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Pubbl. Mer, 29 Mag 2024

Tra questioni di giurisdizione e merito: riflessioni sul difetto relativo di giurisdizione

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autori Francesco Mastroianni ,



Si fornisce un´analisi dettagliata delle questioni relative al giudice amministrativo, tributario e contabile, nonché della giurisdizione straniera . Si esplorano le disposizioni normative e le interpretazioni giurisprudenziali riguardanti il rilevamento del difetto di giurisdizione e l´applicazione del regolamento preventivo di giurisdizione. Vengono discussi i criteri per determinare la giurisdizione affrontando le sfide specifiche legate alla giurisdizione amministrativa, tributaria e contabile, inclusi gli orientamenti giurisprudenziali e le questioni di merito e costituzionali correlate a tali settori.


ENG

Between jurisdiction and substance: reflections on the relative lack of jurisdiction

A detailed analysis is provided of issues relating to administrative, tax and accounting courts, as well as foreign jurisdiction . Regulatory provisions and jurisprudential interpretations regarding the detection of lack of jurisdiction and the application of ”regolamento preventivo di giurisdizione” are explored. Criteria for determining jurisdiction are discussed by addressing specific challenges related to administrative, tax and accounting jurisdiction, including case law guidelines and substantive and constitutional issues related to these areas.

Sommario1. Premessa; 2. Rapporti tra giurisdizione ordinaria e amministrativa; 3. Rapporto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione tributaria; 4. Il confine tra g.o. e giudice contabile; 5. Mezzi di impugnazione del difetto relativo di giurisdizione: il regolamento preventivo; 6. Difetto relativo tra giudice civile e giudice straniero; 7. Conclusioni.

1. Premessa

Il testo in esame verte sul rapporto tra giurisdizione ordinaria e le altre giurisdizioni speciali[1] (amministrativa, tributaria e contabile) con riferimento altresì agli effetti seppur limitati della riforma Cartabia. La distinzione tra giurisdizioni è basata, come si potrà meglio constatare in corso di trattazione, talora sul tipo di situazione giuridica fatta valere in giudizio (v. la dicotomia diritto soggettivo - interesse legittimo), talora sulla materia oggetto della controversia. 

Il riferimento alle posizioni giuridiche appena menzionate è rinvenibile anche nella nostra Carta fondamentale che all’art. 24 Cost. nell’affermare che «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi» individua le due situazioni giuridiche che rendono azionabile una tutela dinanzi all’organo giurisdizionalmente competente[2].

La disamina verterà, inoltre, sui criteri interpretativi[3] utilizzati nel tempo dalla giurisprudenza per porre un confine nitido tra le giurisdizioni e per distinguere le posizioni giuridiche oggetto di giurisdizione ordinaria ovvero speciale[4]. Tra i vari si richiameranno esemplificativamente - in ordine al rapporto tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa - il criterio del petitum[5]della causa petendi[6] e del petitum sostanziale[7]. Siffatti differenti metodi di analisi della controversia hanno, difatti, delineato una continua evoluzione dei limiti esterni della giurisdizione dei quali la giurisprudenza è il fautore principale.

Successivamente, vengono analizzati i rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione tributaria, con riflessioni sulle materie devolute alla stessa[8].

Si affronterà la giurisdizione contabile, di sovente non attenzionata, evidenziando gli ambiti di competenza della Corte dei Conti (v. materie quali contabilità pubblica, pensioni civili, militari e di guerra). 

Si discute, inoltre, dell'applicazione del regolamento di giurisdizione[9] come strumento per la rilevabilità del difetto relativo di giurisdizione.

In ultima analisi si vaglierà il confine tra giudice civile e giudice straniero, considerando le disposizioni vigenti all'emanazione del Codice di procedura civile del 1940 e le successive modifiche apportate dalla legge 31 maggio 1995, n. 218.

2. Rapporti tra giurisdizione ordinaria e amministrativa

Muovendo dalla disamina dei rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, il criterio atto ad individuare la linea di confine tra esse è rappresentato dal tipo di situazione giuridica fatta valere in giudizio.

Doverose istanze di correttezza metodologica suggeriscono di precisare che la questione verrà ivi affrontata avendo riguardo all’attuale diritto positivo, dal momento in cui è noto che una disamina di carattere storico meriterebbe indubbiamente uno spazio a sé stante, magari condensato in una trattazione di tipo monografico.

L’addentellato normativo al quale volgere primariamente lo sguardo non è sotteso ad una norma settoriale codicistica ma è dato dall’articolo 24 della Costituzione che individua due tipologie di situazioni giuridiche soggettive azionabili davanti ad un giudice, ossia il diritto soggettivo e l’interesse legittimo[10].

La distinzione operata dal Costituente permette ictu oculi di comprendere che trattasi di situazioni sostanziali differenti[11]

Ciò assunto, l’individuazione dei tratti distintivi dell’uno rispetto all’altro diviene momento fondamentale: e ciò, non solo con riferimento ad una ricostruzione teorico-pratica degli istituti in chiave sostanziale, ma anche e soprattutto in ottica processuale. 

Tale affermazione è di inconfutabile veridicità nella misura in cui il diritto positivo eleva a criterio preordinato all’individuazione dei limiti esterni tra le due giurisdizioni quello riferibile alla tipologia di situazione giuridica che si ritiene lesa.

In termini ancor più semplici, se la situazione fatta valere in giudizio è il diritto soggettivo, ciò comporterà (normalmente) la devoluzione della giurisdizione al giudice civile[12], se invece si riterrà leso un interesse legittimo, essa sarà devoluta a quella del giudice amministrativo, il cui assetto mutua le previsioni normative della legge n.1034/1971[13].

Tale criterio, così felicemente formulato dal legislatore, solleva non poche difficoltà in capo all’operatore del diritto, ed in particolare in seno al giudice (per quel che ai nostri fini interessa), posto che nel nostro ordinamento giuridico l’interesse legittimo non presenta un fondamento di teoria generale univoco[14].

Il dibattito circa i criteri discretivi affonda le proprie radici già al tempo dell’entrata in vigore della Legge Crispi-Spaventa del 1889, con la quale si provvide all’istituzione di due ordini di giurisdizioni per la tutela del cittadino nei confronti dell’amministrazione pubblica[15].

L’interrogativo principale può configurarsi nei seguenti termini: “Quali profili della domanda giudiziale dovevano essere presi in considerazione onde stabilire se l’attore avesse inteso fatto valere un diritto soggettivo piuttosto che un interesse legittimo, o viceversa?”.

A questo proposito occorre segnalare come proprio la pacifica mancanza di quell’univoco fondamento di teoria generale sia assurto a fattore in virtù del quale la risposta a detta questione sia pervenuta non per il tramite del canale legislativo ma in forza di significativi apporti giurisprudenziali espressivi di indirizzi mutati nel tempo[16].

Non esiste ad oggi un’incontrovertibile (ed inconfutata) presa di posizione in materia; dunque, vi si illustreranno i principali orientamenti emersi nel tempo, allo scopo di dare linfa alle astratte previsioni di legge che per le suesposte ragioni necessitano di una consistente opera di implementazione giudiziale.

L’orientamento più risalente richiama il criterio del petitum[17]: laddove il soggetto avesse domandato al giudice il rimedio dell’annullamento del provvedimento amministrativo, lamentava al contempo (e sempre e comunque) la lesione di un proprio interesse legittimo[18].

Questa tesi risente dello stretto legame tra teoria del provvedimento amministrativo e concezione autoritativa del rapporto amministrazione-cittadino affermatasi al tempo (fine del XIX secolo)[19].

Sulla scia di questa impostazione, il provvedimento amministrativo è sempre da considerarsi quale manifestazione unilaterale del potere di imperio del soggetto pubblico, dal momento in cui senza il tramite di siffatto potere il privato non ottiene mai il bene della vita cui aspira[20].

Questa impostazione ha conosciuto il proprio tramonto a seguito dell’accoglimento del principio di legalità in senso formale[21] e della rimodulazione in chiave costituzionalmente orientata[22] del rapporto tra il cittadino e l’amministrazione[23].

La valorizzazione della legalità e della dimensione collaborativa nel rapporto giuridico amministrativo hanno scardinato la corrispondenza biunivoca tra provvedimento amministrativo ed interesse legittimo.

Non ogni vizio del provvedimento amministrativo in ragione del quale si chiede l’annullamento è legato alla lesione di un interesse legittimo, ma vi sono altresì provvedimenti amministrativi violativi di diritti soggettivi[24].

Senza sconfinare in considerazioni di stretta pertinenza del diritto amministrativo sostanziale, si può citare in tal senso la rilevanza della distinzione tra poteri amministrativi discrezionali[25] e vincolati[26], nonché quella della teoria dei diritti soggettivi primari di rilevanza costituzionale indegradabili in interessi legittimi[27].

Il secondo criterio al quale ha fatto allusione la giurisprudenza di legittimità è denominato della causa petendi[28], correlato alla teoria della prospettazione o che dir si voglia della rappresentazione[29].

