid-19 porteranno ad una maggiore consapevolezza che le nostre vite sono ormai permeate dalla digitalizzazione.[86]
4. Conclusione
L’analisi svolta ha evidenziato come la digitalizzazione degli atti introduttivi nel processo civile telematico rappresenti una svolta epocale nel panorama giuridico, consentendo una maggiore rapidità nell’instaurazione del giudizio, una gestione più efficiente della documentazione e una riduzione delle tempistiche processuali. La possibilità di depositare atti per via telematica, unitamente alla progressiva informatizzazione delle comunicazioni tra le parti e gli uffici giudiziari, ha reso il sistema processuale più accessibile e dinamico, pur sollevando questioni legate alla sicurezza dei dati e alla necessità di un costante aggiornamento delle infrastrutture digitali.
Di contro, l’ordinamento canonico si mantiene fedele a una visione più tradizionale del procedimento processuale, nella quale il ricorso agli strumenti digitali è ancora marginale e la trasmissione degli atti avviene prevalentemente in forma cartacea. Se da un lato questa impostazione garantisce un elevato livello di formalismo e di rigore documentale, dall’altro rischia di apparire sempre più anacronistica in un’epoca caratterizzata dalla dematerializzazione e dall’automazione delle procedure.
Un confronto tra i due modelli giuridici suggerisce che l’adozione di strumenti digitali, se opportunamente regolamentata, potrebbe rappresentare un’opportunità di modernizzazione anche per l’ordinamento canonico, senza che ciò comporti una compromissione dei suoi principi fondanti. Il progressivo sviluppo delle tecnologie, unito alle necessità emerse durante la recente emergenza sanitaria globale, ha infatti dimostrato che la digitalizzazione può costituire un valido supporto per garantire una maggiore efficienza senza pregiudicare la natura del processo.
Alla luce di queste considerazioni, si rende auspicabile una riflessione più ampia sull’equilibrio tra innovazione e tradizione, in modo da favorire un dialogo tra i due sistemi giuridici. La digitalizzazione non deve essere intesa come un’imposizione, bensì come uno strumento da modulare in base alle esigenze specifiche di ciascun ordinamento, con l’obiettivo di rendere il processo più accessibile, trasparente ed efficace. Il futuro del diritto processuale, sia civile che canonico, potrebbe dunque risiedere in un approccio che coniughi il rigore delle procedure con le opportunità offerte dalla tecnologia, in un percorso di evoluzione che rispetti la storia ma non ignori le esigenze del presente e del futuro.
[1] Il can. 1476, riguardo alla capacità di stare in giudizio a difesa dei propri diritti, esprime un concetto essenziale: «Chiunque, sia battezzato sia non battezzato, può agire in giudizio; la parte poi legittimamente chiamata in giudizio deve rispondere». «Con la cancellazione dell’inciso “nisi a sacris canonibus prohibeatur” (can. 1646 CIC17) e la specificazione che la voce “chiunque” comprende sia battezzati sia non battezzati, è tolta ogni eccezione al diritto all’azione, [...]. Può pertanto agire in giudizio non solo chi è costituito persona nella Chiesa (ossia il battezzato: cf can. 96) o in essa gode di personalità giuridica, ma qualsiasi essere umano, anche solo concepito» in G. P. MONTINI, Commento al can. 1476, in Commentario online al Codice di diritto canonico. Quaderni di diritto ecclesiale.
[2] Cfr. M. J. ARROCA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 278-279.
[3] Cfr. V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 600-601.
[4] Sul punto assume rilievo fondamentale, anche per orientare l’interpretazione della giurisprudenza di merito, una massina della Corte di Cassazione secondo cui «In tema di processo civile telematico nei procedimenti contenziosi incardinati dinanzi ai tribunali dal 30 giugno 2014, anche nella disciplina antecedente alla modifica dell’art. 16-bis del d.l. n. 179 del 2012, inserito dall’art. 1, comma 19, n. 2, della l. n. 228 del 2012, introdotta dal d.l. n. 83 del 2015, il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità, sicché ove l’atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, è integrato il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti» in REPUBBLICA ITALIANA. CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezione II, 12 maggio 2016, n. 9772 in URL: < https://dejure.it/#/ricerca/giurisprudenza_ documento?idDatabank=2&idDocMaster=5016293&idUnitaDoc=0&nVigUnitaDoc=1&isCorrelazioniSearch=true >.
[5] «Ciò a prescindere dalla forma dell’atto (se nativo digitale o nativo analogico) e a prescindere dal se esso sia stato o meno in precedenza notificato e dalla forma di tale eventuale notificazione» in V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 601, nota 84.
[6] REPUBBLICA ITALIANA, Legge 18 gennaio 1994, n. 50, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, XX (1994), 135, del 26 gennaio 1994.
[7] V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 602.
[8] Art. 3 bis della l. n. 53/1994.
[9] V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 603.
[10] Cfr. Ivi, 606.
