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Pubbl. Gio, 12 Set 2019

Dolo vizio del consenso: dalla Cassazione al diritto sostanziale.

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Camilla Della Giustina
Dottorando di ricercaUniversità della Campania Luigi Vanvitelli


”L´errore provocato dall’altrui azione ingannatrice costituisce causa di annullamento del contratto solo in quanto abbia inciso sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà, a causa della quale il contraente si sia determinato a stipulare” Cass. 27 febbraio 2019, n. 5734


Sommario: 1. Introduzione; 2. Pronuncia della Cassazione in relazione all’istituto del dolo negoziale; 3. Il dolo nel diritto sostanziale.

1. Introduzione

L’impulso alla stipulazione di un contratto è da ricercarsi nella volontà di un soggetto di concludere un accordo con una o più parti al fine di soddisfare i propri interessi. Infatti, l’accordo delle parti è uno degli elementi essenziali del contratto ex art. 1325 c.c., costituendo appunto l’incontro delle volontà dei due soggetti contraenti. La volontà rilevante in questo momento deve essere genuina e libera da interferenze nella sua formazione dovute da vizi del consenso o da menomazioni attinenti alla sfera psichica delle parti.

Di recente, si è pronunciata la Corte di Cassazione al fine di chiarire esattamente in quale momento della formazione della volontà delle parti si devono verificare gli artifizi e i raggiri per poter integrare la fattispecie descritta dall’art. 1439 c.c.

Il ricorso introduttivo al giudizio della Suprema Corte è stato proposto contro la sentenza n. 976/2016 della Corte d’Appello di Lecce, depositata il 12/10/2016. Il rapporto dedotto ha la sua fonte in un contratto d’appalto (60/A/2004) concluso al fine di realizzare la fornitura e l’installazione di un impianto necessario a far defluire il cioccolato da un primo a un secondo serbatoio mescolatore nello stabilimento di Ceglie Messepica. Relativamente a detto rapporto contrattuale, si erano instaurati due giudizi in primo grado, successivamente riuniti,[1] aventi ad oggetto: domande di nullità, di risarcimento del danno e opposizione a decreto ingiuntivo.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello sono stati proposti quattordici motivi di ricorso per Cassazione. Nel primo motivo si contesta la decisione della corte distrettuale circa la non esistenza di un contratto a corpo[2] e il non aver annullato l’offerta di contratto; con il secondo si lamenta l’erronea interpretazione del contratto di appalto in relazione alla determinazione del corrispettivo, con il quarto si sottolinea la mancata considerazione dell’esistenza di artifici e raggiri posti in essere dall’impresa appaltante allo scopo di rappresentare in modo non veritiero il contratto di appalto e con il quarto si contesta il mancato annullamento del contratto per dolo e/o errore.

2. Pronuncia della Cassazione in relazione al dolo negoziale

I ricorrenti presentando ricorso per Cassazione chiedono che siano ritenuti esistenti gli artifizi e i raggiri posti in essere dall’impresa appaltante che di conseguenza dovrebbero portare alla declaratoria di annullamento del contratto posto in essere in quanto viziato da errore e/o dolo.

La Suprema Corte ritiene che l’importo finale del corrispettivo sia stato determinato dal computo metrico delle opere realizzate in proporzione ai prezzi unitari stabiliti contrattualmente dalle parti e di conseguenza non integri alcuna fattispecie di errore. [3]Precisamente risulta necessario che un vizio del consenso, per essere causa invalidante del contratto, deve incidere necessariamente sul momento di formazione del medesimo.

Affrontando l’aspetto del dolo negoziale, viene evidenziato come sia necessaria la consapevolezza da parte dell’autore dell’effettiva ripercussione degli artifici e raggiri nei confronti della controparte. Infatti, il dolo, ex art. 1439 c.c., richiede che il raggiro o l’inganno sia il fattore decisivo e determinante della volontà negoziale. L’errore provocato dall’altrui azione ingannatrice costituisce, quindi, causa di annullamento del contratto solo in quanto abbia inciso sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà, a causa della quale il contraente si sia determinato a stipulare[4]. L’effetto di invalidità negoziale derivante dall’errore prodotto dal comportamento doloso richiede come presupposto il fatto che una volta posta in essere la falsa rappresentazione (sia essa spontanea o provocata) risulti essere contestuale la manifestazione della volontà negoziale.

