Pubbl. Gio, 29 Mag 2025
La costituzionalizzazione del salario minimo
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Giuseppina Mastroianni

Il salario minimo è oggetto di un accesso dibattito in Italia. Il presente contributo, partendo dall´analisi dell´articolo 36 della Costituzione, si pone l´obiettivo di offrire un´attenta analisi sul rapporto che intercorre tra le intenzioni dei padri costituenti e l´attuale strumento di fissazione dei minimi retributivi individuabile nei CCNL.

The Constitutionalization of the minimum wage
The minimum wage is the subject of heated debate in Italy. This paper, starting from the analysis of article 36 of Constitution, aims to offer a careful analysis of the relationship between the intentions of the constituent fathers and the current instrument for setting minimum wages, wich can be found in the CCNLs.Sommario: 1. Il principio lavorista; 2. Il dibattito costituzionale storico; 2.1 Contenuto dell'art. 36 Cost.; 3. La giusta retribuzione: principio di proporzionalità e principio di sufficienza; 4. CCNL come attuazione dell'articolo 36 Cost.; 5. Conclusioni.
1. Il principio lavorista
La Costituzione della Repubblica tutela il principio lavorista, esplicitamente sancito dall’articolo 1, che definisce la Repubblica come "fondata sul lavoro".
Questo principio riconosce il lavoro come mezzo per garantire la dignità della persona e la piena partecipazione alla vita economica, sociale e politica del Paese. Nell’ordinamento italiano, pertanto, la previsione e tutela di questo principio, si pone come cardine della partecipazione democratica degli individui e come mezzo attraverso cui garantirne l’uguaglianza sostanziale1.
L’articolo 1, in combinato disposto con gli articoli 4 e 36 della Costituzione, ci permette di avere un quadro più ampio dell’importanza del principio lavorista, grazie al quale possiamo affermare che il lavoro è considerato il mezzo fondamentale attraverso cui ciascun individuo contribuisce alla società e realizza la propria personalità; non è solo una fonte di reddito, ma anche il fondamento della partecipazione dei cittadini alla vita democratica, pertanto lo Stato deve garantire condizioni di lavoro dignitose, promuovendo equità, sicurezza e stabilità lavorativa.
Questo principio implica che il lavoro sia considerato un diritto fondamentale, ma anche un dovere sociale. Da qui deriva l’obbligo dello Stato di promuovere l’occupazione e creare condizioni economiche e sociali tali da rendere il diritto al lavoro effettivo e di garantire una giusta ed equa retribuzione, al fine di realizzarne il pieno rispetto di quanto previsto dalla Carta fondamentale.
Il disposto di cui all’art.1 Cost., in particolare, e la presenza del principio lavorista, nascono chiaramente come “bandiera” della rinascita repubblicana in contrapposizione con i principi ispiratori degli ordinamenti precedenti, che tenevano particolarmente conto della proprietà privata e degli interessi individuali, che l’attuale Costituzione non esclude totalmente, ma cerca di equilibrarli per evitare che questi possano prevalere rispetto ai principi che tutelano la collettività e la dignità umana2.
Il contesto storico in cui il principio lavorista si sviluppa e viene considerato centrale è un periodo segnato dalla caduta del fascismo e dalla volontà di ricostruire un’Italia fondata su nuovi valori, che potessero rispondere ed abbracciare le esigenze popolari di giustizia sociale in virtù del principio
democratico, altresì espresso nella Carta fondamentale, dal momento che il suo contenuto è parte integrante del principio lavorista. Ed infatti, questi due principi si completano e intersecano, avendo come obiettivo comune un’Italia democratica e inclusiva.
Volendo analizzare il principio democratico più in generale, enunciato all’art.1 Cost. con l’espressione “Repubblica democratica”, è possibile estrarne diversi elementi chiave, tra cui:
1. Sovranità Popolare:nell’affermare che “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1, comma 2) si intende indicare che tutte le decisioni pubbliche devono rispecchiare la volontà dei cittadini e ciò è possibile tramite le elezioni e con il voto, strumento principale di partecipazione democratica. Tuttavia, la partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese, si esprime anche attraverso quanto disposto all’art. 17,18, 21, 49 Cost, ossia garantendo la libertà di associazione, di riunione, di espressione e la possibilità di costituire partiti politici;
2. Diritti e Libertà Fondamentali: la democrazia italiana assicura che i diritti fondamentali e le libertà individuali siano garantiti a tutti, a partire dall'uguaglianza e dalla dignità umana (art. 2 e 3), rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto li limitano.
3. Divisione dei Poteri: la Costituzione italiana adotta il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Questo garantisce un equilibrio e un controllo reciproco tra i poteri dello Stato, riducendo il rischio di abusi e accentramenti;
4. Democrazia Rappresentativa e Diretta: la democrazia italiana è essenzialmente rappresentativa, ma include anche forme di democrazia diretta, come il referendum abrogativo (art. 75 Cost.), che consente ai cittadini di abrogare leggi o atti con forza di legge, e il referendum costituzionale, che può essere richiesto per approvare o respingere riforme costituzionali;
5. Stato di Diritto e Principio di Legalità: nessun organo dello Stato, nemmeno il potere politico, può operare al di sopra delle leggi in virtù del Principio di Legalità grazie al quale l’espressione del potere può avvenire solo in forza di una legge e ciò è garante di uno Stato di Diritto.