[11] Per l’intera argomentazione si veda V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 610-611 in cui viene precisato che in «riferimento alla costituzione tradizionale in cancelleria, quando essa faccia seguito ad una notifica “tradizionale”, [...], l’attore dovrà depositare, oltre alla nota di iscrizione a ruolo, il proprio fascicolo di parte, contenente l’originale dell’atto di citazione analogico notificato, la procura, e i documenti offerti in comunicazione. Se la costituzione tradizionale è successiva ad una notifica eseguita a mezzo PEC dall’avvocato, resta fermo [...] l’esigenza di fornire in via telematica prova della notificazione e di provvedere, in tale forma, al deposito dell’atto».
[12] M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 366-367.
[13] Cfr. M. J. ARROBA CONDE, M. RIONDINO, Introduzione al diritto canonico, Le Monnier, Firenze 2017, 201.
[14] G. CHIOVENDA, Diritto processuale civile, Jovene, Napoli 1923, 627.
[15] «Chi vuol convenire qualcuno deve presentare al giudice competente un libello in cui si proponga l’oggetto della controversia e si richieda il ministero del giudice».
[16] «Il libello con il quale s’introduce la lite deve: 1° esprimere avanti a quale giudice la causa viene introdotta, che cosa si chiede e da chi; 2° indicare su quale diritto si fonda l’attore, e almeno per sommi capi fatti e prove per dimostrare quanto è asserito; 3° essere sottoscritta dall’attore o dal suo procuratore, apponendovi giorno, mese e anno, nonché il luogo ove l’attore o il procuratore abitano o dissero di risiedere per ricevere gli atti; 4° indicare il domicilio o il quasi-domicilio del convenuto».
[17] Cfr. M. J. ARROCA CONDE, C. IZZI, Pastorale giudiziaria e prassi processuale nelle cause di nullità del matrimonio. Dopo la riforma operata con il Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, 92.
[18] M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 281-282.
[19] «Rispetto ai procedimenti di natura amministrativa, il giudizio di nullità matrimoniale si caratterizza per la forma dialettica del metodo di trattazione della lite, dato dalla partecipazione attiva al processo dei soggetti che dovranno subire gli effetti del provvedimento finale. Tale sistema, compendiato nel c.d. principio del contraddittorio, risponde alle esigenze di assicurare a coloro che sono direttamente interessati all’oggetto del contendere la possibilità di svolgere un ruolo informato ed efficiente nell’iter che conduce alla formazione della decisione, per far valere le proprie ragioni e contrastare quelle dell’avversario» in I. Zuanazzi, Lo ius ad probationes come espressione del diritto di difesa nel processo matrimoniale canonico, in Ius Ecclesiae, XI (1999), 71-72; «Non si può concepire un giudizio equo senza contraddittorio, cioè senza la concreta possibilità concessa a ciascuna parte nella causa di essere ascoltata e di poter conoscere e contraddire le richieste, le prove e le deduzioni addotte dalla parte avversa o ex officio» in Ioannes Paulus PP. II, Allocutio: Ad Romanae Rotae auditores, officiales et advocatos coram admissos, 26 ianuarii 1989, in AAS, LXXXI (1989), 923.
[20] Cfr. M. J. ARROBA CONDE, C. IZZI, Pastorale giudiziaria e prassi processuale nelle cause di nullità del matrimonio. Dopo la riforma operata con il Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, 92.
[21] Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 369.
[22] Cfr. M. J. ARROBA CONDE, C. IZZI, Pastorale giudiziaria e prassi processuale nelle cause di nullità del matrimonio. Dopo la riforma operata con il Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, 93.
[23] «Tale principio risulta non una peculiarità dello ius ecclesiae essendo altresì richiamato sia nell’ordinamento italiano e più in specie sia nel diritto processuale civile (art. 99) sia in quello penale (art. 50 e 405) con l’unica eccezione nel caso del giudice nelle indagini preliminari il quale, come è noto, intervenire prima dell’esercizio penale. Attraverso questa regola codificata non solo si impedisce l’intervento ex officio da parte del giudice ma si condiziona il potere della giurisdizione in quanto legato a quello dell’azione escludendo, [...], l’uso del sistema inquisitorio» in G. RUGGIERO, Il libello nel processo canonico: analisi dei canoni 1501-1506, in Rivista di informazione giuridica, 3; cfr. P. TONINI, Lineamenti di diritto processuale penale, Giuffrè, Milano 2008, 235.
[24] Can. 1611 CIC ’83 - La sentenza deve: 1) definire la controversia discussa avanti al tribunale, dando una congrua risposta ai singoli dubbi; 2) determinare quali siano gli obblighi delle parti sorti dal giudizio, e in quale modo debbano essere adempiuti; 3) esporre le ragioni ossia i motivi, in diritto e in fatto, sui quali si fonda la parte dispositiva della sentenza; 4) decidere sulle spese processuali; can. 1612 CIC ’83 - §1 È necessario che la sentenza, dopo l’invocazione del Nome di Dio, esprima per ordine quale sia il giudice o il tribunale; chi sia l’attore, la parte convenuta, il procuratore, indicandone correttamente i nominativi e i domicili, chi sia il promotore di giustizia e il difensore del vincolo, se ebbero parte nel giudizio.