Alla luce di tutto questo, la Corte di Cassazione rigetta la richiesta di annullamento a seguito dell’esame delle clausole negoziali nonché degli accertamenti effettuati dalla Corte d’Appello,[5] ritenendo che l’attore al momento della prestazione del consenso non fosse in errore. Oltre a questo, viene precisato che l’accertamento necessario al fine di determinare se la condotta realizzata abbia dato luogo a un’ipotesi di dolo determinante appartiene alla cognizione del giudice di merito, in quanto non è sindacabile in sede di legittimità se non nei limiti dell’art. 360 comma 1 e 5 c.p.c[6].

3. Il dolo nel diritto sostanziale

Il concetto di dolo nel sistema privatistico italiano si rinviene sia all’interno della disamina dei vizi del consenso sia nello studio dell’illecito contrattuale che extracontrattuale[7].

Il dolo vizio è disciplinato dagli art. 1439 e ss c.c. Esso consiste in un errore provocato da raggiri maliziosi e fraudolenti di un altro soggetto, sia esso la controparte o un terzo[8]. L’art. 1439 c.c. prevede che il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri utilizzati da uno dei contraenti sono stati tali che senza di essi l’altra parte non avrebbe contrattato: si tratta di quello che viene definito dolo determinate dato che senza gli artifizi e i raggiri posti in essere il contraente non avrebbe contrattato.

Altra species del genus dolo è quello incidente disciplinato dall’art. 1440 c.c.: se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso il contratto è valido benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni. Si ritiene che con questa disposizione venga dettata una regola di correttezza e che di conseguenza il dolo incidente si collochi all’interno dell’area della responsabilità precontrattuale alla quale sono applicabili le regole di correttezza e buona fede ex artt. 1175, 1366 e 1375 c.c. [9].

La dottrina e la giurisprudenza prevalenti[10] hanno ritenuto che l’art. 1440 c.c. sia un’applicazione dell’art. 1337 c.c.: la prima disposizione richiama il concetto di mala fede, mentre la seconda, rubricata trattative e responsabilità precontrattuale, recita che le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede. L’eventuale violazione della buona fede durante le trattative rappresenta una violazione del dovere (generico) di buona condotta.

Alla luce di questa considerazione, è possibile prospettare il seguente sillogismo: posto che il dolo incidente appartiene all’ambito della responsabilità precontrattuale e che alla responsabilità precontrattuale si applicano regole di correttezza conseguentemente il dolo incidente è protetto da regole di correttezza[11].

Si deve notare come il dolo incidente presupponga la medesima condotta del dolo vizio ex art. 1439 c.c. Tuttavia, nonostante la condotta sia la medesima in entrambe le figure, risultano differenti i rimedi predisposti dall'ordinamento.

Oltre a questo, gli artt. 1439 e 1440 c.c. indicano il confine che intercorre tra regole di validità e regole di correttezza[12]. Se questo assunto è vero, si può affermare che l’art. 1440 c.c. contiene una regola di correttezza sanzionante una condotta identica a quella dell’art. 1439 c.c. contenente una regola di validità.

Altro aspetto problematico relativo alla natura e disciplina del dolo incidente concerne la condizione essenziale affinché sia possibile parlare di dolo incidente, ossia la conclusione del contratto. Se si ritiene che il dolo incidente attenga al campo della responsabilità precontrattuale, è doveroso ricordare come secondo un orientamento dottrinale la responsabilità precontrattuale non potrebbe spingersi oltre alla fase delle trattative negoziali. Seguendo questa impostazione, appena descritta, qualora si fosse in presenza di un contratto concluso sarebbe da escludere la culpa in contrahendo[13].

Dottrina contrapposta a quella appena descritta ritiene, al contrario, che la regola contenuta nell’art. 1337 c.c. sia applicabile anche ad altre ipotesi oltre a quella della rottura ingiustificata delle trattative. L’indicazione normativa dell’art. 1337 c.c. possiede un contenuto che non può essere predeterminato in maniera precisa. Infatti, la disposizione in esame implica, certamente, il dovere di trattare in modo leale, di non tenere comportamenti maliziosi o reticenti e infine la necessità di indicare all’altra parte ogni dato che possa essere rilevanza, che sia conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, al fine della conclusione del contratto.

