I rimedi penali canonici: commento al can. 1339
Giancarlo Ruggiero

Il presente contributo fa riferimento all´istituto dei rimedi penali canonici così come descritto dal can. 1339 del CIC. Dopo un breve inquadramento di carattere sistematico si procederà all´individuazione della natura giuridica dei suddetti rimedi per poi fornire alcune note storiche circa la loro nascita ed evoluzione. In seguito verrà dato ampio spazio alla normativa vigente evidenziando, laddove necessario, alcune criticità anche in vista di un loro possibile superamento.
Sommario: 1. Introduzione; 2. I rimedi penali canonici; inquadramento generale dell'istituto; 3. Natura giuridica dei rimedi penali; 4. Sintesi storica; 5. L'ammonizione; 5.1. Nell'occasione prossima di commttere un delitto; 5.2 Nel sospetto grave di aver commesso un delitto; 6. La riprensione; 7. Profili applicativi dei rimedi penali (can. 1339) 7.1. Il can. 1339 par. 4: 7.2 Il can. 1339 par. 5: 8. Valutazioni conclusive.
1. Introduzione
E‘ noto a tutti come il diritto della Chiesa viva oggi una sorprendente attualità. Diverse sono le motivazioni soggiacenti a questo singolare interesse manifestato verso un ordinamento giuridico di per sé poco noto eppure alquanto singolare se non altro per la sua natura e per gli istituti che ne fanno corona. Lo ius canonicum si presenta, nella società attuale, come un terreno di fertile applicazione non solo da parte degli specialisti della materia ma anche dei giuristi secolari che mostrano un’attenzione particolare sovente mista a curiosità verso la giuridicità della Chiesa verso cioè un Codice – come quello di diritto canonico – che costituisce la principale fonte di riferimento da parte dello studioso il quale, frequentemente, rimane quasi stupito dell’esistenza di documenti normativi ovvero di regole che fissano, pur nella loro specificità, la vita ecclesiale.
L’Ecclesia infatti, pur essendo orientata ai bona aeterna, sussiste nel mondo quale realtà sociale che abbisogna di una regolamentazione normativa nei confronti di coloro che ne fanno parte i quali chiedono così il riconoscimento dei propri diritti ovvero la loro tutela nel caso in cui essi vengano elusi o violati.
Proprio per le ragioni poc’anzi esposte non ci si può stupire dell’esistenza, anche nel diritto canonico, di una sezione dedicata al diritto penale preposto ad offrire protezione e tutela quando gli iura dei fedeli vengono violati o anche solo minacciati.
Tali aspetti fungono da effettivo “sfondo integratore” rispetto alle finalità che il presente lavoro intende presentare il quale si concentra attorno ad uno degli istituti che maggiormente appaiono oggi in oblio ovvero quello dei rimendi penali canonici regolati dall’attuale can. 1339.
La singolarità e l’unicità di questi provvedimenti richiede pertanto un adeguato percorso interpretativo che permette di comprenderne la loro ragione ontologica e giuridica quindi la loro operatività evidenziando, si res ferat, eventuali criticità.
Nel realizzare questo compito occorre procedere con gradualità.
Anzitutto si forniranno alcune indicazioni generali sui rimedi penali evidenziando il loro rapporto rispetto alle pene e la natura giuridica sottesa. Si procederà poi ad un rapido sviluppo storico commendando poi, in forma sistematica il già menzionato can. 1339 concentrandosi così sull’attuale legislazione e cioè sull’ammonizione e sulla riprensione nonché sulle nuove figure introdotte offrendo infine una valutazione di sintesi.
2. I rimedi penali canonici: inquadramento generale dell’istituto
Nell’introdurre il tema in esame occorre anzitutto fornire qualche indicazione previa che aiuta l’interprete a comprendere, in termini più precisi, il punto di partenza di questo lavoro.
Per prima cosa va ribadito come l’attuale sistema canonico relega i rimedi penali ad una disposizione residuale, il can. 1339, all’interno cioè del libro VI del Codice di diritto canonico dedicato alle sanzioni[1] e più precisamente nel titolo IV sotto la rubrica de poenisaliisque punitionibus.
La collocazione vigente può lasciare, almeno ad un primo impatto, quasi interdetti soprattutto perché si corre il fondato rischio di non comprendere né la natura giuridica né la funzione di questi istituti, complice altresì un interesse piuttosto scarso manifestato tanto dalla dottrina[2] quanto dalla giurisprudenza canonica[3] intorno ai suddetti rimedi.
Rimandando di seguito la comprensione sulla natura giuridica di riferimento occorre comprendere, più nel dettaglio, la collocazione dei rimedi penali canonici nell’economia del libro VI.
Quest’ultimo appare, in verità, come un campo di studio dagli interessi convergenti dove il problema principale, al di là della comprensione delle singole norme, risulta legato al significato da attribuire all’aggettivo poenale all’interno della cornice ecclesiastica.
Rinviando alla letteratura più specializzata[4], si può, prima facie, sottolineare l’opportunità del termine sanctiones rispetto al più specifico poenae.
Non si tratta, invero, di un mero gioco linguistico quanto di una adeguata scelta da parte del legislatore canonico che ha voluto porre l’accento sulla specificità di questo ordinamento nonché sulle differenze sussistenti rispetto ad altri sistemi giuridici cosiddetti “secolari” La Chiesa infatti vede nella punizione non già l’esercizio di un potere coattivo stricto sensu quanto una misura dettata pro bono che vuole essere strumento di carità e di comunione[5].