[25] «Se sussistono i presupposti per introdurre la causa, l’indagine previa si conclude con la stesura del libello. Questo deve essere abitualmente redatto in forma scritta, nella lingua locale, dall’attore o, in suo nome, dal procuratore munito di legittimo mandato e indirizzato al giudice proprio [...] o al Vicario giudiziale; va presentato nella cancelleria del tribunale diocesano o interdiocesano di prima istanza, individuato in base ai titoli di competenza. Si contempla la possibilità che una causa venga introdotta tramite libello orale» in M. J. ARROBA CONDE, C. IZZI, Pastorale giudiziaria e prassi processuale nelle cause di nullità del matrimonio. Dopo la riforma operata con il Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, 91-92.
[26] Cfr. P. BUSELLI MONDIN, L’assenza della forma canonica preclude l’operatività del processo di nullità matrimoniale? Un’ipotesi, in Ius canonicum, XCIII (2007), 47, 201-208; cfr. J. LLOBELL, I tentativi di conciliazione, gli elementi sostanziali del libello di domanda e l’incidenza sul medesimo del concetto di «conformitas aequipollens» nelle cause di nullità del matrimonio, in Ius Ecclesiae, XV (2003), 639-642 in cui viene definito il fumus boni iuris come minimo fondamento probatorio del libello di domanda.
[27] Can. 1505 §1 CIC ‘83.
[28] «È dovere del giudice, come primo atto, esaminare la sua ammissibilità, giudizio di ammissibilità che può essere dato o dal singolo Giudice o dal Collegio, con questa importantissima differenza che contro il decreto di non ammissibilità del singolo Giudice si può fare ricorso al Collegio – [...] – mentre contro il decreto di rigetto del Collegio non si dà appello perché esso decide expeditissime: è l’istanza, la richiesta, che viene rigettata, non ciò che con la medesima istanza viene richiesto: bisogna distinguere tra istanza – [...] – e contenuto dell’istanza: solo allora si può parlare di rigetto del contenuto dell’istanza quando esso a seguito dell’ammissione dell’istanza è stato giudiziariamente trattato, ed in tal caso non si tratta più dell’ammissione o rigetto dell’istanza-richiesta bensì dell’istanza-merito» in S. VILLEGGIANTE, Il giudice e le parti nel processo di nullità matrimoniale in diritto canonico: problematica attuale, in Angelicum, LXXXV (2008), 789-790.
[29] Can. 1505 §3 CIC ’83. «In ogni caso ma soprattutto nel caso in cui non sia possibile ricorrere all’emendazione, il par. 4 del can. 1505 dispone, come rimedio generale, il diritto da parte dell’interessato di interporre ricorso motivato entro dieci giorni o al tribunale d’appello o al collegio se il libello fu respinto dal presidente. Non si tratta di una semplice possibilità ma di un vero e proprio diritto di cui, tuttavia, va specificata la natura giuridica per evitare alcuni problemi intrepretativi e di applicazioni: la norma, infatti, non postula un ius appellandi quanto un ricorso, istituto giuridico diverso sia per quanto riguarda il tempo (10 giorni per il ricorso - 15 per l’appello) sia per l’esito dell’esame stesso poiché, nel caso del ricorso, la causa prosegue davanti al primo giudice e non, come accade in appello, davanti al secondo giudice» in G. RUGGIERO, Il libello nel processo canonico: analisi dei canoni 1501-1506, in Rivista di informazione giuridica, 9.
[30] Can. 1505 §4 CIC ‘83.
[31] M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 385.
[32] Sulla parte convenuta, nel processo civile telematico e nell’ordinamento canonico, non si porrà l’attenzione sulla particolare uniformità che riguarda la definizione stessa di “convenuto” in quanto, nonostante ordinamenti differenti, resta in egual misura simile, così come confermato da gran parte della dottrina; gli strumenti comparatistici saranno invece utilizzati nel presente percorso all’interno di quelle che risultano essere le modalità con cui ogni ordinamento pone in essere per la costituzione della parte nell’espletamento dei suoi diritti. Ergo saranno analizzati gli strumenti che, nonostante si presentano extra codicem, risultano essere il maggior ostacolo in vista di una fruttuosa comparazione tra ordinamenti differenti.
[33] Cfr. C. MANDRIOLI, A. CARRATTA, Il diritto processuale civile, II, Il processo ordinario di cognizione, Giappichelli, Torino 2017, 9.
[34] Art. 163 c.p.c.
[35] «Il codice di diritto canonico usando il termine “citazione” senz’altra aggiunta, intende la chiamata del reo o convenuto fatta dal giudice in modo legittimo affinché si presenti in giudizio. È sempre un atto di giurisdizione perché contiene un precetto del giudice (can. 1715) e il citato può esser costretto a presentarsi in tribunale anche con comminazione di pene (can. 1845, 2). Questo concetto, comune al diritto canonico ed a taluni codici come lo spagnolo e l’austriaco, in linea storica deriva direttamente dal ius regimen iustinianeum (tit. de in ius vocando); non l’ammettono invece il codice italiano, il francese, e il tedesco, i quali si riallacciano al primitivo sistema romano delle XII Tavole: “A privato in ius vocari est potestas”; l’atto vi è essenzialmente privato, anche se notificato da persona pubblica» in C. GUIDO, Citazione (dir. proc. can.), in Enciclopedia del Diritto, VII, 116.
