ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Ven, 22 Nov 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Diritto costituzionale e crisi economica

Modifica pagina

Camilla Della Giustina
Dottorando di ricercaUniversità della Campania Luigi Vanvitelli


La crisi finanziaria che ha colpito gli Stati appartenenti all´Unione europea ha prodotto effetti sul sistema costituzionale interno degli stessi. Si offre una disamina di quanto avvenuto nel sistema costituzionale italiano.


Sommario: 1. Introduzione; 2. “Crisi” e la “crisi economica”; 3. Gli effetti della crisi, 3.1. La revisione della Costituzione tedesca, 3.2. La revisione della Costituzione italiana; 4. Gli esiti della crisi, 4.1. Sul sistema delle fonti, 4.2. Sulla forma di governo 4.3. Sui rapporti tra Stato e autonomie locali; 5. La posizione della Corte costituzionale; 6. Politica/economia VS. diritto/etica.

Abstract ita: Questo articolo descrive gli effetti della crisi finanziaria su diversi ambiti del diritto Costituzionale: dalle modifiche della stessa Costituzione alla posizione assunta dalla Corte costituzionale. L’ultimo paragrafo riflette sulla contrapposizione tra politica ed etica, diritto ed economia.

Abstract eng: This article describes the effects of the financial crisis on various areas of Constitutional law: from the amendments to the Constitution itself to the position taken by the Constitutional Court. The last paragraph reflects on the contrast between politics and ethics, law and economics.

1. Introduzione

La crisi economico-finanziaria a causa delle sue manifestazioni ed effetti ha inciso in particolari aspetti, precisamente in ambito occupazionale e sociale, in ambito di politiche di bilancio in quanto queste sono state imposte agli Stati. Tutto questo si è riflettuto sul sistema delle fonti, sulla forma di governo e sui rapporti intercorrenti tra lo Stato centrale e gli enti territoriali[1].

La premessa doverosa e necessaria concerne le relazioni esistenti tra Stati membri ed Unione europea. E’ noto infatti come l’appartenenza dei primi alla seconda comporti restrizioni e vincoli alla sovranità nazionale degli Stati stessi. Con l’avvento della crisi finanziaria degli ultimi anni il focus è stato sempre rivolto ai vincoli di bilancio imposti dall’adesione all’unione economica e monetaria. La più evidente trasformazione necessaria per rispettare i vincoli europei in questione si è tradotta, sul piano nazionale, con la modifica della Costituzione stessa mediante L. cost. 1/2012 che ha modificato gli art. 81, 97, 117 e 119 Cost.

La scelta adottata dal legislatore nazionale risulta essere contrastante rispetto alle precedenti vicende concernenti l’adattamento del nostro ordinamento a quello europeo dato che il fondamento costituzionale è stato sempre rintracciato nell’art. 11 Cost. Questo aggancio costituzionale è stato assunto grazie all’interpretazione evolutiva della giurisprudenza costituzionale[2]. Solo con la L. cost. 3/2001 questa posizione della Consulta è stata costituzionalizzata mediante l’espresso riferimento della subordinazione della legislazione statale e regionale ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ex art. 117 co. 1 Cost[3].

La riflessione viene proposta su due piani: il primo concerne l’analisi delle trasformazioni derivanti dalla modifica della Carta costituzionale, il secondo riguarda il modo mediante il quale si garantiscono i diritti costituzionali fondamentali.

2. “Crisi” e “crisi economica”

Il cuore pulsante del saggio concerne, come punto di partenza, il definire il concetto di crisi e, successivamente, crisi economica.

Partendo dalla prima si deve indicare come la parola “crisi” possa essere definita come una “parola-baule” poiché abbraccia il significato di molti altri concetti e contiene in se stessa una moltitudine di significati.

Si ricordi come “crisi” derivi dal greco krisis il quale possiede la radice nel verbo krìnein. Quest’ultimo possiede un duplice significato contraddittorio. Da una parte fa riferimento alla frantumazione, dall’altra all’unificazione di ciò che si scompone nel momento dell’opposizione[4].

La crisi è manifestazione di un evento straordinario che interviene nella vita di una comunità e possiede due caratteristiche. La prima è che questo evento possiede una visibilità esterna, la seconda si riferisce alla perturbazione dei meccanismi di funzionamento della società stessa. Da queste peculiarità si evince come durante un fenomeno di crisi si debbano assumere decisioni in un breve lasso temporale al fine di garantire l’esistenza della collettività sociale compromessa da questo evento critico[5].

Coerentemente con la definizione sopra fornita la crisi economica può essere definita in maniere molto diverse. Vi è chi ritiene che sia frutto dell’inadeguatezza dell’istituzione statale nel tenere il passo con i cambiamenti che portano al disfacimento dello Stato[6]. Altri ritengono che la crisi possa essere considerata come un’opportunità di cambiamento per scegliere ciò che si intende salvare nella tradizione giuridica e ciò che è opportuno cambiare[7].

Dottrina autorevole ritiene che la crisi che ha investito e continua a resistere, anche se con sfumature diverse, i Paesi dell’Eurozona affondi le sue radici nella dichiarazione di fallimento della società Lehman brothers. Quest’ultimo ha rappresentato un evento carico di conseguenze negative e concatenate idonee a mettere in evidenza l’inadeguatezza e debolezza dei sistemi di regolamentazione e di controllo bancario. Da qui il necessario intervento dell’apparato statale al fine di salvare gli istituti di credito. Questa tipologia di operazioni avvenute a livello nazionale ha portato i singoli Stati ad avere una consistente esposizione debitoria la quale ha dimostrato come le situazioni di deficit pubblico abbiano la capacità di propagarsi da un soggetto pubblico ad un altro[8].

Se questa è l’inizio della crisi possiamo rinvenire due tappe della crisi esistente nel territorio dell’Unione Europea.

A livello cronologico la prima manifestazione di questa crisi si rinviene durante l’anno 2008. La prima risposta fornita a livello Europeo è stata l’adozione da parte del Consiglio europeo di un piano europeo di rilancio economico. Con esso si è cercato di fornire una risposta organica anche se insufficiente a causa della continua espansione della crisi che si è propagata in altri territori quali Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo. Alla luce di questo continuo peggioramento sono stati adottati altri strumenti quali il MESF[9], il FESF[10] e il Six Pack[11] nel 2010.

Collegata alla crisi economica è sicuramente la crisi identitaria dell’Unione Europea. Essa sta attraversando una fase critica in quanto il fenomeno della Brexit, dei sovranismi e dei populismi evidenziano non soltanto un sentimento di generale disaffezione verso il progetto europeo ma possono essere interpretati come il segnale di una crisi esistenziale più profonda[12]. I motivi di tutto questo possono rinvenirsi in vari fattori. In primis si deve ricordare come la natura giuridica della stessa Unione non sia chiara e certa. Negli ultimi dieci anni l’evoluzione costituzionale europea tanto sperata non ha prodotto i risultati auspicati. A contrario si è verificata un’involuzione democratica e costituzionale che è penetrata in tutti gli Stati membri per poi propagarsi sul territorio comunitario.

In secundis il modello di governance europea ha portato ad un consolidamento della dimensione intergovernativa a causa dell’improprio utilizzo degli strumenti normativi previsti dal diritto internazionale[13]. Si tratta di dinamiche derivanti dalla necessità di affrontare situazioni emergenziali come quelle derivanti dalla crisi economico-finanziaria, dalla crisi migratoria e dai problemi di sicurezza internazionale[14].

Dal quadro prospettato si evince come si tratti certamente di una crisi economica dalla quale è derivata una crisi politica e delle stesse Costituzioni. La politica e gli esecutivi nazionali hanno ceduto i propri compiti e poteri a soggetti che politici non sono, ad esempio, l’autorità di regolazione dell’economia, le banche centrali. In dottrina per descrivere in modo breve ed efficace questo fenomeno si sostiene che governano i mercati. Con questa efficace espressione si evidenzia come si è passati dal principio della sovranità popolare a quello del governo da parte di nuovi soggetti aventi lo scopo di essere indipendenti dallo stesso Governo[15]. Si è sottolineato come la politica della libera concorrenza abbia conferito un autorevolezza, equiparabile a quella della magistratura, a degli attori che non sono collegati ad un circuito democratico-rappresentativo. Il riferimento è ovviamente alla Commissione europea, alla Banca europea e alle altre Autorità di regolazione dei mercati[16].

Questa crisi investe sia il piano nazionale sia quello europeo anche se si manifesta in maniere diverse. Sul piano nazionale la Costituzione perde sempre di più l’effettività e si assiste ad uno sgretolamento del sistema costituzionale stesso. Si ha quindi un processo di demolizione dello spazio pubblico, dei principi e valori costituzionali e della loro prescrittività.

Nel contesto europeo, a contrario, è impellente la necessità di ricostruire una nuova e ampia dimensione pubblica idonea a colmare le mancanze esistenti nei contesti nazionali.

In conclusione si può sostenere come la crisi Europea sia una crisi del costituzionalismo, inteso quest’ultimo come movimento animato dallo scopo di limitare il potere a favore di alcuni principi fondamentali quali libertà, eguaglianza e solidarietà. Ma si tratta anche di una crisi del processo di integrazione europea.