Detta affermazione può suscitare interrogativi pure condivisibili ma è la natura stessa della Chiesa a sostenere quanto poc’anzi detto e ciò non solo per ragioni giuridiche ma e soprattutto di natura antropologica e relazionale. Il diritto canonico infatti si manifesta, in quanto ius, attraverso una trama di rapporti sociali di vario ordine ma accumunati dalla necessità di stabilire e mantenere una plena communio inter baptizatos la quale non sempre viene rispettata determinando così la necessità di intervenire con strumenti adeguati affinché essa venga ripristinata.
Tali indicazioni, per quanto generiche, permettono di comprendere come l’intero sistema sanzionatorio sia dettato da finalità umane e pastorali[6] dove la sanzione risulta essere l’extrema ratio a cui ricorrere come ricorda il can. 1341[7] vero e proprio cardine dell’intero libro VI.
L’ampia digressione, resasi necessaria, permette di definire un primo punto fermo nella ricostruzione sostanziale dei rimedi penali che risultano così essere strumenti inquadrabili nella area delle sanzioni a condizione, tuttavia, di ritenerli distinti sia dalle pene sia da altre punizioni.
Rimane così un dilemma ben preciso a cui si cercherà di dare risposta di seguito: cosa sono, in concreto, detti rimedi e qual è il loro rapporto con la pena.
3. Natura giuridica dei rimedi penali
Le osservazioni espresse in precedenza richiedono ora una maggiore sintesi la quale intende esplicitare la quaestio maior di riferimento ovvero la natura giuridica dei rimedi penali.
Si tratta, occorre dirlo, di un punctum dolens non essendo agevole risolvere la questione sia per una infelice collocazione codiciale sia per una difficoltà terminologica cui detti istituti vanno incontro.
Anzitutto va precisato come il can. 1339 costituisce una disposizione libera e non dipendente con la conseguenza che i rimedi penali godono di autonomia al pari di quanto previsto dal Codice del 1917 quantunque siano privi – rispetto alla precedente codificazione- di chiarezza terminologia e contenutistica.
Se ciò è pacifico non lo è sicuramente la loro natura giuridica: l’attuale collocazione conduce, in prima batutta, ad ascrivere detti rimedi nella più ampia cornice delle sanzioni e, in termini meno generici, in quella delle punizioni.
Si tratta, come già suggerito, di lemmi di ampio respiro che non ammettono, invero, una soluzione omogena. Tali difficoltà risultano sussistenti anche con riguardo alla precedente codificazione dove al termine rimedio venne associato, in prima battuta, l’attributo praeventivus immediatamente sostituito, nello Schema del 1912, da quello poenale[8].
Ci si potrebbe domandare la ratio di un simile cambiamento il quale, al di là della mera sostituzione linguistica, evidenzia un cambio di paradigma notevole: a detti interrogativi è la stessa Commissione[9] di redazione a rispondere sostenendo come non tutti i rimedi hanno carattere preventivo e la loro collocazione, nell’alveo della dimensione penale, assicura una maggiore precisione contenutistica non ammettendo, in ogni caso, la loro piena assimilazione con la pena strettamente intesa[10].
La stessa dottrina del tempo sembra trascurare questi aspetti: i rimedi penali vengono infatti definiti in termini di prevenzione ma comunque legati alla pena secondo un rapporto di non facile lettura e dalle interpretazioni più varie[11].
Le medesime questioni si ripercuotono ancora oggi dal momento che la codificazione del 1983 non ha fugato i dubia intorno ai rimedi in esame.
Nel tentativo di una soluzione bisogna anzitutto osservare come il can. 1339 è inserito nel libro VI dedicato, come detto, alle sanzioni. A tale generica considerazione va affiancato un esame più attento di alcune disposizioni codiciali che meglio aiutano lo studioso in questa opera di explicatio.
Anzitutto il can. 1312 che sembra limitare lo status di pene solamente a quelle medicinali e quelle espiatorie.
Lo stesso can. 1339 risulta, come detto, rubricato sotto la dicitura De aliis punitionibus suggerendo, seppur implicitamente, la sussistenza di un altro genus distinto dalle pene propriamente dette.
Si potrebbe così dedurre come i rimedi penali risultano delle punizioni sui generis aventi una certa rilevanza con il diritto penale pur non esaurendosi in esso.
La stessa dottrina appare orientata in questo senso: per la maggior parte degli autori infatti detti rimedi non sono pene[12] sebbene non manchino altri che invece attribuiscono loro carattere penale o quasi penale[13].
Rimandando al paragrafo successivo un esame più compiuto circa l’effettiva comprensione terminologica dell’ammonizione e della riprensione occorre sottolineare come i rimedi penali non sono pene quanto strumenti di natura preventiva[14] adottabili anche senza la presenza di un delitto stricto sensu[15]. I rimedi de quibus dunque non possono essere ascritti nell’alveo delle pene in quanto non prevedono, almeno in forma complessiva, l’effettiva violazione esterna di una legge o di un precetto situandosi infatti prima che ciò avvenga. Si evidenzia così la loro natura strettamente precauzionale e non penale quantunque possano presentare connessioni con un delitto.
Resta tuttavia aperta un’altra questione.
Appurato il loro carattere non penale, perché il legislatore del 1983 ha inserito detti rimedi nel libro VI?
Non è semplice rispondere a questo interrogativo la cui soluzione risulta dettata più da contingenze pratiche che sostanziali. In effetti, ad un rapido esame dei lavori preparatori del Codice, i Consultores videro in detti rimedi una connessione con il delitto senza però considerarli come pene propriamente dette. I rimedi penali dunque si inseriscono nello ius punitivum come strumenti di prevenzione e di pronto ed immediato intervento prima che si verifichi effettivamente una compromissione dell’ordine giuridico.