[36] Cfr. F. ROTA, art. 163, in F. CARPI, V. COLESANTI, M. TARUFFO, Commentario breve al Codice di procedura civile, CEDAM, Milano 2008, 711-722.
[37] «Due sono i termini della proposizione: giudice e processo. Il giudice è uno ed il processo significa la presenza di almeno tre soggetti [...]; nel processo, oltre al giudice, vi sono le parti, parte attrice e parte convenuta, alle quali, con gli stessi diritti di parte, sono equiparati il Difensore del Vincolo ed il Promotore di Giustizia (cann. 1433-1436). Il processo, dunque, in quanto tale e prescindendo, dalla sua ordinarietà o dalla sua specialità, è per sua stessa natura dialogico, e, ovviamente, non può essere ridotto ad un monologo. Il processo è un theatrum, o, meglio, il palcoscenico di un teatro in cui entrano in scena, appunto, diverse persone, e ciascuna nel suo proprio ruolo per assolvere alla funzione che del singolo ruolo è propria» in S. VILLEGGIANTE, Il giudice e le parti nel processo di nullità matrimoniale in diritto canonico: problematica attuale, in Angelicum, LXXXV (2008), 765.
[38] Cfr. C. MANDRIOLI, A. CARRATTA, Il diritto processuale civile, II, Il processo ordinario di cognizione, Giappichelli, Torino 2017, 11.
[39] Cfr. Ivi, 10.
[40] REPUBBLICA ITALIANA. CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezione II, 19 agosto 2019, n. 21448, in URL: < http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id =./20190819/snciv @s20@a2019@n21448@tO.clean.pdf >.
[41] Cfr. N. SOTGIU, Il deposito telematico, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 244.
[42] «§1 L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. L’eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente».
[43] «§2 A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. Se è omesso o risulta assolutamente incerto l’oggetto o il titolo della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla».
[44] «§2 Il convenuto che intenda chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo [...]. Il giudice istruttore, entro cinque giorni dalla richiesta, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza. Il decreto è comunicato dal cancelliere alle parti costituite. La citazione è notificata al terzo a cura del convenuto».
[45] Si ricordi in particolare che l’art. 4 assume rilevanza in quanto prevede l’adozione del servizio di posta elettronica certificata all’interno del processo civile e del processo penale e che tutte le comunicazioni e notificazioni debbano essere fornite mediante PEC. L’art. 20 del suddetto regolamento disciplina i requisiti della casella PEC e menziona gli indici nazionali di riferimento così come largamente esposto nel capitolo precedente.
[46] «Con l’art. 16, comma 4, del d.l. n. 179 del 2012, è stato profondamente innovato il sistema delle comunicazioni di cancelleria, generalizzando l’obbligo della modalità telematica, da eseguire all’indirizzo PEC risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, e sancendo espressamente la “sanzione” del deposito in cancelleria nell’ipotesi di mancato assolvimento all’obbligo di munirsi di un indirizzo PEC (per i soggetti per i quali è prescritto) nonché nei casi di mancata consegna del messaggio PEC per cause imputabili al destinatario. È stata, inoltre, introdotta la facoltà per la parte che sta in giudizio personalmente di indicare un indirizzo PEC al quale vuole ricevere le comunicazioni e notificazioni relative al procedimento nonché l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di comunicare al Ministero della giustizia l’indirizzo PEC a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. [...]. È stata, quindi, razionalizzata la materia, con l’espressa indicazione dei pubblici elenchi degli indirizzi PEC rilevanti ai fini delle comunicazioni e notificazioni in ambito giudiziario» in I. FEDELE (cur.), Processo civile telematico. Rassegna tematica della giurisprudenza di legittimità, in URL: < https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Processo_civile_ telematico_-_ Rassegna_giurisprudenza_di_legittimita_31_12_2021.pdf >.
[47] Riguardo alla disciplina processuale della chiamata del terzo in causa e della sua posizione processuale si sovviene che «le parti originarie hanno l’onere di citare il terzo a comparire per l’udienza all’uopo fissata dal giudice istruttore, osservati i termini previsti nell’art. 163-bis (art. 269, comma 1°). [...]. L’esigenza di chiamare il terzo può essere avvertita dal convenuto. In questo caso egli deve farne richiesta nella comparsa di risposta e deve altresì chiedere al giudice istruttore “lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo con il rispetto dei termini dell’art. 163 bis”. Il giudice non autorizza la chiamata ma è solamente tenuto a concedere tale spostamento con decreto da emettere nei cinque giorni dalla richiesta e da comunicare a cura del cancelliere alle parti» in G. VERDI, Profili del processo civile. Processo di cognizione, Jovene, Napoli 1996, 261.
[48] Cfr. V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 624.
[49] «§4 Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo. §5 La proroga prevista dal quarto comma si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato».
