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Pubbl. Gio, 11 Lug 2024

La sentenza delle Sezioni Unite n. 9479/2023 ad un anno dal deposito: l’applicazione da parte della giurisprudenza di merito e il dibattito in dottrina

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Fabrizio Petillo
AvvocatoUniversità degli Studi di Napoli Federico II



Tramite tale articolo l’Autore, dopo aver esaminato i principi espressi con la sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione n. 9479/2023, esamina, ad un anno di distanza dalla pubblicazione della pronuncia, le tesi emerse dal dibattito che la sentenza ha suscitato in Dottrina e le principali critiche espresse dai più autorevoli Autori, oltreché le prime rilevanti applicazioni dei principi suddetti da parte dei Giudici di merito. Dall’esame delle tesi espresse dalla Dottrina, in particolare, l’Autore ricava le principali problematiche riscontrate nell’esame della pronuncia in commento e, dopo aver analizzato le stesse, espone la propria opinione sulle suddette critiche.


ENG

The United Sections of the Supreme Court n. 9479/2023 ruling one year after filing: the application by the Trial Judges and the debate in Doctrine

In this article the Author, after examining the principles expressed with the United Sections of the Supreme Court n. 9479/2023 ruling, examines, one year after the publication of the court ruling, the theses that emerged from the debate that the ruling aroused in Doctrine and the main criticisms expressed by the most authoritative Authors, as well as the first relevant applications of the aforementioned principles by the Trial Judges. In particular, from the examination of the theses expressed by the Doctrine, the Author derives the main problems found in the examination of the ruling in question and, after having analyzed them, presents his opinion on the aforementioned criticisms.

Sommario: 1. Il Caso; 2. La Questione; 3. La Soluzione; 3.1 I vincoli derivanti dal diritto UE.; 3.2 Il ruolo del Giudice del procedimento monitorio; 3.3. Il ruolo del Giudice dell’esecuzione; 3.4 Gli adeguamenti della normativa italiana necessari per garantire il rispetto del diritto dell’UE; 3.5. I motivi per i quali l’istituto di cui all’art. 650 c.p.c. è stato ritenuto il più adeguato per tutelare il consumatore; 4. Le prime reazioni dei Giudici di merito alla sentenza delle SS.UU.; 5. Le critiche della Dottrina. 6. Conclusioni.

1. Il Caso

Un istituto bancario instaurava un procedimento monitorio di fronte al Tribunale di Sondrio al fine di ottenere un decreto ingiuntivo nei confronti di una persona fisica, con la quale aveva stipulato un contratto di fideiussione a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni di una terza società.

Il Tribunale, nonostante il fideiussore presentasse tutti i requisiti per poter essere qualificato come consumatore, emetteva il decreto ingiuntivo senza effettuare alcun tipo di controllo d’ufficio circa l’eventuale carattere vessatorio delle clausole contrattuali e il debitore non opponeva il provvedimento monitorio nei termini.

Nell’ambito della successiva procedura esecutiva il debitore, tramite opposizione ex art. 617 c.p.c., contestava il progetto di distribuzione sostenendo la non configurabilità del diritto di credito in conseguenza della nullità del decreto ingiuntivo non opposto. Il titolo esecutivo, più nello specifico, secondo il debitore, doveva essere considerato invalido perché adottato da un Giudice territorialmente incompetente perché individuato, a sua volta, tramite una clausola contrattuale in contrasto con la disposizione relativa al foro inderogabile del consumatore.

Il Giudice adito rigettava l’opposizione in virtù delle seguenti considerazioni: pur potendo essere qualificato il fideiussore come consumatore, l’opposizione agli atti esecutivi non poteva essere considerato il mezzo adeguato per tutelare il debitore, dal momento che lo stesso avrebbe dovuto invece, nei termini di legge, adire il Giudice con un’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c. al fine di ottenere la tutela prevista, per il consumatore, dal diritto europeo.

Il fideiussore, quindi, impugnava la pronuncia del Giudice dell’opposizione tramite ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111, co. 7, Cost., fondando lo stesso sulla presunta violazione della direttiva 93/13 CEE e dell’art. 19 TUE e, più nello specifico, del principio di effettività della tutela del consumatore a fronte della impossibilità di far rilevare l’abusività di una clausola contrattuale in fase esecutiva, dopo il decorso dei termini per opporre il provvedimento monitorio.

Alla luce della rilevanza della questione - e, soprattutto, della situazione di incertezza determinata da quattro recenti pronunce della Corte di Giustizia datate 17.5.2022 – il pubblico ministero chiedeva che la Corte pronunciasse, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., un principio di diritto nell’interesse della legge.

2. La Questione

In base a quanto sopra esposto la questione in relazione alla quale le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi ai sensi dell’art. 363 c.p.c. sembra poter essere così riassunta: quali forme di tutela sono configurabili, a vantaggio del consumatore, nel caso in cui un professionista instauri un procedimento monitorio per far valere un diritto di credito fondato su un contratto stipulato con il suddetto consumatore, ogniqualvolta il Giudice non eserciti il potere/dovere di effettuare il controllo d’ufficio circa l’abusività delle clausole contrattuali e l’ingiunto non opponga il decreto ingiuntivo nei termini di legge?

La Suprema Corte, per fornire una risposta, non ha potuto far altro che partire dall’esame delle quattro pronunce della CGUE alle quali si è fatto cenno, emesse tutte in data 17.5.2022 (sentenza in C – 600/19, Ibercaja Banco; sentenza in cause riunite C – 693/19, SPV Project 1503, e C 831/19, Banco di Desio e della Brianza; sentenza in C – 725/19, Impuls Leasing Romania; sentenza in C – 869/19, Unicaja Banco) e dalla rilevanza da attribuire al principio di matrice europea dell’effettività della tutela del consumatore.