Appare evidente - e probabilmente superfluo - ribadire come l’art.1 Cost. si rifletta sui successivi articoli fondamentali e sia ad essi connesso. È il caso dell’art.3 della Costituzione. Nel sancire l’uguaglianza formale al primo comma e l’uguaglianza sostanziale al secondo, i Costituenti inevitabilmente hanno creato un terreno fertile per l’applicazione concreta dell’art. 1, dunque del principio democratico e di quello lavorista, dichiarando che la Repubblica deve attivamente rimuovere le disuguaglianze sociali ed economiche per garantire che tutti i cittadini possano partecipare pienamente alla vita del Paese. In altre parole, il lavoro deve consentire ad ogni persona di vivere una vita dignitosa e autonoma, senza che vi siano barriere di tipo sociale, economico o culturale, garantendo che queste condizioni non rimangano solo enunciate, ma si traducano in politiche che promuovano la reale uguaglianza e partecipazione dei cittadini3.
Ponendo dunque il principio lavorista ed il lavoro in generale come fondamento della Repubblica, in quanto esternazione del principio democratico, questo acquisisce una valenza ed una chiara applicazione collettiva; e ciò trova conferma, altresì, in quanto disposto all’art.4 Cost. nel definire il “diritto al lavoro” come un diritto-dovere. Il diritto al lavoro è un diritto potenziale, ossia un diritto che deve essere attuato dalla Repubblica attraverso misure coerenti nel finalizzare questo obiettivo4; ed è un dovere perché investe l’ambito della responsabilità sociale, visto che l’individuo, con la propria attività lavorativa, contribuisce al “progresso materiale e spirituale della società”5.
Non mancano, tuttavia, le critiche alla concezione di Repubblica fondata sul lavoro, laddove si sostiene che il lavoro si traduca, anziché in un mezzo per l’emancipazione, in sfruttamento, alienazione e costrizione. Basti pensare ai campi di concentramento nazisti e al motto emblematico del tutto derisorio collocato all’entrata di Auschwitz: “Il lavoro rende liberi”; o alle condizioni lavorative dei deportati nel Forte di Fenestrelle. A riguardo, infatti, durante stesura dell’art.1 in Assemblea costituente, vengono sollevati dei dubbi in relazione alla proposta del fronte comunista per l’introduzione della formula “Repubblica fondata sui lavoratori”, proprio perché questa avrebbe potuto incentivare il classismo, andando a respingere l’idea che la Repubblica fosse cosa solo della classe dei lavoratori, abbracciando invece quella più ampia di lavoro in vista della sua funzione di garanzia della dignità dell’uomo6.
Il diritto al lavoro è un diritto sociale per la nostra Costituzione ed i valori su cui si fonda la stessa, scegliendo di valorizzare e proteggere la dignità umana, la giustizia sociale e la partecipazione democratica, sono la chiave di volta dello Stato democratico. Tuttavia, come per qualsiasi altro diritto sociale, è importante sottolineare come la sua applicazione concreta ed effettività sia subordinata alla previsione di misure e politiche attuative ed in questo è lo Stato a porre in essere le condizioni affinché ciò avvenga.
Il principio lavorista si riflette anche sull’articolo 36, attorno al cui concetto cardine, ossia la “esistenza libera e dignitosa”, si pongono diversi interrogativi ed in particolare quello relativo alla mancanza di una definizione chiara e univoca che sia utile a dare maggiore certezza giuridica e che non lasci spazio a discrezionalità legislative. La Corte, infatti, pur sollecitata ripetutamente su questioni come il salario minimo, i diritti previdenziali e le condizioni essenziali per una vita dignitosa, ha raramente chiarito in maniera esaustiva il concetto.
Ciononostante, una sorta di cambio di paradigma si ha con la sentenza n. 275/2016, avente ad oggetto una normativa della Regione Abruzzo che subordinava l’erogazione del servizio di trasporto pubblico dei disabili agli stanziamenti delle successive leggi di bilancio e che ha ritenuto la stessa lesiva dei diritti incomprimibili, sostenendo fortemente la superiorità dei valori costituzionali, come quello della dignità umana derivante da un servizio simile, rispetto ai vincoli di bilancio. In altri termini, viene rafforzata la portata dei diritti sociali a prescindere da condizioni economiche che potrebbero comprometterne l’esercizio7.
2. Il dibattito costituzionale storico
L’attuazione dei diritti sociali si esplica ulteriormente attraverso l’art.36 Cost., il quale pone l’accento sulla dimensione economica del diritto al lavoro, disponendo la previsione di una giusta ed equa retribuzione per i lavoratori come espressione dell’intenzione dei Costituenti nel definire i principi cardine della Carta fondamentale.
Nel biennio 1946-47, durante il dibattito sull’equa retribuzione dell’Assemblea costituente, Giuseppe Di Vittorio, leader della CGL unitaria, si oppose alla fissazione legale del giusto salario ritenendo che la determinazione dei minimi retributivi dovesse spettare ai corpi intermedi, come i sindacati, piuttosto che al legislatore, a differenza di quanto sostenuto dal fronte comunista tramite gli onorevoli Bibolotti e Bitossi8 .