In questo scenario il compito del diritto è quello di divenire strumento di regolamentazione delle dinamiche del mercato concorrenziale, nelle situazioni in cui esso è esistente, o simulare le dinamiche tipiche di esso nelle situazioni in cui è assente la dinamica concorrenziale. Di conseguenza è necessario che il diritto determini un ordine astratto idoneo allo svolgimento della libera concorrenza stessa senza però che vi sia un fine predeterminato, specifico da seguire[17].

Così facendo si assisterebbe ad un duplice cambiamento. Il primo riguarderebbe la funzione assegnata all’economia. Essa diviene un fattore capace di legittimare i poteri pubblici. Questa concezione è stata messa in pratica per la prima volta dallo Stato tedesco. Le radici si devono rinvenire nella situazione storica ossia la dissoluzione della Germania a seguito della caduta del nazismo. Il problema che dovettero affrontare i tedeschi fu quello far nascere uno Stato che non esisteva a partire da uno spazio geografico che non possedeva i requisiti statali stessi. Precisamente il punto cruciale fu quello di legittimare lo Stato nascente partendo dalla libertà economica: quest’ultima svolgeva un duplice ruolo ossia assicurava la limitazione dello Stato e consentiva allo stesso di esistere[18].

Il secondo cambiamento è intimamente collegato al primo. Posto che è l’economia a legittimare l’intervento dei pubblici poteri questi possono estendere il loro intervento in modo illimitato al fine di essere funzionale alle esigenze del mercato e dell’economia. È richiesto dunque l’intervento dei pubblici poteri nelle logiche economiche in quanto devono creare un ordine che non può crearsi in modo naturale e spontaneo. L’intervento di cui si tratta deve avere come obiettivo quello di garantire la più ampia realizzazione del principio della concorrenza ampliando lo spazio lasciato al mercato e alla concorrenza stessa[19].

3. Gli effetti della crisi

La crisi economica che ha investito l’Unione a partire dall’anno 2008 ha costretto la stessa comunità europea ad adottare, come ricordato in precedenza, alcuni strumenti economico-giuridici necessari al fine di bloccare la continua espansione della crisi.

Le revisioni costituzionali avvenute all’interno degli Stati membri fanno parte della necessità di recepire e adattare le regole di bilancio previste dall’Unione europea[20]. Detta necessità trova la sua fonte nella proposta di direttiva COM(2010)523 del 29.10.2010. La direttiva in questione appartiene alla cd. strategia Europa 2020. Quest’ultima persegue lo scopo di far adottare agli stati membri regole di bilancio idonee a far rispettare gli obblighi derivanti dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea[21].

L’accordo successivo riguarda il Patto euro plus. L’obiettivo che si intende perseguire con quest’ultimo concerne due aspetti intreccianti tra di loro. Il primo fa riferimento alla consolidazione dell’Unione economica e monetaria, il secondo allo strumento attraverso il quale viene perseguito detto scopo ossia l’attività di coordinamento delle politiche economiche per la competitività e la convergenza[22].

Di seguito si riportano due esempi circa le modifiche costituzionali adottate da due diverse Nazioni, ossia le modifiche apportate alla Costituzione tedesca e a quella italiana al fine di rispettare le prescrizioni europee.

3.1. La revisione della Costituzione tedesca

È stato il primo paese a predisporre misure necessarie al fine di prevenire l’indebitamento pubblico. Le riforme alla Carta Fondamentale vennero portate avanti tra l’anno 2006 e 2009 dettando una articolata disciplina in materia finanziaria.

Vi sono essenzialmente tre disposizioni che interessano al fine di cui si tratta.

La prima, art. 110, contiene la previsione secondo cui tutte le entrate e le spese devono necessariamente essere in pareggio[23]. Detta disposizione, prima della riforma del 2009, possedeva solamente valore formale: infatti, il principio si fondava su basi differenti poiché l’equilibrio era facilmente raggiungibile con il ricorso al debito. Ricorso che le nuove disposizioni praticamente escludono[24].

La medesima disposizione contiene regole anche in materia di redazione del bilancio. È necessario, infatti, che il bilancio preventivo venga già determinato dalla legge di bilancio. Detta legge segue un iter particolare in quanto deve essere presentata su iniziativa del Governo, unitamente alle proposte di modifica della legge di bilancio e del bilancio preventivo, al Bundestag e Bundesrat. L’approvazione della medesima è riservata solamente al primo, al secondo, invece, viene attribuita la facoltà di assumere una posizione sulle proposte entro sei settimane e sulle proposte di modificazione entro tre settimane.

Con l’art.113, invece si prevede un procedimento estremamente complesso idoneo a tutelare l’equilibrio dei bilanci ed evitare eccessive spese. La disposizione prevede che nell’ipotesi in cui le Camere presentino emendamenti al fine di aumentare le spese o a diminuire le entrate il Governo federale presti necessariamente il proprio consenso. Quest’ultimo organo costituzionale ha la facoltà, altresì, di opporsi agli emendamenti sospendendo la votazione fino ad un termine massimo di sei settimane. Inoltre, se il Bundesrat dovesse approvare la legge di bilancio il Governo ha il potere di chiedere una seconda deliberazione entro quattro settimane. Infine viene riconosciuto al Governo il potere di non prestare il proprio consenso all’approvazione della legge di bilancio. Si tratta di un vero e proprio potere di veto che deve essere esercitato entro sei settimane.

Nonostante sia stata introdotta nella legge Fondamentale questa disciplina estremamente articolata si deve segnalare come a detta procedura venga sempre preferito l’accordo di mediazione raggiunto tra i gruppi parlamentari del Bundestag e Governo[25]. È evidente come risulti estremamente necessario che l’indirizzo finanziario del Governo sia appoggiato da una maggioranza parlamentare. In caso contrario si dovrà cercare e ottenere una soluzione diversa che venga condivisa anche dal Parlamento.

La terza e ultima disposizione da analizzare è stata introdotta con le riforme del 2006 e del 2009. Con la Foederalismusreform I (art. 109 co.5), ossia la riforma del 2006, è stata prevista la responsabilità congiunta di Bund e Länder prevedendo che le sanzioni inflitte dall’Unione europea per la violazione delle regole del patto di stabilità sono da imputarsi tanto alla Federazione quanto ai Länder.

La quota che fa capo alla Federazione viene calcolata nella misura del 65% mentre quella che si riferisce ai Länder è del 35%. Inoltre la quota che fa capo a questi ultimi viene suddivisa nel modo seguente. Tutti i Länder rispondo in relazione alla popolazione degli stessi, per quanto concerne la quota del 35%, mentre la quota del 65% viene ripartita tra Bund e i Länder che hanno causato la sanzione e la quota di loro partecipazione viene calcolata facendo riferimento alla responsabilità oggettiva degli stessi.

L’art. 109 venne altresì modificato nel 2009 con la Foederalismusreform II. Con essa venne previsto come obbligatorio il pareggio tra i bilanci della Federazione e dei Länder. Questo obbligo viene rispettato se le entrate da prestiti della Federazione non sono superiori alla soglia del 0,35% del PIL (art. 115). Con detta riforma è stato introdotto il Schuldenbremse (ossia il freno all’indebitamento) necessario al fine di porre un limite alla previsione secondo cui era possibile ricorrere all’indebitamento per finanziare la spesa in conto capitale[26].

3.2 La revisione della Costituzione italiana

In Italia al fine di attuare gli obblighi imposti dal Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance, si è modificato l’art. 81 Cost. attraverso la L. cost. 1/2012. Con questa legge costituzionale si è introdotto il principio del pareggio di bilancio, o meglio, il principio di equilibrio del bilancio.

La riforma in questione non può essere ridotta alla “mera modifica dell’art. 81 Cost.” in quanto ha esteso i propri effetti anche in molti altri articoli della Costituzione italiana, quali, ad esempio, l’art. 97, 117 e 119 Cost.

Oltre a questo è doveroso evidenziare come l’espressione pareggio di bilancio sia contenuta solamente nel Titolo della legge costituzionale ma venga recepito in Costituzione come equilibrio di bilancio. Ovviamente questo non vuol dire che cambi il limite dell’indebitamento ma è possibile ricorrere al debito qualora ciò risulti necessario per scelte politiche di spesa. Di conseguenza il ricorso all’indebitamento risulta essere l’eccezione la quale, a sua volta, deve rispettare determinati limiti e condizioni che, a loro volta, sono stabiliti dalla legge di stabilità. Questa operazione diviene possibile poiché è la stessa Carta costituzionale a rinviare alla legge appena menzionata[27]. In tal senso risulta chiaro l’art. 81 co.2 Cost. secondo cui il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere, adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

Si ritiene che si tratti di una regola assolutamente rigida che si declina, da una parte,  come un divieto di presentare un saldo negativo tra le entrate iniziali e le spese finali il tutto al netto di quelle aventi natura meramente finanziaria, comprese quelle relative al rimborso dei prestiti già contratti. In altre parole viene vietato l’indebito a meno che il medesimo non riguardi il rinnovo dei prestiti già contratti. Dall’altra parte è consentito ricorrere all’indebitamento qualora avvengano degli eventi eccezionali al fine di operare una valutazione degli stessi sul ciclo economico. L’atteggiamento dottrinario in relazione a quest’ultimo aspetto non risulta essere univoco.