3. La Soluzione

3.1 I vincoli derivanti dal diritto UE

Le Sezioni Unite, con la sentenza in esame, hanno prima di tutto ricordato come, per giurisprudenza costante anche della CGUE, l’interpretazione delle norme di diritto eurounitario fornita dalla Corte di Lussemburgo abbia efficacia erga omnes nell’ambito dell’UE. La Suprema Corte, di conseguenza, ha premesso che avrebbe fatto riferimento alla direttiva 93/13/CEE come interpretata dalla Corte di Giustizia (anche con le quattro pronunce del 17.5.2022 sopracitate).

Premesso quanto sopra, il Giudice di legittimità ha sottolineato che la CGUE, tramite le pronunce suddette, ha già statuito che la direttiva 93/13/CEE del Consiglio osta ad una normativa nazionale che precluda al Giudice dell’esecuzione l’accertamento dell’abusività delle clausole di un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, solo perché non è stato opposto il decreto ingiuntivo emesso in relazione a quel rapporto contrattuale e dovrebbe essere, quindi, considerata implicitamente coperta dall’autorità di cosa giudicata la questione relativa alla validità delle clausole del contratto.

Infatti, la rilevanza che l’istituto del giudicato ha, indubbiamente, anche nell’ordinamento europeo, non consente comunque di ritenere tollerabile che, in caso di mancata opposizione al decreto ingiuntivo da parte del consumatore, sia considerato coperto da giudicato anche il controllo che il Giudice del monitorio avrebbe dovuto effettuare (fornendo motivazione) circa l’abusività delle clausole contrattuali.

Quanto sopra affermato, ha ricordato la Corte, è fondato dalla CGUE sul principio di effettività della tutela del consumatore.

Compito, quindi, del Giudice nazionale è quello di garantire il rispetto del suddetto principio di effettività tramite l’interpretazione conforme al diritto UE della normativa nazionale o, in subordine, tramite la disapplicazione della norma nazionale che si ponga in irrimediabile contrasto con l’ordinamento eurounitario, così come interpretato dalla CGUE.

3.2 Il ruolo del Giudice del procedimento monitorio

Le Sezioni Unite, premesso quanto sopra, hanno affermato, prima di tutto, che il Giudice del procedimento monitorio deve effettuare, senza dubbio, il controllo d’ufficio circa l’abusività delle clausole contrattuali ed eventualmente, a tal fine, esercitare i propri poteri istruttori, di cui all’art. 640 c.p.c., stimolando il creditore a fornire le informazioni necessarie e/o a produrre ulteriore documentazione.

Tale attività del Giudice, volta a sollecitare il ricorrente a provvedere alla prova, deve però essere effettuata in maniera compatibile con la struttura e le caratteristiche del procedimento monitorio. Di conseguenza se l’attività istruttoria si presenta più complessa, il Giudice dovrà, necessariamente, rigettare il ricorso.

A seguito del suddetto controllo, qualora il Giudice ritenga configurabili clausole contrattuali vessatorie secondo la normativa consumeristica potrà, senza dubbio, rigettare il ricorso o accoglierlo parzialmente.

Sottolineato l’obbligo anche del Giudice del monitorio di effettuare il controllo d’ufficio circa l’abusività delle clausole contrattuali, le Sezioni Unite, sempre richiamando le indicazioni fornite dalla giurisprudenza della CGUE, hanno valorizzato l’art. 641 c.p.c. - in virtù del quale il decreto ingiuntivo deve essere motivato – al fine di garantire che il Giudice, oltre ad effettuare il controllo al quale è tenuto d’ufficio, dia anche conto della suddetta verifica.

A tal proposito è stato sottolineato che, proprio tramite l’assolvimento dell’obbligo di motivazione, il Giudice deve “informare” il consumatore circa l’esito del controllo ufficioso effettuato e, inoltre, l’avvertimento previsto nella sopraindicata disposizione del codice di rito a tutela dell’ingiunto deve essere integrata per rendere edotto lo stesso, non solo, come è noto, che decorsi quaranta giorni dalla notifica non sarà più possibile opporre il decreto ingiuntivo ma, altresì, circa il fatto che decorso il suddetto termine il debitore “decadrà dalla possibilità di far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto”.

Tramite tale integrazione della motivazione che il Giudice del monitorio deve fornire, la normativa processuale italiana può essere considerata rispettosa del sopracitato principio di effettività della tutela di matrice europea.

3.3. Il ruolo del Giudice dell’esecuzione

Si presentano, poi, due ulteriori questioni da esaminare a parere della Suprema Corte: le forme di tutela riscontrabili, ad oggi, in relazione ai decreti ingiuntivi non più opponibili per decorso dei termini e che non presentano la motivazione sopra citata (alla luce della evidente “retroattività” di quanto statuito nelle sentenze interpretative della CGUE) e quelle configurabili in relazione ai quei provvedimenti monitori che, in futuro, dovessero essere adottati in violazione di quanto statuito dalla pronuncia in esame.

Il Giudice di legittimità, per rispondere a tali quesiti, ha sottolineato che l’istituto al quale fare riferimento nelle suddette ipotesi non può che essere quello di cui all’art. 650 c.p.c. (opposizione tardiva a decreto ingiuntivo), con gli adeguamenti necessari per il pieno rispetto del diritto UE.