La loro natura infatti ne permette un uso “elastico” modellabile a seconda delle fattispecie di riferimento volendo così evitare, per quanto possibile, il ricorso a mezzi coercitivi più rilevanti. Attraverso i suddetti rimedi la Chiesa, mater caritatis, cerca di far desistere dalla commissione di un delitto favorendo il recupero del soggetto e, allo stesso tempo, evitando di creare fratture sociali.
I quattro rimedi penali oggi sussistenti, per quanto figure distinte e autonome, assicurano tale finalità muovendosi su due piani complementari: tutela dell’ordine pubblico e fiducia nell’emendamento del soggetto passibile di un delitto e, come tale, soggetto a pena.
4. Sintesi storica
Esposta la natura giuridica dei rimedi penali occorre ricostruirne la genesi storica premettendo, anzitutto, come tale ricerca non sia esente da varie problematicità sia dal punto di vista contenutistico sia fattuale.
In effetti le fonti più antiche parlano di correptiones fraternae le quali, tuttavia, assolvevano a finalità pastorali e non già strettamente giuridiche.
È probabile che l’origine remota dei rimedi penali risalga al Medioevo allorché il lessico canonico cominciò ad utilizzare il termine monitio pur con qualche difficoltà di chiarezza espositiva e dall’uso quasi del tutto extraprocessuale[16]. L’utilizzo di tali monitiones sembra non godere di una autonomia giuridica dal momento che esse venivano utilizzate come «condizioni di ammissibilità della denuncia e quindi di necessario presupposto per l’avvio del conseguente procedimento»[17] .
Se si afferma dapprima un utilizzo fuori dal processo va da sé che già intorno al XIII secolo la monitio e la correptio vengono impiegate nel contenzioso canonico con esiti tuttavia diversi.
In effetti l’ammonizione appare di duplice fattura adottabile cioè sia in senso processuale ubi apparet de contumacia manifesta, sia in senso extraprocessuale con una distinzione non sempre lineare e di immediata applicazione[18] ma dall’utilizzo sempre più frequente come attestato da varie decretali e documenti pontifici almeno dall’epoca di Onorio III (1216-1227)[19].
Speculare appare il discorso per la riprensione la quale risulta certificata al tempo dell’istituzione del tribunale dell’Inquisizione soprattutto quando vi era un sospetto piuttosto fondato circa un delitto senza però integrare un’effettiva colpevolezza. Essa appare ben declinata nella procedura spagnola il cui utilizzo sembra denotare la necessità, si fundamentum habet, di intervenire in modo adeguato anche «cuando la acusación tenía poco fundamento»[20].
I brevi lineamenti forniti individuano l’esistenza di una vasta gamma di strumenti antesignani degli attuali rimedi penali canonici che manifestano, come suggerito, una ridotta autonomia o comunque un’applicazione dai contorni poco puntuali.
Il primo documento “ufficiale” di riferimento è dato dall’istruzione Sacra haec della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari dell’11 giugno 1880[21]. In detta instructio si raccomanda di utilizzare opportuni rimedi canonici «ad praecavendas apud [delictos] et eliminandas ordinis perturbationes». Ancora più interessante il paragrafo successivo in cui si individua una differenza importante tra rimedi penali preventivi e repressivi: i primi da adottare per evitare che il male abbia la meglio, i secondi con lo scopo di richiamare i colpevoli a buon senno e a far sì che costoro riparino al male compiuto[22]. Si specifica inoltre come l’adozione dei rimedi in esami postuli sempre un fondamento tenendo conto della gravità e dell’oggettività della situazione[23]. La novella del 1880 all’apparenza sembra infine circostanziata attorno ai soli chierici i quali risultano gli immediati destinatari di essa.
Analogamente la Cum Magnopere del 1883[24] si pone sullo stesso piano riconoscendo l’adozione di rimedi canonici al fine di combattere gli abusi e le perturbazioni dell’ordine sacro che vengono a crearsi.
Si viene così a delineare, seppur in modo lento e costante, una certa autonomia dei rimedi penali i quali, tuttavia, ancora alla fine del XIX secolo, sembrano perdersi nella galassia dei vari istituti giuridici precedenti alla codificazione del 1917.
Detto Codex infatti dedicherà, come detto, varie disposizioni all’oggetto di questo studio cercando di superare le incertezze dottrinali ed operative di cui si è accennato.
In effetti i rimedi penali vengono inglobati nel genus delle sanzioni pur non essendo necessariamente riferiti alla pena in senso stretto e venendo altresì applicati sia nei confronti dei chierici che dei laici[25].
5. L’ammonizione
Dispone il can. 1339 par. 1: «L’Ordinario può ammonire, personalmente o tramite un altro, colui che si trovi nell’occasione prossima di delinquere, o sul quale dall’indagine fatta cada il sospetto grave d’aver commesso il delitto».
Il primo rimedio menzionato dal Codice è l’ammonizione che comprende due fattispecie distinte ovvero la prima dalla chiara finalità preventiva e la seconda che invece sposta il suo raggio d’azione circa un sospetto grave relativo ad un’azione delittuosa sebbene non integri, come suggerito, la sua stessa commissione.
L’ammonizione presente in questo canone assume un profilo di autonomia dal momento che essa va distinta da altri tipi di monitiones presenti nel Codice e più precisamente da quella prevista dal can. 1347 che mira a superare la contumacia[26] la quale presuppone pertanto la commissione di un delitto ovvero dall’ammonizione prevista nei procedimenti disciplinari per la differenza tra i due ambiti di riferimento.
