Pubbl. Gio, 3 Lug 2025
Il giudice non può rigettare la domanda di riconoscimento dell´assegno di mantenimento senza disporre le indagini di polizia tributaria richieste dalla parte
Modifica pagina
Nicola Dazzeo

Con la pronuncia Cass. civ., Sez. I, Ord., ud. 14/12/2023, dep. 10/01/2024, n. 918, la Suprema Corte ha ribadito come il giudice di merito, per quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge, debba accertare il tenore di vita, le disponibilità patrimoniali e gli elementi reddituali: non può essere negata, pertanto, la possibilità di far emergere nel processo eventuali redditi che, occultati per ragioni fiscali, non sono ancora entrati a far parte del giudizio.

Sommario: 1. Quantificazione dell’assegno di mantenimento attraverso le indagini di polizia tributaria: evoluzione normativa; 2. Le indagini di polizia tributaria in materia di quantificazione dell’assegno di mantenimento: poteri e limiti; 3. La sentenza n. 918 del 10 gennaio 2024 della Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione; 4. La discrezionalità del giudice nel disporre le indagini per il tramite la polizia tributaria; 5. Conclusioni.
1. Quantificazione dell’assegno di mantenimento attraverso le indagini di polizia tributaria: evoluzione normativa
La disciplina delle modalità di separazione e divorzio (o cessazione degli effetti civili del matrimonio), è normata all’interno del nostro ordinamento dalla legge del 1° dicembre 1970 n.898 “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio" (la cosiddetta legge Fortuna-Baslini), la quale statuisce le procedure volte a permettere ai coniugi lo scioglimento del vincolo matrimoniale e la cessazione dei suoi effetti civili. Tralasciando i profili storico-culturali ed i suoi enormi risvolti sociali legati all’introduzione di questa legge all’interno del nostro paese, giova sottolineare quanto disposto dall’art. 5 della citata legge, in relazione alla sentenza che pronuncia lo scioglimento: infatti, al comma 9, viene stabilito che “i coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune”.
Il fine di questo disposto normativa rappresenta il presupposto, sia in sede di separazione[1] o di divorzio e sia in sede di modifica delle condizioni, per l’accertamento del reddito dei coniugi, per la quantificazione dell’assegno di mantenimento o dell’assegno divorzile. Nello specifico, i coniugi devono presentare – anche a seguito della c.d. “riforma Cartabia” - le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, estratti conto bancari, visure immobiliari e P.R.A., contratti bancari e finanziari, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio contenente tutte le informazioni relative al reddito e al patrimonio.
Il comma 9 dell’art. 5 continua statuendo che “in caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”. Quest’ultima disposizione conferisce al giudice una serie di poteri istruttori[2] al fine di acquisire elementi utili per la quantificazione del reddito, del patrimonio e anche del tenore di vita dei coniugi, soprattutto nel caso in cui le informazioni presentate dagli stessi siano discordanti ed insufficienti o che vi sia la contestazione dei redditi indicati da uno dei coniugi da parte dell’altro.
Le disposizioni contenute nel comma 9 sono state abrogate[3] dall’art.27 del D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. riforma Cartabia, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023)[4], il quale intervenendo anche in materia di separazione e divorzio, riscrive la materia nella sua interezza, riconducendo tutto nella disciplina del cosiddetto “Rito Unificato”, nell’ambito del Codice di procedura civile, inserendo il titolo IV-bis, relativo alle “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, introducendo una serie di articoli (art. 473-bis2 c.p.c.[5] e seguenti), i quali prevedono che in relazione alle domande di contributo economico, il giudice possa disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, avvalendosi della polizia tributaria (reparto della Guardia di Finanza competente per territorio).