Quindi, a ben vedere, la tutela del consumatore, nelle ipotesi in cui il Giudice del monitorio non effettui il controllo d’ufficio al quale è tenuto o non motivi sul punto, è stata individuata nell’ambito di un procedimento a cognizione piena, come quello che si instaura tramite l’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, e non nell’ambito del procedimento di esecuzione.

In particolare, ha spiegato il Giudice di legittimità, in caso di decreto ingiuntivo non motivato sul punto relativo al controllo d’ufficio, il Giudice dell’esecuzione, sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito, dovrà solo effettuare il controllo circa l’eventuale abusività delle clausole contrattuali e, a tal fine, dovrà procedere, se necessario, ad una sommaria istruttoria nel contraddittorio tra le parti. Al termine di tale attività il Giudice dell’esecuzione comunicherà alle parti l’esito delle proprie valutazioni circa l’abusività o meno delle clausole contrattuali e avviserà il consumatore della possibilità, entro quaranta giorni, di proporre, come sopra anticipato, opposizione tardiva a decreto ingiuntivo al fine di far valere esclusivamente le questioni relative al carattere vessatorio delle clausole. Ovviamente, prima che sia decorso il sopracitato termine, il Giudice dell’esecuzione si dovrà astenere dal disporre la vendita o l’assegnazione.

L’ultima ipotesi considerata dalla Suprema Corte è quella in cui il consumatore non abbia semplicemente subito l’instaurazione della procedura esecutiva da parte del creditore ma abbia, invece, proposto un’opposizione, prima della procedura esecutiva o a seguito della instaurazione della stessa.

Anche in tali ipotesi, secondo le Sezioni Unite, l’istituto nell’ambito del quale esaminare la questione della abusività o meno delle clausole contrattuali è l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.

Infatti, nel caso in cui non sia stata ancora incardinata una procedura esecutiva, il Giudice dovrà semplicemente riqualificare l’opposizione all’atto di precetto come opposizione ex art. 650 c.p.c. e fissare un termine non superiore a quaranta giorni per la riassunzione di fronte al Giudice dell’opposizione tardiva; nel caso in cui, invece, il creditore abbia già avviato una procedura esecutiva e il debitore abbia proposto opposizione esecutiva, se il Giudice dell’esecuzione rileva d’ufficio l’abusività di alcune clausole contrattuali dovrà, come sempre, interpellare il consumatore e, se quest’ultimo comunica la volontà di avvalersi della nullità di protezione prevista dal Codice del consumo, il Giudice dovrà assegnare i canonici quaranta giorni per proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e, nel frattempo, si dovrà astenere dal disporre la vendita o l’assegnazione.

3.4 Gli adeguamenti della normativa italiana necessari per garantire il rispetto del diritto dell’UE

Premesso, quindi, che l’istituto processuale nell’ambito del quale garantire la tutela del consumatore, in relazione alle clausole contrattuali vessatorie, è l’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. (ogniqualvolta il Giudice del monitorio non eserciti il controllo d’ufficio al quale è tenuto o non fornisca un riscontro tramite la motivazione del decreto ingiuntivo), le Sezioni Unite hanno individuato gli “adeguamenti” ai quali la disciplina del codice di rito deve essere sottoposta al fine di garantire il rispetto del diritto eurounitario. 

A tal proposito, il primo “adeguamento” della disciplina dell’istituto in esame può essere realizzato proprio tramite l’interpretazione conforme del primo comma della disposizione sopracitata del codice di rito e, in particolare, riconducendo l’ipotesi della mancata motivazione del decreto ingiuntivo, circa l’aspetto relativo all’abusività delle clausole contrattuali, alla previsione generale del “caso fortuito o forza maggiore” in presenza della quale, come è noto, è possibile opporre tardivamente il decreto ingiuntivo.

In relazione, invece, alla previsione dell’ultimo comma dell’art. 650 c.p.c. – in virtù della quale l’opposizione tardiva non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione – secondo la Suprema Corte è necessario procedere alla disapplicazione della suddetta disposizione, non potendo farsi ricorso all’interpretazione conforme a fronte di una norma chiara e non diversamente interpretabile e dovendo essere garantita ovviamente, in coerenza con quanto sopra detto, la possibilità del consumatore di opporre tardivamente il provvedimento monitorio anche dopo l’instaurazione di una procedura esecutiva.

3.5. I motivi per i quali l’istituto di cui all’art. 650 c.p.c. è stato ritenuto il più adeguato per tutelare il consumatore

Le Sezioni Unite hanno, poi, destinato la parte finale della complessa sentenza in esame all’analisi delle ragioni che hanno condotto a considerare il rimedio dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. – con gli adeguamenti sopracitati – l’istituto processuale più adatto alla tutela del consumatore.

Il Giudice di legittimità, prima di tutto, ha sottolineato come l’opposizione tardiva del provvedimento monitorio consenta di sottoporre all’attenzione del Giudice le clausole contrattuali stipulate dal professionista e dal consumatore prima dell’instaurazione della procedura esecutiva, in tal modo, evidentemente, evitando che il consumatore corra il rischio di vedere pignorati i propri beni.

Il Giudice dell’opposizione tardiva, inoltre, ha il potere di sospendere l’esecuzione provvisoria del titolo esecutivo, ai sensi degli artt. 649 e 650 c.p.c.

L’opposizione ex art. 650 c.p.c. ha, altresì, il vantaggio di poter essere esperita entro un termine certo (quaranta giorni), a differenza dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. e, soprattutto, consente di instaurare un procedimento a cognizione piena.