[50] Cfr. N. SOTGIU, Il deposito telematico, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 249.
[51] M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 389.
[52] Cfr. F. X. WERNZ, P. VIDAL, Ius canonicum VI, Roma 1949, 326.
[53] Can. 1507 §1 CIC ’83.
[54] Cfr. M. J. ARROBA CONDE, M. RIONDINO, Introduzione al diritto canonico, Le Monnier, Firenze 2017, 202.
[55] «La citazione notificata all’interessato è “personale”, definita “diretta” se notificata a mezzo di messo pubblico, “indiretta” se per interposta persona (per esempio, familiari). Notificata per editto affisso alle porte della curia, o del tribunale, o se pubblicata in un giornale, chiamasi “edittale”. Essa è “semplice”, cioè rinnovabile, quando per mancata comparizione il citato non diviene contumace; è “perentoria” quando, rinnovata o no, rende costui contumace, e s’intende sempre perentoria a meno che la legge non provveda altrimenti» in C. GUIDO, Citazione (dir. proc. can.), in Enciclopedia del Diritto, VII, 117.
[56] F. PORCELLI, La posta elettronica certificata, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 140.
[57] M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 406-407.
[58] Ivi, 408-410.
[59] Can. 1459 CIC ’83 - §2. [...], le eccezioni dilatorie, soprattutto quelle che riguardano le persone e le modalità del giudizio, devono essere proposte prima della contestazione della lite, a meno che non siano emerse per la prima volta a lite già contestata, e devono essere definite al più presto. «Le eccezioni, ossia l’istituto processuale con il quale si esercita il diritto ad opporsi in un giudizio in cui si mette in pericolo o in discussione il proprio diritto, sono di varie specie. Le eccezioni in senso proprio sono le eccezioni sostanziali; si oppongono al merito della causa; [...] possono essere anche processuales se non attengono al merito della causa, ma alle persone e al modo di procedere nel giudizi. Le eccezioni dilatorie sono le eccezioni nate o proposte per ritardare il processo, ritardare il giudizio per un impedimento temporaneo. [...] Proprio per la finalità delle eccezioni, contraria alla celerità o alla stessa celebrazione del processo, devono essere proposte e decise il più presto possibile e precisamente:1) devono essere opposte prima della contestazione della lite [...]; 2) possono essere opposte dopo la contestazione della lite se sono emerse in seguito (cf can. 1459 § 2; art. 77 § 2) [...]; 3) devono essere decise quanto prima (“quam primum”: can. 1459 § 2)» in G. P. MONTINI, Commento al can. 1459 §2, in Commentario online al Codice di diritto canonico. Quaderni di diritto ecclesiale.
[60] Can. 1463 CIC ’83 - §1. Le azioni riconvenzionali non possono essere validamente poste, se non entro trenta giorni dalla avvenuta contestazione della lite. §2. Le medesime siano poi giudicate insieme all'azione convenzionale, cioè in pari grado con essa, a meno che non sia necessario giudicarle separatamente o il giudice lo abbia ritenuto più opportuno. «L’opposizione della parte convenuta all’azione può assumere la forma di azione riconvenzionale (“reconventio”; cf can. 1494 §1): con essa il convenuto si trasforma a sua volta in attore, introducendo o un’azione connessa (cf can. 1414) oppure un’azione che, nel suo contenuto o oggetto, si oppone a quella iniziale. Con la prima fattispecie (“propter causae nexum cum actione principali”) si ha un’estensione del concetto di azione riconvenzionale rispetto al CIC17 che contemplava l’azione riconvenzionale solo “ad submovendam vel minuendam eius [= actoris] petitionem” (can. 1690 § 1). L’azione riconvenzionale deve essere proposta ad validitatem entro trenta giorni dall’avvenuta contestazione della lite (cf can. 1463 § 1). [...] Poiché però l’azione riconvenzionale richiede spesso un’istruzione propria, anche se connessa con quella dell’azione principale, e comunque costituisce sempre un intralcio al percorso dell’azione convenzionale, i limiti di proposizione nel processo sono molto rigidi [...]. Sempre per evitare ritardi nella trattazione della causa convenzionale, il giudice può ritenere più opportuno che l’azione riconvenzionale sia giudicata separatim (cf can. 1463 § 2). Può richiedere una trattazione separata anche la relazione sostanziale tra le cause stesse, che richieda logicamente la soluzione previa di una causa rispetto all’altra» in G. P. MONTINI, Commento al can. 1463, in Commentario online al Codice di diritto canonico. Quaderni di diritto ecclesiale.
[61] L’art. 16 bis, comma 1 del d.l. n. 179/2012 afferma l’obbligatorietà del deposito telematico per gli atti delle parti già costituite mentre per gli atti diversi da questi stabilisce che è «sempre ammesso» il deposito telematico. Mentre nell’ordinamento canonico tale menzione non si viene a configurare ma resta ferma la normativa circa la sola possibilità di deposito in cancelleria degli atti che andranno a comporre l’intera attività processuale. Tale possibilità, come quella descritta riguardo il processo civile telematico, aprirebbe ad una varietà di possibilità oltre che ad una maggiore fluidità del processo stesso.