Un primo orientamento[28] richiede quale condizione necessaria per ricorrere all’indebitamento la presenza di entrambe le situazioni considerate dalla disposizione in esame. Orientamento dottrinario opposto[29], invece, ritiene che pretendere la sussistenza di entrambi i presupposti limiterebbe in modo eccessivo la possibilità di discostarsi tra entrate e uscite. Di conseguenza ritiene sufficiente, quale condizione necessaria per ricorrere all’indebitamento, la presenza di eventi eccezionali o la valutazione sul ciclo economico.

Un terzo orientamento legge la disposizione eventi eccezionali ricomprenderebbero anche le spese necessarie per garantire la tutela dei diritti e la coesione sociale[30].

Si deve ricordare come la definizione di eventi eccezionali sia stata rimessa all’adozione di una legge rinforzata (art. 81 co. 6 Cost.), atto che è stato successivamente adottato con L.243/2012. Secondo la legge in questione per eventi eccezionali si devono intendere periodi di grave recessione economica relativi anche dell’area euro o dell’intera Unione europea o eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese (art. 6 co. 2 lett. a e b).

Il principio cardine della riforma del 2012 concerne la previsione secondo cui lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio tenendo conto delle fasi avverse e sfavorevoli del ciclo economico. Quest’ultima indicazione assicura e permette una determinata flessibilità della disciplina introdotta garantendo la possibilità di adottare politiche anticicliche in modo che nelle fasi di recessione, nelle quali il gettito delle entrate fiscali si riduce ed aumentano in maniera automatica le spese dovute agli ammortizzatori sociali, l’equilibrio tra le entrate e le spese sia costruito rendendo le seconde eccedenti rispetto alle prime, mentre nelle fasi di espansione economica, in cui il gettito fiscale aumenta e gli ammortizzatori sociali generano minore spesa, l’equilibrio sia costruito in maniera esattamente opposta[31].

Ulteriore principio introdotto dalla novella costituzionale concerne la previsione secondo cui il bilancio presuppone il necessario coordinamento dei rapporti con le autonomie territoriali minori, da una parte, e dall’altra con l’Unione Europea. Questo principio si rinviene in tre diversi articoli della Costituzione che devono necessariamente essere letti ed interpretati in modo congiunto. L’art. 97 Cost. prevede che le pubbliche amministrazioni in coerenza con l’ordinamento comunitario assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. Oltre a questo l’art. 119 co.1 Cost. specifica come tutti gli enti che costituiscono la Repubblica concorrono ad assicurare  l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

Se queste disposizioni vengono lette alla luce dell’art. 117 Cost. (l’armonizzazione dei bilanci pubblici appartiene alla competenza esclusiva statale) forniscono l’immagine di un sistema centripeto nel quale le autonomie locali sono coordinate dallo Stato e questo è assoggettato al controllo dell’Unione europea[32].

Si deve sottolineare come con la riforma posta in essere con la L. cost. 1/2012 il Governo nazionale si sia legato strettamente per il futuro agli indirizzi di coordinamento economico dell’Unione europea. Di conseguenza emerge in maniera dirompente la limitazione della sovranità nazionale avvenuta mediante il recepimento delle direttive comunitarie[33].

Se questa è stata la riforma costituzionale è doveroso ricordare come l’originario art. 81 Cost. venisse definito dalla dottrina come un articolo neutro in quanto era lasciata alla maggioranza politica la gestione dei conti pubblici rispetto ad altre politiche pubbliche da realizzare e ai diritti costituzionali.

Questa riflessione trae origine dal fatto che la forza della nostra Costituzione fosse stata quella di non accogliere tout court una determinata teoria o dottrina economica e nemmeno l’esplicito riferimento di un vincolo quantitativo o qualitativo rapportato alle politiche di bilancio.

L’originaria caratteristica dell’art. 81 Cost. conteneva comunque dei limiti. In primo luogo erano indicate alcune regole da rispettare relativamente alla decisioni idonee a produrre effetti sulla spesa. In secondo luogo venivano rispettati i diritti fondamentali dei cittadini contenuti nella Carta costituzionale, come, ad esempio gli art. 4 e 47 Cost. Questi dettato una disciplina[34] di tutela in relazione al diritto al lavoro e al risparmio.

L’introduzione della riforma mediante la L. 1/2012 ha provocato una disputa dottrinaria perché  vi era il dubbio che la Consulta potesse sindacare le leggi di bilancio. Questa considerazione fonda le sue radici nell’antica formulazione[35] dell’art. 81 Cost.

Originariamente detto articolo conteneva quale unica regola prescrittiva quella dell’obbligo di copertura finanziaria delle leggi. Questa disposizione, contenuta nel co. 4 dell’art. 81, essendo estremamente difficile da sindacare da parte della Consulta ha rappresentato un parametro privilegiato ai fini dell’esercizio del potere di rinvio da parte del Presidente della Repubblica.

A seguito dell’introduzione del nuovo art. 81 Cost. la Corte costituzionale ha iniziato[36] a sindacare e dichiarare incostituzionali alcune disposizioni contenute in  legge poiché non rispettose delle regole contenute nell’art. 81 Cost. Con costante giurisprudenza costituzionale è stata fornita un’interpretazione dell’art. 81 Cost. in sede giurisdizionale/costituzionale e non in sede legislativa. Da questo è derivata un’interpretazione estremamente rigorosa del vincolo di bilancio con riferimento all’originario co. 4 dell’art. 81. Alla luce di questo l’obbligo di copertura finanziaria è stato letto insieme al principio dell’equilibrio di bilancio, infatti è necessario che la copertura risulti credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri. La Consulta precisa altresì che l’obbligo di copertura deve essere osservato con puntualità rigorosa nei confronti delle spese che incidono su un esercizio in corso e deve valutarsi il tendenziale equilibrio tra le entrate ed uscite nel lungo periodo, valutando gli oneri già gravanti sugli esercizi precedenti[37].

Da questa giurisprudenza costituzionale si è progressivamente venuta a creare un’interpretazione restrittiva del vincolo di bilancio. Si tratta di un’interpretazione nata dalla giurisprudenza costituzionale e applicata successivamente sia nei rapporti tra Parlamento e Governo, sia tra Stato e autonomie locali[38].

4. Gli esiti della crisi

Si è prospettato un excursus relativo alla nascita della crisi economica, alla reazione dell’Unione europea ed infine al recepimento da parte degli stati membri delle nuove regole comunitarie in materia economica e fiscale.

Nonostante siano state analizzate brevemente le riforme poste in essere dalla Germania per fronteggiare la crisi il focus del saggio è sul rapporto tra la Costituzione italiana e la crisi economica. Da qui l’analisi delle conseguenze derivanti dalla modifica dell’art. 81 Cost. relativamente a vari ambiti e aspetti, precisamente:, sul sistema delle fonti, sulla forma di Governo ed infine sui rapporti tra Stato centrale ed autonomie locali.

4.1 Sul sistema delle fonti

Al fine di comprendere l’effetto creato dalla riforma dell’art. 81 Cost. sul sistema interno delle fonti è necessario analizzare brevemente alcune disposizioni contenute nell’articolo in questione prima della riforma attuata con L. cost. 1/2012.

Una delle modifiche effettuate dalla novella costituzionale concerne la soppressione del terzo comma dell’art.81 Cost. La disposizione appena richiamata vietava alla legge di bilancio di stabilire nuove entrate e spese. Con questa disposizione si costituzionalizzava un orientamento dottrinario che si era formato durante il secolo precedente. Recependo l’orientamento in questione il Costituente ha voluto rendere costituzionale l’elaborazione relativa alla natura giuridica della legge di bilancio e lo ha fatto inserendo dei vincoli che la legge in questione deve rispettare.

Da qui l’interpretazione dell’art. 81 co. 4 Cost. riscontrava una doppia limitazione. Una prima era quella di non ammettere spese per l’attività che l’amministrazione non fosse già legittimata a svolgere. Una seconda concerneva il rispetto da parte dell’amministrazione dei vincoli posti dal dettato costituzionale.

Questo quadro portava a costruire la legge di bilancio come una species di legge richiedente una doppia legittimazione alla spesa pubblica. Oltre a questo la legge in questione era idonea a separare l’aspetto della sostenibilità finanziaria delle spese da quello delle esigenze di nuovi investimenti riguardanti determinati e singoli settori amministrativi.

La seconda novità introdotta con la riforma costituzionale riguarda l’adozione entro il 28 febbraio di una legge, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Questa legge ha contenuti molteplici e sono tutti elencati nell’art.5 L. cost. 1/2012[39]. Si tratta di norme fondamentali e dei criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra l’entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni (art. 6 L. cost. 1/2012).

L’insieme di queste regole persegue due obiettivi principali. Il primo concerne la  definizione del percorso di rientro del debito pubblico, ossia una riduzione annua del 20% come richiesto dall’Unione europea. Il secondo, invece, si riferisce alla spese pubbliche e possiede alternativamente una portata ordinamentale o congiunturale. È necessario, rispettivamente, che l’equilibrio tra entrate e spese venga declinato non solo in termine di saldo ma anche di vero e proprio limite di spesa, oppure che le misure in materia di spesa adottate e attivate devono garantire l’equilibrio di bilancio espresso in termine di saldo[40].