L’istituto in esame, inoltre, deve essere preferito anche alla cd. actio nullitatis la quale, oltre a non essere sottoposta ad un termine, è un rimedio di creazione pretoria al quale fare ricorso solo come “extrema ratio” (ad es. inesistenza o nullità di un provvedimento giudiziario dal contenuto abnorme).

Infine, le Sezioni Unite hanno sottolineato come il rimedio ex art. 650 c.p.c. sia da preferire anche perché consente la tutela del consumatore pur mantenendo fermi i principi relativi al giudicato, formale e sostanziale, dal momento che lo stesso è un istituto che l’ordinamento processuale appresta proprio contro il decreto ingiuntivo non opposto e, quindi, passato in giudicato.

4. Le prime reazioni dei Giudici di merito alla sentenza delle SS.UU.

La pronuncia delle Sezioni Unite in commento – che ha suscitato, sin da subito, un ampio dibattito in dottrina[1] - ha determinato l’adozione, oltreché delle prime pronunce di Giudici dell’esecuzione che hanno applicato i principi espressi dalla Corte di Cassazione a fronte di decreti ingiuntivi non motivati circa il controllo d’ufficio delle clausole abusive[2], anche di circolari e vademecum tramite i quali si è tentato di agevolare l’applicazione delle statuizioni della Suprema Corte nell’ambito delle procedure esecutive in corso[3] e dei procedimenti monitori che verranno, in futuro, instaurati.

In particolare, in relazione all’attività che il Giudice dovrà effettuare prima di adottare un decreto ingiuntivo richiesto nei confronti di un consumatore, particolarmente interessante sembra essere il vademecum adottato dalla Presidenza del Tribunale di Milano[4] tramite il quale, al fine di agevolare l’attività dei Giudici del monitorio, sono state fornite non solo delle indicazioni per semplificare l’individuazione dei soggetti che possono essere qualificati come consumatori (nel vademecum in oggetto, ad esempio, è stato ricordato che oramai, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, anche il condominio deve essere qualificato come consumatore ed è stato suggerito, inoltre, che quando il ricorrente sostiene che una persona fisica debba essere considerato imprenditore individuale potrebbe essere opportuno ordinare, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., di produrre la visura camerale del debitore. Nei casi dubbi il suddetto vademecum suggerisce, comunque, di svolgere il controllo d’ufficio in relazione all’abusività delle clausole), ma è stato elaborato anche un elenco delle clausole vessatorie più frequentemente rilevate dai Giudici delle diverse sezioni del Tribunale (tra le clausole abusive più ricorrenti si registrano quelle di deroga del foro del consumatore e quelle che prevedono penali manifestamente eccessive).

Interessante risulta essere, infine, anche quanto affermato circa l’interpretazione che è possibile fornire dell’art. 634 c.p.c. dopo la pronuncia delle Sezioni Unite n. 9479/2023.

In particolare, secondo il vademecum, anche l’art. 634 c.p.c. dovrebbe essere interpretato, al pari delle altre disposizioni del codice di rito sopra viste, alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite e, più nello specifico, nel senso che tutta l’eterogena documentazione indicata nella disposizione codicistica come idonea prova scritta per ottenere un provvedimento monitorio non può essere considerata tale, invece, se il debitore è un consumatore, essendo necessaria, in tal caso, la produzione del contratto e l’indicazione puntuale delle clausole contrattuali sulle quali il preteso diritto di credito si fonda, il tutto per consentire la verifica della vessatorietà delle clausole.

Si segnala infine, tra le prime applicazioni da parte della giurisprudenza di merito dei principi espressi dalla Suprema Corte, una recente pronuncia del Giudice dell’esecuzione tramite la quale, in applicazione dei principi suddetti e prendendo in considerazione un’ipotesi non espressamente esaminata dal Giudice della nomofilachia, è stato concesso termine ad un consumatore per opporre tardivamente un decreto ingiuntivo già precedentemente oggetto di opposizione tempestiva e in relazione al quale l’opponente – consumatore non aveva evidenziato l’abusività delle clausole contrattuali, né il Giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo aveva esercitato autonomamente tale potere. La peculiarità della fattispecie oggetto di tale pronuncia di merito è ravvisabile nel fatto che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si era concluso, prima della pronuncia delle Sezioni Unite del mese di aprile 2023, con una sentenza che aveva rigettato l’opposizione e che aveva confermato il provvedimento monitorio che, ovviamente, non presentava alcuna motivazione circa l’abusività o meno delle clausole del contratto in virtù del quale era stato richiesto il decreto ingiuntivo[5].

Altra pronuncia degna di nota è quella tramite la quale la giurisprudenza di merito ha affermato che il Giudice dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo deve dichiarare inammissibile l’opposizione tardiva proposta dal consumatore e non deve procedere all’esame dell’abusività delle clausole contrattuali ogniqualvolta il consumatore abbia opposto tardivamente il provvedimento monitorio al fine di far valere proprio la vessatorietà delle clausole contrattuali, dimostrando in tal modo l’assenza di una condizione di debolezza (deficit informativo dovuto al mancato avvertimento contenuto nel provvedimento monitorio) e, di conseguenza, l’assenza dei presupposti giustificativi della disapplicazione delle norme che attribuiscono autorità di cosa giudicata al decreto ingiuntivo non opposto nei termini[6].

5. Le critiche della Dottrina

La sentenza delle SS.UU. in commento, come prevedibile, ha suscitato, da subito, un interessante e vivo dibattito in Dottrina.