[62] Cfr. G. VERDI, Profili del processo civile. Processo di cognizione, Jovene, Napoli 1996, 24-25; cfr. V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 630-631.
[63] «Le disposizioni dell’art. 171 c.p.c. e art. 307 c.p.c., commi 1 e 2, sulla cancellazione della causa dal ruolo per la mancata costituzione delle parti, non si applicano se le parti, costituendosi tardivamente, dimostrino la comune volontà di dare impulso al processo, regolarizzando in tal modo la costituzione del rapporto processuale» in REPUBBLICA ITALIANA. CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezione VI, 17 febbraio 2014, n. 3626, in URL: < https://dejure.it/#/ricerca/giurisprudenza_documento?idDatabank=2&idDocMaster=4085496&idUnitaDoc=0&nVigUnitaDoc=1&isCorrelazioniSearch=true >.
[64] «Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare le proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni.
A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. Se è omesso o risulta assolutamente incerto l’oggetto o il titolo della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa al convenuto un termine perentorio per integrarla. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente alla integrazione.
Se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell’articolo 269».
[65] V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 631-632.
[66] «L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. L’eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente.
Fuori dei casi previsti dall’articolo 28, quando le parti costituite aderiscono all’indicazione del giudice competente per territorio, la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione della stessa dal ruolo [disp. att. 125].
L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall’articolo 28 sono rilevate d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’art. 183.
Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni».
[67] Una precisazione andrà fatta riguardo alla distinzione tra contumacia e assenza della parte in quanto «L’assenza assume portata più limitata della contumacia perché consiste nella sola diserzione della prima e/o di successive udienze. L’assenza presuppone dunque la costituzione e, proprio per questo, può essere bilaterale (con le conseguenze previste dall’art. 181, 1° comma) e comporta che la parte sia considerata comunque presente. L’art. 176, 2° comma, prevede infatti che le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi. La previsione esprime, il principio che dopo la costituzione la diserzione delle udienze non modifica le regole ordinarie del procedimento escludendo perciò l’applicazione dello statuto legale della contumacia. Per contro, senza una formale costituzione la sola presenza della parte alle udienze, non consente al contumace, finché resta tale, di interloquire o altrimenti interagire attivamente con la controparte ed il giudice, tranne che nelle ipotesi di attività riservate alla parte in quanto tale e non in quanto costituita» in C. DELLE DONNE, Tra neutralità e concludenza. La contumacia nel processo civile, Giappichelli, Torino 2019, 5-6.
[68] V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 632.
[69] Nella sentenza del Tribunale di Rovigo, Sezione I, 3 febbraio 2017, n. 110 si legge: «In sostanza, se, da un lato, è pacifico che il deposito telematico si perfeziona solo con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna (cd. R.A.C.); dall’altro, qualora il deposito sia andato a buon fine, ancorché tardivamente, e la parte abbia effettuato lo stesso entro l’ultimo giorno utile, non si può imputare a quest’ultima un ritardo del sistema nell’emettere la ricevuta sopra menzionata non essendo previsto normativamente, oltre che alcun divieto del deposito entro la mezzanotte del giorno di scadenza, neppure un tempo mimmo intercorrente tra il deposito svolto dalla parte e l’invio da parte del sistema della ricevuta di cui si tratta, sicché quest’ultima non potrebbe comunque svolgere una previsione ex ante prognostica rispetto al compimento di detta ultima formalità non dipendente da propria attività processuale poiché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà come specificato dalla (stessa) giurisprudenza». Ergo, nonostante nel processo civile telematico sia la RdAC a perfezionare il deposito telematico, non sarà possibile imputare alla parte un ritardo del sistema nella emissione della ricevuta nel caso in cui il deposito sia andato, anche se tardivamente, a buon fine e la parte abbia effettuato lo stesso entro l’ultimo giorno utile.
[70] «È possibile che, sebbene la causa sia stata tardivamente iscritta, tutte le parti si siano costituite; in tal caso la nullità della iscrizione tardiva degrada ad annullabilità, nel senso che il giudice non può più ordinare d’ufficio l’eliminazione della causa dal ruolo; infatti, poiché non si ha estinzione del processo, poiché questo può essere riassunto per rendere valido il contraddittorio, sarebbe assurdo imporre la riassunzione contro la volontà delle parti, quando ormai si è raggiunta la validità del contraddittorio stesso. Ciò non esclude, però, che il vizio sussista e che la parte interessata possa farlo valere, eccependolo e rendendo così pur sempre necessaria l’eliminazione della causa dal ruolo. Pertanto, se si è avuta costituzione di tutte le parti, l’eliminazione della causa dal ruolo può essere ordinata solo su istanza di parte, proposta in limine (art. 157 c.p.c.) e dalla parte che non ha dato luogo alla nullità, iscrivendo tardivamente la causa, cioè: a) dall’attore, se la causa è stata iscritta dal convenuto dopo la scadenza del termine di cui all’art. 166; b) dal convenuto, se la causa è stata iscritta dall’attore dopo la scadenza del termine di cui all’art. 165, e il convenuto stesso si è costituito dopo la scadenza del proprio termine. Invece, se la parte interessata “accetta il contraddittorio”, cioè se accetta, sia pure tacitamente (non rilevando il vizio), l’incardinamento del processo presso l’ufficio del giudice invocato, l’atto di iscrizione è sanato e il vizio non può più, in prosieguo, essere rilevato» in N. GIUDICEANDREA, Costituzione in giudizio, in Enciclopedia del diritto, XI, 240.