L’introduzione di queste disposizioni ha avuto quale risultato un aumento della pressione fiscale e di contenimento della spesa senza riuscire mai a produrre delle modificazioni per la spesa stessa. Le riforme portate avanti sulla scorta delle prescrizioni europee hanno fatto si che venissero privati i cittadini di certezze e garanzie. È noto infatti come i cittadini appartenenti alle Regioni più fragili dell’Italia ,sotto un profilo economico, hanno subito una diminuzione di risorse assistendo ad un importante divario occupazionale tra il Nord e il Sud del Paese. A proposito è stato osservato come durante le crisi economiche i territori meno avanzati non hanno più modo di agganciarsi, sia pure indirettamente e parzialmente alla crescita dei territori più avanzati, mentre lo Stato non ha più le risorse necessarie per massicci trasferimenti di tipo compensativo e solidale[41].

Si assiste quindi ad una riscrittura delle garanzie, dei diritti, del welfare dalla quale deriva in maniera inevitabile una riduzione della spesa pubblica. È un percorso opposto e inverso rispetto a quello che aveva delineato il legislatore. Aderendo alla riforma costituzionale il sistema dei diritti sociali viene modellato e definito mediante le politiche sulla spesa pubblica la quale potrà subire una ridefinizione soltanto se si procede ad una nuova concezione dello Stato sociale.

Affinchè questo possa essere compatibile con il dettato costituzionale è necessario che transiti attraverso il principio di rappresentanza e di partecipazione democratica e che si tratti di una soluzione mediata e condivisa[42].

4.2. Sulla forma di Governo

La rivoluzione imposta dall’Unione europea ha prodotto degli squilibri sull’assetto governativo[43] precedente all’introduzione dei vincoli sovranazionali. Precisamente gli effetti si sono verificati nel rapporto tra Parlamento e Governo relativamente al prelievo e utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche, ossia si fa riferimento al diritto al bilancio. Si deve ricordare come questo aspetto sia connesso con la distribuzione del potere da Parlamento e Governo cioè tra decisione e rappresentanza. Il diritto al bilancio nacque nell’esperienza inglese, successivamente venne recepito negli ordinamenti giuridici di Belgio, Francia e Germania. Detto principio si esplica nell’approvazione da parte del Parlamento di leggi aventi quale contenuto l’imposizione fiscale. Questo si fonda sul rispetto del principio di legalità ma contemporaneamente si fa riferimento alla responsabilità del Parlamento per quanto concerne le azioni redistributive e le scelte di allocazione delle risorse economiche pubbliche[44].

Questo diritto al bilancio, all’interno dei nostri confini nazionali, faceva riferimento ad uno schema giuridico predeterminato fondato sul concetto giuridico dell’autorizzazione. Precisamente il Parlamento approvava l’ordinamento finanziario del Governo, quest’ultimo, come è noto, realizza la sua politica economico e finanziaria attraverso la decisione del bilancio la quale è soggetta al controllo del Parlamento. Si tratta di un potere contenente due aspetti. Il primo concerne quello del controllo che è esercitato attraverso il potere di condizionamento mediante l’approvazione del bilancio. Il secondo si riferisce al potere di intervento che si esplica attraverso l’approvazione degli emendamenti[45]

Attualmente il ruolo dei due organi costituzionali è totalmente diverso. Il sistema dei vincoli europei ha conferito al Parlamento un ruolo marginale dato che le decisioni di finanza pubblica sono oggi assunte dal Governo insieme alle Istituzioni europee nel semestre europeo. In questo sistema è il Consiglio europeo ad indicare gli obiettivi principali di politica economica, ed è proprio l’intera struttura europea a dimostrare come il processo di integrazione abbia quale aspetto necessario il sacrificio della libertà nella gestione delle finanze pubbliche[46]. Il problema emerso mediante l’adozione delle nuove procedure concerne il punto di equilibrio tra il Governo e il Parlamento in materia di indirizzo politico-finanziario.

Si sono formati quindi due indirizzi dottrinari in materia. Un primo definibile come costituzionalismo fiscale e monetario sostiene la necessità di restringere l’autonomia del Parlamento al fine di rispettare i vincoli esterni, ossia quelli europei e sovranazionali. Un secondo orientamento ritiene necessario fare propri i vincoli esterni attraverso un procedimento di razionalizzazione dei medesimi. Secondo quest’ultima ricostruzione sarebbe necessario che Parlamento e Governo si impegnassero in modo reciproco allo scopo di raggiungere gli obiettivi economico-finanziari[47].

A seguito della modifica dell’art. 81 Cost. i vincoli europei si sono trasformati in vincoli interni sia per quanto concerne il contenuto sia per quanto riguarda l’aspetto procedurale. Si è assistito alla creazione di un sistema multilivello all’interno del quale è sfumato totalmente il ruolo del Parlamento.

Nonostante questa considerazione è stato osservato come il Parlamento recuperi il proprio ruolo mediante la predisposizione del DEF[48] del DPEF. Attraverso la predisposizione dei documenti appena menzionati si rammenta come il Parlamento non sia escluso dai procedimenti di decisione finanziaria ma si tenda a coinvolgerlo nella forma più corretta, consentendogli cioè di contribuire alla predeterminazione “a monte” delle grandi linee di politica economica e di controllare “a valle” che il Governo sia mosso lungo queste linee[49].

È doveroso sottolineare come il multilevel constitutionalism porti con sé il problema della cessione di sovranità dei governi in favore dell’Unione europea per quanto riguarda la definizione dell’indirizzo finanziario. A questo si accompagna l’interrogativo circa la compatibilità del sistema de quo con il rispetto della forma di governo parlamentare[50].

4.3. Sui rapporti tra Stato e autonomie locali

In precedenza si è fatto riferimento alle modifiche introdotte dalla L. cost. 1/2012 sugli art. 117 e 119 Cost. Lo scopo infatti della novella costituzionale è stato anche quello di ri-determinare l’equilibrio di bilancio degli enti territoriali[51].

Da questo è derivato l’assoggettamento degli enti locali ai vincoli stringenti imposti dal legislatore costituzionale tanto da arrivare a parlare di patto di stabilità interno[52]. Quest’ultimo definisce il contributo degli enti territoriali in rapporto al perseguimento degli obiettivi di politica finanziaria ed economica. Durante la fase più aggressiva della crisi economica, ossia dal 2010 al 2012, le norme sul patto di stabilità interno vennero adottate mediante la decretazione d’urgenza e successivamente imposte agli enti. A questi ultimi venne richiesto altresì di realizzare un vero e proprio surplus di bilancio da utilizzare per risanare i conti pubblici. Si deve sottolineare, infatti, che i bilanci delle autonomie locali sono state spesso bersaglio di tagli aventi finalità totalmente opposte a quelle del miglioramento della qualità della spesa[53].

Le regole introdotte a seguito dell’approvazione della legge di stabilità del 2011 hanno introdotto delle differenze significative per quanto concerne l’aspetto del contributo al saldo della finanza pubblica.

Il primo aspetto concerne l’ambito soggettivo. A partire dall’anno 2013 è previsto che tutti i comuni aventi una popolazione superiore ai mille abitanti dovranno rispettare le regole del patto di stabilità interno senza differenziare tra i comuni da sempre assoggettati a queste regole[54] e coloro che verranno sottoposti a detta regolamentazione per la prima volta.

L’altra introduzione concerne l’adozione dei criteri di virtuosità utili al fine di azzerare la manovra degli enti che riusciranno a rispettare gli indicatori stabiliti e che quindi verranno definiti virtuosi. I comuni che riusciranno ad essere virtuosi realizzeranno un saldo di competenza uguale a zero, gli altri, ossia quelli non virtuosi dovranno applicare nuove percentuali, già previste dal decreto ministeriale, da aggiungere a quelle già previste quale contributo alla manovra del singolo ente[55].

Emerge chiaramente come gli aspetti appena menzionati, ossia i tagli necessari per ridurre la spesa degli enti locali e i vincoli imposti agli stessi, hanno perseguito l’obiettivo di soddisfare le esigenze del legislatore statale circa il “fare cassa” per cercare di rispettare i vincoli imposti dal Diritto comunitario alla spesa pubblica. Da questo deriva una penetrante limitazione circa l’attuazione dello sviluppo autonomistico con particolare attenzione all’autonomia tributaria e fiscale degli enti locali. Negli ultimi anni, infatti, l’autonomia fiscale appena menzionata è stata utilizzata dal legislatore statale per far fronte agli oneri imposti, a livello economico-finanziario, da entità sovranazionali.

La speranza, alla luce della prassi statale, è quella di incentivare l’autonomia in questione dato che il pieno rispetto dei principi costituzionali concerne anche la valorizzazione delle autonomie locali ex art. 5 Cost. (la Repubblica promuove le autonomie locali). Questa riflessione è stata più volte ripetuta dalla Corte costituzionale secondo cui l’emergenza finanziaria derivante dalla crisi non risulta essere fattore legittimante per quanto concerne deroghe al riparto delle competenze fra Stato Regioni e autonomie locali contenuto nella Carta costituzionale. Ha anche precisato che sia compito dello Stato non solo rispettare l’ordine di riparto delle competenze posto in Costituzione ma anche adottare rimedi con esso compatibili perchè la Costituzione esclude che una situazione di necessità possa legittimare lo stato a esercitare funzioni legislative in modo da sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali[56].