Un punto sul quale convergono la quasi totalità degli Autori che hanno commentato la sentenza è che le Sezioni Unite, evidentemente, sono andate oltre la funzione nomofilattica che è propria della Corte, finendo per “creare” un nuovo mezzo di impugnazione sostituendosi al Legislatore. In altri termini, secondo la critica esposta dalla maggioranza degli Autori, non avrebbe dovuto essere realizzata in via interpretativa la sostanziale modifica dell’istituto dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo[7], anche ravvisando, dove non è possibile, la compatibilità tra i principi espressi dalla CGUE e il diritto processuale italiano[8].

La diffusa critica sopracitata risulta, poi, diversamente articolata dai vari Autori.

Alcuni, ad esempio, hanno sottolineato come la scelta del rimedio dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo sia, da un lato, da considerarsi positivamente perché tale rimedio presenta minori “difficoltà applicative” rispetto agli altri istituti considerati come potenziali soluzioni per adeguare l’ordinamento interno a quello eurounitario ma, dall’altro, comunque criticabile nella misura in cui la suddetta scelta ha determinato la necessità di adattare l’istituto dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo introducendo, in via interpretativa, modifiche e integrazioni per le quali sarebbe stato necessario l’intervento del Legislatore[9].

In altri commenti, invece, è stata criticata, oltreché la scelta della Suprema Corte di “creare” una forma di opposizione tardiva a decreto ingiuntivo aggiuntiva a quella prevista dall’art. 650 c.p.c., anche la decisione di realizzare quanto sopraindicato tramite un’interpretazione delle ipotesi di “caso fortuito o forza maggiore” che, pensata per far fronte all’ipotesi specifica della mancata rilevazione d’ufficio delle clausole vessatorie previste dalla normativa consumeristica, potrebbe determinare l’aumento incontrollato delle istanze di rimessioni in termini a causa di un’applicazione generalizzata, ad ogni tipo di provvedimento, della suddetta ipotesi di causa non imputabile, con conseguenti gravi ripercussioni sul nostro sistema delle impugnazioni. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite, inoltre, secondo questa tesi, ha determinato la “creazione” di una nuova tipologia di opposizione tardiva pensata per una ipotesi specifica che, verosimilmente, neanche si presenterà in futuro e che avrà il sicuro effetto di determinare un’ulteriore “frammentazione” del diritto processuale italiano e della tutela giurisdizionale[10].

Altra critica di carattere generale, esposta da svariati autorevoli Autori, è quella in base alla quale le pronunce della CGUE relative, in particolare, alla tutela dei consumatori – come quelle del maggio 2022, richiamate dalla SS.UU. - avrebbero negli anni determinato la formazione di “un diritto processuale dei consumatori”, il quale deroga sotto molti aspetti alle regole processuali ordinarie, in virtù della necessità di tutelare adeguatamente la parte contrattuale debole. E’ stato inoltre affermato che, più in generale, le pronunce della CGUE avrebbero determinato la nascita di discipline processuali di matrice giurisprudenziale, derogatorie rispetto a quelle dei singoli Stati membri, alcuni dei quali di civil law e, quindi, fondati sulle codificazioni[11].

Oltre alla critica, più volte citata, basata sulla costatazione che la Corte di Cassazione è andata oltre la funzione nomofilattica alla stessa attribuita, finendo per introdurre nel sistema giuridico “modifiche” ad un istituto che avrebbero richiesto l’intervento del Legislatore, autorevole Dottrina ha esposto anche critiche ulteriori alla pronuncia in esame delle SS.UU. affermando che, tramite la stessa, nel tentativo di individuare una soluzione ad un problema specifico, sono state determinate ulteriori e svariate problematiche.

Prima di tutto una parte minoritaria della Dottrina ha criticato, a monte, la scelta dell’istituto della opposizione tardiva a decreto ingiuntivo – istituto, come più volte detto, individuato dalle SS.UU. con la pronuncia in commento - quale rimedio preferibile per consentire la dichiarazione di nullità delle clausole vessatorie in base alla disciplina consumeristica[12].  

Una critica interessante, a parere di chi scrive, è stata avanzata da chi ha ravvisato una disparità di trattamento ingiustificata, dopo la pronuncia delle Sezioni Unite, tra il caso in cui non venga esercitato il potere d’ufficio di rilevazione delle clausole vessatorie da parte del Giudice del procedimento monitorio e quello in cui tale mancato esercizio del potere d’ufficio si verifichi nell’ambito di un giudizio di cognizione ordinaria, instaurato da un professionista, in cui il consumatore sia rimasto contumace. Anche in tale ultima ipotesi, quindi, dovrebbe ritenersi che non è ravvisabile la preclusione conseguente al giudicato che, evidentemente, non può ritenersi formato in relazione alla vessatorietà delle clausole contrattuali se il Giudice del giudizio di cognizione non ha esercitato il controllo d’ufficio.  

Secondo autorevole Dottrina in tale ipotesi, per evitare disparità di trattamento non giustificabili, il consumatore contumace, destinatario di una sentenza di condanna pronunciata da un Giudice che non ha esercitato il proprio potere di rilevazione d’ufficio delle clausole abusive, potrebbe essere considerato come involontariamente contumace ai sensi dell’art. 327, co. 2, c.p.c. nel caso in cui il suddetto consumatore non abbia proposto, nei termini, appello avverso la sentenza di condanna[13].