Fu proprio Aladino Bibolotti a richiedere specificatamente l’introduzione di un comma all’art 36 Cost., inizialmente art.32, sulla giusta retribuzione, secondo cui “il salario minimo individuale e familiare…sono stabiliti dalla legge”. Nella discussione durante l’Assemblea costituente, l’onorevole Bibolotti fece valere la sua proposta argomentando la necessità di specificare l’introduzione di un salario minimo legale come mezzo attraverso cui rafforzare i diritti fondamentali dei lavoratori nella nuova democrazia italiana e prevenire la povertà estrema. Pertanto, la “giusta retribuzione” non può essere materia nelle mani dei privati, ma deve essere regolamentata per legge, aggiungendo, inoltre, che ciò è in linea con lo stesso principio che ha spinto ad assicurare le otto ore lavorative come limitazione della giornata lavorativa stessa frutto di decenni di lotte dei lavoratori stessi9.Tuttavia, questa proposta si scontrò ancora una volta con le obiezioni poste da Giovanni Gronchi il quale, come Di Vittorio, sosteneva che la materia dovesse essere regolamentata dalla contrattazione collettiva. A questi contrasti il Presidente della Repubblica rispose in maniera del tutto mite limitandosi ad astenersi sull’inserimento del suddetto comma proposto da Bibolotti e pertanto, com’è ben noto, ad oggi manca un vero riferimento al salario minimo legale10.
Ciononostante, in un certo senso è possibile ammettere la presenza di una sorta di compromesso costituzionale caratterizzato dalla presenza dell’art.36 Cost. nello stabilire il diritto universale ad un’equa retribuzione e l’art.39 Cost., la cui interpretazione è necessaria nella lettura del sopracitato, che disciplina il ruolo dei sindacati affidando a loro un ruolo centrale nella contrattazione salariale11.
2.1 Contenuto dell’art.36 Cost.
La formulazione definitiva dell’articolo 36 della Costituzione della Repubblica recita così: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”
Da tale disposizione emerge chiaramente la presenza dei cosiddetti meta-principi qualificativi del diritto alla retribuzione adeguata ossia: dignità, libertà ed eguaglianza. Questi principi rappresentano valori fondamentali, che arricchiscono il significato del diritto alla giusta retribuzione, conferendogli una dimensione normativa e assiologica superiore, in cui la dignità è direttamente collegata alla possibilità dell’individuo di avere un’esistenza decorosa al di sopra dei limiti di sopravvivenza, la libertà si rifà alla condizione in cui il lavoratore supera uno stato di bisogno e può sviluppare il pieno esercizio delle proprie libertà dal punto di vista sociale e personale, l’uguaglianza è connessa alla possibilità di adempiere a quanto previsto dal principio di uguaglianza sostanziale dalla Carta Fondamentale in materia di parità di trattamento nell’ambito del superamento delle disparità economiche12.
In altri termini, l’articolo 36 Cost. in materia di giusta ed equa retribuzione sottolinea ed incarna perfettamente quanto più generalmente disposto dal principio lavorista. Poste queste condizioni, l’analisi dell’art 36 Cost. verte innanzitutto sulla posizione del lavoratore: il lavoratore è considerato la parte debole del contratto e in quanto tale deve essere tutelata, in virtù dello scambio tra la sua prestazione lavorativa e un salario atto a sostenere sé stesso e la propria famiglia. Di primo acchito sembrerebbe che la tutela posta dall’art.36 Cost. sia da considerarsi applicabile esclusivamente ai lavoratori subordinati anziché ai lavoratori autonomi e ancora meno all’imprenditore, visto che gestiscono le proprie risorse in maniera del tutto autonoma13.
Invero, la Corte Costituzionale in più occasioni si è interrogata sull'interpretazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione italiana nel contesto delle professioni intellettuali e del lavoro autonomo, affermando che questo è stato progettato per garantire la tutela della persona del lavoratore e per assicurare la soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali e di quelli della sua famiglia, ma non ha l'obiettivo di garantire una perfetta equivalenza o parità tra le prestazioni in un rapporto di lavoro contrattuale, in cui si scambiano lavoro e retribuzione.
La Corte ha stabilito che «se, pertanto, i principi contenuti nella detta norma debbono considerarsi applicabili nel campo del lavoro autonomo, e in particolare nel campo delle professioni intellettuali, tale applicazione non può aversi se non in considerazione dell'attività complessiva del professionista, nei modi e nei limiti in cui essa sia accertabile e valutabile, e non in relazione ai singoli rapporti e alle singole prestazioni in cui si esplica l'attività del libero professionista. Oltre tutto, quest'ultimo criterio non varrebbe ad assicurare al professionista l'esistenza libera e dignitosa, voluta dalla Costituzione»14.