È evidente come gli interventi posti in essere dal legislatore non risultino essere conformi al diritto costituzionale e nemmeno alle teorie economiche. Non si rinvengono ordinamenti, secondo una prospettiva comparatistica, in cui venga imposto agli enti territoriali un surplus di bilancio, quello che viene richiesto ed imposto è il pareggio di bilancio.

Oltre a questo la teoria economica non è mai stata estremamente favorevole al pareggio di bilancio nel senso di pareggio matematico-aritmetico. I risultati derivanti da una tale concezione del pareggio di bilancio avrebbero come risultato il debito pubblico uguale, in modo costante, a zero. Detto risultato è stato ritenuto privo di razionalità dato che non risulta possibile applicare le regole razionali dell’economia privata all’economia pubblica.

In terzo luogo è stato sostenuto come risulti altamente inopportuno gestire in modo estremamente accentrato le decisioni di finanza pubblica durante una crisi economica e finanziaria. Partendo dal presupposto che funzionale all’uscita dalla crisi è l’accostamento tra il rigore finanziario e l’aumento della crescita economica non risulta utile impedire che l’attività di investimento sia svolta e condotta dalle autonomie locali. E’ proprio a livello locale, infatti, che risulta maggiormente semplice attrarre investimenti e favorire la crescita economica[57].

5. La posizione della Corte Costituzionale

Nella situazione di crisi economica il ruolo svolto dalla Consulta è quello di essere l’arbitro del bilanciamento tra risorse finanziarie limitate, da una parte, e tutela dei diritti sociali fondamentali dall’altra.

Si tratta di un problema non nuovo per la Corte Costituzionale italiana in quanto affrontato dalla stessa a partire dagli anni Settanta. Essi individuano il primo momento storico a partire dal quale la Corte ha incominciato ad utilizzare percorsi argomentativi idonei ad espandere il raggio d’azione delle pronunce della stessa. Tutto questo è stato possibile grazie all’utilizzo del principio di ragionevolezza[58] ricavato dalla diffusa utilizzazione del principio di uguaglianza insieme alla pronuncia di sentenza che verranno definite “additive di prestazione”.

Su questo terreno la Corte arrivò a ritenersi legittimata ad estendere i benefici sociali riconosciuti dalla legge anche ai gruppi che ne risultavano esclusi[59]. Da qui sono derivati una serie di corollari quali, ad esempio, l’uguaglianza di valutazione in caso di stato di bisogno sia in relazione alla pensione civile che a quella di guerra, ha rinvenuto una disparità di trattamento circa la normativa che estendeva ai dipendenti pubblici non di ruolo la disciplina previdenziale prevista per i dipendenti di ruolo, infine ha equiparato i professori universitari di ruolo ai funzionari statali della carriera direttiva[60].

È evidente come con questa giurisprudenza siano state innalzate in modo significativo le soglie di tutela e sia stato esteso significativamente l’ambito soggettivo circa l’applicazione di alcune prestazioni associate allo Stato sociale[61].

Un cambiamento avvenne durante gli anni Novanta in corrispondenza della crisi finanziaria ed inflazionistica che causò la fuoriuscita dell’Italia dal Sistema monetario europeo[62]. Nel contesto storico appena descritto si ebbe una stabilizzazione del diritto vivente formato da cospicua giurisprudenza costituzionale e da autorevole dottrina[63]. Questo equilibrio del diritto costituzionale risultava essere polarizzato su di un paio di posizioni dottrinarie. Una prima riconosceva all’allora equilibrio, ossia all’attuale pareggio di bilancio, un valore di assoluta importanza non bilanciabile con il principio di uguaglianza. Dottrina contrapposta, invece, sosteneva che fosse doveroso compiere un bilanciamento ineguale tra diritti ed altri interessi implicanti spese che incidono sull’equilibrio di bilancio. Secondo l’ orientamento appena citato la realizzazione e soddisfazione dei diritti sociali della persona non può essere posto sullo stesso piano dell’efficienza economica. Deriva quindi la necessità di riconoscere la sussistenza di un minimo livello di garanzia dei diritti a prescindere dalla dotazione di bilancio[64].

La costante giurisprudenza della Consulta si è stabilizzata sul principio di gradualità interpretato come punto d’arrivo del bilanciamento costituzionale tra attuazione dei diritti sociali e ristrettezza delle risorse pubbliche finanziarie disponibili. Da questa posizione giurisprudenziale la stessa Corte ha distinto tra riconoscimento del diritto sociale e tutela del medesimo.

Questa distinzione rileva per sostenere come sia una scelta discrezionale del legislatore il riconoscimento-esistenza dei diritti ma il quomodo, il quantum e il quando della garanzia effettiva dei diritti riconosciuti non appartengano alla sfera della discrezionalità. È necessario che i diritti siano accompagnati da una garanzia minima di soddisfazione al fine di non comprimere il contenuto necessario dei diritti stessi a pena di rendere illusoria la soddisfazione dell’interesse protetto a livello costituzionale[65].

Da questo orientamento costituzionale la dottrina ha formulato il concetto di “nucleo duro” dei diritti fondamentali per tale intendendo quel contenuto essenziale dei diritti stessi oltre il quale non è possibile non soddisfare le richieste legittime dei titolari degli stessi. Si deve evidenziare come si tratti di una teoria abbastanza problematica poiché connotata da ampi profili di incertezza. Autorevole dottrina ha sostenuto come la stessa nozione di contenuto minimo/essenziale dei diritti sociali costituisca un concetto di pura matrice giurisprudenziale e dalle potenziali applicazione double face, il quale non a caso è stato dalla Corte richiamato a volte per dimostrare l’incostituzionalità delle norme che incidano su tale nucleo, ma altre volte anche per escluderla proprio perchè esso non sarebbe stato intaccato dalla normativa impugnata[66].

La riflessione giurisprudenziale relativa alla tutela dei diritti sociali fondamentali e ai vincoli finanziari pervenne all’enucleazione di tre criteri dirimenti per lo scrutinio di costituzionalità. Il primo concerne il principio della gradualità nell’attuazione delle riforme legislative, il secondo il principio di costituzionalità provvisoria di una determinata disciplina che necessita di sviluppo e/o riforma ed infine il principio di attuazione parziale-incostituzionale di un diritto sociale che ne agevola il godimento ma non lo assicura concretamente. È stato rinvenuto dalla dottrina un quarto criterio sulla scorta del quale la Corte deve effettuare un necessario apprezzamento dei limiti finanziari posti dal bilancio e dalla necessaria considerazione della discrezionalità del legislatore circa la definizione del quantum delle prestazioni sociali che la Corte deve comunque valutare secondo un necessario parametro di ragionevolezza[67].

Alla luce di tutto questo la dottrina ha svolto un paio di considerazioni. La prima evidenzia come per la Consulta i diritti sociali possano essere considerati come diritti inviolabili e inderogabili della persona dato che sono espressione di principi costituzionali supremi. La seconda riconosce come pacifico come, prima dell’introduzione del concetto di pareggio di bilancio in Costituzione, fosse compito della Corte sindacare l’attività del legislatore qualora quest’ultimo non avesse utilizzato un’adeguata ragionevolezza nell’attuazione dei diritti sociali[68].

Se questa era la posizione dottrinaria e giurisprudenziale ante L. cost. 1/2012 oggi la situazione risulta essere totalmente diversa. Al giorno d’oggi prevale l’idea secondo cui il mero riconoscimento di diritti che non tenga conto delle concrete possibilità di realizzazione degli stessi, può essere enunciazione vana o retorica. D’altra parte, è proprio nei tempi di crisi che la necessità di ribadire o rafforzare i diritti si fa più stringente. Dunque il necessario bilanciamento dei valori in campo, se da un lato si sottomette alle ragioni dell’economia, dall’altro necessariamente coinvolge il principio di solidarietà coordinato con il principio di razionalità-equità[69].

La “giurisprudenza della crisi” si è sviluppata a cavallo dell’approvazione della L. cost. 1/2012 e aveva già anticipato il principio dell’equilibrio di bilancio contenuto poi nella legge costituzionale de qua. Con la sentenza n.70/2012 la Consulta, per la prima volta, arrivò a una declaratoria di illegittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute in una legge regionale di bilancio per mancato rispetto dell’art. 81 Cost. (obbligo di copertura) in relazione a disposizioni che consentivano l’impiego ai fini di copertura dell’avanzo di amministrazione non accertato con l’approvazione del rendiconto[70].

La maggior parte delle pronunce della giurisprudenza avvenute durante il lasso temporale appena descritto sono per lo più fondate sul dettato legislativo degli art.81,97, 117 e 119 Cost. nella formulazione precedente e si riferiscono agli obblighi discendenti dall’appartenenza all’UEM.

Il rispetto del pareggio di bilancio si intreccia con altri aspetti differenti dalla tutela dei diritti sociali, ossia limitazione della spesa corrente delle Regioni relativamente al personale e diversi ambiti organizzativi delle amministrazioni, pronunce che affermano il carattere vincolante degli accordi Stato-Regioni sui piani di rientro dal disavanzo finanziario, rispetto dell’obbligo di copertura finanziaria delle leggi ex art. 81 Cost., rispetto dell’attendibilità e veridicità delle leggi regionali di bilancio, interpretazione della materia coordinamento della finanza pubblica utilizzata per ridimensionare la spesa decentrata e legittimare i controlli sugli enti territoriali[71].