Secondo una tesi minoritaria, invece, il problema sopradescritto, in realtà, non si pone, essendo le due ipotesi poste a confronto (procedimento monitorio e giudizio di cognizione contumaciale) differenti e sottoposte a discipline diverse (basti solo pensare al fatto che esclusivamente nell’ambito del giudizio di cognizione piena il consumatore volontariamente decide di non costituirsi pur avendone la possibilità). In particolare, secondo tale tesi, il giudizio di cognizione ordinaria, celebrato in contumacia del convenuto consumatore e conclusosi con sentenza di condanna, non potrebbe essere sottoposto ai principi espressi dalla CGUE (l’applicazione dei quali ha determinato, successivamente, la pronuncia delle SS.UU. in commento) perché nel nostro ordinamento vige l’art. 161 c.p.c. – in virtù del quale la nullità delle sentenze si converte in motivi di impugnazione – e per superare tale principio, nell’ipotesi sopradescritta della sentenza di condanna pronunciata in contumacia del consumatore e in assenza di riferimenti all’esercizio del potere di rilevazione d’ufficio delle clausole vessatorie, sarebbe necessaria quantomeno una pronuncia specifica della CGUE[14].

Altra interessante considerazione, esposta da più Autori, è quella in virtù della quale sarebbe opportuno estendere l’applicazione del principio della preclusione della formazione del giudicato sulle statuizioni implicite, nel caso del decreto ingiuntivo non opposto, a qualunque soggetto debole e, quindi, non limitarla a tutela del solo consumatore[15].

6. Conclusioni

La soluzione adottata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 9479/2023 al fine di adeguare il diritto interno al diritto UE così come interpretato dalla CGUE si presta, come visto, a molteplici critiche, sia in relazione ai principi espressamente enunciati, sia in relazione alle problematiche che le soluzioni adottate hanno determinato, soprattutto per quanto riguarda, da un lato, la possibile disparità di trattamento ravvisabile tra consumatori e altri “soggetti deboli” e, dall’altro, la disparità di trattamento configurabile tra gli stessi consumatori coinvolti in procedimenti giurisdizionali diversi (consumatore destinatario di un provvedimento ingiuntivo e consumatore convenuto contumace in un giudizio di cognizione ordinario).

Sicuramente condivisibile però – e non a caso condiviso dalla quasi totalità degli Autori – pare, preliminarmente, quanto ha affermato il Giudice della nomofilachia circa la necessità che anche il Giudice del procedimento monitorio eserciti il potere d’ufficio riconosciuto dalla normativa in materia di clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, non essendo configurabili ragioni per escludere tale potere - dovere in capo al Giudice adito ai sensi degli artt. 633 e ss. c.p.c.[16]

Pare, infine, condivisibile anche la posizione di quegli Autori che, prescindendo dalle critiche specifiche esposte in relazione alle soluzioni adottate dalla Suprema Corte, hanno sottolineato che i principi espressi nella pronuncia dell’aprile 2023 avranno comunque, in futuro, sempre meno occasione di essere applicati, dal momento che non vi sono ragioni per ritenere che i Giudici non eserciteranno il proprio potere d’ufficio di controllo della vessatorietà delle clausole contrattuali al fine di decidere se accogliere o meno il ricorso per decreto ingiuntivo e non daranno conto dei risultati di tale controllo nel motivare i provvedimenti monitori (anche alla luce del fatto che alcuni Tribunali, come sopra visto, hanno addirittura adottato delle circolari e dei modelli per agevolare il lavoro dei Magistrati).

Quanto sopra detto, se da un lato non rende meno rilevanti le perplessità e le critiche esposte dagli Autori in relazione alle soluzioni adottate dalla Suprema Corte e non meno auspicabile un intervento del Legislatore per adeguare il diritto interno a quello sovranazionale, dall’altro determina una riduzione, dal punto di vista pratico, dei casi in cui i principi espressi dalla Corte di Cassazione troveranno applicazione (con una conseguente riduzione, altresì, della rilevanza in concreto delle problematiche conseguenti all’applicazione dei suddetti criticati principi) e, a ben vedere, invece, determina il sicuro e positivo aumento dei livelli di tutela dei consumatori, anche nell’ambito di un procedimento inaudita altera parte nel quale gli stessi risultavano, di fatto, sguarniti della suddetta tutela.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Vari Autori, subito dopo la pubblicazione della pronuncia delle Sezioni Unite, hanno elaborato i primi commenti in relazione alla complessa soluzione adottata dalla Suprema Corte per garantire la tutela del consumatore. Si registrano, in particolare, vari commenti critici tramite i quali più Autori, in estrema sintesi, hanno stigmatizzato il fatto che le Sezioni Unite, con la pronuncia in esame, sono andate oltre la funzione nomofilattica che è propria della Corte, finendo per “creare” un nuovo mezzo di impugnazione sostituendosi al Legislatore. Infatti, è stato sottolineato che non avrebbe dovuto essere realizzata in via interpretativa la sostanziale modifica che è stata effettuata in relazione all’istituto dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo. Si rinvia, per un approfondimento sulle prime critiche esposte in Dottrina, a: I. FEBBI, “Impressioni a caldo sulla Sentenza della Corte di Cassazione S.U. 9479/2023”, in www.judicium.it; B. CAPPONI, “Primissime considerazioni su SS.UU. 6 aprile 2023 n. 9479”, in www.giustiziainsieme.it; R. METAFORA, “Dalle Sezioni Unite un “vademecum” sugli strumenti a tutela del consumatore in caso di vessatorietà delle clausole”, Giurisprudenza commentata, in www.dejure.it; G. SCARSELLI, “La tutela del consumatore secondo la CGUE e le Sezioni Unite e lo Stato di diritto secondo la civil law”, in www.judicium.it.  