La dottrina oggi dominante ritiene che l’art. 1440 c.c. rientri nell’ambito dell’art 1337 c.c.[14] dato che il dolo incidente costituisce una forma di mala fede che si manifesta nella sede delle trattative quindi antecedentemente rispetto alla conclusione del contratto. A questo punto, emergono i problemi circa la possibilità di configurare la responsabilità precontrattuale come responsabilità extracontrattuale o contrattuale, problemi che di conseguenza si riversano anche sulla tipologia di responsabilità derivante dal dolo incidente[15].

Riprendendo la definizione fornita all’inizio, si nota come il dolo è stato definito come un errore provocato da una delle parti che può ricadere su qualsiasi elemento del contratto. In questo aspetto, si differenzia dall’errore vizio il quale, affinché possa essere considerato causa di annullamento del contratto deve essere essenziale[16] e riconoscibile (art. 1428 c.c.).

Quando i raggiri sono stati utilizzati dal terzo il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439 comma 2 c.c.): sotto questo profilo il dolo diverge dalla violenza: la seconda quando minacciata da un terzo è sempre causa di annullamento del contratto anche qualora sia ignorata dalla controparte. Da questo assunto, si ricava che la tutela del contraente minacciato è assoluta e quindi sempre causa di annullabilità, mentre la tutela del contraente ingannato è sempre rapportata e posta in relazione a due aspetti: la scorrettezza e l’approfittamento della controparte. Il terzo può essere obbligato a risarcire il danno in base all’art. 2043 c.c. trattandosi di responsabilità precontrattuale[17].

La ricostruzione dominante sia in dottrina che in giurisprudenza ritiene che l’intento del legislatore nel disciplinare il dolo provocato dal terzo fosse quello di tutelare unicamente la volontà del volere dei contraenti prescindendo da qualsiasi considerazione di equilibrio patrimoniale tra le prestazioni. Una pronuncia di una corte di merito ha ritenuto che l’art. 1439 secondo comma c.c. integri una sorta di punitive damages nella parte in cui evidenzia che il dolo è causa di annullamento del contratto solo quando era noto al contraente che ne aveva tratto vantaggio, ma se la controparte non ne era a conoscenza il contratto è validamente concluso. Il dolo, infatti, è causa di invalidità per la particolare riprovazione sociale che colpisce la parte che attua il raggiro o che lo rende possibile approfittandone consapevolmente ma questa riprovazione non concerne il contraente che è ignaro del raggiro pur se di fatto se ne trovi avvantaggiato[18].

Tutto quanto fino a questo momento rientra nella categoria del dolus malus ossia in quel dolo in cui gli artifizi e i raggiri posti in essere possono essere qualificati come fraudolenti. Esiste anche un dolus bonus consistente nell’esaltare il bene o il servizio che viene offerto non traendo in inganno la controparte[19]. Questa esaltazione del bene o del servizio non deve però arrivare al punto da attribuire al bene caratteristiche e qualità che esso non possiede e che non risultano essere corrispondenti al vero: in questo caso integrerebbe la fattispecie di responsabilità extracontrattuale[20].

Poste queste tradizionali classificazioni in relazione al dolo quale vizio del consenso si deve sottolineare come la dottrina civilistica stia discutendo circa la possibile esistenza e configurazione del dolo colposo[21]. Secondo questa sfumatura, il contratto dovrebbe essere annullabile ogni qualvolta in cui la violazione dell’obbligo di correttezza nella fase delle contrattazioni induca in errore la controparte. In questa ipotesi risulta irrilevante il fatto che la condotta posta in essere sia intenzionale o colposa[22].

Rodolfo Sacco sostiene che sia assolutamente possibile parlare di dolo colposo in quanto gli artt. 1439 e 1440 c.c. in materia di dolo non richiedono in modo espresso l’intenzionalità tra i requisiti necessari al fine di esperire l’azione di annullamento del contratto viziato da dolo. Oltre a questo Sacco evidenzia come il raggiro sia per sua stessa natura un illecito, sanzionabile quindi ex art. 2043 c.c. lo scopo di questo articolo è quello di sanzionatore qualunque fatto doloso o colposo[23].