Questa evoluzione normativa, nello specifico, rappresenta una chiara concretizzazione dei principi a cui la riforma Cartabia stessa si ispira, quali il miglioramento dell’efficienza del processo penale, volto a garantire efficienza e celerità (riduzione dei tempi e semplificazione della procedura), riduzione del carico del sistema penale, nell’ottica di garantire sempre i diritti fondamentali ed in tal senso prevedere una stretta collaborazione tra Autorità Giudiziaria e Guardia di Finanza, rafforzando tale rapporto, con la necessità di garantire le persone più deboli e fragili coinvolte nei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglie, in quanto lo scopo principale delle indagini tributarie poste in essere dalla Guardia di Finanza è quello di far emergere elementi reddituali e patrimoniali, artificiosamente occultati (ad esempio beni immobili o attività economiche intestati a soggetti terzi), con lo scopo di andare a danneggiare la sfera economica, finanziaria e patrimoniale dell’altra parte, soprattutto nelle vicende giudiziarie mosse da sentimenti ben distanti dal carattere della consensualità[6].
2. Le indagini di polizia tributaria in materia di quantificazione dell’assegno di mantenimento: poteri e limiti
La Guardia di Finanza, come moderna polizia economico-finanziaria[7], è incaricata di svolgere delle attività di indagine volte a ricostruire il quadro reddituale e patrimoniale dei coniugi, al fine di permettere la corretta quantificazione dell’eventuale assegno di mantenimento che uno dei due coniugi dovrà corrispondere all’altro. È da segnalare come all’interno delle norme esaminate nel paragrafo precedente, non vi siano specifiche disposizioni in relazione alle attività investigative e di indagine che la Guardia di Finanza debba svolgere, lasciando tutto in un’alea di generalità: infatti, non sono indicati in maniera specifica né i poteri, né neanche i limiti all’azione di accertamento reddituale e patrimoniale che il reparto della Guardia di Finanza, a cui sono assegnate le attività di indagine, deve compiere.
È del tutto pacifico che il giudice non possa richiedere una tipica attività di “verifica fiscale”, in quanto la richiesta di indagini da parte del giudice non ha come finalità quella della tutela del bilancio dello Stato dal punto di vista delle entrate, ma solo quella di mero strumento volto alla quantificazione dell'assegno di mantenimento. Gli accertamenti sul reddito, sul patrimonio e sul tenore di vita dei coniugi sono pertanto strumentali alla determinazione dell’importo dell'assegno.
La prassi ormai consolidata nel tempo, prevede che il giudice possa chiedere al reparto della Guardia di Finanza competente per territorio attività di controlli patrimoniali sulle banche dati riservate alla Guardia di Finanza e conseguente elaborazione delle risultanze emerse dalle banche dati, indagini bancarie ed acquisizione della documentazione relativa ai rapporti intrattenuti con le banche, accesso ai sistemi informativi dell’Anagrafe tributaria, delle Camere di commercio, del Pubblico registro automobilistico, delle Conservatorie dei registri immobiliari per acquisire informazioni dalle quali è possibile desumere indicazioni circa i comportamenti delle parti e verificare la corrispondenza tra quanto dichiarato nel corso del procedimento e quanto risulta all’Amministrazione finanziaria, attività di valutazione (la Polizia tributaria agisce come consulente tecnico di ufficio ai sensi degli articoli 191[8] e 198[9] del Codice di procedura civile, svolgendo una funzione di consulenza di natura contabile relativamente alle informazioni raccolte).
Le indagini possono riguardare anche beni fiduciariamente intestati a soggetti terzi. In questo caso, il giudice può disporre indagini nei confronti delle società fiduciarie intestatarie ordinando loro l’esibizione di documenti o formulando richieste di chiarimenti. Questo potere tuttavia è subordinato ad una richiesta ben articolata da parte del coniuge interessato, che dovrà indicare anche il nome del fiduciante[10].
Dal punto di vista processuale, l’onere della prova, si sposta sul soggetto verificato, così come confermato dalla giurisprudenza di merito[11], con cui la Suprema Corte, confermando il proprio orientamento, ha statuito che “le risultanze delle indagini bancarie hanno un valore probatorio da ricondurre alle presunzioni legali, fatta salva la prova contraria che incombe sul contribuente”[12].