Infine occorre differenziare le ammonizioni giuridiche da quelle fraterne o amicali: le prime hanno infatti producono effetti in foro esterno, le seconde no[27].
5.1 Nell’occasione prossima di commettere un delitto
La prima species dell’ammonizione si presenta, almeno all’apparenza, puntuale nella sua formulazione assumendo così la forma di un provvedimento preventivo senza che ciò includa la sussistenza di un vero e proprio delitto. In effetti il Codice rimanda ad una situazione di prossimità ovvero, in altri termini, l’adozione di questa forma di ammonizione va rivolta a coloro che si trovano quasi sulla soglia del delitto cioè nella sua imminenza[28]. Si evince così quale sia la ratio di riferimento: l’ammonizione intende promuovere azioni di vigilanza e di richiamo per allontanarsi da una condotta biasimevole ossia nell’impegno di desistere da tali comportamenti[29]. Non si tratta pertanto di una pena ma di un avvertimento giuridicamente fondato con cui l’Ordinario del luogo cerca di evitare che il delitto si realizzi.
Può sorgere, in tal senso, una precisa domanda.
Quali sono i casi, in concreto, in cui questo genere di ammonizione può essere disposta?
Il tenore esteso della disposizione permette una lettura ampia in cui coesistono diverse fattispecie tutte associate dalla forte marcatura preventiva. Si potrebbe così pensare alla possibile divulgazione di materiale integrante i delitti di eresia o di apostasia ovvero a misfatti rientranti nell’area sessuale o in quella economica[30].
L’eterogeneità di questi casi suppone, ad ogni modo, la necessaria verifica del fatto non già nella forma di un’indagine tout court ma di un esame ponderato e specifico che integri il possibile fumus integrante l’occasione prossima.
5.2 Nel sospetto grave di aver commesso un delitto
La seconda possibilità relativa all’adozione di un’ammonizione assume un carattere misto.
Tale rimedio penale infatti può essere applicato sia in presenza di un sospetto fondato sia, a contrario, infondato cambiandone però, la funzione. Nel primo caso l’ammonizione intende mettere in guardia il fedele dalle conseguenze a cui andrebbe incontro qualora l’azione criminale venisse portata ad esecuzione, nell’altro essa costituisce un vero e proprio biasimo che estende la sua portata verso determinati comportamenti integranti sospetti lesivi dell’ordine pubblico[31].
Varie, anche in detta ipotesi, possono essere le situazioni di riferimento: si può pensare ad un chierico su cui grava il sospetto di aver violato il sigillo sacramentale o di un medico che ha praticato un aborto.
Ad ogni modo il sospetto deve essere grave e risultare da un’indagine.
Tali elementi costituiscono il proprium di questa tipologia di ammonizione: sul primo punto occorre dire che la gravità va interpretata in relazione ai singoli casi e dipende anche dal delitto di riferimento.
Risulta tuttavia necessario accertare detta gravità in foro esterno verificando, in modo opportuno, se l’adozione di un’ammonizione può sortire gli effetti voluti: in questo senso si specifica la necessità di un’indagine della quale il Codice non offre alcun dettaglio di riferimento e che, nel silenzio normativo, può essere disposta con varie modalità purché non lesive della buona fama del soggetto coinvolto[32].
L’unico elemento che va salvaguardato rimane la finalità della suddetta actio investigativa la quale non deve condurre alla certezza morale che il delitto sia avvenuto ma al riscontro della veridicità o meno del sospetto[33] condizione necessaria per l’eventuale adozione dell’ammonizione.
6. La riprensione
Il secondo rimedio penale è la riprensione la quale può essere definita come un rimprovero rivolto dall’Ordinario verso un fedele che, con il suo comportamento, arreca scandalo o turbamento all’ordine pubblico[34].
Si tratta, occorre dirlo, di un richiamo più forte rispetto all’ammonizione dalla quale si distingue per la maggiore dimensione repressiva e per le conseguenze a cui si va incontro. In effetti, a differenza della prima figura analizzata, la riprensione assume delle connotazioni singolari per il suo carattere ufficiale e soprattutto perché si riferisce ad uno scandalo[35] o ad un turbamento ricomprendendo cioè una vasta gamma di azioni, tutte in foro esterno, che ledono alla tranquillitas Ecclesiae.
Appare così evidente la connotazione maggiormente sanzionatoria sussistente in detto rimedio il quale, tuttavia, non presuppone il delitto ma un comportamento ovvero una serie reiterata di atti da cui può discendere lo scandalo o il turbamento.
La riprensione infatti non può essere disposta in termini occasionali poiché presuppone un certo dinamismo ovvero un’azione di durata frequente che produce i suoi effetti nel tempo[36].
In una parola, mentre l’ammonizione si concentra su un determinato atto, la riprensione allarga il suo orizzonte applicativo all’intera azione modellandosi sulla persona e sulle sue caratteristiche.
Ma quali possono essere le fattispecie di riferimento?
Nel silenzio codiciale si può pensare, come nota la dottrina, ad un chierico che con certune persone non si comporta con prudenza o ad un fedele che pubblica in riviste o libri insegnamenti contrari alla dottrina cristiana fornendo pure delle novità sconcertanti[37].
Ciò che davvero conta è, ad ogni modo, la reiterazione dell’azione ovvero la sua persistenza che sembra non ammettere alcun cambiamento sostanziale.
La riprensione costituisce così un provvedimento più invasivo rispetto all’ammonizione avendo come scopo principale quello di far dissuadere la persona dal suo comportamento ma anche la funzione di ristabilire la giustizia e far pentire il soggetto[38].