In altre parole, questa visione più ampia consente di rispettare l'essenza dell'art. 36 Cost. e di bilanciare le esigenze del professionista con quelle del pubblico interesse. E ancora la Corte lo ribadisce in relazione alla sentenza n. 30 del 1965 avente ad oggetto il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale sulla legge 21 dicembre 1961, n. 1527 che trattava la determinazione dei prezzi minimi delle sanse di oliva vendute dai frantoiani agli estrattori, nella quale venivano contestate diverse norme di carattere costituzionale ed in particolare, anche in questo caso, la Corte ha dovuto ribadire che l'art. 36 Cost. non può giustificare interventi legislativi in rapporti tra categorie di imprenditori, come nel caso della legge sui prezzi minimi delle sanse di oliva. Questo perché l'articolo si applica esclusivamente ai rapporti di lavoro subordinato, non a quelli tra soggetti che operano su un piano di autonomia contrattuale15. Tuttavia, negli ultimi anni, alcuni interventi legislativi hanno cercato di estendere il principio della retribuzione equa ai lavoratori autonomi.
Basti pensare al fatto che leggi recenti hanno introdotto il principio di equo compenso per i professionisti, definito come proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e conforme ai parametri ministeriali o ancora alla cosiddetta tutela dei rider, spesso formalmente autonomi, per i quali sono stati introdotti criteri retributivi minimi, richiamando i principi di proporzionalità e sufficienza previsti dall'articolo 36della Costituzione. Ed ancora, la legge sull'equo compenso per i giornalisti autonomi richiama esplicitamente l'articolo per garantire una remunerazione proporzionata e sufficiente16.
La materia della retribuzione è dinamica e pertanto soggetta a numerose trasformazioni direttamente proporzionali a quelle che avvengono dal punto di vista politico, culturale e sociale, ma soprattutto collegate all’evoluzione del mercato e del progresso scientifico e tecnologico. Queste trasformazioni mettono in discussione la tradizionale funzione redistributiva della retribuzione, interrogando il ruolo della legge e della contrattazione collettiva, sia a livello centrale che decentrato, nella gestione di queste dinamiche che di conseguenze si riversano sui lavoratori. In che modo al lavoratore, quindi, viene assicurata un’equa e giusta retribuzione dinanzi alle sfide odierne quali la lotta alla povertà, il precariato e le nuove forme di lavoro?17
É chiaro, pertanto, che la materia oggetto della disposizione costituzionale dibattuta supera la mera logica sinallagmatica e investe l’ambito etico-sociale, seppur collocata nelle relazioni economiche-lavorative, andando a realizzare una sintesi tra valori contrattuali e diritti umani18.
La lettura dell’articolo 36 Cost. e la materia retributiva deve essere affrontata anche in virtù di quanto disposto dal codice civile all’articolo 2099, secondo cui «La retribuzione del prestatore di lavoro può essere stabilita a tempo o a cottimo e deve essere corrisposta, con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito.
In mancanza di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice. Il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura». La presenza della materia della retribuzione anche nel dettato del codice civile garantisce l’arricchimento del quadro normativo, facendo sì che le garanzie costituzionali possano trovare maggiore applicazione. Infatti, in Italia i giudici ricorrono spesso ad un'interpretazione congiunta dell'articolo 2099, comma 2, del Codice Civile, e dell'articolo 36 della Costituzione per definire i parametri retributivi quando mancano norme legislative specifiche, come un salario minimo legale o l'efficacia erga omnes dei contratti collettivi. Ciò avviene attraverso il ricorso ai minimi tabellari dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali19.
Tuttavia, resta ancora assente un vero e proprio intervento legislativo chiaro che possa garantire la piena ed efficace applicazione dell’articolo 36 Cost. anche alla luce delle difficoltà crescenti e del dumping salariale20.
3. La giusta retribuzione: principio di proporzionalità e principio di sufficienza
I principi su cui poggia il disposto dell’articolo 36 Cost. sono quello di proporzionalità e quello di sufficienza. Il principio di proporzionalità implica che la retribuzione debba essere commisurata in modo equo alla quantità e qualità del lavoro svolto. In altre parole, il salario deve rispecchiare in modo oggettivo la quantità di lavoro (ad esempio, in termini di tempo lavorato o di risultati raggiunti) e la qualità (come l’esperienza e le competenze del lavoratore).
In questo senso, la proporzionalità non si limita ad un’adeguata remunerazione in base a questi fattori, ma cerca anche di evitare ingiustizie retributive, legando il salario a parametri più oggettivi di valutazione. Il principio di sufficienza, invece, incarna la volontà di garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa imponendo di evitare condizioni economiche di sfruttamento o di indigenza. Entrambi questi principi sono in grado di realizzare ciò che si intende con “equa” retribuzione equilibrando criteri economici, legati alla produttività e valori sociali come quello della dignità umana e giustizia sociale21.
Nella disposizione dell’articolo 36 della Costituzione i principi vengono legati dall’espressione “e in ogni caso” che richiama la necessità che la retribuzione sia sufficiente a prescindere dalle circostanze, includendo situazioni in cui la prestazione lavorativa non è né esigibile (ad esempio, durante ferie o festività), né possibile (come in caso di malattia, infortunio o gravidanza). Questa clausola assicura che il lavoratore non sia privato di una retribuzione adeguata, anche quando non è in grado di lavorare per cause indipendenti dalla sua volontà22.