[2] Tra le molteplici pronunce dei Giudici dell’esecuzione che, in applicazione dei principi esposti nella sentenza in esame, hanno adottato i provvedimenti necessari al fine di instaurare il contraddittorio tra le parti a fronte di un decreto ingiuntivo non motivato sul punto relativo al controllo d’ufficio delle clausole vessatorie, è possibile ricordare, ad esempio, Trib. di Belluno, provv. datato 10.5.2023, n.r.g. 151/2023.

[3] Si segnala, ad esempio, la circolare datata 19.5.2023 tramite la quale il Presidente della III sezione civile del Tribunale di Milano ha richiesto ai delegati alla vendita, incaricati nelle varie procedure esecutive, di effettuare un primo controllo al fine di individuare i processi nell’ambito dei quali il debitore esecutato è una persona fisica e il titolo esecutivo consiste in un decreto ingiuntivo. E’ possibile prendere visione della sopracitata circolare tramite il seguente link: https://www.ordineavvocatimilano.it/media/news/MAGGIO2023/IIICIV_circolareMilano_clausole-abusive.pdf.

[4] Atto n. 11427 datato 25.7.2023 della Presidenza del Tribunale di Milano. A tale vademecum è stato allegato anche un modello di decreto ingiuntivo emesso nei confronti di un consumatore, nel quale sono riportate sia le motivazioni che il Giudice del monitorio deve esporre, sia i vari avvertimenti da formulare a tutela del consumatore ingiunto. E’ possibile prendere visione del sopracitato vademecum tramite il seguente link: https://www.dirittobancario.it/wp-content/uploads/2023/10/Vademecum-Tribunale-di-Milano-11-settembre-2023.pdf.

[5] Trib. di Ivrea, provv. datato 16.5.2023 (n.r.g. 220/2019). Si precisa che il Giudice dell’esecuzione, pur attribuendo al debitore esecutato il termine per proporre opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, ha sottolineato che la decisione definitiva circa la riconducibilità della fattispecie in esame ai principi espressi dalle Sezioni Unite spetta al Giudice di merito e, quindi, al Giudice dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo.

[6] Trib. di Como, sez. II civ., sent. n. 456/2023.

[7] Si rinvia, per un approfondimento sulle critiche esposte in Dottrina, a: I. FEBBI, op. cit.; B. CAPPONI, op. cit.; R. METAFORA, op. cit.; G. SCARSELLI, op. cit.; L. TOMASI, “Procedimento monitorio, decreto ingiuntivo non opposto e procedure esecutive: le pronunzie della Corte di Giustizia Europea in materia consumeristica (Milano, 8 maggio 2023)”, corso D23144 Scuola Superiore della Magistratura – Struttura Decentrata Distretto di Milano, quest’ultimo Autore ha sottolineato che, in alternativa all’intervento del Legislatore, è possibile ipotizzare che l’operazione di adattamento dell’istituto dell’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, sicuramente non realizzabile in via interpretativa o tramite disapplicazione come delineato dalle Sezioni Unite, possa essere effettuata dalla Corte Costituzionale. Si distinguono dalla tesi esposta dalla Dottrina maggioritaria sopracitata, quei pochi scritti in cui è stato sostenuto che la pronuncia delle SS.UU. è coerente con la funzione nomofilattica del Giudice di legittimità e idonea ad eliminare il contrasto tra il diritto processuale italiano e il diritto UE così come interpretato dalla CGUE. Si veda, sul punto, E. MERCURIO, “Brevi riflessioni a margine della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 9479 2023 del 6 aprile 2023”, in www.dirittogiustiziaecostituzione.it. In altri contributi si legge che la sentenza delle SS.UU., quantomeno, si distingue per chiarezza espositiva e che, a ben vedere, la Suprema Corte non poteva far altro che prendere atto delle decisioni vincolanti della CGUE, salvo voler applicare i cd. “controlimiti”. Si veda, sul punto, L. TOMASI, op. cit. e M. CIRULLI, “La tutela del consumatore ed il vaso di pandora”, in www.judicium.it il quale però, al contempo, ha sottolineato che l’”iperprotezione” accordata al consumatore rispetto al comune contraente, tramite la pronuncia delle SS.UU., non è giustificabile in base al diritto UE.

[8] G. Scarselli ha affermato, ad esempio, che costituisce sicuramente una “forzatura” dichiarare compatibili i principi del nostro ordinamento e quanto enunciato circa la lesione del diritto di difesa del consumatore a fronte di un d.i. nel quale non sono stati menzionati i risultati del controllo d’ufficio del Giudice e circa l’impossibilità che il suddetto d.i. acquisisca autorità di cosa giudicata. In relazione al primo aspetto è stato affermato che, a voler così ragionare, il Giudice dovrebbe indicare nel provvedimento monitorio tutte le possibili eccezioni che il debitore potrebbe sollevare (a ben vedere, però, in relazione alle clausole cd. vessatorie nei contratti stipulati tra consumatore e professionista, il Giudice, anche del procedimento monitorio, ha il potere – dovere di esaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole). In relazione, invece, a quanto detto circa la preclusione di giudicato, l’Autore ha sottolineato che, in linea generale, non vi è alcun collegamento tra i vizi e/o le omissioni della motivazione e la formazione del giudicato. G. SCARSELLI, op. cit.  