In forza di tale criterio va attribuita importanza decisiva alla prospettazione o rappresentazione della posizione giuridica fatta valere così come indicata dalla parte negli atti caratterizzanti la fase introduttiva del processo.

Se infatti, l’attore asserisce la titolarità di un diritto soggettivo, la giurisdizione viene devoluta al giudice civile, se viene asserita la titolarità di un interesse legittimo leso, essa ricadrà in seno al giudice amministrativo.

La più evidente critica che può essere mossa a questa impostazione riposa nel fatto che la differenza tra gli istituti, lungi dall’essere (ragionevolmente e logicamente) ontologica, va ad essere delineata da valutazioni delle parti, alle quali possono essere sottese ragioni di ignoranza o convenienza.

Ad una riflessione accurata, ciò che segna l’inefficienza dei criteri prospettati è il carattere automatico della loro operatività, snaturando così l’ineludibile momento critico-logico dal quale non può sfuggire l’interprete onde individuare criteri di differenziazione tra gli istituti.

In ordine all’impostazione del petitum nell’accezione suesposta, la domanda di annullamento del provvedimento designava sic et simpliciter il configurarsi di una situazione di interesse legittimo; mentre per quanto attiene alla causa petendi, l’automatismo era delineato dalla mera indicazione nominalistica operata dalla parte attrice (o ricorrente).

La tesi più recente, abbracciata dalla Corte di Cassazione, è stata designata come quella del “petitum sostanziale”[30], rilevando la natura effettiva della situazione giuridica fatta valere[31].

Se da un lato essa presenta il merito di proporsi di delineare in chiave effettivo-sostanziale i tratti caratterizzanti dell’una situazione rispetto all’altra, d’altro lato apre il fianco ad una problematica di non poco momento, quella cioè di rinvenire un criterio pacifico di demarcazione[32].

Senza alcuna pretesa di esaustività sul punto, la posizione dominante oggi concerne la dicotomia tra provvedimenti amministrativi vincolati e discrezionali[33].

Il carattere vincolato del provvedimento amministrativo, infatti, confinerebbe l’amministrazione a svolgere un ruolo meramente dichiarativo, dovendosi limitare alla verifica della rispondenza della fattispecie concreta rispetto alla fattispecie astratta contemplata dalla norma di legge attributiva del potere. L’esito negativo o positivo della verifica comporta la “trasposizione” (o meno) del diritto soggettivo nel provvedimento amministrativo.

In caso contrario, ossia in presenza di poteri discrezionali, il margine di operatività riconosciuto alla pubblica amministrazione in sede di ponderazione degli interessi comporta che la situazione confluente nel provvedimento è sempre l’interesse legittimo.

Dunque, alla luce di questa impostazione, il sindacato sulla natura del potere sarebbe risolutivo anche ai fini della giurisdizione.

Si ribadisce come questa dicotomia sia presa in considerazione esclusivamente quale modello didattico-sistematico, giacchè la stessa è stata suscettiva di essere incorsa in critiche.

Esaurita la trattazione riferibile ai rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, andrà a volgersi lo sguardo al modo d’essere dei rapporti tra la prima e quella tributaria.

3. Rapporto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione tributaria

Può sin da subito rammentarsi come il profilo di delineazione tra queste giurisdizioni non attenga al tipo di situazione giuridica soggettiva fatta valere, quanto piuttosto mira a radicare la potestà giurisdizionale del giudice tributario in ragione della specialità della materia[34].

Il dato normativo dal quale avviare la riflessione è costituito dall’art. 2 delle norme sul processo tributario, ai cui sensi è previsto che: «Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati compresi quelli regionali, provinciali, comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovraimposte, le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi ed ogni altro accessorio».

La fattispecie astratta contempla una molteplicità di oggetti della lite rientranti in varie categorie, molte delle quali riconducibili alla macro-categoria del “tributo”[35]: le imposte, le sovraimposte, nonché le sanzioni e gli interessi ad esse connesse (si attinge per ragioni di completezza anche al contributo del Servizio sanitario nazionale)[36].

Ciò che realmente può destare profili di elaborazione critica è la presenza del termine “controversia”[37] all’interno della norma[38].

Onde devolvere la causa alla cognizione del giudice tributario, non è sufficiente che nel caso concreto si faccia discussione di imposte, sovraimposte, sanzioni ed accessori, ma il precetto richiede inoltre che in merito ad esse sussista controversia.

Ne segue, pertanto, che laddove la debenza del tributo non sia pacifica prima dell’instaurarsi della lite, la causa ricade nell’ambito della giurisdizione del giudice tributario. Tuttavia, laddove la causa richiami lato sensu la materia tributaria, ma sia già pacifica la debenza del tributo, essa verrà attratta nella giurisdizione del giudice ordinario[39].

Dunque, l’operazione ermeneutica che l’interprete deve condurre allo scopo di non integrare un difetto di giurisdizione consta di due momenti fondamentali, e più segnatamente:

  1. Verificare se vi sia in gioco, nel caso concreto, un tributo, secondo l’accezione definitoria che ne viene comunemente data dalla dottrina tributaristica (trattasi di qualunque prelievo coattivo di diritto pubblico ad eccezione delle sanzioni amministrative).
  2. Verificare se la debenza del tributo sia incontestata o meno prima dell’instaurarsi del contenzioso.

Altra norma la cui disamina risulta di non poco momento in questa sede è data dal capoverso dell’art. 2 del codice del processo tributario, in forza del quale «restano escluse dalla giurisdizione speciale tutte le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di intimazione di cui all’art. 50 del d.p.r. n. 602/1973»[40].

La disposizione richiamata allude all’esecuzione forzata tributaria e pone nei termini suindicati una riserva di giurisdizione[41] del giudice ordinario relativamente alla stessa.

Taluni autori della dottrina, peraltro, hanno messo in evidenza (sul punto) come siffatta regola giuridica abbia non propriamente posto una riserva di giurisdizione in seno al giudice ordinario, ma in capo a quello speciale.

In termini più semplici, la cognizione delle vicende esecutive ricadrebbe in forza della previamente esaminata regola generale in capo alla giurisdizione civile nella misura in cui si allude ad una fase processuale ove non vi sia più contestazione in ordine alla debenza del tributo, già accertata nel precedente stato del processo[42].

Dunque, la riserva andrebbe semmai considerata come di giurisdizione tributaria, introducendo una deroga alle automatiche conseguenze giuridiche che sarebbero eventualmente derivate da una rigorosa applicazione dell’art. 2, 1° comma del codice sul processo tributario[43].

Ciò posto, bisogna individuare l’area di giurisdizione ricadente nella sfera del giudice speciale.

Il dato testuale è in questo senso risolutivo, prevedendo che in essa vi rientrino tutti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria anteriori alla notificazione della cartella di pagamento (si pensi, a titolo di esempio, al fermo del veicolo eventualmente disposto dall’agente della riscossione ovvero alla mancata notifica dell’avviso di accertamento).

4. Il confine tra g.o. e giudice contabile

L’ultimo ordine di questioni da trattare attiene alla relazione sussistente tra la giurisdizione contabile e quella del giudice ordinario.

Giova sin da subito rammentare come essa trovi un solido fondamento costituzionale, atteso che l’art. 103 della Legge Fondamentale prevede l’attribuzione alla Corte dei Conti delle materie di contabilità pubblica, pensioni civili[44], militari e di guerra[45].

La linea di confine tra giurisdizione ordinaria e contabile non era rintracciabile sulla base di precisi dati di diritto positivo prima della emanazione del d. lgs. 26 agosto 2016, n. 174[46].

Tuttavia, anche prima del c.d. Codice di giustizia contabile si è operato, in ogni caso, un ragionamento di tipo induttivo sulla base dell’apporto giurisprudenziale maggiormente significativo in materia, il quale è stato caratterizzato da un approccio “costituzionalmente orientato”.

Le due principali materie attengono alle controversie che si pongono nella zona di confine tra giudice ordinario e giudice speciale, ossia l’azione risarcitoria riferibile al danno ingiusto cagionato dal pubblico impiegato a terzi[47], nonché quella del contenzioso inerente alle società a partecipazione pubblica[48].

Quanto alla prima, deve darsi contezza di una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[49], la quale ha stabilito il radicarsi della giurisdizione in seno al giudice ordinario, in forza della natura privatistica della norma a fondamento del principio[50].

Ad analoghe considerazioni è pervenuta la giurisprudenza di legittimità con riferimento al contenzioso in tema di società a partecipazione pubblica, stabilendo che quella parte di attività sociale retta da moduli privatistici ricade nella giurisdizione del giudice ordinario, stante la precisa volontà legislativa di assoggettare l’attività di questo peculiare tipo di enti al regime civilistico-giuscommercialistico. Dunque, ne consegue che l’area della giurisdizione contabile in materia residui al solo profilo dell’attività sociale condotta jure imperii.

Se ne conclude che si è fissato il confine tra le giurisdizioni in forza del tipo di attività svolta dall’ente pubblico, nel senso di verificare se trattasi di azione retta da potere di imperio o da situazione di equiordinazione.