È importante precisare che il richiamo al concetto di famiglia nell’articolo 36 Cost. non deve essere interpretato come un criterio per determinare la retribuzione, ma piuttosto come un valore sociale. La determinazione di una retribuzione adeguata deve basarsi unicamente sulle necessità del lavoratore. Le esigenze familiari, invece, non possono essere interamente poste a carico della retribuzione individuale, ma richiedono l’intervento dello Stato, che deve garantire strumenti di previdenza e assistenza idonei a soddisfare tali bisogni23.
A tal proposito, è innegabile la stretta connessione con l’articolo 38 della Costituzione, il quale stabilisce che «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera».
Il chiaro riferimento nasce proprio dal principio di solidarietà che ne deriva, in particolare al comma 2, e che rafforza l'idea che il riconoscimento dei diritti sociali è un impegno dello Stato per garantire il benessere dei cittadini. Infatti, se un lavoratore non ha un salario adeguato, e dunque rispettoso dei principi di proporzionalità e sufficienza, lo Stato è chiamato ad intervenire, non solo per garantire il minimo vitale, ma anche per promuovere la giustizia sociale e la "mobilità sociale", intesa come la possibilità di migliorare la propria condizione economica e sociale24.
È per questo motivo che questi due principi riassumono quello che la retribuzione vuole essere nel nostro ordinamento: da un lato, corrispettivo della prestazione; dall’altro, realizzazione dei principi di giustizia sociale e solidarietà.
Tuttavia, in alcuni casi si sostiene la tesi secondo cui questi due principi siano in realtà incompatibili ritenendo la prevalenza di un principio sull’altro. A questo punto ci si domanda, secondo i costituenti, quale dei due principi è “sacrificabile” per favorire l’altro? In realtà, i due principi, seppure con effetti differenti, operano congiuntamente considerando che il principio di sufficienza si ricollega ad una retribuzione minima inderogabile che si fonda su esigenze sociali, e da questo nasce il principio di proporzionalità, il quale si ricollega all’aspetto contrattuale25.
Un punto interessante è che questa visione unitaria della retribuzione ha trasformato il contratto di lavoro in qualcosa di più di un semplice scambio economico. Con l’introduzione della Costituzione, il contratto di lavoro assume una dimensione sociale: non si limita a regolare le prestazioni reciproche tra datore di lavoro e lavoratore, ma si orienta anche verso la tutela della dignità del lavoratore26.
In altri termini, la proporzionalità non viene abbandonata, ma interpretata alla luce della sufficienza ed è chiamata ad operare entro la soglia di sufficienza visto che questi sono interdipendenti.
Si può ribadire che, combinando i due principi dell’articolo 36 Cost., si vada a configurare più ampiamente il concetto di adeguatezza (o giusta) retribuzione27.È proprio su questa nozione che si sviluppano tre diverse concezioni: la retribuzione adeguata secondo la giurisprudenza costituzionale, quella determinata dalla legge e quella della contrattazione collettiva.
In merito alla giurisprudenza costituzionale, possiamo affermare che il concetto di retribuzione adeguata faccia interamente riferimento alla disposizione dell’articolo 36 Cost., che però non tiene conto di alcuni elementi, come gli scatti di anzianità o le mensilità aggiuntive; la retribuzione adeguata determinata dalla legge fa invece chiaro riferimento al salario minimo legale, che andrebbe ad ampliare la tutela retributiva laddove si riscontri l’assenza dei contratti collettivi; la retribuzione adeguata determinata dalla contrattazione collettiva andrebbe a garantire una copertura più ampia della tutela, che però non si estende a determinate categorie di lavoratori ed è incerta e frammentata28.
Sul primo punto, in merito all’esclusione dal calcolo della giusta retribuzione degli scatti d’anzianità o delle altre mensilità aggiuntive, bisogna soffermarsi. In questo senso, non c’è univocità, in quanto, da un lato, si ritiene che questi elementi debbano concorrere alla determinazione della retribuzione adeguata, dato che con l'aumento dell'esperienza, la prestazione lavorativa del dipendente tende a migliorare qualitativamente, giustificando così incrementi retributivi. Di contro, si sostiene fermamente l’estraneità al principio di proporzionalità dei suddetti, poiché non sempre sono correlati a un miglioramento della qualità della prestazione lavorativa (si pensi ai casi in cui il lavoratore è impossibilitato, per cause a lui non imputabili, di effettuare la prestazione lavorativa)29.
Tuttavia, la Corte Costituzionale, in diverse occasioni30 ha chiarito questa duplice visione, affermando che “i criteri di sufficienza e proporzionalità posti dall'art. 36 Cost. sono inscindibilmente connessi, di modo che la verifica del rispetto del precetto costituzionale esige una valutazione globale e di sintesi dell'intero assetto retributivo al lavoratore, a prescindere dai criteri di computo e dall'ammontare delle singole voci”31. In questo senso, secondo la Corte costituzionale il principio di adeguatezza retributiva si può ritenere soddisfatto se viene considerato in modo complessivo, anziché isolare singole componenti come l’anzianità o la retribuzione base.