Inoltre le indagini finanziarie, oltre a permettere di appurare l’effettiva consistenza patrimoniale e reddituale di uno dei coniugi, o di entrambi, ai fini del giudizio civile, può consentire di ricostruire l’eventuale maggior reddito sottratto ad imposizione, al fine di preservare l’interesse fiscale dell’Erario, così da consentire al reparto operante della Guardia di Finanza di configurare ipotesi di reato e condotte evasive[13], poiché non è da escludere che un coniuge apparentemente indigente, che abbia presentato una dichiarazione tributaria recante un reddito complessivo ai limiti della soglia di povertà, potrebbe, invece, risultare titolare di ricchezze patrimoniali, monetarie e reddituali mai dichiarate al Fisco o dichiarate attraverso figure interposte, compiacenti, che ne hanno favorito l’occultamento[14]. È del tutto evidente, quindi, che la rilevazione di eventuali redditi occultati e sottratti al Fisco, verranno tenuti in considerazione per il calcolo (redditi dichiarati + redditi occultati) e la quantificazione dell’assegno di mantenimento o di separazione.
La Corte di Cassazione nella sentenza oggetto di commento, ha affermato che, ai fini dell’accertamento del tenore di vita della famiglia è irrilevante la provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute. Pertanto assumono rilevo anche i redditi occultati al fisco, per il cui accertamento “l’ordinamento prevede strumenti ufficiosi, quali le indagini alla polizia tributaria”[15].
L’insieme di tutti questi poteri rende sicuramente complicato presentare false dichiarazioni sulla consistenza reale del proprio patrimonio, nascondere beni, denaro, capitali o altro (opere d’arte, ad esempio) al coniuge. Di conseguenza, le indagini finanziarie poste in essere dalla Guardia di Finanza si allargano anche ai beni e alle risorse detenute illecitamente.
Per quanto concerne i limiti, è necessario fare riferimento a quanto sancito dalla Cassazione[16], la quale afferma che il ricorso alla polizia tributaria, può solo essere utilizzato per assumere “informazioni integrative del bagaglio istruttorio già fornito”.
Pertanto i limiti, sono sostanzialmente due:
- l’indagine patrimoniale che la parte può chiedere al giudice quale strumento probatorio non può avere “fini meramente esplorativi”. La Corte di Cassazione ribadisce che l’indagine, posta in essere dalla polizia tributaria, deve essere disposta sulla base di “fatti specifici e circostanziati” dedotti nell’istanza del richiedente in grado di dare l’appiglio al giudice per disporre le indagini ed il relativo campo di azione;
- la parte, inoltre, deve dimostrare all’organo giudicante che il mancato utilizzo del rimedio probatorio, non permetterebbe di colmare, con gli ordinari mezzi istruttori previsti dal codice di procedura civile, la lacuna probatoria della sua difesa.
Sulla base di quanto esposto finora, appare evidente come la richiesta di attivazione di questi poteri si fondi su fatti concreti, in grado di mettere in discussione la rappresentazione della condizione e del tenore di vita del coniuge, così come avviene nel caso in cui vengano delineate entrate occultate all’Erario: pertanto, i fatti concreti summenzionati devono far ritenere che la parte detenga sostanze economiche o patrimoniali ulteriori rispetto a quelle rappresentate in giudizio.
3. La sentenza n. 918 del 10 gennaio 2024 della Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione
Nel caso di specie, nel precedente giudizio innanzi alla Corte di Appello, la ricorrente si è vista negare la richiesta di far effettuare delle indagini da parte della polizia tributaria allo scopo di accertare i redditi dell’ex coniuge, il quale svolgeva l'attività di gestore di fatto di un'impresa commerciale di proprietà delle sorelle esercente l'attività di vendita di carburanti e che, al contempo, risultava disoccupato. La Corte di Appello negava le indagini senza una idonea, e congruente rispetto ai fatti emersi, motivazione: questo ha comportato uno sbarramento istruttorio, che ha prodotto il risultato di un appiattimento sulle risultanze fiscali, impedendo l’ingresso nel processo di elementi rilevanti ai fini della ricostruzione dell’effettivo tenore di vita.
La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nel ritenere che, il giudice di merito, per quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge, deve accertare il tenore di vita, le disponibilità patrimoniali e gli elementi reddituali: non può essere negata, pertanto, la possibilità di far emergere nel processo eventuali redditi che, occultati per ragioni fiscali, non sono ancora entrati a far parte del giudizio.
A tal fine, non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (disponibilità di un consistente patrimonio e conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso)[17].