Raffigurata la sistematica analisi ermeneutica incorsa nell’ultimo secolo, rileva dibattere sullo strumento utile alla rilevabilità del difetto relativo di giurisdizione. 

5. Mezzi di impugnazione del difetto relativo di giurisdizione: il regolamento preventivo

Posto che i mezzi di impugnazione ordinaria consentono alle parti in giudizio di rilevare il difetto relativo di giurisdizione nel corso della procedura ordinaria di merito e di legittimità pare doveroso soffermarci sulla rilevabilità dello stesso adoperando il regolamento di giurisdizione, connotato da peculiarità storiche e giustiziali.

Il legislatore introduce all’art. 10, 1° comma[51] del codice di procedura amministrativa e all’art 3, 2° comma[52] del codice del processo tributario l’impiego del regolamento preventivo per la deducibilità delle questioni di giurisdizione laddove è stata dapprima la giurisprudenza[53] e successivamente l’art. 16 del d.lgs 26 agosto 2016 n. 174[54] ad ammetterne l’utilizzabilità per il processo contabile.  

Onde intendere gli effetti del regolamento preventivo, che opera in egual misura per tutti i tipi di giurisdizione, stante il richiamo al codice sul processo civile, si delinea l’assetto unitario dell’istituto.

Il richiamo delle disposizioni suesposte all’art. 41, 1° comma c.p.c. lascia intendere che il regolamento preventivo può essere chiesto, in ogni processo incardinato, alle Sezioni unite della Suprema Corte finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado. Il requisito della pendenza della controversia è connotante il carattere straordinario (lato sensu inteso) dell’istituto che differisce dagli ordinari mezzi di gravame. Siffatto strumento è pertanto opzionale[55] e implica una definizione con ordinanza vincolando il giudice a quo nonché il giudice ad quem. La conseguente proposizione del regolamento dinanzi al nuovo giudice individuato con ordinanza della Corte Suprema - che verta sul medesimo rapporto giuridico sostanziale e tra le medesime parti - non potrà che essere inammissibile[56].

Inferenza logica diretta dell’efficacia vincolante della dichiarazione di difetto relativo col tramite dell’ordinanza è la preclusione dello svolgimento del processo dinanzi al giudice precedentemente adito mantenendo salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda[57].

Il regolamento di giurisdizione è proposto con le forme e le modalità previste per il ricorso in Cassazione[58].

Posta la questione di giurisdizione dinanzi al Giudice di legittimità, quest’ultimo, nelle evenienze in cui il difetto sia relativo, potrà emettere ora una dichiarazione che confermi la giurisdizione del giudice adito, ora una statuizione di difetto relativo, con annessa individuazione del giudice dotato di potestas iudicandi.

La prima circostanza si risolve agevolmente con l’applicazione dell’art. 367, ult. comma c.p.c. che richiede la riassunzione del giudizio, allorché questi fosse stato sospeso, entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza; d’altro canto, la seconda evenienza, si risolve con l’applicazione dell’art. 392, 1° comma c.p.c. che prevede la riassunzione del processo, pena l’estinzione dello stesso, entro il termine di tre mesi[59].

Nonostante attinente solamente alla materia del difetto relativo di giurisdizione (e non strettamente al regolamento preventivo) è appena il caso di annoverare la riforma normativa introdotta dal d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 249[60] che conferisce un fondamento positivo ad un consolidato orientamento ermeneutico.

Posto che il giudice, come le parti, è dotato della facoltà di rilevare il difetto di giurisdizione, l’art. 37 nella sua versione antecedente la riforma, lo facoltizzava a sollevare la questione in «qualunque stato e grado del processo». 

L’analisi interpretativa del dato normativo, nonostante in conflitto con l’art. 12 delle preleggi, aveva ristretto le circostanze in cui il giudice potesse rilevare il difetto relativo, in ottemperanza ai principi di ragionevole durata del processo e di economia processuale. 

La pronuncia nel merito del giudice di primo grado - che anche implicitamente riconoscesse la giurisdizione - precludeva (nella fase successiva) la conoscenza della questione, salvo i casi in cui questa fosse riproposta con mezzo di gravame ordinario[61].

Con l’intenzione di ottemperare ai principi costituzionali suesposti, la Riforma, da un canto, riafferma la rilevabilità d’ufficio del difetto assoluto di giurisdizione «in ogni stato e grado del processo»; dall’altro, positivizza il citato orientamento ermeneutico delle Sezioni unite, mutando la rilevabilità d’ufficio del difetto relativo di giurisdizione e limitandola al primo grado[62].

6. Difetto relativo tra giudice civile e giudice straniero.

Per approfondire la trattazione del difetto relativo tra giudice civile e giudice straniero è appena il caso di soffermarsi sulla materia vigente all’emanazione del Codice di procedura civile del 1940 che all’37, 2° comma c.p.c. introduceva una disciplina in parte differente dalla presente.

L’art. 37, 2° comma statuiva che «Il difetto di giurisdizione del giudice italiano nei confronti dello straniero è rilevato dal giudice d'ufficio in qualunque stato e grado del processo relativamente alle cause che hanno per oggetto beni immobili situati all'estero; in ogni altro caso è rilevato egualmente d'ufficio dal giudice se il convenuto è contumace, e può essere rilevato soltanto dal convenuto costituito che non abbia accettato espressamente o tacitamente la giurisdizione italiana»[63].

Dalla lettera della norma è desumibile, da un canto, che il giudice nazionale era tenuto alla rilevabilità d’ufficio del difetto relativo di giurisdizione ogni qualvolta il processo attenesse a questioni che avessero ad oggetto beni immobili situati all’estero ovvero allorquando il convenuto fosse contumace (la ratio sottesa è chiara in quanto concede di rilevare al giudice un difetto irrilevabile da una parte assente nel processo); dall’altro che, se costituitasi, invece, la parte era tenuta essa stessa a rilevare la questione. 

Il difetto di giurisdizione, stante il combinato disposto tra la lettera degli artt. 37 e 41, 1° comma c.p.c., poteva essere considerato dichiarabile dalla Corte di Cassazione attraverso la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione. Un’interpretazione dichiarativa della lettera di cui all’art. 41, 1° comma[64], difatti, consentiva di ammettere la rilevabilità della questione tramite l’impiego dello strumento de qua. 

La disciplina è stata rivisitata, dall’entrata in vigore della legge 31 maggio 1995, n. 218 nella misura in cui abroga l’art. 37, 2° comma c.p.c.

In verità, non va pensato che l’art. 73 della legge n. 218 del 1995 nell’abrogare la norma per ricomprendere la questione tra quelle attinenti alla disciplina del diritto internazionale privato (c.d. DIP) e pertanto per rendere più organica e sistematica la materia nel suo complesso, avesse il proposito di espungere siffatta questione di giurisdizione dall’ordinamento; difatti la disciplina è stata reintrodotta dagli artt. 3, 4 e 11 della l. n. 218 del 1995.

In sostanza non sembra mutare l’essenza della disciplina e questo in quanto il combinato disposto tra l’art. 3, 1° comma, l’art. 4, 1° e 2° comma e l’art. 11 definisce delle circostanze in cui: a) il giudice può sempre, in ogni grado e stato del giudizio, se il convenuto è contumace, rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione per quelle azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all'estero[65] ovvero se la giurisdizione è esclusa per effetto di una norma internazionale; b) il convenuto, se costituitosi, è l’unico detentore dell’eccezione di giurisdizione (sempreché la giurisdizione italiana non sia già stata accettata espressamente o tacitamente). 

La disciplina de qua introduce un procedimento di individuazione della giurisdizione, differente dal precedente in quanto fissa tra i criteri il “domicilio” o la “residenza” ovvero il caso in cui il convenuto vi abbia «un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell'articolo 77 del Codice di procedura civile [nonché] negli altri casi in cui è prevista dalla legge»[66].

Ancorché configurabile, la giurisdizione italiana è esclusa se derogata «a favore di un giudice s.traniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili»[67] laddove sussiste, quantunque non configurabile ex art. 3, «se le parti l'abbiano convenzionalmente accettata e tale accettazione sia provata per iscritto, ovvero il convenuto compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo»[68].

Posto che la materia può considerarsi essenzialmente simile all’antecedente, si pone il problema della rilevabilità del difetto di giurisdizione attraverso l’impiego del regolamento preventivo che ai sensi dell’art. 41, 1° comma c.p.c., però, attrae solo le tematiche dell’art. 37 c.p.c., rinunciando formalmente alle questioni previste dalla legge n. 218 del 1995.

Prima dell’entrata in vigore di suddetta legge, l’espressione “straniero” dell’art. 37, 2° comma venne interpretata come indicante, non soltanto stricto sensu il difetto di giurisdizione nei confronti dello straniero ma anche nei confronti del convenuto con cittadinanza italiana nelle «… ipotesi in cui il difetto stesso derivi… dalla sua [del cittadino] estraneità all'ordinamento italiano in riferimento allo specifico rapporto fatto valere in giudizio»[69].