Resta comunque da sottolineare che l’applicazione concreta dei principi di proporzionalità e sufficienza e quindi della giusta retribuzione, contenuti nell’articolo 36 Cost., sono rimessi alla contrattazione collettiva nel nostro ordinamento e, data la mancanza di attuazione di parte dell’articolo 39 Cost., la giurisprudenza costituzionale ha dovuto colmare il vuoto legislativo in materia32, andando però a concentrarsi su settori più deboli che non sono coperti dalla contrattazione collettiva33.
4. CCNL come attuazione dell’articolo 36 Cost.
Il dibattito in Assemblea costituente durante la stesura dell’articolo 36 della Costituzione, come già esposto, ha portato ad affidare alla contrattazione collettiva la materia relativa alla retribuzione34. Per questo motivo, anziché preferire che fosse la legge stessa a stabilire il quantum salariale alla stregua dei principi di proporzionalità e sufficienza, il legislatore ha preferito che fosse competenza dei contratti collettivi. Ciò comporta la lettura dell’articolo 36 Cost. in relazione alla disposizione dettata all’articolo 39 della Costituzione, il quale riconosce i sindacati registrati come la massima autorità salariale35. Il problema, tuttavia, si pone nel momento in cui l’articolo 39 Cost. così proposto non è stato attuato al suo comma 4, con riferimento all’efficacia erga omnes dei contratti collettivi.
È necessario, a questo proposito, partire dall’attuale formulazione e ripercorrere l’acceso dibattito che di fatto ha portato la mancata attuazione di parte dell’articolo 39 della Costituzione. Questo dispone letteralmente che «L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce».
Il contesto storico dell’Assemblea costituente è chiaramente quello immediatamente successivo al regime fascista, il quale aveva previsto la presenza di un unico sindacato soggetto allo stretto controllo del Governo. L’effetto fu quello di un acceso dibattito, che, da un lato, vedeva le forze liberali battersi affinché si sviluppasse sempre di più il fenomeno sindacale e il suo pluralismo; dall’altro,le forze corporative che spingevano affinché il fenomeno sindacale fosse privo di autonomia. Il risultato di questo dibattito fu quello di contemperare in un certo senso le due posizioni perché da un lato emerge la libertà sindacale e dall’altro, però, l’efficacia della contrattazione collettiva si limita solo ai contratti stipulati dai sindacati soggetti a registrati e regolarmente costituiti36.
Il cuore del problema sta proprio in queste due “facce” dell’articolo 39 Cost.37: in che modo concretamente è possibile che il principio della giusta retribuzione dell’articolo 36 possa trovare attuazione nell’articolo 39 se la sua efficacia è limitata ai contratti stipulati dai sindacati più rappresentativi? Inoltre, l’articolo 39, dimostra una contraddizione intrinseca, perché, se ammette la libertà sindacale ma ne limita l’efficacia a quelli più rappresentativi, in che modo si stabiliscono quali sono questi ultimi in maniera precisa se non andando a prevedere meccanismi di individuazione che richiamano al corporativismo? Così facendo inevitabilmente si andrebbe a contrastare con la libertà sindacale dallo stesso sancita38. Tuttavia, questo nodo appare sciogliersi nel momento in cui l’esperienza dottrinaria e giurisprudenziale attribuiscono all’articolo 36 un carattere precettivo.
La precettività, infatti, permette di andare a compensare e colmare quel vuoto lasciato dall’articolo 39, in modo tale da garantire quanto meno i minimi retributivi a tutti i lavoratori, iscritti ai sindacati o meno39,ed è dunque applicabile direttamente senza bisogno di ulteriori leggi attuative. La giurisprudenza, a partire dagli anni '50 del secolo scorso, ha riconosciuto la sua efficacia diretta, dichiarando nulle le clausole contrattuali che prevedevano retribuzioni inferiori al minimo sufficiente a garantire una vita dignitosa; così facendo si rese necessario sostituire queste ultime sulla base di quanto disposto dall’articolo 2099 c.c., ossia attribuendo ai giudici la facoltà di determinare la retribuzione in assenza di accordo tra le parti, i quali per farlo, attingevano alla normativa prevista dalla contrattazione collettiva con la facoltà tuttavia, di discostarsene previa adeguata motivazione40.
In altri termini, sembrerebbe che l’articolo 36 della Costituzione e l’articolo 2099 del codice civile siano in grado di operare congiuntamente per sopperire alle mancanze dell’articolo 39 della Costituzione41.
Ad ogni modo, la soluzione maggiormente rispettosa del principio della giusta retribuzione sancito all’articolo 36 Cost. ad oggi sembrerebbe rinvenibile proprio nella contrattazione collettiva, visto che questi hanno la capacità di essere rispettosi tanto delle parti del contratto stesso quanto dei principi costituzionali nonché delle dinamiche del mercato42; ma questa soluzione in realtà, di fatto, appare superata e anzi è entrata in crisi43.
Questa crisi si evidenzia a partire dalla sentenza della Cassazione n. 28321/2023, avente ad oggetto il ricorso presentato da C.I.V.I.S. S.p.A. (Centro Italiano di Vigilanza Interna e Stradale) contro due lavoratrici che contestavano la conformità della loro retribuzione all’articolo 36 Cost. ritenendo fosse al di sotto degli standard costituzionali e chiedendo un adeguamento agli altri contratti collettivi applicabili. Se durante il primo grado di giudizio il tribunale di Milano aveva rigettato la richiesta delle dipendenti, la Corte d’Appello ha ritenuto nullo l’articolo relativo alla retribuzione nel contratto collettivo a loro applicato proprio perché non conforme a quanto disposto dall’articolo 36. Ciò è stato poi confermato anche dalla Cassazione, la quale ha ribadito che anche un contratto collettivo stipulato da un’organizzazione sindacale più rappresentativa può essere oggetto di giudizio se non garantisce i parametri costituzionali in materia di retribuzione44.