Infatti, la Suprema Corte, nell’affrontare il caso, ha espressamente fatto riferimento a quanto scritto nell’ultima parte del precedente paragrafo (Corte di Cassazione con ordinanza n. 22616 del 19 luglio 2022), con cui afferma che “occorre accertare il tenore di vita della famiglia durante la convivenza matrimoniale a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, all'accertamento dei quali l'ordinamento prevede strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria”.
Tali indagini hanno proprio tale funzione, in virtù del fatto che, di fronte a risultanze incomplete o inattendibili, il giudice ha la possibilità di fare ricorso a tale mezzo di ricerca della prova, poiché l’occultamento di risorse economiche rende per definizione estremamente difficile la dimostrazione della realtà delle stesse in base alle regole dell’ordinario riparto dell’onere della prova, rischiando di pregiudicare il diritto di difesa di chi ha interesse alla loro emersione processuale.
Tuttavia, ribadisce la Corte, esiste un limite alla discrezionalità del giudice negli accertamenti reddituali dei coniugi in crisi familiare, il quale è rappresentato dal fatto che il giudicante, si avvale delle indagini della polizia tributaria, se la parte ha offerto elementi concreti e specifici a sostegno della richiesta di indagini della polizia tributaria: di conseguenza, il giudice di merito non può rigettare la richiesta e, nel contempo, rigettare anche le domande su di essa fondate.
Tale soluzione attribuisce al giudice il potere di disporre accertamenti patrimoniali, al fine di far emergere nel processo consistenze economiche non palesate dalle parti, quando, in ragione del loro occultamento, l'ordinaria ripartizione dell'onere della prova renderebbe estremante difficoltosa, se non impossibile, la loro rivelazione[18].
Alla luce di quanto appena scritto, se la parte ha offerto elementi concreti e specifici a sostegno della richiesta di indagini della polizia tributaria, il giudice di merito non può rigettare la richiesta e, nel contempo, rigettare anche le domande su di essa fondate.
4. La discrezionalità del giudice nel disporre le indagini per il tramite la polizia tributaria
Dopo aver delineato il caso di specie, il contesto normativo, i poteri ed i limiti nel disporre delle indagini di polizia tributaria per la quantificazione dell’assegno di mantenimento o divorzile, è opportuno svolgere un’analisi circa la condotta e le scelte che il giudice deve porre in essere nella quantificazione dell’assegno di mantenimento o divorzile.
La possibilità, per il giudice, di disporre delle indagini, per il tramite della polizia tributaria, è vincolata alla necessità, che durante il giudizio, emergano elementi circostanziati e specifici in ordine alla incompletezza ed inattendibilità della rappresentazione delle condizioni reddituali e patrimoniali della controparte. Pertanto, il giudice nella quantificazione dell’assegno di mantenimento o di separazione deve fare esclusivamente riferimento ai documenti ed alle dichiarazioni presentate da entrambi i coniugi e solo nel caso in cui una delle parti fornisca elementi concreti, circostanziati e ben definiti sulla falsa rappresentazione delle condizioni patrimoniali e reddituali, potrà avvalersi della polizia tributaria.
Ne discende che nella determinazione dell’assegno, il giudice non è obbligato a disporre le indagini attraverso il reparto della Guardia di Finanza competente per territorio, in ogni singolo giudizio: non vi è, pertanto, una attivazione d’ufficio dell’attività ispettiva volta all’accertamento di eventuali elementi reddituali o patrimoniali occultati dal coniuge. Tale questione è stata affrontata, in più riprese, dalla Corte di Cassazione[19], la quale ha precisato più volte precisato che il “potere” del giudice di disporre indagini di polizia tributaria non deve essere considerato come un “dovere” imposto dalla “mera contestazione” delle parti in ordine alle rispettive condizioni economiche[20] , ma è necessario che la contestazione della posizione reddituale del coniuge sia fondata su fatti specifici e circostanziati[21].