In altri termini si può affermare che la potestas iudicandi veniva sottratta al giudice italiano per la natura della causa nonostante il soggetto fosse un cittadino italiano (si annovera, quindi, un orientamento che fonda le proprie conclusioni sul parametro della cittadinanza).[70]

La Corte Suprema risolve la problematica derivante dall’emanazione della legge n. 218 del 1995 ammettendo la proponibilità del ricorso preventivo ex art. 41, 1° comma nonostante non espressamente richiamato. 

In ordine a siffatta questione affermava che «il regolamento preventivo di giurisdizione deve ritenersi ammissibile relativamente alle questioni sulla sussistenza o meno della giurisdizione italiana nei confronti dello straniero, pur dopo l’abrogazione del citato art. 37, secondo comma, c.p.c., perché il rinvio dell’art. 41 all’art. 37 del detto codice (al fine di determinare l’ambito applicativo del regolamento di giurisdizione) costituisce un rinvio recettizio, cioè un tipo di rinvio avente lo scopo d’inserire nella norma rinviante le disposizioni contenute nella norma di rinvio»[71].

La proponibilità del regolamento di giurisdizione e pertanto la sua ammissibilità è dettata dalla valutazione che la giurisprudenza ne ha effettuato. 

La questione di giurisdizione che abbia l’aspirazione di dirimere i conflitti tra giudice straniero e giudice civile va considerata, da analisi giurisprudenziale pressoché consolidata, una questione intrinsecamente di giurisdizione[72]; ciò consente di ammettere l’esperibilità dello strumento ex art. 41 c.p.c.. 

Tuttavia, pare interessante segnalare brevemente l’espansione dell’ambito di operatività del regolamento per la ricorribilità del quale, nel corso degli anni, sono stati estesi i parametri che permettono al convenuto l’impiego dello strumento suddetto anche per via di una presunta incostituzionalità del sistema[73]

Si ricorda che un primigenio orientamento recepiva il criterio della cittadinanza[74], il quale non ammetteva alcuna deroga se non sino ad una fase successiva che ampliò il novero delle fattispecie sottoponibili al regolamento preventivo di giurisdizione. 

Un consecutivo orientamento ermeneutico della Corte di Cassazione, una volta abrogata la disposizione dell’art. 4 c.p.c. (avvenuta ancora per via dell’art. 73 della legge n. 218 del 1995), ha però accolto un differente criterio di determinazione della legittimità per la ricorribilità al regolamento consistente nel luogo di “residenza” o nel “domicilio” del convenuto. Pertanto, la parte citata in giudizio, allorché domiciliata o residente nel territorio italiano (indipendentemente dalla cittadinanza), non poteva proporre lo strumento ex art. 41 c.p.c.; e questo in quanto ritenuto che i suddetti criteri fossero generalmente ricognitivi della potestas iudicandi del giudice civile (va rammentato che l’inammissibilità del ricorso al regolamento preventivo è anche correlata alla sua natura straordinaria ed eccezionale).[75]

La ricorribilità allo strumento de quo si è ulteriormente ampliata allorquando, con sentenza n. 22433 del 2018, la Suprema Corte ha concesso ai convenuti residenti e domiciliati in Italia, l’esclusione della giurisdizione nazionale quando questi allegassero e dimostrassero «uno specifico interesse ad agire con il regolamento», «in ragione di un diverso criterio di collegamento esclusivo».[76] La ragione dell'espansione è enucleabile dalla lettera del provvedimento che definisce «incoerente e penalizzante»[77] un sistema normativo, che per contro, fondandosi su termini inderogabili e assoluti, per dare luogo ad una pronuncia del Giudice di legittimità, costringerebbe all’impiego degli ordinari mezzi di gravame (che si dispiegano in tre gradi di giudizio).

La successiva sentenza n. 29879 del 21 novembre 2018 non si limita a sostenere la tesi della pronuncia n. 22433 del 2018, di appena un mese antecedente, ma si spinge sino a dimostrare le rationes che consentano di annoverare il passaggio esegetico, tra quelli costituzionalmente orientati. Difatti, l’inammissibilità dell’istituto ex art. 41 c.p.c. per i casi in cui il convenuto sia domiciliato o residente in Italia e voglia eccepire la sussistenza di una «clausola di proroga della giurisdizione a favore di un giudice straniero o da un accordo per arbitrato estero porrebbe dubbi di compatibilità costituzionale con gli artt. 3,24 e 111 Cost.: con l’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento di situazioni analoghe, tutte contrassegnate dalla non appartenenza nazionale della lite; con gli artt. 24 e 111 Cost., perché si negherebbe al convenuto che eccepisca il difetto di giurisdizione italiana in ragione dell’avvenuta stipulazione di una convenzione per arbitrato estero o di una clausola di proroga della giurisdizione a favore del giudice straniero la possibilità di ottenere, ricorrendo allo strumento del regolamento preventivo, la definizione immediata della quaestioiurisdictionis, costringendolo a percorrere due gradi di giurisdizione di merito prima di giungere, magari a distanza di anni, ad una pronuncia delle Sezioni Unite»[78].

Le sentenze su richiamate paiono però sollevare due dubbi. 

La prima controversia attiene alla configurabilità della questione di giurisdizione come intrinsecamente di merito; la seconda attiene, invece, alla configurabilità della vulnerazione dell’art. 24, 1° e 2° comma nella parte in cui il regolamento non ammetta l’acquisizione di prove costituende. 

In ordine alla prima problematica pare desumibile la configurabilità di una questione (di giurisdizione) quale intrinsecamente di merito. 

Quanto detto è desumibile dalla lettura delle pronunce della Corte Suprema n. 25275/2006 che sembra rivelare un accertamento nel merito del presupposto di ammissibilità del regolamento nonché della successiva dichiarazione di difetto e n. 22433/2018 che manifesta una valutazione dell’accordo che deroghi la potestas iudicandi.

Onde accertare l’ammissibilità della proposizione del regolamento preventivo e la rilevabilità del difetto del giudice civile, la Suprema Corte valuta ex art. 43 c.c. «il dato… del domicilio o della residenza del convenuto».

Il Giudice di legittimità, pare pronunciarsi nel merito della questione in quanto valuta «il luogo nel quale il convenuto ha la sede dei suoi affari ed interessi». L’accertamento, pertanto, non può che essere considerato di merito in quanto la valutazione della sede degli affari ed interessi non può presupporre una verifica meramente formale.

La pronuncia n. 22433/2018, dal canto suo, nell’ammettere che la Corte di Cassazione è tenuta ad accertare quanto il convenuto «ha allegato e dimostrato»[79] e pertanto a valutare l’accordo che deroghi la potestas iudicandi del giudice italiano pare ammettere che anche in questo caso la questione attenga intrinsecamente al merito. 

La seconda questione, invece, parrebbe risolversi, se non m’inganno, in una compatibilità del sistema con l’art. 24, 1° e 2° comma Cost. 

Quanto detto è desumibile dal combinato disposto tra l’art. 4 della legge n. 218 del 1995 che ammette la convenzionale derogabilità della giurisdizione italiana a favore di un giudice straniero con prova «per iscritto»[80] e l’art. 372 c.p.c., del quale, giurisprudenza consolidata[81] rende inoperabile il divieto. 

In altri termini, posto che l’art. 4 della l. n. 218/1995 presuppone sempre la sussistenza di una prova scritta (ossia precostituita), non appare configurabile l’ipotesi di incostituzionalità per i casi di mancata acquisizione (in Cassazione) di prove costituende, in quanto non concesse dalla legge.

7. Conclusioni

In conclusione, si è messa in luce la complessità intrinseca del sistema giurisdizionale italiano, sottolineando come la giurisprudenza giochi un ruolo fondamentale nel definire e affinare i confini tra le diverse giurisdizioni. La distinzione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali, come quelle amministrativa, tributaria e contabile, non è sempre chiara e univoca. Questo crea sfide significative per gli operatori del diritto, che devono navigare tra criteri interpretativi in continua evoluzione per determinare la competenza giurisdizionale corretta.

La giurisprudenza, attraverso vari criteri come il petitum, la causa petendi e il petitum sostanziale, ha cercato di fornire linee guida pratiche, anche se queste non sono sempre risultate definitive o prive di ambiguità. La riforma Cartabia e altre evoluzioni normative mostrano uno sforzo continuo per migliorare e chiarificare il sistema giuridico, rispondendo alle esigenze di giustizia dei cittadini.

Tuttavia, alcune considerazioni critiche emergono inevitabilmente. L'approccio spesso mutevole della giurisprudenza può generare incertezza e imprevedibilità, complicando ulteriormente il lavoro degli operatori del diritto. L'assenza di criteri univoci e stabili per la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi rischia di alimentare contenziosi prolungati e dispendiosi, sia in termini di tempo che di risorse economiche.

Inoltre, la specializzazione delle giurisdizioni, pur necessaria per una gestione più efficiente delle materie complesse, può risultare in una frammentazione del sistema giuridico che rende difficile per i cittadini comprendere e navigare le proprie vie legali. La molteplicità di giurisdizioni competenti su aspetti diversi di una stessa controversia può portare a ritardi e incoerenze nelle decisioni giudiziarie.

