Pubbl. Gio, 23 Apr 2020
Diritto al silenzio dinanzi alle Autorità Amministrative Indipendenti
Modifica paginaIl presente lavoro ha lo scopo di indagare sulla portata del diritto al silenzio, quale istituto di matrice tipicamente penale, nel procedimento dinanzi alle Autorità Amministrative Indipendenti nel caso in cui queste ultime emettano una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale, alla luce del dialogo tra le Corti.
Sommario: 1. Premessa; 2.I termini della questione; 3. Conclusioni.
1. Premessa
La Corte Costituzionale con ordinanza n. 117 del 10 maggio 2019 sottopone alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla L. 2 agosto 2008, n. 130, le seguenti questioni pregiudiziali:
a) se l'art.14, paragrafo3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto tuttora applicabile ratione temporis, e l'art.30, paragrafo 1, lettera b) del regolamento (UE) n. 596/2014 debbano essere interpretati nel senso che consentono agli Stati membri di non sanzionare chi si rifiuti di rispondere a domande dell'autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura "punitiva";
b) se, in caso di risposta negativa a tale prima questione, l'art.14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto tuttora applicabile ratione temporis, e l'art.30, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (UE) n. 596/2014 siano compatibili con gli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, anche alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo in materia di art. 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono di sanzionare anche chi si rifiuti di rispondere a domande dell'autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura "punitiva".
In virtù dello spirito di leale cooperazione tra corti nazionali ed Europee nella definizione di livelli comuni di tutela dei diritti fondamentali la Corte, prima di decidere sulla questione di legittimità costituzionale ad essa sottopostale dalla Cassazione, ritiene necessario sollecitare un chiarimento, da parte della Corte di giustizia UE, sull'esatta interpretazione ed eventuale validità delle norme in questione.
Come si evince dall'ordinanza in esame, giudici nazionali e comunitari sono stati chiamati ad affrontare la complessa quanto delicata questione del “diritto al silenzio” nell'ambito dei procedimenti sanzionatori innanzi alle autorità amministrative indipendenti, analizzando, in tal modo, profili di matrice comunitaria, internazionale e nazionale di stampo penale, amministrativo e costituzionale.
La questione sorge a seguito del dubbio relativo alla legittimità costituzionale dell'art. 187-quinquesdecies del D.Lgs. n. 58 del 1998[i], prospettato dalla Corte di Cassazione alla Corte Costituzionale, nella parte in cui sanziona la mancata ottemperanza nei termini alle richieste della Commissione nazionale per le società e la borsa, ovvero la causazione di un ritardo nell'esercizio delle sue funzioni, "anche nei confronti di colui al quale la medesima Consob, nell'esercizio delle proprie funzioni di vigilanza, contesti un abuso di informazioni privilegiate".
La formulazione del suddetto articolo dispone che l'illecito può essere commesso non solo da chi non ottempera nei termini alle richieste delle autorità ovvero ne ritarda l'esercizio delle funzioni, ma anche da chi non coopera con le autorità medesime al fine dell'espletamento delle relative funzioni di vigilanza. Pertanto, non si rinviene nessuna facoltà di non rispondere per colui che sia già stato individuato dalla Consob come il possibile autore di un illecito, il cui accertamento rientri entro le competenze dell'autorità stessa.
Si discute, pertanto, se tale "diritto al silenzio" possa o meno estendersi anche ai procedimenti di carattere formalmente amministrativo, ma funzionali all'irrogazione di sanzioni di carattere sostanzialmente "punitivo".
Come noto, la tutela del diritto al silenzio, quale istituto di matrice penale posto a fondamento del nostro sistema di giustizia di tipo accusatorio e retto sul principio del “nemo tenetur se detegere” si colloca a presidio e garanzia della dignità dell'imputato, il quale non può divenire principale accusatore di se stesso.
A sostegno di tale previsione vi soccorrono, altresì, l'irrinunciabile diritto di difesa, la libertà morale e la presunzione di innocenza, cristallizzati a livello nazionale e non.
2.I termini della questione
Come anticipato, la Corte di Cassazione dubita della legittimità della sanzione, prevista dall'art. 187-quinquiesdecies del D.Lgs. n. 58 del 1998, da irrogare a colui il quale si sia rifiutato di rispondere a domande dalle quali sarebbe potuta emergere la propria responsabilità, nell'ambito di un'audizione disposta dalla Consob nell'esercizio delle sue funzioni di vigilanza.
La questione è riconducibile alla natura delle sanzioni delle autorità amministrative indipendenti, querelle già affrontata e risolta dai c.d. Engel Criteria in ordine al problema del ne bis in idem e alla possibilità di rinvenire o meno, nel procedimento sanzionatorio in questione il diritto al silenzio, di matrice processualepenalistica.
Ciò in quanto nell'ordinamento italiano, l'abuso di informazioni privilegiate si qualifica come illecito amministrativo ex art. 187 bis e come illecito penale, ex art.184 del decreto suddetto ed i relativi procedimenti possono essere attivati e proseguiti contestualmente, nell'ottica del doppio binario sanzionatorio ed entro i limiti di compatibilità con il divieto di bis in idem .