[71] La Prof.ssa Bertoldi in una Nota all’interno del suo lavoro “I processi di cognizione in primo grado” sul tema della tardiva costituzione di tutte le parti specifica che: «Ci sembra inoltre che tale tardiva costituzione di entrambe le parti possa avvenire al più tardi fino alla prima udienza; e che al riguardo si debba immaginare uno scenario di questo tipo, e cioè che una parte si costituisca prima dell’udienza, a seconda dei casi in forma cartacea o telematica, presentando altresì la nota di iscrizione a ruolo; e che sul presupposto dell’avvenuta iscrizione a ruolo della causa, l’altra parte possa costituirsi fino alla data di udienza. Ove si dovesse, infatti, oltrepassare la data della prima udienza e nessuna parte si fosse ancora costituita troverebbe, infatti, applicazione il primo comma dell’art. 171 c.p.c., avviandosi la causa non iscritta a ruolo entro la prima udienza alla quiescenza per tre mesi».
[72] Cfr. V. BERTOLDI, I processi di cognizione in primo grado, in G. RUFFINI (cur.), Il processo telematico nel sistema del diritto processuale civile, Giuffrè, Milano 2019, 633.
[73] «Quando, a seguito di sentenza dichiarativa dell’incompetenza del giudice adito, sia stata posta in essere un’attività processuale astrattamente riconducibile al modello della riassunzione, spetta al giudice davanti al quale la riassunzione stessa sia stata effettuata stabilire se essa, come concretamente attuata, sia tempestiva e, più in generale, risponda ai requisiti di forma e di contenuto necessari perché si verifichi l’effetto della continuazione del processo davanti al giudice ad quem e sia evitata l’estinzione. A tal fine, è necessario compiere un attento esame del contenuto sostanziale dell’atto di riassunzione per verificare la sussistenza di una non equivoca volontà di proseguire il giudizio inizialmente promosso, volontà configurabile anche implicitamente, senza che occorra una espressa dichiarazione in questo senso» in REPUBBLICA ITALIANA. CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezione II, 30 luglio 2018, n. 20500, in URL: < https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/20500.pdf >.
[74] Cfr. M. J. ARROBA CONDE, M. RIONDINO, Introduzione al diritto canonico, Le Monnier, Firenze 2017, 203.
[75] Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 443-444.
[76] Cfr. M. J. ARROBA CONDE, M. RIONDINO, Introduzione al diritto canonico, Le Monnier, Firenze 2017, 202; «La legittimità della notifica non dipende dal ricevimento da parte dell’interessato, ma dalla certezza della trasmissione postale o manuale; sicché una volta assicurata, indipendentemente dal suo effetto, il giudice potrebbe proseguire in assenza del convenuto (cfr. cann. 1510 e 1592); ma nel dubbio è preferibile ripetere la citazione» in P. V. PINTO, I processi nel Codice di Diritto Canonico, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993, 249; «Si potrebbe asserire che qui si confonde la verità del dato con la certezza dell’adempimento: l’indipendenza non concerne l’effetto, ma semmai il comportamento del ricettore materiale della notifica (che potrebbe non coincidere con il diretto interessato). Non interessa tanto che il giudice possa legittimamente procedere quanto che chi abbia diritto sia messo in condizione di esercitarlo» in M. DEL POZZO, La citazione, in P. A. BONNET, C. GULLO (curr.), Il giudizio di nullità matrimoniale dopo l’istruzione “Dignitas connubii”. Parte terza. La parte dinamica nel processo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, 80.
[77] «Non si può certo ritenere che l’obbligo di rispondere alla citazione sia fondato esaustivamente sulla convenienza della partecipazione al processo; si tratta piuttosto di una ragione fondativa pratica, che lascia intatti i principi che richiedono l’adempimento dell’obbligo di rispondere. Il senso dell’obbligo, non si riduce al “rispondere”, quasi si trattasse dell’interrogativo della parte, nella quale essa è chiamata a rispondere alle domande. La determinazione del contenuto dell’obbligo giuridico qui è tutta rinvenibile nel concetto corrispettivo: legittima citazione in giudizio. “Rispondere” equivale pertanto all’obbligo di obbedire al giudice che legittimamente dispone con la prima citazione in giudizio e anche con le successive» in G. P. MONTINI, Il processo di nullità matrimoniale. La partecipazione della parte convenuta tra diritto e realtà, in Rivista di scienze religiose, XLI (2007), 1, 67-68.