Un cenno infine va posto in relazione all’inciso «modo peculiaribus personae et facti condicionibus accommodato»: il tenore della disposizione autorizza, come suggerito, ad interpretare la ratio della riprensione a misura d’uomo dal momento che essa richiede sempre uno sguardo significativo rispetto alla situazione di riferimento e al background dell’interessato.
In altri termini, prima dell’adozione della riprensione, bisognerà esaminare sia elementi soggettivi sia oggettivi: circa i primi occorre fare riferimento all’età del soggetto, alla sua cultura, alla sua buona fede ovvero all’intentio di riferimento. Per quanto riguarda quelli oggettivi il raggio d’azione deve tener conto non solo dell’impatto immediato che si può avere ma anche delle conseguenze a breve e a medio termine per cui l’adozione di un simile provvedimento richiede sempre prudenza e una visione d’insieme completa e significativa.
7. Profili applicativi dei rimedi penali (can. 1339 par. 3)
Esposti i rilievi sostanziali relativi all’istituto che qui analizza è necessario concentrarsi intorno a quelli pratici espressi, seppur in forma generica, dal can. 1339 par.3
In primo luogo va notato l’uso, ben espresso, dal verbo debet di conservare cioè una copia documentale nell’archivio segreto della Curia. La ratio della disposizione è chiara: un rimedio penale richiede, ex natura sua, di essere conservato ai fini della sua stessa esistenza. Si tratta, in tal modo, di mantenere il ricordo di un’ammonizione o di una riprensione anche in vista di un loro possibile utilizzo in sede processuale ovvero anche in relazione alla posizione stessa del soggetto che, dinnanzi alla sussistenza di uno di questi strumenti, può vedere aggravata la sua condizione giuridica. Infine la conservazione in archivio tutela l’Ordinario che emanò il provvedimento dimostrandone la sua prudenza e il suo zelo pastorale[39].
Il riferimento, più volte espresso, all’Ordinario risulta costitutivo per il tema che qui si tratta.
È infatti costui il soggetto attivo della procedura dal momento che l’adozione di un rimedio penale è subordinato ad una sua decisione: occorrerà, va detto, una certa prudenza nell’azione verificando, soprattutto nel caso della correptio, le caratteristiche della persona e il suo modus agendi. Più in particolare il rimando esplicito alla figura dell’Ordinario consolida la tesi di cui già si è detto ovvero il carattere non penale dei suddetti rimedi che dunque risultano provvedimenti amministrativi posti a tutela della disciplina ecclesiale senza che ciò integri la commissione di un delitto.
Lo stesso Ordinario dispone l’adozione dei rimedi penali tramite o decreto (can. 1342§1) o con sentenza giudiziaria (can. 1328 §2).
Circa la sentenza nulla quaestio mentre qualche maggiore dettaglio è richiesto in relazione ai decreti.
Nel silenzio codiciale si ritengono applicabili le disposizioni di cui ai cann.50 e ss.
Occorrerà perciò almeno un’informativa previa circa le ragioni giustificative connesse a tali rimedi ascoltando, come ricorda il can. 50, anche coloro i cui diritti possono essere lesi.
In secondo luogo si richiede apposita motivazione sia in iure sia in facto: i rimedi penali perciò non possono essere adottati secondo parametri di arbitrarietà ma sono sempre soggetti ad un’esposizione ben precisa delle giustificazioni sottese[40] richiedendo inoltre la forma scritta (can. 51).
In terzo il decreto contenente un rimedio penale dovrà essere notificato secondo quanto previsto dalla normativa comune di cui ai cann. 55-56[41].
A corollario di quanto detto si intuisce come detti strumenti possono essere oggetto di impugnazione sia per quanto riguarda motivazioni di carattere soggettivo, quali la possibile lesione della buona fama del soggetto, sia oggettive come, ad esempio, la mancanza di presupposti sostanziali che conducono così all’illegittimità del provvedimento.
Per ciò che riguarda la procedura essa è quella prevista dal Codice e più in particolare dai cann. 1732-1739: in concreto avverso il decreto contenente il rimedio penale si ricorrerà, dapprima all’autorità che lo ha emanato espletando successivamente il ricorso gerarchico[42] e solo infine potrà essere adito il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica per ciò che attiene ai vizi in decernendo o in procedendo secondo la normativa propria[43].
7.1. Il can. 1339 § 4
Occorre infine, a mò di completamento, segnalare come la novella legislativa del 2021 abbia modificato, e non poco, il suddetto canone prevedendo l’inserimento di due nuovi paragrafi su cui si pone ora la nostra attenzione.
Non si tratta di mere correzioni lessicali quanto di modifiche sostanziali che intendono rafforzare e meglio definire i rimedi penali all’interno dell’economia del libro VI e della funzione del diritto penale della Chiesa.
Ciò è significato, in primo luogo, dall’ introduzione del rimedio del precetto penale così come previsto dal paragrafo quarto del can. 1339.
L’originalità legislativa non costituisce, occorre dirlo, una novità stricto sensu dal momento che il precetto penale era disciplinato nel Codex del 1917 e più precisamente dal can. 2310 da cui l’attuale normativa riprende i principali elementi sostanziali ed applicativi. Si evidenzia, ad un esame più approfondito, come l’uso di questo rimedio sia subordinato al previo quanto infruttuoso espletamento di ammonizioni e correzioni risultando così un provvedimento dal forte carattere impositivo con il quale si intima di fare o di evitare un qualcosa[44].
Il legislatore del 2021 ha così voluto «consegnare in mano all’Ordinario uno strumento agile per correggere diversi tipi di trasgressioni o atti gravi contro la disciplina»[45] che appare, tuttavia, più pregnante e sicuramente più incisivo rispetto agli altri rimedi precedentemente visti.