Il sistema della contrattazione collettiva come autorità salariale viene pertanto scardinato anche perché si dimostra debole e incapace di garantire certezza giuridica nei confronti di tutti i soggetti coinvolti: giudici, operatori, autorità di vigilanza, lavoratori e datori di lavoro.
Inoltre, la formula “organizzazioni più rappresentative” ad oggi risulta obsoleta e poco esaustiva perché non esistono criteri oggettivi che stabiliscano chi sia effettivamente rappresentativo, né come misurare questa rappresentatività in modo uniforme45.
È lo stesso Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro a rilevare i limiti della contrattazione collettiva nell’ottica della giusta retribuzione la quale, seppur enfatizzandone il ruolo, individua diverse criticità tra cui: lacune nella conoscenza dei trattamenti retributivi e nelle dinamiche contrattuali relative a vari settori economici e produttivi; difficoltà legate agli appalti pubblici, agli appalti di servizi e al franchising, che spesso sfuggono a una regolamentazione adeguata; categorie di lavoratori che non sono sufficientemente tutelate dalla contrattazione collettiva, come quelli nel lavoro autonomo fittizio, nella parasubordinazione, nel lavoro temporaneo, nel lavoro a tempo parziale involontario, e nel lavoro non regolarizzato, come nel caso degli stage extracurriculari; i rinnovi delle contrattazioni collettive spesso non avvengono in tempi adeguati, creando incertezze e discontinuità nelle condizioni di lavoro; la presenza di numerosi contratti collettivi crea una frammentazione che può compromettere l'efficacia della contrattazione stessa46.
L’esponenziale crescita dei contratti collettivi c.d. pirata47, ossia quelli stipulati da organizzazioni minoritarie, ha contribuito a creare un “Far West” contrattuale48, sminuendo il lavoro giurisprudenziale operato attorno all’articolo 36 della Costituzione. Per questo motivo, nonostante in Italia ci sia una copertura della contrattazione collettiva fra l’80% e l’85%, non viene comunque garantita una protezione adeguata retributiva dei lavoratori, con la conseguenza di un crescente numero di lavoratori sotto il minimo contrattuale e sulla soglia della povertà49.
5. Conclusioni
La prospettiva di introduzione di un salario minimo legale in Italia, ad oggi, sembra non essere accolta come soluzione concreta alla povertà lavorativa, anzi l’obiettivo principale è quello di rafforzare ed ampliare quanto più possibile la copertura dei CCNL.
Il problema sorge nel momento in cui, la contrattazione collettiva diventa sempre più debole ed il fenomeno del lavoro povero non permette ai lavoratori di esercitare i propri diritti e di poter condurre un’esistenza libera e dignitosa come sancito dalla stessa Costituzione.
Mettendo in risalto le intenzioni dei padri costituenti e l’articolo 36 della Costituzione la soluzione al problema retributivo si rende ancora più necessaria.
D’altronde, citando Lelio Basso durante il suo intervento all’Assemblea Costituente del 6 Marzo 1947 “o noi realizzeremo interamente questa Costituzione, o noi non avremo realizzata la democrazia in Italia”.
1 PUPO, V., "Il principio lavorista", in Principi Costituzionali, a cura di VENTURA, L., MORELLI, A., Milano, Giuffrè Editore, 2015, 139
2PUPO, V., op.cit., 138
3ZAGREBELSKY, G., Fondata sul lavoro, Torino, Einaudi editore, 2013, Kobo eReader
4Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, 1947 sull’art 4, www.nascitacostituzione.it
5Art. 4 Cost. Co. 2
6ZAGREBELSKY, G., op.cit.
7BERGONZINI, C., Come un gioco di specchi. Sulle tracce dell’«esistenza libera e dignitosa» nella giurisprudenza costituzionale, in costituzionalismo.it, 3-2023, 78
8MARTELLONI, F., Il salario minimo legale come strumento di attuazione costituzionale, in costituzionalismo.it, 3-2023, 87
9“Ora, a me pare, onorevoli colleghi, che appunto questo inserimento nell'articolo 32 conferisca all'articolo stesso una consistenza ed una concretezza tali da tranquillizzare le famiglie dei lavoratori, nel senso che, compiuto il loro dovere sociale di partecipare al processo della produzione, essi non potranno essere mai più oggetto di quello sfruttamento inumano e senza limiti che oggi, in determinate circostanze e in determinati rapporti di forze, sarebbe ancora giuridicamente possibile. Dobbiamo soprattutto impedire che ciò possa accadere a proposito della mano d'opera infantile e femminile. Lo spirito del mio emendamento è pertanto questo: che non sia commesso all'arbitrio del privato lo stabilire sia la durata del lavoro, sia la retribuzione del lavoro stesso.” cfr. www.nascitacostituzione.it