Gli ultimi anni della crisi (2015-2016) sono stati caratterizzati da pronunce aspramente criticate ed elogiate allo stesso tempo da parte della dottrina. Un esempio di sentenza è la n. 10/2015 denominata sentenza Cartabia[72].

La situazione sulla quale si innesta la sentenza della Corte è quella dell’adozione, nel 2011 da parte del Governo, di un decreto legge mediante il quale interviene sulla perequazione delle pensioni di anzianità, discostandosi dai criteri fino a quel momento utilizzati dal legislatore in materia pensionistica. Il decreto legge in questione sospendeva per la durata di due anni la perequazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo di legge.

Il Giudice delle leggi, una volta adito della questione, si chiede se il legislatore abbia equamente ponderato la pluralità dei beni e degli interessi in gioco. La risposta negativa a questa domanda induce la Corte a rimettere agli organi politici il compito di ricomporre la precedente valutazione alla luce di principi, beni ed interessi dagli stessi sottovalutati.

Nella pronuncia la Corte, utilizzando una logica controversiale[73], sostiene che sia corretto costituzionalmente intervenire sulla perequazioni delle pensioni ma questo non può arrivare al punto da consentire al legislatore di comprimere la natura di retribuzione differita dei trattamenti pensionistici che devono consentire un’esistenza libera e dignitosa. La Consulta ribadisce come l’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti è teso alla conservazione del potere d’acquisto delle somme percepite da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto costituzionalmente fondato risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano quindi intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale fondati su inequivocabili parametri costituzionali[74].

In conclusione si possono svolgere alcune riflessioni in relazione alla posizione assunta dalla Corte costituzionale.

In primo luogo, negli precedenti al 1980, la giurisprudenza costituzionale in ipotesi di conflitto tra l’art. 81 Cost. e diritti sociali il Giudice costituzionale tutelava in maniera prevalente i primi omettendo ogni riferimento alle risorse[75].

Successivamente al 1990, quindi dopo Maastricht e dopo aver concluso il Patto di Stabilità del 1997, cambia l’orientamento della Consulta in corrispondenza del cambiamento della situazione economica italiana. In questo contesto storico i cambiamenti della finanza pubblica e privata e la cd.finanziarizzazione[76] obbligano la Corte costituzionale a mutare la propria giurisprudenza costante alla luce dei vincoli finanziari e dei limiti di spesa. Da qui nasce l’orientamento secondo cui l’operatività del principio di uguaglianza può dirigersi anche nel senso di rimuovere l’ingiustificato privilegio di una disciplina più favorevole rispetto a quella indicata in comparazione[77].

Il vero cambiamento avviene con la sentenza 455/1990 in tema di diritto alla salute. Questa pronuncia rappresenta il leading case in materia di diritti sociali condizionati e risulta essere estremamente dirompente perchè con essa la Consulta cambia il suo legal reasoning. In questa occasione la Corte precisa come l’espressione diritti condizionati comporta l’attuazione della tutela costituzionalmente obbligatoria di un determinato bene (la salute) avvenga gradualmente a seguito di un ragionevole bilanciamento con altri interessi o beni che godono di pari tutela costituzionale e con la possibilità reale ed obiettiva di disporre delle risorse necessarie per la medesima attuazione: bilanciamento che è sempre soggetto al sindacato di questa Corte nelle forme e nei modi propri della discrezionalità legislativa.

Sulla scorta di questa pronuncia autorevole dottrina ha sostenuto come la Corte si sia proiettata verso un nuovo indirizzo giurisprudenziale con il quale persegue lo scopo di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica attraverso l’utilizzazione degli strumenti processuali posti a sua disposizione[78].  

Si può sostenere, infine, come la Corte costituzionale sia chiamata a prestare speciale attenzione ai vincoli imposti dall’Unione europea nel ricercare punti di equilibrio tra i diritti sociali e le esigenze economico-finanziarie. Nel tutelare i diritti fondamentali la Corte ha sempre ricordato come esistono limiti all’esercizio discrezionale del potere del Governo dato che non tutto è possibile e non tutto può sacrificarsi in nome del bilancio[79].

6. Politica/economia VS. diritto/etica

Questo paragrafo è dedicato alla riflessione circa il valore della nostra Costituzione rapportato alle esigenze finanziarie ed economiche. Precisamente il quesito fondamentale può essere così riassunto: qual è il limite ragionevole entro il quale la nostra Costituzione può cedere rispetto al mercato, alla volontà degli investitori, alle decisioni assunte in seno all’Unione europea senza vanificare i principi supremi contenuti nella Costituzione stessa[80]?

Autorevole dottrina costituzionale sostiene come le limitazioni di sovranità nazionali, ora contenute nell’art. 11 e nell’art. 117 co.1 Cost., idonee ad assicurare e garantire un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni non abbiano centrato l’obiettivo appena menzionato. Contrariamente spesso si sono solamente accettati meri rapporti di forza voluti ed imposti o dal mercato o dalla politica prevalente in sede comunitaria.

La governance europea nella prassi ha inciso anche sulla funzione legislativa dell’art. 72 Cost. Posto che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere e che questa è la regola posta dal Costituente, le decisioni assunte in sede europea sono riuscite ad erodere ancora quanto appena affermato. Ai problemi già esistenti nel nostro sistema costituzionale in relazione all’istituto del decreto –legge[81] si sono aggiunte le spinte sovranazionali. Alla luce di quanto sostenuto il decreto-legge diviene un atto ordinario di attuazione di un indirizzo politico, di una politica generale del Governo elaborata quasi esclusivamente in sede europea[82].

Questi esempi sono necessari per introdurre il tema del rapporto tra etica e politica. La vexata quaestio ha origini antiche in quanto il primo contrasto si è posto in essere tra Antigone e Creonte[83]. In questa tragedia greca emerge il conflitto tra due personalità forti il cui agire si fonda su concezioni opposte.

Creonte è un uomo di stato, un politico di professione mosso da due ideali principali. Il primo, quello etico, concerne l’idea secondo cui l’obbligo morale supremo è quello di ottimizzare l’interesse della polis, riassumibile con salus rei publicae suprema lex. Il secondo ideale, definibile come realismo politico, ha alla sua radice la convinzione secondo cui il potere dello stato e tra stati sia esclusivamente basato sulla violenza. Conseguenza di questi due aspetti è che l’interesse della polis giustifica qualsiasi mezzo che risulti idoneo a tal fine.  

Se questa è la posizione di Creonte quella di Antigone è totalmente contrapposta. Per Antigone è doveroso rispettare le leggi morali non scritte e non mutabili. All’interno di queste leggi due per Antigone risultano essere prevalenti. La prima possiede carattere generale è riguarda l’obbligo morale di dare dignitosa sepoltura ai morti; la seconda prescrive di prendersi cura degli interessi, del benessere di coloro che ci sono legati in quanto parenti.

La trasgressione di Antigone fondata sulle leggi morali appena menzionate rispetto al divieto di Creonte può essere definita come disobbedienza civile o obiezione di coscienza[84]. Aldilà della classificazione nell’una o nell’altra categoria dell’atto posto in essere da Creonte il conflitto tra essa e Antigone pone problemi assai più complessi sul piano etico. Il problema generale è se esista un obbligo fondamentale di obbedienza alle leggi di uno stato legittimo e se esistano altre regole morali fondamentali che in situazioni specifiche sono superiori rispetto all’obbligo di rispetto delle leggi[85].

Altri due esponenti sono Machiavelli e Sartre. Per il primo è ovvio che il politico non possa svolgere il proprio compito seguendo i dettami della morale, il secondo ritiene che colui che svolge un’attività politica non può non sporcarsi le mani di fango o anche di sangue.

Arrivando al tema oggetto del saggio ci si domanda se si possa parlare di una moralità del mercato stesso. Sostenendo che il mercato possieda, in quanto tale, un meccanismo razionalmente perfetto non si può ritenere che lo stesso possa essere oggetto di una valutazione morale. In questo ambito si sosterrà che il mercato risulti essere a-morale in quanto incompatibile con ogni valutazione di ordine morale[86].

Declinato meglio per quello che interessa in questo ambito il rapporto si instaura tra costituzionalismo e vincoli europei. In questo ambito il concetto di costituzionalismo comprende sia quello interno ma anche quello esterno ossia quello riferito all’ Unione europea.

Il primo deve essere inteso come un movimento avente quale ideale un documento fondamentale che segna il trionfo di un ideale e che definisce la Costituzione come le lacrime e il sangue del popolo che hanno cementato i muri maestri della stessa Costituzione italiana[87].

La soluzione che si ritiene ammissibile può essere sintetizzata con l’espressione prendere  la Costituzione sul serio ossia rinvenire nella Carta costituzionale un progetto normativo, politico che impone a tutti gli attori giuridici una funzione propria e ben definita. Precisamente la politica dovrebbe occuparsi l’attuazione legislativa della stessa, compito proprio della funzione giurisdizionale sarebbe quello di applicare, interpretare le leggi vigenti invalide. Infine la dottrina dovrebbe occuparsi della critica del diritto illegittimo perchè prodotto o non prodotto in contrasto con i diritti costituzionalmente stabiliti e ciò al fine di superare nel primo caso le antinomie cioè le violazioni costituzionali per commissione nel secondo caso le lacune cioè le violazioni costituzionali per omissione[88].