[78] «Se la parte convenuta citata non si presentò in giudizio né scusò idoneamente la sua assenza, o non rispose a norma del can. 1507, §1, il giudice la dichiari assente dal giudizio e decida che la causa, osservato quanto è prescritto, proceda fino a sentenza definitiva e alla sua esecuzione».
[79] «Alla parte dichiarata assente dal giudizio si notifichino la formula del dubbio e la sentenza definitiva, salvo l’art. 258, §3» (Se una parte ha dichiarato di rifiutare di ricevere qualsiasi informazione relativa alla causa, si ritiene che abbia rinunciato ad ottenere l’esemplare della sentenza. In tal caso, osservate le leggi particolari, può esserle notificato il solo dispositivo).
[80] Per una riflessione più ampia si veda L. MATTIOLI, La fase introduttoria del processo e la non comparsa della parte convenuta, in P. A. BONNET, C. GULLO (curr.), Il processo matrimoniale canonico. Nuova edizione riveduta e ampliata, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, 479-490.
[81] M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 437-439.
[82] «Il problema della conclusio in causa è che l’inquisitorietà richiesta dal favor veritatis può comportare che tale atto significhi la chiusura della fase istruttoria ad istanza di parte e possa comportare l’inizio dell’istruttoria ex officio, con il corrispondente successivo obbligo di nuova pubblicazione degli atti e nuova conclusio in causa (art. 239 § 3 DC). Ci troviamo a che fare col non semplice equilibrio fra tutela della verità e della tempestività della decisione, entrambe richieste dalla giustizia, quantunque la verità prevalga sulla celerità, senza “scrupoli istruttori” che possono rendere infinita una causa e svuotare il senso degli istituti tesi a garantire che la sentenza rispecchi la verità, propiziando l’insofferenza nei confronti del processo giudiziario e il conseguente tentativo di “amministrativizzazione” delle cause di nullità del matrimonio» in J. LLOBELL, La pubblicazione degli atti, la “conclusio in causa” e la discussione della causa. (Istruzione “Dignitas connubii”, Titolo IX, artt. 229-245). Ancora sul diritto di difesa delle parti in causa, in P. A. BONNET, C. GULLO (curr.), Il giudizio di nullità matrimoniale dopo l’istruzione “Dignitas connubii”. Parte terza: la parte dinamica del processo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, 520-521.
[83] A. GIRAUDO, La tutela della riservatezza e della buona fama nel trattamento dei dati di natura digitale, in Quaderni di diritto ecclesiale, XXXIII (2020), 192.
[84] «La giustizia del XXI secolo non potrà che essere integralmente digitale, [...]. Parte della dottrina ha già verificato che le regole del giusto processo non ostano all’impiego delle nuove modalità di udienza e che gli unici veri ostacoli da superare sono quelli legati ai “ritardi nella innovazione tecnologica”. [...] la terza via, ovvero l’oralità secondaria [...], rappresenta ormai una naturale evoluzione verso uno stadio progredito del processo, che apre la stagione dell’oralità 2.0. Ciò non significa che le lecite titubanze di altri valenti studiosi debbano rimanere inascoltate: la sfida, però, è quella di sfatare gli effetti negativi legati all’impiego della tecnologia nel processo. Sotto questo profilo, il processo rimarrà un rituale, che si celebra in un suo tempo regolamentare, quello dell’udienza, udienza che si potrà svolgere, però, non più sempre e solo in quello specifico spazio fisico delimitato dall’aula dell’ufficio giudiziario, bensì anche on line» in B. BRUNELLI, Il processo civile telematico che verrà, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, LXXVI (2021), 4, 979.
[85] A. GIRAUDO, L’uso del collegamento da remoto nei processi canonici, in Quaderno di diritto ecclesiale, XXXIV (2021), 324.
[86] «Un’emergenza sanitaria senza precedenti ha disvelato fino in fondo tutti i vantaggi che il rito telematico può offrire, tanto che, per consentire una pur minima attività al Paese mentre era paralizzato dal virus, i benefici derivanti dall’applicazione delle logiche digitali sono stati enfatizzati al loro massimo potenziale. [...] Mettere in pratica le novità recate dalle nuove, eccezionali discipline non è stato né semplice, né facile: i problemi che si sono dovuti affrontare hanno riguardato, oltre all’ormai classica “resistenza al cambiamento” di alcuni, il doversi cimentare con il succedersi frenetico di interventi legislativi disarmonici, volti a contenere quel tanto di improvvisazione che l’urgenza comportava, [...]. L’esperienza, così brutalmente maturata sul campo, dimostra quanto sia importante fare in modo che le piccole-grandi “conquiste telematiche” realizzate nel processo civile in pieno periodo pandemico non rimangano una prospettiva temporanea, ma divengano invece stabile prassi [...]. A questo punto, diventa dunque fondamentale accompagnare il profondo e complessivo cambiamento della giustizia civile, che è indubitabilmente in atto, con mirate revisioni del codice e con massicci investimenti per realizzare, finalmente, una visione ed obiettivi di reale innovazione» in B. BRUNELLI, Il processo civile telematico che verrà, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, LXXVI (2021), 4, 959-964.
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