10 DELFINO, M., Salario legale, contrattazione collettiva e concorrenza, Napoli, Editoriale scientifica, 2016, 19
11 MARTELLONI, F., op.cit., 87.
12RICCI, G., “Il diritto alla retribuzione adeguata fra Costituzione, mercato ed emergenza economica”, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 163/2012
13TRIPODINA, C., Articolo 36, in Commentario breve alla Costituzione, diretto da S. Bartole -R. Bin, Cedam, 2008
14Corte Cost., 75/1964 in www.cortecostituzionale.it
15Corte Cost., 30/1965 in www.cortecostituzionale.it
16GARBUIO, C., L’estensione dell’art. 36 Cost. al lavoro autonomo: tra chiusure giurisprudenziali e aperture legislative, Labour and Law Issues, vol.8 no. 1, 2022, 12.
17TREU, T., La questione salariale: legislazione sui minimi e contrattazione collettiva, in Biblioteca ‘20 Maggio’ – 1/2019, 113.
18GARBUIO, C., op. cit. 5.
19IMBERTI, L., Art. 36 Costituzione: in assenza di interventi legislativi chi è l’autorità salariale?, Lavoro Diritti Europa, n. 3-2019, 2.
20C. PONTERIO, Il lavoro per un’esistenza libera e dignitosa: art. 36 Cost. e salario minimo legale, inQuestione Giustizia, 4, 2019, 3.
21TRIPODINA, C., op.cit. 354.
22PASCUCCI, P., La giusta retribuzione nei contratti di lavoro, oggi, www.aidlass.it/ congresso-aidlass
2018/ 2019, 15
23E. MENEGATTI, Il Salario Minimo Legale. Aspettative e Prospettive, Giappichelli, Torino, 2017, 65
24D’ONGHIA, M., Adeguatezza salariale e inclusione sociale: alcuni spunti introduttivi, in Salario minimo e salari giusto, a cura di ALBI, P., Torino, Giappichelli Editore, 2023, 309
25MENEGATTI, op. cit., 66
26PASCUCCI, P., Op cit. 17.
27BALLESTRERO, M., DE SIMONE, G., Riallacciando il filo del discorso. Dalla riflessione di Massimo Roccella al dibattito attuale sul salario minimo, inWP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 447/2021, 10.
28BAVARO, V., Sul salario adeguato, in Lavoro Diritti Europa, 2/2022, 19.
29PASCUCCI, op. cit., 14.
30C. Cost., n. 227, 1982, giurcost.; C.Cost., 164, 1994, giurcost.
31C. cost., n. 470, 22.11.2002, www.gazzettaufficiale.it
32PONTERIO C., op cit., 42.
33TREU T., op cit., 135.
34AMOROSO, G., La garanzia costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36, primo comma, Cost.), in Lavoro Diritti Europa, 4-2024, 3.
35MARTELLONI, op.cit., 105.
36“Per l'organizzazione sindacale, tra i due estremi dell'assenza d'ogni norma — che ha reso in più casi necessario l'intervento di una legge per rendere obbligatorio il contratto collettivo — e l'opposto e pesante sistema di regolazione minuta e pubblica, a tipo fascista, si è adottato il criterio della libertà senza imposizione di sindacato unico. Vi è il solo obbligo di registrazione a norma di legge, per i sindacati che intendono partecipare alla stipulazione di contratti collettivi; e questo avviene mediante rappresentanze
miste costituite a tal fine e proporzionali per numero agli iscritti nei sindacati registrati.” Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto diCostituzione della Repubblica italiana, 1947 sull’art. 39, www.nascitacostituzione.it
37GAGLIANO, C., Commento all’art. 39 della Costituzione, in La Magistratura, 2 Novembre 2022.
38ICHINO, P., Rappresentanza sindacale: il nodo difficile da sciogliere, in lavoce.info, 24 settembre 2019
39DELLA MORTE, M., Commento all’art. 36 Cost., in La Costituzione italiana. Commento articolo per
articolo – Vol. 1, a cura di CLEMNTI, F., CUOCOLO, L., ROSA, F., VIGEVANI, G., Bologna, Il Mulino, 2021, 243.
40TRIPODINA, C., op.cit. , 355.
41IMBERTI,L., op cit., 2.
42BAVARO, V., op.cit. , 9.
43CIUCCIOVINO, S., Salario minimo, salario dignitoso, salario giusto: temi per un dibattito sul futurodella contrattazione collettiva, in Federalismi.it, 26/2023, 6.
44Cass. civ., Sez. lav., 10 Ottobre 2023, n. 28321, www.apps.dirittopratico.it
45CIUCCIOVINO, S., op.cit., 8.
46CNEL, Commissione dell’informazione; Elementi di riflessione sul salario minimo in Italia, Roma, 7 Ottobre 2023
47Secondo il Report CNEL al 31 dicembre 2020 risultano depositati ben 933 accordi nell’archivio delle
contrattazioni collettive. www.cnel.it
48MENEGATTI, E., Oltre il Far West contrattuale, verso salari minimi adeguati: spunti dal quadro
comparato, in Lavoro Diritti Europa, 2-2022, 4.
49TREU, T., op. cit., 142
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