Pertanto, ove si riconosca natura penale alle sanzioni applicate dalla Consob, in quanto sostanzialmente afflittive, nell'ottica dei diritti fondamentali, si rinverrebbe non solo il divieto di ne bis in idem nel caso in cui si procedesse nuovamente dinanzi al giudice penale in base agli stessi fatti ma, altresì, una lesione del diritto al silenzio, quale garanzia tradizionale della procedura penale.
Nello specifico, in relazione al diritto al silenzio nei procedimenti sanzionatori amministrativi, a livello comunitario si registrano orientamenti contrastanti, infatti la Corte di Lussemburgo tende ad escluderne il riconoscimento in procedimenti dei quali riconosce il carattere “punitivo”; mentre quella di di Strasburgo, più garantista, ne sostiene l'applicazione nei procedimenti amministrativi suscettibili di sfociare nell'irrogazione di sanzioni di carattere punitivo.
Nell'ordinamento italiano, invece, non è consentito utilizzare nel processo penale le dichiarazioni rese all'autorità amministrativa senza le garanzie del diritto di difesa, tra cui l'avvertimento della facoltà di non rispondere, ma tali dichiarazioni, rese all'autorità amministrativa a fronte della minaccia di sanzione per il caso di mancata cooperazione, potrebbero fornire all'autorità stessa informazioni essenziali in vista dell'acquisizione di ulteriori elementi di prova della condotta illecita, che verrebbero utilizzati anche nel successivo processo penale contro l'autore della condotta.
Tuttavia, l'obbligo di risposta ai quesiti posti dalla Commissione potrebbe non essere contrario al diritto di difesa in quanto "nulla impedisce al destinatario di dimostrare, in un momento successivo nell'ambito del procedimento amministrativo o nel corso di un procedimento dinanzi al giudice comunitario, nell'esercizio dei suoi diritti di difesa, che i fatti esposti nelle risposte hanno un significato diverso da quello considerato dalla Commissione". L'unico limite al dovere di rispondere che incombe sulle imprese interessate è rappresentato dal divieto per la Commissione di "imporre all'impresa l'obbligo di fornire risposte attraverso le quali questa sarebbe indotta ad ammettere l'esistenza della trasgressione, che deve invece essere provata dalla Commissione".
3.Conclusioni
In definitiva, sarà necessario chiarire se le disposizioni menzionate della direttiva 200376/CE e del regolamento (UE) n. 596/2014 debbano essere interpretate nel senso che consentono allo Stato membro di non sanzionare chi si rifiuti di rispondere a domande dell'autorità competente dalle quali possa emergere la sua responsabilità per un illecito punito con sanzioni penali o con sanzioni amministrative di natura "punitiva".
Ove la risposta fosse affermativa la dichiarazione di illegittimità costituzionale in parte qua dell'art. 187-quinquesdecies del D.Lgs. n. 58 del 1998 sollecitata dalla Corte di cassazione - fondata sul diritto fondamentale della persona a non essere costretto a rendere dichiarazioni di natura confessoria - non si porrebbe in contrasto con il diritto dell'Unione.
In caso contrario, la Corte dovrebbe, in ogni caso, pronunciarsi sulla compatibilità delle disposizioni suddette con gli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, anche alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo in materia di art. 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono di sanzionare anche chi si rifiuti di rispondere a domande dell'autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni penali e/o con sanzioni amministrative di natura "punitiva".
Ipotizzando che, a presidio e garanzia dell'inviolabile diritto di difesa, anche se non espressamente riconosciuto nell'ambito dei procedimenti sanzionatori innanzi alle autorità amministrative indipendenti, quali procedimenti di carattere formalmente amministrativo ma funzionali all'irrogazione di sanzioni a carattere punitivo, il diritto al silenzio dovrebbe trovarvi adeguato ristoro.
[i] art. 187 quinquiesdecies TUF:
1. Fuori dai casi previsti dall'articolo 2638 del codice civile, è punito ai sensi del presente articolo chiunque non ottempera nei termini alle richieste della Banca d'Italia e della Consob, ovvero non coopera con le medesime autorità al fine dell'espletamento delle relative funzioni di vigilanza, ovvero ritarda l'esercizio delle stesse.
1-bis. Se la violazione è commessa da una persona fisica, si applica nei confronti di quest'ultima la sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila fino a euro cinque milioni.
1-ter. Se la violazione è commessa da una società o un ente, si applica nei confronti di questi ultimi la sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila fino a euro cinque milioni, ovvero fino al dieci per cento del fatturato, quando tale importo è superiore a euro cinque milioni e il fatturato è determinabile ai sensi dell'articolo 195, comma 1-bis. Fermo restando quanto previsto per le società e gli enti nei confronti dei quali sono accertate le violazioni, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal comma 1-bis nei confronti degli esponenti aziendali e del personale della società o dell'ente nei casi previsti dall'articolo 190 bis, comma 1, lettera a).
1-quater. Se il vantaggio ottenuto dall'autore della violazione come conseguenza della violazione stessa è superiore ai limiti massimi indicati nel presente articolo, la sanzione amministrativa pecuniaria è elevata fino al doppio dell'ammontare del vantaggio ottenuto, purché tale ammontare sia determinabile