[9] Ad esempio, M. Cirulli ha criticato, tra l’altro, l’applicazione estensiva del termine di quaranta giorni, entro cui effettuare l’opposizione a decreto ingiuntivo, all’ipotesi dell’opposizione tardiva avente ad oggetto il provvedimento monitorio adottato senza rilevare la nullità di protezione prevista a tutela dei consumatori. Secondo l’Autore una tale previsione avrebbe potuto essere introdotta solo con la modifica dell’art. 650 c.p.c., rientrando la fissazione dei termini processuali nella discrezionalità del Legislatore. Si veda M. CIRULLI, op. cit.

[10] R. METAFORA, op. cit.

[11] Secondo alcuni Autori è configurabile un “diritto processuale dei consumatori”, nato dalle pronunce della CGUE adottate negli anni. Tale disciplina processuale speciale risulta di difficile ricostruzione e, per tal motivo, sarebbe preferibile introdurre tale disciplina speciale tramite un atto normativo europeo vigente per tutti gli Stati membri. Si veda, per tutti, E. D’ALESSANDRO, “Il decreto ingiuntivo non opposto emesso nei confronti del consumatore dopo Corte di Giustizia, grande sezione, 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19): in attesa delle Sezioni Unite”, in www.judicium.it. Altri Autori invece, più in generale, come detto, hanno sottolineato come la giurisprudenza della CGUE abbia delineato un diritto processuale di matrice giurisprudenziale e per tal motivo basato sul “caso concreto”, il quale deroga a quello interno e poco si adatta agli Stati membri di civil law. Anche tali ultimi Autori hanno auspicato un intervento del Legislatore, quantomeno per le situazioni sostanziali maggiormente rilevanti, come quelle relative al consumatore e prese in esame dalle SS.UU. Si veda, per tutti, G. SCARSELLI, op. cit.; R. ROSSI, “Clausole abusive e decreto ingiuntivo non opposto: il consumatore alla ricerca del rimedio effettivo”, in www.dirittodellacrisi.it.

[12] In particolare, secondo una tesi, potrebbe essere riconosciuto al Giudice dell’esecuzione sia il potere di rilevare d’ufficio l’abusività delle clausole, sia quello di dichiarare la nullità delle stesse. In tal modo, secondo chi ha prospettato tale soluzione, non si vanificherebbe l’attività, anche istruttoria, svolta dal Giudice dell’esecuzione e si renderebbe più agevole per il consumatore la tutela dei propri diritti. Più nello specifico, il Giudice dell’esecuzione svolgerebbe un controllo nell’ambito di un “incidente endoesecutivo di accertamento”, analogo a quelli previsti dagli artt. 512 e 549 c.p.c., con efficacia limitata al giudizio dell’esecuzione e senza il pericolo, quindi, che vi possa essere un’ingerenza del Giudice dell’esecuzione sul titolo giudiziale. Un accertamento con efficacia di giudicato, invece, potrebbe essere effettuato ai sensi dell’art. 615 c.p.c, qualora il consumatore debitore decidesse di agire prima e a prescindere dall’esercizio da parte del Giudice del proprio potere di rilevazione d’ufficio oppure l’accertamento con efficacia di giudicato potrebbe essere effettuato al termine del giudizio, instaurato ai sensi dell’art. 617 c.p.c., tramite l’impugnazione della decisione sull’incidente endoesecutivo sopracitato. E. D’ALESSANDRO, op. cit.

[13] Si veda M. CIRULLI, op. cit. Anche Febbi ha affrontato il problema della disparità di trattamento ravvisabile tra l’ipotesi del decreto ingiuntivo e quella della sentenza di condanna emessa in contumacia del consumatore, affermando che quanto espresso dalla CGUE deve essere applicato anche alla seconda ipotesi sopracitata, come sottolineato, ricorda l’Autore, anche dal Procuratore Generale nelle proprie conclusioni. I. FEBBI, op. cit.

[14] E. D’ALESSANDRO, op. cit.

[15] Si richiama, per giustificare tale considerazione, sia il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., sia lo stesso principio eurounitario di effettività della tutela giurisdizionale, il quale non potrebbe che riguardare qualsiasi “soggetto debole” e non solo il consumatore. Si veda sul punto, ad esempio, G. SCARSELLI, op. cit. Alcuni Autori però, come Caporusso, hanno sottolineato come la sopracitata “estensione” non possa essere ad oggi effettuata, dal momento che le quattro sentenze del 2022 della CGUE, più volte citate, riguardano esclusivamente la normativa sovranazionale a tutela del consumatore. S. CAPORUSSO, “Attendendo le Sezioni Unite: appunti su tutela consumeristica, certezza del diritto e latitudine dei poteri officiosi”, in Il Giusto Processo Civile, rivista trimestrale, anno XVII, n. 4/2022, ESI.

[16] G. Scarselli ha sottolineato che la statuizione in base alla quale il potere – dovere di rilevare d’ufficio le clausole vessatorie si pone in capo anche al Giudice del monitorio è perfettamente conforme, oltreché al diritto sovranazionale, alla disciplina del codice di rito civile, in virtù della quale il Giudice deve accertare la configurabilità dei presupposti di fatto e di diritto per concedere l’ingiunzione, compresa ovviamente la validità o meno delle clausole contrattuali sulle quali il diritto di credito vantato si fonda, e in base alle quali il decreto ingiuntivo deve essere motivato (al pari, si aggiunge, di qualsiasi altro provvedimento giurisdizionale in base a quanto previsto dall’art. 111 Cost.). G. SCARSELLI, op. cit. Si veda anche, tra i tanti, L. TOMASI, op. cit.