Nonostante queste criticità, l'evoluzione delle norme e dei criteri giurisprudenziali contribuisce a garantire un sistema giurisdizionale capace di adattarsi e rispondere efficacemente alle necessità dei cittadini, promuovendo un quadro giuridico sempre più chiaro e coerente. È cruciale che questo processo di evoluzione continui a essere guidato da principi di chiarezza, coerenza e accessibilità, al fine di rendere il sistema giuridico italiano non solo efficiente, ma anche equo e comprensibile.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Per approfondire v. G. AZZARITI, Giurisdizioni speciali, Corte costituzionale e Magistratura ordinaria, Il Foro Italiano; A. GUARDIANO, Appunti sull’unità delle giurisdizioni, Questione Giustizia

[2] V. F. BIONDI – N. ZANON, Diritto Costituzionale dell’ordine giudiziario, Giuffrè, 2002

[3] A. GIUSTI, Giurisdizione e interpretazione in Cassazione, Questione Giustizia

[4] V. fra molti L. VIOLANTE, Magistrature e forme di governo, nel numero monografico, Sistema politico e magistrature di Democrazia e diritto, p. 22; A. BARAK, La discrezionalità del giudice, Milano, 1995, p. 230 e p. 233.

[5]SCIALOJA, Sui limiti della competenza della IV Sezione del Consiglio di Stato di fronte all’autorità giudiziaria, in Giust. Amm., 1891, pp. 59 ss. che evidenzia in modo preciso la questione affermando: «se la sezione IV del Consiglio di Stato sia competente a conoscere di ricorsi, coi quali si chieda l'annullamento di un atto amministrativo, quando questo atto sia lesivo di un semplice interesse, ma di un vero diritto fatto valere come interesse, o se invece essa sia in tal caso incompetente, e debba perciò anche d'ufficio (…) ricercare, prima di decidere sul merito del ricorso, se questo non sia fondato sopra una vera lesione di diritto».

[6] V. Cass., sez. un., 4 luglio 1949, n. 1657, in Foro it., 1949, I, c. 926 ss che determina la svolta per la giurisprudenza successiva. Cfr. GIANNINI, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in Riv. Dir. Proc., 1963, III, pp. 229 ss. per il quale la situazione in cui il criterio della carenza di potere coincide con quello della causa petendi può essere vista da due angolazioni diverse ma convergenti; da un lato, si considera l'agire autoritativo dell'amministrazione e dall'altro, la violazione dei diritti soggettivi. Entrambi gli approcci affrontano lo stesso fenomeno, esaminandolo da prospettive complementari.

[7] M. CARABELLESE, Giurisdizione: il criterio di riparto fondato sul c.d. petitum sostanziale, La Tribuna, 2023

[8] A riguardo vedi anche M. BASILAVECCHIA, La giurisdizione del giudice amministrativo in materia tributaria, cit.

[9]A. PROTO PISANI, Problemi e prospettive in tema (di regolamenti) di giurisdizione e di competenza, Il Foro Italiano, 1984

[10] «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi»: così l’art. 24 Cost.

[11] Per approfondire il tema v. M. RAMAJOLI, Pluralismo giurisdizionale e situazioni soggettive sostanziali, in Questione Giustizia, 2021; cfr. anche A. Pajno, Un Memorandum “virtuoso”, in Italiadecide (a cura di), La nomofilachia nelle tre giurisdizioni. Corte Suprema di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Il Mulino, Bologna, 2018, pp. 37 ss., part. p. 40.

[12] E questo in quanto non va dimenticata la presenza dell’art. 133 d.lgs n. 104/2010 che individua delle materie in cui, indipendentemente dalla posizione giuridica tutelata sussistente in causa, il giudice a cui dovranno essere devolute sarà quello amministrativo.

[13] Riformata dal d.lgs n. 104/2010.

[14] M. MAZZAMUTO, L’interesse legittimo: profili di teoria generale (a proposito di una recente monografia di Franco Gaetano Scoca), in Rivista e processo amministrativo, 4/2017; M. MAGRI, L'interesse legittimo oltre la teoria generale : neutralità metodologica e giustizia amministrativa, Maggioli, 2017; F.G. SCOCA, L’interesse legittimo: Storia e teoria, Torino, 2017

[15] Per una più approfondita analisi della storia del diritto in questione v. F. ASTONE, La giustizia amministrativa prima e dopo l’Unità: il contenzioso amministrativo, la sua abolizione e l’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato, in giustizia-amministrativa.it; M. Nigro, Giustizia amministrativa, «Il Mulino», ult. ed., in specie cap. IV, 51 ss.; G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, Vol. II, Giuffrè, Milano 1958; A. PEZZANA, Le esperienze degli organi di giustizia amministrativa preunitari in relazione alla riforma del 1889, in Studi per il centenario della IV sezione, Roma 1989, 270 ss.; V. ANDRIOLI, Bilancio della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1965. Sulle questioni storiche dell’epoca e sulle influenze d’oltreconfine cfr. A. PUBUSA, Il dibattito dottrinale prima delle leggi del 1889-90, in Isap (a cura di), Archivio Isap, Giuffrè, Milano, 221 ss.

[16] Esegesi giurisprudenza che ebbe avvio immediatamente dopo l’entrata in vigore del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 a causa della mancata indicazione degli elementi caratterizzanti l’interesse legittimo. Cfr. CLARICH M., Manuale, cit., p. 134 secondo cui: «La IV Sezione venne dunque investita del potere di decidere sui ricorsi contro gli atti o provvedimenti illegittimi aventi per oggetto «un’interesse d’individui o di enti morali giuridici» (art. 26 Testo unico delle leggi del Consiglio di Stato del 1924). La giurisprudenza e la dottrina si dovettero confrontare subito con il problema di riempire di contenuto la formula generica di “interesse”, posta dal legislatore come requisito per poter proporre ricorso alla IV sezione ed ottenere l’annullamento del provvedimento».

[17] Che si fa risalire alla sentenza Cass. Roma, sez. un., 24 giugno 1891, n. 460. In forza di esso, il giudice amministrativo sarebbe stato giurisdizionalmente competente nei casi di richiesta di annullamento di un atto, indipendentemente dalla natura delle norme violate. Al contrario, il giudice ordinario avrebbe dovuto decidere le controversie allorché si fosse chiesta una sentenza di condanna o di assoluzione.

[18] SCIALOJA V., La competenza della IV sezione del Consiglio di Stato di fronte all’autorità̀ giudiziaria (1891), ripubblicato in Studi giuridici, vol. V, Diritto Pubblico, Milano, Giuffrè̀, 1936, p. 195; M. MAZZAMUTO, Il riparto di giurisdizione: dal criterio del petitum con pregiudizialità del giudice amministrativo alla legge n. 205/2000, in Diritto pubblico, pp.291-326, 

[19] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo: Parte Generale e Parte Speciale, Dike, 2023; R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo: Parte Generale e Parte Speciale, Neldirittoeditore, 2023.

[20] Si approfondisca la lenta presa di conoscenza della prospettiva in esame con il passaggio dalla dogmatica soggettivo-pandettistica il cui orientamento ruotava intorno all’autoritarismo e l’istituzionalismo di Santi Romano, il quale prendeva già in considerazione il pluralismo degli interessi emergenti con S. ROMANO, Gli interessi dei soggetti autarchici e gli interessi dello Stato, in Studi di diritto pubblico in onore di O. Ranelletti, vol. 2, Padova, 1931, pp. 438-439; successivamente confermata anche da altri autori ex multis v. C. BERSANI, Il decentramento fra diritto amministrativo e teoria della rappresentanza, in Enciclopedia e sapere scientifico. Il diritto e le scienze sociali nell’Enciclopedia italiana, a cura di A. MAZZACANE E P. SCHIERA, Bologna, 1990, p. 421; G. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, vol. 1, Milano, 1958, pp. 144-145. 

[21] F. PATRONI GRIFFI, Il principio di legalità, in Giust. Amm., 2019; D. SIMEOLI, Appunti sul principio di legalità amministrativa, in Questione giustizia, 2016

[22] S. CASSESE – L. TORCHIA, Diritto amministrativo, il Mulino, 2014 in cui si evidenzia che negli ultimi trent'anni il diritto amministrativo ha subito profondi cambiamenti, con confini più permeabili verso altre discipline, moltiplicazione e differenziazione degli istituti e strumenti, adattamento delle amministrazioni al cambiamento dei tempi e evoluzione dei paradigmi concettuali. Cfr. anche G. ROSSI, Principi di diritto amministrativo, a cura di F. DINELLI, Giappichelli Editore, 2021.

[23] V. il rapporto a latere civis con specifico riferimento al tempo e alla consumazione del potere amministrativo con E. LIBERALI, Potere amministrativo, tempo e consumazione: riflessioni a margine di Cons. Stato, sez. VI – 19 gennaio 2021, n. 584, in dir.amm., 2024

[24] V. LOPILATO, Modelli di responsabilità della pubblica amministrazione e riparto di giurisdizione, Questione Giustizia, 2021; M. FERRARI, Atto illegittimo e lesione dell’affidamento: decide il giudice ordinario o amministrativo?, Wolter Kluwer, 2023.