A sostegno della tesi sostenuta da Rodolfo Sacco vi è la normativa in tema di pratiche commerciali scorrette e ingannevoli 

Grazie a questa disciplina di derivazione comunitaria il consumatore riceve tutela nell’ipotesi in cui abbia assunto una decisione di natura commerciale determinata dalla negligenza del professionista. La negligenza appena descritta risulta idonea a modificare il comportamento economico del consumatore[24]. In questa ipotesi non si ha un comportamento prodotto in modo intenzionale, non si ha nemmeno nessun riferimento al dolo o alla colpa ma solamente la contrarietà alla diligenza professionale.

Per la tesi oggi maggioritaria il dolo colposo, a differenza di quanto sostenuto da Sacco, avrebbe rilevanza solo ed esclusivamente come elemento essenziale di un fatto illecito sanzionato ex art. 1337 o 2043 c.c. Un esempio si rinviene in tema di dolo del terzo. Quest’ultimo, nell’ipotesi appena descritta, sarà tenuto a risarcire il danno anche nel caso in cui egli abbia colposamente indotto in errore la “vittima”[25].

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Si ha riunione quando due o più procedimento riguardanti cause connesse risultino essere pendenti davanti allo stesso ufficio giudiziario queste due cause su istanze di parte o d’ufficio possono essere riunite. La decisione circa la riunione dei due procedimenti ha carattere facoltativo e l’esercizio di detto potere viene lasciato all’apprezzamento, risulta essere discrezionale ed insindacabile nel merito. Codice di procedura civile Studium , Dottrina, Giurisprudenza, a cura di Tramontano L., Celt, 2013, pag. 274.

[2] Nel caso della determinazione “a corpo” il prezzo viene determinato in modo globale, nel caso in cui dovesse essere indicata anche la misura la riduzione o supplemento del prezzo sono dovute solamente nel caso in cui la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto. Trabucchi A., Istituzioni di diritto civile, Cedam, 2018, pag. 1000.

[3] Il ricorrente/committente sostiene che l’errore sia ricaduto sull’importo finale del corrispettivo in quanto risulta essere assai sproporzionata la somma finale rispetto a quelle che erano state le aspettative della parte.

[4] Corte di Cassazione, sez. II, n. 5734/2019.

[5] L’accertamento compiuto dalla Corte di Lecce aveva escluso la possibilità che la determinazione a misura fosse viziata da dolo in quanto l’errore lamentato dal ricorrente relativamente alla lunghezza delle tubature e di conseguenza sull’importo finale, non era conseguenza di artifizi e raggiri posti in essere dall’appaltatore.

[6] L’art. 360 c.p.c. indica i provvedimenti che possono impugnarsi esperendo ricorso per cassazione ossia le sentenze pronunciate in unico grado o in appello nonché una sentenza di primo grado qualora le parti risultino essere d’accordo per omettere l’appello.

[7] I romani distinguevano tra dolus generalis e dolo specialis: il secondo consiste nell’attività ingannatoria. Trabucchi A., Istituzioni di diritto civile, Cedam, 2018, pag. 133.

[8] Diener M.C., Il contratto in generale, manuale ed applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi, Giuffrè, 2002, pag. 773.

[9] Cassazione civile n. 2956/1999.

[10] Cassazione civile n. 2956/1999.

Mantovani M., “Vizi incompleti” del contratto e rimedi risarcitori, Giappichelli, 1995, pag. 71 e ss.

Minervini R., Errore sulla convenienza economica del contratto e buona fede contrattuale, in Rassegna di diritto civile, 1986, pag. 655 e ss.

[11] Dalla Massara T., L’impiego dell’azione di dolo quale rimedio risarcitorio a fronte di una condotta maliziosa: la figura del dolo incidente, in Tutele rimediali in tema di rapporti obbligatori, archetipi romani e modelli attuali, a cura di Garofalo G., Giappichelli, 2015, pag. 311.

[12] Le regole di validità garantiscono la stabilità dei rapporti giuridici e la certezza degli scambi. Le regole di correttezza sono espressione del principio di solidarietà ex art. 2 Cost. e che secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 12310/1999) la rilevanza del dovere di correttezza si esplica nell’imporre a ciascuna parte del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra parte, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da specifiche norme di legge. Musio A., La violazione degli obblighi di informazione tra regole di validità e regole di correttezza in Teoria e storia del diritto privato, n. 3, 2010, pag. 19. Nobili C., Le obbligazioni, Manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi, Giuffrè, 2001, pag. 21.