Più specificamente il precetto penale non è un mero atto discrezionale, né un semplice invito quanto un vero e proprio atto impositivo al quale occorre uniformarsi[46]. Ciò concorre a sottolineare il carattere iussivo del provvedimento in esame che però non può essere, come visto, disposto in forma immediata ma richiede, ex sua natura, già una situazione di per sé problematica ed incerta che non è stata risolta dagli altri strumenti messi a disposizione dalla legge.
Soggetto attivo è l’Ordinario mentre per quanto riguarda la procedura applicativa si rimanda ai già menzionati cann. 48-58 circa i decreti singolari.
Maggiori difficoltà sorgono invece intorno ad una questione non prevista dal Codice ma che da questi si ricava seppur in modo accidentale.
Per emanare un precetto penale è necessaria o meno una previa indagine?
La domanda appare legittima seppure non sia di facile risposta come dimostrano i diversi pareri espressi dalla dottrina anteriore al 1983[47]. Nel silenzio del Codice ritengo che sia opportuno disporre di una previa indagine dalla quale si ricava materiale utile per allocare detto rimedio tenendo conto sia dall’infruttuosità delle ammonizioni e delle riprensioni sia del comportamento del soggetto destinatario del precetto penale.
Emerge, a chiare note, la necessità di contemperare aspetti diversi eppure complementari in un crescendo di interventi sanzionatori che cercano però di evitare, per quanto possibile, l’irrogazione di una pena e perciò di un processo.
Il rimedio penale del precetto pertanto necessita di un’osservazione più esemplare e, allo stesso modo, più ampia in cui la valutazione compiuta dall’Ordinario non solo tende al bonum personae ma anche al bonum Ecclesiae di cui detto rimedio si fa interprete specifico sempre nell’ottica preventiva e non strettamente punitiva.
7.2. Il can. 1339 par. 5.
La seconda novità introdotta con la riforma del 2021 concerne il rimedio penale della vigilanza anch’esso, in verità, già presente nella codificazione del 1917 ma, al pari del precetto, espunto in quella attuale pur essendo, in parte, utilizzato nella prassi.
Per comprendere la ratio di questo provvedimento serve sottolineare come esso venga disposto in casi particolarmente gravi ovvero se lo richiede il caso ed in particolare una persona che ha già commesso un delitto può ricadervi[48].
Da ciò si evince il carattere fortemente preventivo di detto rimedio che comporta in capo a chi lo riceve un obbligo di ottemperare ad una certa condotta.
Presupposto necessari sono da un lato la gravità del caso e dall’altro il pericolo di ricadere in un delitto.
Circa il primo esso va declinato nella permanenza del misfatto ovvero nel rimanere in una condizione di simile fattura: la seconda condizione riguarda invece un’occasione concreta, netta e specifica di recidiva sia per lo stesso delitto sia per un altro[49].
Puntuale risulta la finalità: con questo rimedio si vuole verificare che il modus agendi della persona vigilata si uniformi alla legge e a quanto viene prescritto[50].
Per ciò che riguarda gli aspetti pratici è necessario verificare ex ante le due condizioni poc’anzi espresse le quali devono così sussistere nel decreto che accompagna l’irrogazione di questo rimedio[51] che dovrà essere pertanto succintamente motivato applicandosi, come già detto in precedenza, le disposizioni dei cann. 48-58 in merito ai decreti singolari.
8. Valutazioni di sintesi
I rimedi penali costituiscono un particolare genus di provvedimenti sanzionatori posti a cavaliere tra l’area strettamente penale e quella più meramente esortativa e consigliatrice la quale sfugge a qualsiasi determinazione giuridica.
In questo senso i rimedi in esame non possono non essere considerati istituti giuridici: ciò è evidente non solo perché vengono promulgati attraverso specifici provvedimenti normativi ma anche per le loro ricadute esteriori agendo non in foro interno quanto in foro esterno. La natura di questi istituti esige un’attenzione specifica: non sono pene ma neppure semplici incoraggiamenti: si tratta, in altre parole, di figure che chiedono di essere riconosciute come tali ovvero come misure di prevenzione capaci di evitare che il delitto possa essere compiuto o intervenire, in modo repentino e netto, per scongiurare conseguenze ancor più gravi.
I rimedi penali costituiscono così delle misure ad hoc che richiedono, per la loro adozione un opportuno quanto singolare esame delle fattispecie a cui afferiscono.
La loro dimensione è sì avvolta dal manto della pastoralità ma dispiega i suoi effetti anche in quella giuridica perché la loro promulgazione comporta determinate conseguenze valutate in senso normativo stricto sensu.
La presenza di questi provvedimenti nel sistema canonico suggella, al meglio, quella sapientia che il legislatore canonico intende imprimere a tutto il Codice e, a maggior ragione, nel libro VI dedicato al diritto penale: occorre così evitare che il male nasca e che produca incrinature nella comunità ed è a ciò che concorrono, prima facie, detti rimedi che vogliono pertanto scongiurare, come detto, la sussistenza di delitti.
In secondo luogo la funzione dei rimedi penali è quella di intervenire a correggere certi comportamenti: vi può essere un sospetto di cui però non sia ha prova sufficiente ma ciò non toglie come si possa e si debba intervenire proprio per far comprendere ad un fedele che è giusto cambiare rotta.
La novella del 2021 ha portato a prevedere altri due rimedi ovvero quello del precetto e della vigilanza recuperando una consolidata tradizione ben espressa dal Codice del 1917.
L’inserimento di questi due istituti non toglie nulla alla natura giuridica dei rimedi ma, al contrario, la rafforza creando così una vera e propria scala di interventi prodromici, si res ferat, al processo e all’eventuale pena.