Nell’ipotesi in cui si adottasse questa proposta si accosterebbe alla nozione di rigidità della Costituzione quella di resilienza costituzionale la quale potrebbe considerarsi una derivazione della stessa rigidità.

Il tema di costitutional resilience risulta ancora assente in Italia. Si tratta di un’espressione utilizzata per indicare la capacità della Costituzione di sopportare, di far fronte agli urti senza frantumarsi. In realtà questo concetto è stato utilizzato in ambito gius-lavoristico al fine di indicare le misure atte a resistere alla crisi ossia la capacità delle istituzioni di controllare gli effetti della crisi sul funzionamento del mercato del lavoro, sull’occupazione e disoccupazione ed infine sulla distribuzione dei redditi da lavoro[89].

Per quanto concerne il “costituzionalismo dell’Unione europea” si deve analizzare la ratio del Trattato di Roma del 1957. Quest’ultimo materializzava l’esigenza di dotare l’Europa di un sistema di relazioni tra Stati più sicuro, stabile ed istituzionalizzato. È evidente che lo scenario storico appena antecedente al 1957 era stato caratterizzato dallo scoppio delle due Guerre Mondiali. L’obiettivo da perseguire era quindi quello di convivere in pace nel territorio europeo senza dar luogo ad ulteriori eventi bellici.

Appare evidente come all’origine del progetto, sicuramente ambizioso, vi fosse la proposta di un federalismo idealista e sicuramente convinto del disegno politico, culturale e giuridico da perseguire[90].

Si dovrebbero ricordare le parole di Schuman[91] cioè L’Europa non potrà farsi in una sola volta, ne sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. La crisi che ha investito l’Europa a partire dall’anno 2008 avrebbe potuto essere l’occasione per fare un salto di qualità in termini di coesione, solidarietà, condivisione. Tutto questo sarebbe stato possibile se i moniti dei fondatori della Carta costituzionale e della CEE si fossero ricordati e applicati in modo concreto. La realtà ha dimostrato come il diritto sia governato dal mercato finanziario e di come i principi fondamentali tanto dei singoli Stati tanto della Comunità europea si siano piegati ad esso.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Pagliarin C., La spesa pubblica al tempo della crisi: poteri sovranazionali, stato e autonomie locali, in Costituzione e Religione a cura di De Vergottini G., Frosini E.T., Cedam, 2013, pag. 359-360.

[2] L’inizio di questo orientamento giurisprudenziale si rinviene nella sentenza n. 14/1964. Si deve ricordare come i costituenti con l’art. 11 Cost. all’adesione imminenti dell’Italia all’ONU. Paladin L., Mazzarolli L.A., Girotto D., Diritto costituzionale, Giappichelli, 2018, pag. 289.

[3] Baroncelli S., Rosini M., Costituzione e vincoli europei di bilancio, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2018, pag. 2.

[4] Moro P., Il diritto come processo. Principi, regole e brocardi per la formazione critica del giurista, Franco-Angeli, 2012, pag. 11.

[5] Colloca C., La polisemia del concetto di crisi: società, culture, scenari urbani, in Società e mutamento politica, vol. 2, n.1, 2010, pag. 20-22.

[6] Romano S., La crisi dello Stato, Giuffrè, 1969, pag.23, cit.

[7] Ciolli I., Crisi economica e vincoli di bilancio, in Gruppo di Pisa, 2012, pag. 20, cit.

[8] Marchese C., Diritti sociali e vincoli di bilancio, in Servizio di Studi Corte Costituzionale, 2014, pag. 4.

[9] Meccanismo europeo di stabilità finanziaria.

[10] Fondo europeo di stabilità finanziaria.

[11] Così denominato in quanto comprende cinque regolamenti e una direttiva europea.

[12] Junker J., State of the Union, 14.9.16, cit.

[13]Martinico G., La fuga dai Trattati. Primo studio sull’elusione del diritto come tecnica di integrazione, in Percorsi costituzionali, 2016, n.3, pag. 375-395. 

[14] Lanchester F., Passato, presente e futuro del costituzionalismo e dell’Europa, Cedam, 2019, pag. 181-183.

[15] Ianello C., Il non governo europeo dell’economia e della crisi dello stato sociale, in Diritto pubblico e rassegna del diritto europeo, 2015, pag.  1-3.

[16] Supiot A., Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del diritto, Mondadori, 2006, pag. 181.

[17] Irti N., L’ordine giuridico e del mercato, Laterza, 2001, pag. 40.

[18] Foucault M., Nascita della biopolitica. Corso al collège de France (1978-1979), Feltrinelli, 2005, pag. 84-90.

[19] Garapon A., Lo stato minimo. Il neoliberalismo e la giustizia, Cortina Raffaello, 2012, pag. 50-70.

[20] Il riferimento è all’art. 126 TUE.

[21] È la strategia presentata dalla Commissione nel 2010, COM(2020)2020 la quale predispone una serie di obiettivi da adottare per far fronte alla crisi economica.

[22] Marcelli F., Moroni S., Introduzione del principio di bilancio nella Carta Costituzionale. Disegni di legge costituzionale AA.SS. nn. 3047, 2834, 2851, 2881, 2890, 2965, n. 322/2011, pag. 85.

[23] Perez R., La nuova disciplina del bilancio in Germania, in Giornale di diritto amministrativo, 1/2011, pag. 96.

[24] Il riferimento è alla strategia Europa 2020.

[25] Lauro V., Le procedure di bilancio in Italia e nell’Unione Europea, in La finanza locale, 5/2005, pag. 41-61.

[26] Carboni G.B., Il processo di bilancio nello Stato comunitario, in Diritto pubblico comparato ed Europeo, 3/2006, pag. 1071-1097.

[27] Bifulco R., Jefferson, Madison e il momento costituzionale dell’Unione, in Rivista AIC, n. 2, 2012, pag. 3-20.

[28] De Grazia D., L’introduzione del principio del pareggio di bilancio in Costituzione (tra vincoli europei e zelo del legislatore), in Rivista AIC, n. 2, 2012, pag. 2497

[29] Brancasi A., Il principio del pareggio di bilancio in Costituzione, in Osservatorio sulle fonti, fasc. 2/2012.

[30] Morrone A., Crisi economica e diritti. Appunti per lo Stato costituzionale in Europa, in Quaderni costituzionali, 2014, pag. 100, cit.

[31] Brancasi A., Il principio del pareggio di bilancio in Costituzione, in Osservatoriosullefonti.it.

[32] Raffiotta E.C., Il governo multilivello dell’economia: studio sulle trasformazioni dello Stato costituzionale in Europa, University Press, 2013, pag. 30-80. 

[33] Lemme G., Diritto ed economia del mercato, CEDAM, 2014, pag. 135-137.

[34] Rivosecchi G., L’equilibrio di bilancio: dalla riforma costituzionale alla giustizi abilità, in AIC, n. 3/2016, pag. 3,cit.

[35] Ossia prima della riforma della L. cost. 1/2012.

[36] La prima pronuncia è stata la n. 70/2012.

[37] Sentenze n. 70, 115 e 192 del 2012.

[38] Rivosecchi G., L’equilibrio di bilancio: dalla riforma costituzionale alla giustizi abilità, in AIC, n. 3/2016, pag. 1-5.

[39] a)le verifiche, preventive e consuntive, sugli andamenti di finanza pubblica; b)l'accertamento delle cause degli scostamenti rispetto alle previsioni, distinguendo tra quelli dovuti all'andamento del ciclo economico, all'inefficacia degli interventi e agli eventi eccezionali; c)il limite massimo degli scostamenti negativi cumulati di cui alla lettera b) del presente comma corretti per il ciclo economico rispetto al prodotto interno lordo, al superamento del quale occorre intervenire con misure di correzione; d)la definizione delle gravi recessioni economiche, delle crisi finanziarie e delle gravi calamità naturali quali eventi eccezionali, ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge costituzionale, al verificarsi dei quali sono consentiti il ricorso all'indebitamento non limitato a tenere conto degli effetti del ciclo economico e il superamento del limite massimo di cui alla lettera c) del presente comma sulla base di un piano di rientro; e)l'introduzione di regole sulla spesa che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica; f)l'istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio; g)le modalità attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi degli eventi eccezionali di cui alla lettera d) del presente comma, anche in deroga all'articolo 119 della Costituzione, concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali.

[40] Brancasi A., Il principio del pareggio di bilancio in Costituzione, in Osservatorio sulle fonti, fasc. 2/2012,  pag. 1-12.

[41] Macry P., Tra Sud e Nord, i conti da rifare, Il Mulino, n.1/2013, pag. 40, cit

[42] Pagliarin C., La spesa pubblica al tempo della crisi: poteri sovranazionali, stato e autonomie locali, in Costituzione e Religione a cura di De Vergottini G., Frosini E.T., Cedam, 2013, pag. 381-385.