[13] Mengoni L., Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, fasc. 9-10, 1956, pag. 365.

[14] Vedasi anche la sentenza delle Sezioni unite n. 26724/2007. In essa è stato precisato che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace ma anche quale dolo incidente, se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto. Stanzione P., Responsabilità contrattuale, I volume, Cedam, 2012, pag. 493-508.

Le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede.

[15] I sostenitori della responsabilità contrattuale fanno leva sul fatto che ogni responsabilità connessa all’adempimento di un obbligazione appartenga all’ambito della responsabilità contrattuale, oltre a questo nel caso in esame si ha un vincolo obbligatorio tra soggetti determinati nato dall’inizio delle trattative anche se si tratta di un fatto. Di recente la Corte di Cassazione (sentenza n.14188/2016) ha qualificato la responsabilità precontrattuale come responsabilità contrattuale derivante da contatto sociale qualificato inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano a carico delle parti non obblighi di prestazione ma obblighi di buona fede, protezione e informazione. Gli obblighi derivanti dalla fase delle trattative obbligano ciascuna parte a salvaguardare la sfera giuridica della controparte e detti obblighi attengono al contenuto della prestazione. L’affidamento reciproco tra le parti e l’insorgenza di specifici obblighi di protezione e buona fede diviene un fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c.: di conseguenza la responsabilità precontrattuale diviene responsabilità da inadempimento delle obbligazioni.

A contrario, i sostenitori della responsabilità extracontrattuale, sostengono che il danno risarcibile in materia di responsabilità precontrattuale deriva dal comportamento illecito di colui il quale ha fatto riporre la fiducia della controparte nella conclusione del contratto futuro. Prima della conclusione del contratto tra le parti sorge solamente l’obbligo di comportarsi in modo leale.

Diener M.C., Il contratto in generale, manuale ed applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi, Giuffrè, 2002, pag. 140-141. Trabucchi A., Istituzioni di diritto civile, Cedam, 2018, pag. 198-199; 1236-136

[16] L’errore è essenziale ex art. 1429 c.c.:

  1. Quando cade sulla natura o oggetto del contratto.
  2. Quando cade sull’identità dell’oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso.
  3. Quando cade sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente sempre che l’una o le altre siano stata determinanti del consenso.
  4. Quando trattandosi di errore di diritto è stato la ragione unica o principale del contratto.

[17] Cassazione civile n. 862/1952. Gallo P., Trattato del contratto – La formazione (tomo III), Utet, 2010, pag.1839.

[18] Tribunale di Salerno, sez. II, 9/2/2010, Stanzione P., Responsabilità contrattuale, volume primo, Cedam, 2010, pag. 359-364.

[19] Diener M.C., Il contratto in generale, manuale ed applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi, Giuffrè, 2002, pag. 773.

[20] Bianca C.M., Il contratto, Giuffrè, 2000, pag. 667.

[21] Sarebbe assimilabile al dolo eventuale esistente nel campo del diritto penale. Elemento caratteristico del dolo eventuale concerne il fatto che il soggetto agisce senza il fine di commettere il reato, la commissione del reato viene rappresentata solamente come possibile conseguenza in relazione ad una condotta orientata ad altri scopi. Fiandaca G., Musco E., Diritto penale, parte generale, 2009, Zanichelli, pag.  368.

[22] Lambrini P., Raggiro colposo e actio de dolo malo, in Tutele rimediali in tema di rapporti obbligatori, archetipi romani e modelli attuali, a cura di Garofalo G., Giappichelli, 2015, pag. 271.

[23] Sacco R., Il contratto, Utet, 2016, pag. 549-551.

[24] De Cristofaro G., La difficile attuazione della direttiva 2005/29/CE concernenti le pratiche commerciali sleali nei rapporti fra imprese e consumatori: proposte e prospettive, in Contratto e imprese- Europa, 2007, pag. 17.

[25] Gallo P., I vizi del consenso in I contratti in generale, Giappichelli, 2006, pag. 516. Roppo E., Il contratto, Utet, 2016, pag. 812.