I rimedi penali, in una parola, costituiscono un terreno fertile su cui la dottrina è chiamata ad interrogarsi verificando, nel concreto, i loro profili applicativi: il can. 1339 non è infatti carta morta quanto una punta di diamante che permette di comprendere, assieme ad altre disposizioni, la vera natura punitiva della Chiesa.
Un diritto penale a misura d’uomo si diceva in cui il bene della persona non deve essere separato da quello della Chiesa che, disponendo di questi strumenti, cerca di ricucire fratture, di ricomporre ferite e allo stesso tempo invitando a cambiare modo di vivere.
Conoscere ed approfondire detti strumenti vuol dire immergersi in una realtà, come quella sanzionatoria, in cui lo ius canonicum rivela il suo carattere prudente e pratico, preventivo e personalistico rivolto alla salus animarum di tutti e di ciascuno.
[1]Il libro VI del Codice di Diritto canonico è stato spesso oggetto di poco interesse da parte della dottrina che, solo negli ultimi decenni, ha allargato il suo sguardo su di esso. Per un commento più recente si segnala ARCISODALIZIO DELLA CURIA ROMANA, Diritto penale canonico: dottrina, prassi e giurisprudenza della Curia Romana, Città del Vaticano, 2023.
[2] Pochissime infatti le monografie dedicate all’argomento. Sul punto si rimanda a C. Gabellini, Rimedi penali e penitenze, Roma, 2003; G.P. Montini, Rimedi penali e penitenze, in Il processo penale canonico a cura di Z. SUCHECKI , Roma, 2000, 77-96.
[3]Scarsa è la sussistenza di detti strumenti sia nella prassi della Rota Romana sia in quella della Segnatura Apostolica.
[4]Sull’uso del termine sanzione nel lessico canonistico D.G. ASTIGUETA, La pena come sanzione: un contributo su questo termine, in Periodica de re canonica 101, 2012, 512-534.
[5]Cfr. R. BOTTA La norma penale nel diritto della Chiesa, Bologna, 2001, 15-17: M. VENTURA, Pena e penitenza nel diritto canonico postconciliare, Napoli, 1996, 67-84.
[6]Chiariamo immediatamente come l’attributo pastorale non va enfatizzato dal momento che quest’ultimo non deve ostacolare o mettere in secondo piano l’intrinseca giuridicità delle norme ecclesiali. Per una corretta declinazione della pastoralità nel diritto penale canonico si rimanda a J.J. ARRIETA, La funzione pastorale del diritto penale, in Ius Ecclesiae, 2022, 34, 47-66.
[7]Il can. 1341 costituisce la vera punta di diamante dell’intero trattato sul diritto penale da cui si deduce il suo corretto e specifico significato. La versione attuale ha mutato, in parte, la disposizione del 1983 rafforzandone il carattere impositivo e precettivo.
[8]Per il cammino di redazione del Codice del 1917 soprattutto per l’area penale si rimanda a M. VISMARA MISSIROLI - L. MUSSELLI, Il processo di codificazione del diritto penale canonico, Padova, 1983, 74.
[9]Ibid., 43.
[10]Si esprime in questo senso A. BLAT, Commentarium textus Codicis iuris canonici, Roma, 1924, 188
[11]Per alcuni i rimedi penali hanno natura strettamente preventiva come ricorda V. DEL GIUDICE, Nozioni di diritto canonico, Torino, 1968, 568-569. Non mancano invece tesi più articolate dove il rimando al carattere penale sembra più stringente. Cfr. F WERZN – P. VIDAL , Ius canonicum, Roma, 1951; M. CONTE A CORONATA, Institutiones iuris canonici, Taurini, 1950, 274-275.
[12]Su questo versante A. CALABRESE, Diritto penale canonico. Città del Vaticano, 2006, 93-94; A. BORRAS, Les sanctions dans l’Eglise, Paris, 1990, 95; M. CECE, La pena e le sue finalità dal periodo arcaico ad oggi, Roma, 2006, 345.
[13]E’ la tesi espressa da A. SERIAUX, Droit canonique, Paris, 1996, 685-687. Cfr. R. KAMANGLA KAMBA, Les remedes penaux et les penitences, Roma, 1993, 23-24.
[14]Cfr. J. SANCHIS, Sub can. 1339, in Comentario exegetico al Codigo de Derecho canonico, Pamplona, 1996, 595-597.
[15]Per un approfondimento G. MILLOT, La négligence dans l'exercice des charges. Approche en droit canonique penal, Roma, 2014, 262.
[16] Riferimenti in P. MONETA, Monizione, in Enciclopedia del diritto, 1976, 26, 778-784.
[17] Ibid., 781.
[18] Qualche lineamento si offre in J. P. MIGNÉ, Encyclopédie théologique, Paris, 1844-1862, 554.
[19]Ibid., 555-558. L’autore riporta vari provvedimenti pontifici in cui è evidente l’ampio uso di questo strumento giuridico dall’epoca medievale fino a quella moderna.
[20]Ibid., 557.
[21]Si veda SACRA CONGREGATIO EPISCOPORUM ET REGULARIUM. instructio Sacra haec, 11 giugno 1880 in AAS, 1880, 13, 324-336.
[22]Ibid., 325.
[23]Ibid., 326.
[24]SACRA CONGREGATIO DE PROPAGANDA FIDE, instructio Cum Magnopere, in P. Gasparri ed., Fontes, 475-479, Romae, 1935.
[25] Sul punto CONTE A CORONATA M. Institutiones, 272-273.