[25] GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 193, p. 583 ss.

[26] F. FOLLIERI, Decisione amministrativa e atto vincolato, in federslismi.it, 2017; A. ORSI BATTAGLINI, Attività vincolata e situazioni giuridiche soggettive, in ID., Scritti giuridici, Milano, Giuffrè, 2007, p. 1249 (già in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, pp. 3 e ss.); M. S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 1939.

[27] A. CALABRESE, Il problema della giurisdizione nel campo dei diritti indegradabili, 2020

[28] Cfr. Cass. Roma, sez. Un., 24 giugno 1897, n. 428. La Corte di Cassazione ha chiarito la propria posizione nel caso Trezza, che coinvolgeva una delibera comunale sull'autorizzazione per la stipula di un contratto di appalto a trattativa privata, contestata insieme al decreto prefettizio che la confermava, da parte delle ditte escluse tramite ricorso presentato alla IV sezione. La Corte di Cassazione, chiamata a valutare la competenza della IV sezione, ha stabilito che il giudice ordinario era competente a giudicare la questione, poiché il vero oggetto della controversia era l'annullamento di un rapporto contrattuale, una materia di competenza civile. Questa decisione è stata basata sull'argomento che «la vera essenza della controversia riguardava l'annullamento di un rapporto contrattuale, che è di natura eminentemente civile e quindi di competenza esclusiva del giudice ordinario» . Rispondendo alle obiezioni secondo cui i ricorrenti avevano chiesto alla IV sezione di annullare atti amministrativi per la tutela di un interesse semplice, la Cassazione ha ribadito che in realtà «sotto l'apparenza della tutela di un interesse, si stava cercando di annullare un delitto perfetto». Il caso Trezza ha quindi confermato l'importanza del criterio della causa petendi nel determinare la competenza tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

[29]A tal proposito si v. pure F. CARINGELLA, L’evoluzione storica dei criteri di riparto, in F. CARINGELLA, R. DE NICTOLIS, E. GAROFOLI, V. POLI, Trattato di giustizia amministrativa, 44, secondo cui «la giurisdizione va individuata in base alla progettazione che della posizione giuridica è dedotta dall’attore nelle sue difese e non in relazione alla realtà di tale situazione; di qui il corollario alla stregua del quale la giurisdizione del g.o. dipende dalla contestazione dell’inesistenza del potere e quella del g.a. dalla contestazione del non corretto esercizio del potere».

[30] Con la quale si affermava la natura giurisdizionale della IV Sezione e riteneva che il riparto di giurisdizione dipendensse dalla sostanzaiel situazione giuridica fatta valere. In questi termini si veda M. DE DONNO, Il riparto di giurisdizione, in La giustizia amministrativa nella giurisprudenza, G. GARDINI, F. MASTRAGOSTINO, L. VANDELLI (a cura di).

[31] Cfr. Corte Cass., sez. Un., 12 gennaio 1966, n. 207, in Foro it., 1966, I, p. 212, con nota di NIGRO M., La peronospera, cit.

[32] Si vedano gli scettici della dottrina del tempo V. SCIALOJA, La competenza della IV Sezione del Consiglio di Stato di fronte all’autorità giudiziaria, in Foro it., 1891, I, 1118 ss., ora in ID., Studi giuridici, V, Diritto pubblico, Roma, 1936, 195-199; S. SPAVENTA, Per l’inaugurazione della IV Sezione del Consiglio di Stato, in ID., La politica della Destra. Scritti e discorsi, raccolti da B. CROCE, Bari, 1919, 55; L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, I, Teoria e sistema della giuri- sdizione civile, Milano, 1899, 50, 343, 301-317; L. MEUCCI, Il principio organico del contenzioso amministrativo in ordine alle leggi recenti, in Giust. amm., 1891, IV, 14; A. SALANDRA, La giustizia amministrativa nei governi liberi, Torino, 1904, 329-368. Rimaneva, inoltre, poco chiara per alcuni la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi V. E. ORLANDO, Contenzioso amministrativo, in D.I. VIII, pt. II, Torino, 1895-1898, 911 e 918; ID., La giustizia amministrativa, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano a cura di V. E. OR- LANDO, III, Milano, 1901 787. B. SORDI, Interesse legittimo, in Enc. dir., Annali, cit., 713.

[33] M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993.

[34] Specialità che va tenuta ben distinta dalla esclusività. In ordine alla giurisdizione tributaria come esclusiva, dottrina minoritaria ha avanzato siffatta tesi omettendo la delimitazione dell’art. 19 cod. proc. trib. che nell’individuarne i limiti interni definisce la giurisdizione tributaria in termini di generalità e non di esclusività. A sostegno di siffatta affermazione la circostanza che controversie aventi ad oggetto disposizioni di diritto tributario siano devolute al giudice civile o amministrativo. Cfr. su questioni tra loro eterogenee in relazione al riparto di giurisdizione MESSINA, L'iscrizione di ipoteca sugli immobili ed il fermo sui beni mobili registrati nella procedura esattoriale e nel processo tributario, in A. Comelli - C. Glendi (a cura di), La riscossione dei tributi, Padova, 2010, 147; D. CHINDEMI, Riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice speciale, atti impugnabili davanti alle Commissioni Tributarie e principio del “ne bis in idem”, in Giust. Tributaria.it, M. MAIORINO, Commissioni tributarie. I limiti del terreno di gioco, in Fisco Oggi, 2007.

[35] Per approfondire il concetto si vedano D. SQUILLANTE, Nozione di tributo e giurisdiione del giudice speciale nell’insegnamento della Corte Costituzionale, in innovazionediritto.it, 2008; M. VILLANI, Il concetto di tributo ai fini dell’individuazione della giurisdizione delle Commissioni Tributarie. In un assetto comunitario si v. P. BAKER, Tacation and the European Convention of Human Rights, in European Taxation, 2000.

[36] Cass. civ., Sez. Unite, 31 maggio 2016, n. 11377, in GT Riv. Giur. Trib., 2016, secondo cui: «Per delimitare il perimetro della giustizia fiscale, bisogna dare indefettibile rilievo alla disciplina dell'art 2 del D.Lgs. 31/12/1992, n. 546, disposizione precipuamente destinata a definire i contorni oggettivi della giurisdizione tributaria…»

[37] Si veda anche Cass. civ. Sez. Unite, 21/01/2019, n. 1542: «Ai fini della delimitazione dell'ambito della giurisdizione tributaria, occorre attribuire esclusivo rilievo alla disciplina dettata dall'art. 2 del D.Lgs 31 dicembre 1992, n. 546, norma espressamente dedicata a definire l'oggetto della giurisdizione tributaria, senza che tale disciplina possa essere in qualche modo condizionata (in senso limitativo) dal dettato del successivo art. 19, il quale, agendo su un piano distinto, elenca gli atti che possono, e debbono, essere oggetto di impugnazione dinanzi ai giudice tributario. L'art. 2 costituisce, infatti, la sedes materiae per individuare i confini della giurisdizione tributaria, delineati essenzialmente attraverso l'indicazione dei tributi oggetto di controversia, con i relativi accessori, confini ampliatisi fino a comprendere le controversie aventi ad oggetto, innanzitutto, "i tributi di ogni genere e specie, comunque denominati" (con esclusione delle controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria, tra i quali non rientrano le cartelle di pagamento e gli avvisi di mora), e sempre che si tratti di controversie in cui sia configurabile un rapporto di natura effettivamente tributaria, cioè concernente prestazioni patrimoniali e/o imposte di natura tributaria, ai fine di evitare la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali. Si tratta, quindi, di una giurisdizione attribuita in via esclusiva e ratione materiae, indipendentemente dal contenuto della domanda e dalla tipologia di atti emessi dall'Amministrazione finanziaria». Cfr. anche M. BASILECCHIA, La giurisdizione del giudice amministrativo in materia tributaria, in lex.unict

[38] Cfr. RANDAZZO F., Manuale di diritto tributario, Torino, Giuffrè, 2020, pp. 341 e ss.

[39] Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 13 settembre 2005, n. 18120, in Fisco, 2005, secondo cui: «Alla giurisdizione tributaria competono, in base all'art. 2 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, le controversie in cui si discuta circa l'esistenza dell'obbligazione tributaria, il quantum del rimborso o la procedura con la quale lo stesso deve essere effettuato. Pertanto, laddove l'Amministrazione finanziaria abbia formalmente riconosciuto il diritto del contribuente al rimborso delle imposte e la quantificazione della somma dovuta, il contribuente dispone dell'ordinaria azione di ripetizione d'indebito oggettivo ex art. 2033 del codice civile, devoluta alla cognizione del giudice ordinario».