[43] Per forma di governo ci si riferisce all’insieme dei rapporti esistenti tra i diversi organi costituzionali che governano il paese in posizione di parità e indipendenza. Palandin L., Mazzarrolli L.A., Girotto D., Diritto costituzionale, IV edizione, Giappichelli, 2018, pag. 50.

[44] Onida V., Le leggi di spesa in Costituzione, Giuffrè, 1969, pag. 165-180.

[45] Degni M., La decisione di bilancio nel sistema maggioritario. Attori, istituti e procedure nell’esperienza italiana, Ediesse, 2005, pag. 98-110.

[46] Talarico E., La governance multilivello della finanza pubblica e la ridefinizione dell’indirizzo finanziario tra i diversi livelli di Governo, in Quaderni di Nomos - Le attualità nel diritto, 2015, pag. 13, cit.

[47] Rivosecchi G., L’indirizzo politico-finanziario tra Costituzione italiana e vincoli europei, Cedam, 2007, pag.36-50.

[48] Venne introdotto con L. 39/2011 modificando la legge di contabilità e finanza pubblica, si tratta dell’evoluzione del precedente Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) ossia il tipico atto di indirizzo attraverso il quale il Governo definisce gli obiettivi di politica economica nonché gli strumenti per conseguirli per il triennio successivo. Si può quindi sostenere che il documento appartenga alla categoria degli atti di programmazione economica.

Il DPEF venne introdotto con L. 362/88.

[49] Cavallin Cadeddu L., Linee di riforma dei bilanci pubblici. Atti del convegno (Cagliari, 7-8 giugno 2002), Giappichelli, 2003, pag. 32, cit.

[50] Talarico E., La governance multilivello della finanza pubblica e la ridefinizione dell’indirizzo finanziario tra i diversi livelli di Governo, in Quaderni di Nomos - Le attualità nel diritto, 2015, pag. 16-18.

[51] Si veda capo IV L. 243/2012. 

[52] Venne introdotto con l’art. 28 L. 448/98 e rappresenta per le autonomie locali il cardine della politica economica. Persegue lo scopo di responsabilizzare gli enti decentrati circa il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica che il Paese ha assunto mediante l’adesione al Patto di stabilità e crescita predisposto a livello europeo. Beltrami A., Il patto di stabilità interno, pag. 700 in Astegiano G., Ordinamento e gestione contabile-finanziaria degli enti locali, Ipsoa, 2012.

[53] Rivosecchi G., L’equilibrio di bilancio: dalla riforma costituzionale alla giustiziabilità, in AIC, n.3/2016, pag.6-8.

[54] Si tratta dei comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti.

[55] Beltrami A., Il patto di stabilità interno, pag. 710-712, cit, in Astegiano G., Ordinamento e gestione contabile-finanziaria degli enti locali, Ipsoa, 2012

[56] Sentenze n. 148 e 151 del 2012 e sentenza n. 99/2014.

[57] Rivosecchi G., L’equilibrio di bilancio: dalla riforma costituzionale alla giustiziabilità, in AIC, n.3/2016, pag. 9-15.

[58] La ragionevolezza concerne la coerenza delle differenziazioni in esame in rapporto con il trattamento che le leggi riservano ad altre categorie o fattispecie che sono comparabili con quella contestata. Paladin L., Mazzarolli L.A., Girotto D., Diritto costituzionale, Giappichelli, 2018, pag. 199.

[59] Rovagnati A., Sulla natura dei diritti sociali, Giappichelli, 2009, pag. 78.

[60] Sentenza n. 40/73, n. 219/75.

[61] Zagrebelsky G., Problemi in ordine ai costi delle sentenze della corte costituzionale in AA.VV, Le sentenze della Corte costituzionale e l’art. 81,ultimo comma, della Costituzione, Giuffrè, 1993, pag. 147-160.

[62] Eichengreen B., The EMS crisis in retrospect, NBER working papers series, Cambridge, 2000.

[63] Giorgis A., La costituzionalizzazione dei diritti all’uguaglianza sostanziale, Jovene, 1999, pag. 160-176.

[64] Scagliarini S., L’incessante dinamica della vita moderna. I nuovi diritti sociali nella giurisprudenza costituzionale. relazione al Seminario del Gruppo di Pisa (Trapani, 8-9 Giugno 2012), pag. 20.

[65] Messineo D., La garanzia del contenuto essenziale dei diritti fondamentali, Giappichelli, 2012, pag. 55, cit.

[66] Salazar C., Dal riconoscimento alla garanzia dei diritti sociali. Orientamento e tecniche decisorie della Corte costituzionale a confronto, Feltrinelli, 2000, pag. 129, cit.

[67] Gambino S., Diritti sociali ed unione europea, in La cittadinanza europea, 2008, pag. 1-2.

[68] Cottarelli C., La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare, pag. 30-50, Feltrinelli, 2015.

[69] Nocito W., Diritti costituzionali e crisi finanziaria: la rigidità costituzionale alla prova, in Diritti sociali e crisi. Problemi e prospettive ( a cura di) Gambino S., Giappichelli, 2015, pag 4. cit

[70] Rivosecchi G., Il c.d. pareggio di bilancio tra Corte e legislatore, anche nei suoi riflessi sulle Regioni: quando la paura prevale sulla ragione, in Rivista AIC,n.3/2012.

[71] Sentenze n. 267/2006, 179/2007, 237/2009, 325/2010 37/2011, 60/2013, 39/2014.

[72] Vi sarebbero anche altre pronunce ugualmente importanti quali la sentenza Sciarra (n. 70/2015) e la Sciarra-bis (n. 178/2015), in questo contesto si è deciso di analizzare la sentenza Cartabia.

[73] Si tratta della metodologia secondo la quale i principi si applicano attraverso bilanciamenti facendo riferimento a standards di valutazione extra-testuali e non mediante sussunzioni sillogistiche.

[74] Punto n.10 considerato in diritto. Chessa O., Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto (nota a Corte costituzionale sent. N. 6/2004) in Le Regioni, n. 4/2004, pag. 951.

[75] De Fiores C., Corte legislatore e indirizzo politico, in Corte costituzionale e processi di decisione politica: atti del seminario di Otranto-Lecce svoltosi il 4-5 Giugno 2004, (a cura di) Tondi Delle Mura V., Carducci M., Rodio R.G., Giappichelli, 2005, pag.

[76] Ossia l’economia che si finanziarizza.

[77] Sentenza n. 62/94, 219/2005.

[78] De Fiores C., Corte legislatore e indirizzo politico, in Corte costituzionale e processi di decisione politica: atti del seminario di Otranto-Lecce svoltosi il 4-5 Giugno 2004, (a cura di) Tondi Delle Mura V., Carducci M., Rodio R.G., Giappichelli, 2005, pag. 194

[79] Azzariti G., Prima i diritti e poi l’economia, in Il Manifesto, 26/6/15, pag. 20.

[80] Grasso G., Le parole della Costituzione e la crisi economico-finanziaria, in Rivista AIC, 4/2/16.

[81] Si ricordi come non vengono sempre rispettati i requisiti ex art.77 Cost. ossia come la decretazione d’urgenza non possa più essere definita tale in quanto sembra essere diventata il metodo ordinario per legiferare.

[82] Grasso G., Crisi economico-finanziaria, globalizzazione, teoria dei cicli funzionali (in margine a “La separazione dei poteri” di Gaetano Silvestro), in Rivista AIC, n. 2/2015, pag. 5-6, cit

[83] La tragedia è ambientata a Tebe, città-stato, la quale è appena uscita da una guerra. A seguito della morte del re Edipo, i suoi figli Eteocle e Polinice,fratelli di Antigone e Ismene, avrebbero dovuto alternarsi la reggenza di Tebe secondo la legge vigente all’epoca. Polinice cerca di impossessarsi della città di Tebe mediante l’aiuto esterno, durante la guerra civile muoiono i due fratelli e il potere passa ex lege ad Antigone, zio materno di Ismene. Antigone vietò di dare sepoltura onorevole a Pollinice nonostante Antigone volesse seppellire suo fratello (Pollinice). Creonte trasgredì l’ordine di Antigone e per questo murata viva.

[84] Entrambi risultano essere caratterizzati dalla trasgressione intenzionale di una legge. Nella disobbedienza civile li atti sono posti in essere a scopo politico, nel caso dell’obiezione di coscienza non sono connotati da detto scopo.

[85] Pontara G., Antigone e Creonte. Etica e politica, violenza e non violenza, in I mercoledì di Antigone, pag.  2-8.

[86] Bobbio N., Etica e politica, in MicroMega,n.4/86, pag.3.

[87] Calamandrei P., cit.

[88] Ferrajoli L., La democrazia attraverso i diritti. Il costituzionalismo garantista come modello teorico e progetto politico, Laterza, 2013, pag. 50-85.

[89]Treut T., Le istituzioni del lavoro nella Europa della crisi, in Relazione a giornate di Studio dell’Associazione Italiana del Diritto del Lavoro e Scienza della Sicurezza Sociale, Bologna, 16-17 maggio 2013, pag. 23-27.

[90] La Torre M., La cittadinanza “liquida”. Cittadinanza dell’Unione europea e liberalismo autoritario, in Ferri E., Nuove e vecchie cittadinanze nella società multiculturale contemporanea, Cedam, 2018, pag. 185-186.

[91] Si tratta della dichiarazione rilasciata da Robert Schuman il 9 maggio 1950.