[26]Sul can. 1347 si rimanda a L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico: commentario giuridico-pastorale, Bologna, 2011, 676-677.
[27] Il punto è ben disciplinato da A. CALABRESE, Diritto penale canonico, 141.
[28]Così G.P. MONTINI, Rimedi penali, 83.
[29]Si veda B.F. PIGHIN, Diritto penale canonico, Venezia, 2014, 218-219.
[30]Riferimenti in merito si rinvengono in G.P. MONTINI, Rimedi penali, 83 ovvero in W.H. Woestman, Ecclesiastical sanctions and the penal process, Ottawa, 2000, 64-65.
[31]Si veda C. GABELLINI Rimedi penali, 24-25.
[32]Ci si può riferire all’indagine previa di cui al can. 1717 CIC che, come suggerito dal nome, non ha carattere penale ma amministrativo ed è orientata a verificare la fondatezza della notitia criminis.
[33]Il sospetto non fa la certezza definita opportunamente come morale ai sensi del can. 1608. Tale certitudo è condizione necessaria per una valida sentenza presupponendo così la presenza di un fumus boni iuris necessario per l’apertura del processo penale. Sul punto risulta amplissima la letteratura: si segnala, per tutti, l’opera di J. J. GARCIA FAILDE, Nuevo derecho procesal canonico, Saragozza 1995, 174-176.
[34]Si veda G.P. MONTINI, Rimedi penali, 86.
[35] Sulla nozione di scandalo D.G. ASTIGUETA, Lo scandalo nel CIC: significato e portata giuridica, in Periodica de re canonica, 2003, 92, 589-651.
[36]Sul punto C. GABELLINI, Rimedi penali, 37.
[37] Così K. KAMANGLA KAMBA, Les remedes penaux, 66.
[38]Cf. C. GABELLINI, Rimedi penali, 38.
[39] Cf. G.P. MONTINI, Rimedi penali, 87-88. Il Codice parla opportunamente dell’archivio segreto della Curia quale luogo deputato alla conservazione dei documenti più importanti. Sul can. 490 si rimanda a O. PASQUINETTI, I lineamenti della disciplina canonica sugli archivi ecclesiastici, in Quaderni di diritto ecclesiale, 3, 1994, 368-379; E. ZANETTI, L’archivio diocesano e il cancelliere, in Quaderni di diritto ecclesiale, 14, 2001, 144-161.
[40]Sulla motivazione dei decreti singolari A. MIGLIAVACCA , I decreti vanno scritti e motivati (c. 51). Commento a un canone, in Quaderni di Diritto Ecclesiale, 13 (2000) 300-306.
[41]Più dettaglio l’intimazione potrà essere fatta o direttamente all’interessato o, quando vi è una gravissima ragione che si frappone alla consegna del testo, si ritiene intimato se viene letto alla persona cui è destinato di fronte a un notaio o a due testimoni, con la redazione degli atti, da sottoscriversi da tutti i presenti. Inoltre il can. 56 ricorda come si ha intimazione anche quando colui al quale il decreto è stato intimato non compare senza giusta causa. Per un approfondimento valga per tutti V. DE PAOLIS – A. D’AURIA, Le norme generali: commento al Codice di diritto canonico, libro I, Città del Vaticano, 2010.
[42] Sui ricorsi gerarchici si rimanda a G. P. MONTINI, I ricorsi gerarchici (can. 1732-1739), Roma, 2023;
[43] Sul punto si veda J. CANOSA, La conoscenza del contenzioso amministrativo presso la Segnatura Apostolica, in Ius Ecclesiae 28 (2016),637-660: A. RIPA, Il contenzioso amministrativo, riflessioni sulla recente giurisprudenza della Segnatura Apostolica: decisioni riformate e consultazione del consiglio presbiterale, in Arcisodalizio della Curia Romana, ed., Diritto canonico: nel solco della tradizione, Città del Vaticano 2024, 367-399.
[44]La ratio è analoga a quanto previsto dalla codificazione del 1917. Cf. S. PEPERONI, Lineamenta iuris poenalis canonici, Roma, 1966, 432-434.
[45] Così DICASTERO PER I TESTI LEGISLATIVI, Le sanzioni penali nella Chiesa: sussidio applicativo del libro VI del Codice di Diritto Canonico, Città del Vaticano, 2023, 75.
[46]Sul punto J. J. ARRIETA La funzione pastorale del diritto penale, Ius Ecclesiae, 34 (2022), 64-65.
[47]In senso positivo F.X. Werzn secondo cui il precetto penale «ex natura rei requirit praeviam facti notitiam, immo praeviam plenam probationem delicti vel admissi vel proximae admittendi, si quando detur non praemissa monitione quia ex ea effectus non sperabatur». Cf. F.X. WERZN – P. VIDAL, Ius canonicum, 401. In senso negativo M. CONTE A CORONATA, Institutiones, 270: «Ad praeceptum dandum procedere non licet ante summariam facti cognitionem, idest, ante collectas probationes vel scandali dati, vel proximae deliquendi occasionis, vel ordinis graviter perturbati».
[48] Cf. C. GABELLINI, Rimedi penali, 17.
[49]Sul punto M. CONTE A CORONATA, Institutiones, 271.
[50]Cfr. DICASTERO PER I TESTI LEGISLATIVI, Sussidio, 77.
[51]Non vi sono in effetti elementi specifici circa il rimedio della vigilanza: si ritengono pertanto applicabili le norme comune sui decreti singolari. Cfr. M. CONTE A CORONATA, Institutiones, 271; G. MICHIELS, De delictis et poenis. Paris – Tournai-Romae, 1961, 464: S. PEPERONI , Lineamenta, 435.
Bibliografia
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