[40] Art. 2 cpv., d. lgs n. 546 del 1992

[41] V. sul punto RANDAZZO F., Manuale, cit., pp. 342-343

[42] Nei medesimi termini si esprime la Cass. SS.UU. ord. 22 luglio 2002 n.10725 per la quale «qualora l'Amministrazione finanziaria abbia formalmente riconosciuto il diritto del contribuente al rimborso delle imposte e la quantificazione della somma dovuta, sì che non residuino questioni circa l'esistenza dell'obbligazione tributaria, il "quantum" del rimborso o la procedura con la quale lo stesso deve essere effettuato, non ricorrono i presupposti di applicabilità della riserva alla giurisdizione tributaria, di cui all'art. 2 d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, con conseguente esperibilità, da parte del contribuente, dell'ordinaria azione di ripetizione d'indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. e devoluzione della controversia alla giurisdizione del giudice ordinario»; Cass. SS.UU. ord. 8 luglio 2005, n. 14332 per la quale «in mancanza di una decisione definitiva che contenga una condanna dell'Ente impositore al pagamento di somme dovute (della quale può chiedersi l'esecuzione in via civile ovvero l'ottemperanza), deve sempre attivarsi il procedimento di rimborso, contro il cui rifiuto può soltanto esperirsi la tutela dinanzi alle Commissioni tributarie»; Cass. SS.UU. 6 luglio 2004 n. 12352 per la quale «la controversia relativa al rifiuto di rimborso dell'Imposta comunale sugli immobili (ICI) è devoluta alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. h), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (nel testo originario, applicabile nella fattispecie "ratione temporis"), in relazione all'art. 19, comma 1, lett. g), del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 medesimo, atteso che tale inderogabile regola non si applica nei soli casi in cui il credito del contribuente sia incontestato, per essere stato formalmente riconosciuto dall'ente impositore. Né rileva, in contrario, la motivazione del diniego (nella specie fondata sull'intervenuta decadenza triennale ex art. 13 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504), poiché la giurisdizione tributaria è delineata unicamente dalla natura del rapporto e non dalla natura della problematica da affrontare per la sua definizione».

[43] Cfr. MARCHESELLI A., Contenzioso tributario, Milano, 2019

[44]Si approfondisca con L. CASO, Il giudizio pensionistico, in V. Tenore (a cura di), La nuova Corte dei conti: responsabilità̀, pensioni, controlli, Milano, Giuffrè, 2022, 1341; A. CORSETTI, Il contezioso pensionistico: A) Profili generali e B) Pensioni civili, in V. Tenore (a cura di), La nuova Corte, cit., 1079

[45] «La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge»: così l’art. 103, 2° comma, Cost.

[46] L’art. 1, d. lgs. 26 agosto 2016, n. 174, disciplina gli ambiti della giurisdizione contabile. «La Corte dei conti ha giurisdizione nei giudizi di conto, di responsabilità amministrativa per danno all'erario e negli altri giudizi in materia di contabilità pubblica» (1° comma); «sono devoluti alla giurisdizione della Corte dei conti i giudizi in materia pensionistica, i giudizi aventi per oggetto l'irrogazione di sanzioni pecuniarie e gli altri giudizi nelle materie specificate dalla legge» (2° comma).

[47] Si veda, inoltre, l’innovativa sentenza della Cass., sez. Unite civ., n. 33944 del 2023 in tema di amissione al passivo nel rapporto tra g.a. e giudice contabile secondo la quale l’ammissione al passivo di un credito contestato dinanzi all’autorità giurisdizionale amministrativa deve essere effettuata con riserva, da sciogliere all’esito del giudizio davanti al giudice Contabile.

[48] Cass., sez. Unite civ., sentenza n. 20075 del 2013; v. anche E. VITERBO, Al giudice ordinario l’azione di risarcimento dei danni subiti da società pubbliche per effetto delle condotte illecite degli amministratori, in dirittoegiustizia.it, 2013.

[49] Cass. civ., Sez. un., ord. n. 6690 del 2020, in Giust. Civ. mass., 2020

[50] Il riferimento è chiaramente all’art. 2043 c.c.; cfr. anche E. ROMANI, Il sistema del doppio binario civile e contabile in materia di responsabilità, tra giurisdizione esclusiva della Corte dei conti e diritto di difesa dell’amministrazione danneggiata, in federalismi.it, 2021 secondo cui l'assenza di una disposizione costituzionale che preveda la giurisdizione esclusiva per la Corte dei conti ha portato a un doppio binario in materia di responsabilità contabile nel nostro ordinamento. Questo significa che un dipendente pubblico, in caso di illecito che danneggi la pubblica amministrazione, può essere giudicato sia dalla Corte dei conti che dall'autorità giurisdizionale ordinaria. Questa situazione genera potenziali conflitti tra i due giudizi, sollevando questioni importanti come la possibile violazione del principio del ne bis in idem e la disarmonia sistemica. In effetti, il dipendente pubblico potrebbe essere soggetto a regimi giuridici diversi a seconda che l'amministrazione decida di agire civilmente per il risarcimento del danno. Risolvere questa disarmonia richiede un bilanciamento tra il diritto del funzionario a essere giudicato secondo una disciplina uniforme (art. 3 Cost.) e il diritto di difesa della pubblica amministrazione (art. 24 Cost.).

[51] «Nel giudizio davanti ai tribunali amministrativi regionali è ammesso il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione previsto dall'articolo 41 del Codice di procedura civile. Si applica il primo comma dell'articolo 367 dello stesso codice»: così l’art. 10, 1° comma d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104

[52] «È ammesso il regolamento preventivo di giurisdizione previsto dall'art. 41, primo comma, del codice di procedura civile»: così l’art 3, 2° comma d. lgs 546/1992

[53] Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 19 agosto 2002, n. 12246, in Mass. Giur. It., 2002 secondo cui: «Il principio secondo il quale, a seguito della nuova formulazione dell'art. 367 c.p.c., il disposto della prima parte dell'art. 41 stesso codice deve essere interpretato nel senso che qualsiasi decisione emanata dal giudice ha efficacia preclusiva del regolamento preventivo di giurisdizione si applica anche ai procedimenti introdotti dinanzi al giudice tributario, essendo la norma ex art. 41 citata applicabile a qualsiasi procedimento giurisdizionale, a prescindere dalla natura del giudice presso il quale il procedimento risulti incardinato».

[54] «Nel giudizio davanti alle sezioni giurisdizionali regionali è ammesso il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione previsto dall'articolo 41 del codice di procedura civile. Si applica il primo comma dell'articolo 367 dello stesso codice»: così l’art. 16, 1° comma, d. lgs. 26 agosto 2016, n. 174.

[55] Cass. civ., Sez. Unite, 10 dicembre 1993, n. 12167, in Mass. Giur. It., 1993, secondo cui: «Il ricorso per regolamento di giurisdizione - che non è un mezzo di impugnazione, di guisa che non postula, ai fini della sua ammissibilità, che la parte istante indichi anche quale sia, a suo avviso, il giudice fornito di competenza giurisdizionale - introduce un procedimento al quale sono legittimati a partecipare tutti coloro che siano parti nel giudizio a quo, al giudice del quale soltanto spetta di risolvere eventuali questioni attinenti alla legittimità dell'intervento di taluna di queste nel giudizio stesso».

[56] Cass. civ., Sez. Unite, 02 luglio 2004, n. 12191, in Mass. Giur. It., 2004, secondo cui: «È inammissibile il regolamento preventivo proposto in altra causa tra le stesse parti, fondata sul medesimo rapporto giuridico per il quale la Suprema Corte ha già regolato la giurisdizione»; cfr. anche Cass. civ., Sez. Unite, 08 luglio 1998, n. 6630, in Mass. Giur. It., 1998

[57] Gli effetti della domanda si conservano anche dinanzi al giudice ad quem. Vedi, altresì Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77, in Sito Diritto dei Servizi Pubblici.it, 2007. 

[58] È appena il caso di rinvenire sommariamente gli elementi del ricorso: a) la parte indica i fatti di causa (ciò permette alla Corte di conoscere il ricorso senza dover raccogliere aliunde informazioni); b) si specifica la fase e il procedimento in cui si trovi. Non costituiscono elemento essenziale l’indicazione del giudice cui si ritiene la vertenza dovrà essere devoluta. Inoltre, da un punto di vista procedimentale l’art. 367 c.p.c. richiede che il ricorso debba essere notificato alle parti, depositato presso la segreteria dell’organo giurisdizionale (cui ci si riferisca) che può sospendere il processo «se non ritiene l'istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondate»: così l’art. 367, 1° comma c.p.c. dopo la l. 26 gennaio 1990, n. 353, in vigore dal 1 gennaio 1993, prima della quale la sospensione era automatica.

[59] Così modificato dall’art. 46, 21° comma, l. 18 giugno 2009, n.69, prima del quale il termine era di un anno.

[60] C.d. Riforma Cartabia.

[61] Cfr. Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883; e recentemente, Cass., sez. un., 22 settembre 2022, n. 27744

[62] Sarà necessaria un’apposita riproposizione dell’eccezione di giurisdizione affinché il giudice possa decidere in merito. È stato inoltre positivizzato il principio per cui «l'attore non può impugnare la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui adito»: così l’art. 37, 1° comma c.p.c. 

[63] Art. 37, 2° comma cod. proc. civ.

[64] «Finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle sezioni unite della Corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui all'articolo 37»: così l’art 41, 1° comma cod. proc. civ.

[65] Per le quali l’art. 5 della legge n. 218 del 1995 esclude la giurisdizione del giudice italiano

[66] Art. 3, 1° comma, l. n. 218 del 1995

[67] Art. 4, 2° comma, l. n. 218 del 1995

[68] Art. 4, 1° comma, l. n. 218 del 1995

[69] Cass. civ., Sez. Unite, 13 febbraio 1993, n. 1824, in Mass. Giur. It., 1993 secondo cui: «…la questione della sussistenza o meno della giurisdizione… è deducibile con istanza di regolamento preventivo, ai sensi degli artt. 41 e 37, comma 2, c.p.c., considerando che tale ultima norma, ove contempla il difetto di giurisdizione nei confronti dello straniero, include le ipotesi in cui il difetto stesso derivi, nonostante la cittadinanza italiana del convenuto, dalla sua estraneità all'ordinamento italiano in riferimento allo specifico rapporto fatto valere in giudizio».

[70] Vedi a riguardo MONGIELLO L., Ammissibilità dell’istanza di regolamento preventivo di giurisdizione in caso di convenuto residente o domiciliato in Italia. Differenti orientamenti della giurisprudenza della Suprema corte e la svolta di Cass. civ. S.U. n. 29879/2018, 2018, in ilcaso.it.

[71] Cass. Civ. S.U. 21 maggio 2004 n. 9802, in Mass. Giur. It., 2004; Cfr. anche Cass. Civ. S.U. 7 marzo 2005 n. 4807, in Mass. Giur. It., 2005, secondo cui: «Il regolamento preventivo di giurisdizione deve ritenersi ammissibile relativamente alle questioni sulla sussistenza o meno della Giurisdizione italiana nei confronti di soggetti stranieri, senza che vi osti la circostanza che l'art. 37 c.p.c. - così come modificato dall'art. 73 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riforma del diritto internazionale privato, che ne ha abrogato il secondo comma - menzioni il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario nei soli confronti della P.A. o dei Giudici speciali, giacché il rinvio recettizio operato dall'art. 41 c.p.c. all'art. 37 c.p.c. stesso per la determinazione del campo di applicazione del regolamento di giurisdizione deve intendersi ora riferito anche all'art. 11 della stessa legge n. 218 del 1995, che disciplina, appunto, la rilevabilità del difetto di giurisdizione del giudice italiano»; Cass. Civ. S.U. 23 marzo 2006 n. 6585; Cass. Civ. S.U. 25 febbraio 2009 n. 4461. Cfr. sul punto anche GIOA G., La decisione sulla questione di giurisdizione, p. 115, nota 201, Giappichelli, Torino, 2009.

[72] Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 25 ottobre 2013, n. 24153, in CED Cassazione, 2013 secondo cui: «…il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione».

[73] Nella parte in cui non si prevedesse questo ampliamento. Come vedremo a breve in Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 20 novembre 2018, n. 29879, in CED Cassazione, 2018

[74] Per tale intendendosi l’impossibilità di ricorrere allo strumento de quo allorché il convenuto fosse cittadino italiano.

[75]Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 4 luglio 2016, n. 13569 che afferma: «l’abrogazione dell’art. 4 c.p.c. ad opera dell’art. 73 cit., ha fatto venir meno ogni riferimento allo “straniero”, con la conseguenza che ai fini della determinazione dell’ambito della giurisdizione del giudice italiano, nel vigente sistema italiano del diritto internazionale privato assume rilevanza, quale criterio generale di radicamento della competenza giurisdizionale del giudice italiano, solo il dato obbiettivo del domicilio o della residenza del convenuto in Italia, senza che possa più farsi distinzione tra convenuto italiano o straniero, come stabilito dall’art. 3 co. 1, della legge n. 218 del 1995», rilevante è anche l’excursus storico che la sentenza effettua sull’ammissibilità del regolamento e sulla sua natura straordinaria. Difatti afferma che così come la sentenza del 1824/1993 altre (06/1999; 6585/2006; 4461/2009) hanno stabilito «che il regolamento preventivo di giurisdizione deve ritenersi ammissibile relativamente alle questioni sulla sussistenza o meno della giurisdizione italiana nei confronti di soggetti stranieri, pur dopo l'abrogazione dell'art. 37 c.p.c., comma 2, da parte della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 73, di riforma del diritto internazionale privato, poichè il rinvio dell'art. 41 c.p.c., all'art. 37, comma 2, cit. per la determinazione del campo di applicazione del regolamento di giurisdizione costituisce un rinvio ricettizio. In particolare, le Sezioni unite (Cass. 9802/04) nel negare l'esperibilità del regolamento hanno ribadito che: «Il regolamento preventivo di giurisdizione, relativamente alle questioni sulla sussistenza o meno della giurisdizione italiana, presuppone, ai fini della relativa ammissibilità, che la detta questione sorga "nei confronti dello straniero" (così disponendo il secondo comma dell'art. 37 c.p.c., il quale, nonostante l'abrogazione disposta dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 73, di riforma del diritto internazionale privato, vale tuttora a delineare l'ambito applicativo del regolamento preventivo...)». Le Sezioni Unite hanno testualmente osservato: «Se, dunque, per il combinato disposto degli artt. 37 - 41 c.p.c., il regolamento preventivo di giurisdizione è ancora ammissibile nell'ambito del secondo comma dello stesso art. 37, è necessario però individuare le ipotesi riconducibili in tale ambito. Al riguardo si deve notare che, come questa Corte ha più volte affermato, il regolamento preventivo di giurisdizione è un istituto di natura straordinaria ed eccezionale, che può essere esperito limitatamente alle questioni di giurisdizione di cui al citato art. 37 c.p.c. (tra le più recenti: Cass., s.u., 6 maggio 2002, n. 6485; 7 marzo 2002, n. 3385; 7 marzo 2001, n. 90; 25 maggio 1999, a 293). Ne deriva, pertanto, che l'istituto de quo non può essere esteso ad ipotesi non contemplate da quest'ultima norma, la quale (per quanto qui rileva) fa riferimento alle questioni di giurisdizione nei confronti dello straniero». Cfr. anche Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 2 febbraio 2017, n. 2736 secondo cui: «Il regolamento preventivo di cui all'art. 41 c.p.c., è un istituto di natura straordinaria ed eccezionale, non estensibile ad ipotesi ivi non contemplate, sicché è inammissibile ove proposto per sollevare una questione concernente il difetto di giurisdizione del giudice italiano allorché convenuti nella causa di merito siano soggetti residenti e domiciliati in Italia. L'istanza di regolamento preventivo, peraltro, è inammissibile ove proposta dal convenuto residente in Italia»; e Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 22 dicembre 2016, n. 26646.

[76] Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 21 settembre 2018, n. 22433, in CED Cassazione, 2018, che afferma: «Si può concordare con la dottrina più recente la quale ritiene ben ammissibile il regolamento preventivo da parte del convenuto, cittadino o straniero residente che sia in Italia, qualora questi alleghi e dimostri uno specifico interesse ad agire con il regolamento, chiedendo di escludere la giurisdizione nazionale davanti alla quale sia stato convenuto (sulla base dei generali criteri previsti dall’art. 3 della legge n. 218 del 1995) in ragione di un diverso criterio di collegamento esclusivo, quale ad esempio è un accordo per arbitrato estero. Si deve perciò concludere, questa sintetica puntualizzazione, dichiarando ammissibile e fondato il presente regolamento in quanto, la società opponente avente sede in Italia ha allegato e dimostrato il suo preciso interesse a far decidere della controversia nelle forme dell’arbitrato estero, sulla base di una convenzione di arbitrato, risultando certa ed incontestata dalla parte attrice l’esistenza dell’accordo derogatorio della giurisdizione nazionale ad opera delle richiamate clausole contenute del contratto inter partes».

[77] Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 21 settembre 2018, n. 22433, cit. secondo cui: «Una lettura di questo complesso normativo (di regole e di principi attinenti alla legittimazione a proporre il regolamento preventivo di giurisdizione, con riguardo ai criteri di collegamento tra le parti e la residenza nello Stato) in termini assoluti ed inderogabili sarebbe incoerente e penalizzante per coloro che, nella loro attività contrattuale, operano (in presenza dei presupposti di legge) scegliendo le forme di giudizio alternative alla giurisdizione statuale, altrimenti vedendosi paralizzare le loro facoltà convenzionali dalla proposizione di regolamenti preventivi finalizzati all'ordinario svolgimento del giudizio civile, articolato i norma in tre gradi di giudizio, con i correlati tempi di sua definizione».

[78] Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 20 novembre 2018, n. 29879, cit.

[79] Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 21 settembre 2018, n. 22433, cit.

[80] Art. 4 l. n. 218/1995

[81] Corte cass., sez. un., 16 novembre 1999, n. 781, in Giust. civ. Mass., 1999, p. 2555; Corte cass., sez. un., 24 aprile 1970, n. 1179, in Giust. Civ., 1970, I, p. 1156; Corte cass., sez. un., 31 luglio 1967, n. 2038, in Foro it., 1967, I, p. 2006.