Quindi, non basta, contestare genericamente la veridicità delle allegazioni e delle prove altrui, ma occorre che siano offerti fatti concreti, in grado di mettere in discussione la rappresentazione della parte avversa in ordine alle condizioni di vita delle parti, come avviene proprio nel caso in cui siano prospettate entrate occultate al fisco e che inducano a far ritenere che la parte detenga sostanze economiche o patrimoniali ulteriori rispetto a quelle rappresentate in giudizio.
Il potere del giudice di disporre indagini della polizia tributaria è la massima espressione della particolarità della disciplina in esame. Infatti, qualora ritenga che gli elementi di prova offerti non siano sufficienti o attendibili, è lo stesso giudice che, per il tramite della polizia tributaria, interviene dando disposizioni ufficiose, per accertare la reale situazione economica e patrimoniale dei coniugi.
Inoltre, la Corte ha ribadito che l’art. 5, comma 9, della legge del 1° dicembre 1970, n. 898, non impone in alcun modo al giudice l’obbligo di disporre indagini tramite la polizia tributaria, ma dispone che “in caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”, definendo quindi un perimetro invalicabile all’interno del quale è possibile utilizzare le indagini di polizia tributaria: infatti, la Corte continua evidenziando come l’insufficiente allegazione di prove e la mancata dimostrazione, da parte del ricorrente, di elementi fattuali e circostanziati che inducano a ritenere la presenza di fattori di reddito e patrimoniali non dichiarati, non permette in nessun caso la possibilità di utilizzare la polizia tributaria per compiere attività di indagine ispettiva[22].
Diversamente, riprende la Corte, in presenza di fatti precisi e circostanziati, il giudice ha il dovere di disporre, anche d’ufficio, le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell'assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate attraverso le indagini. Del resto, prosegue la Cassazione, alle parti è richiesto un comportamento di lealtà processuale particolarmente pregnante, che si manifesta con il deposito di tutta la documentazione utile a ricostruire le effettive condizioni economiche, prevedendo anche delle sanzioni per il mancato o incompleto deposito. Dunque, il "potere" del giudice di disporre delle indagini di polizia tributaria è una attività che nasce da elementi concreti e specifici che parte presenta a sostegno della richiesta di indagini della polizia tributaria: in questo caso, il giudice di merito non può rigettare la richiesta.
In definitiva, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: "In tema di separazione giudiziale dei coniugi, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole e dei figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, occorre accertare il tenore di vita della famiglia durante la convivenza dei coniugi a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute, assumendo pertanto rilievo anche i redditi occultati al fisco, all'accertamento dei quali l'ordinamento prevede strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria."
"Nei giudizi di separazione giudiziale dei coniugi, il potere di disporre indagini della polizia tributaria, derivante dall'applicazione analogica dell'art. 5, comma 9, l. n. 898 del 1970, costituisce una deroga alle regole generali sul riparto dell'onere della prova, il cui esercizio è espressione della discrezionalità del giudice di merito che, però, incontra un limite in presenza di fatti precisi e circostanziati in ordine all'incompletezza o all'inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo. In tali casi, il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell'assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini"[23].
5. Conclusioni
La frequenza con cui l’autorità giudiziaria dispone di accertamenti della polizia tributaria finalizzati ad accertare beni, redditi ed in generale il tenore di vita dei coniugi, è aumentata notevolmente in questi ultimi anni. Sicuramente la citata Riforma Cartabia, che ha confermato i poteri già definiti dal comma 9 dell’art. 5 della Legge del 1° dicembre 1970 n.898, ha incentivato l’uso di tale potere da parte del giudice, il quale avvalendosi degli strumenti in materia di accertamento di cui gode la Guardia di Finanza può “ricostruire” anche i redditi ed i patrimoni occultati dal coniuge. Rileva, inoltre, la recente creazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di una serie di banche dati all’interno del quale vengono rilevate le spese di una certa entità, così da consentire di determinare il “tenore di vita” del contribuente, oltre alla possibilità per il Fisco di acquisire, grazie allo scambio di informazioni con le autorità fiscali straniere, notizie relative ad eventuali disponibilità economico/patrimoniali all’estero.
Non vanno, infine, trascurate le informazioni a disposizione del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza in relazione alla normativa antiriciclaggio. È del tutto evidente che le informazioni reddituali, patrimoniali e di spesa acquisibili dal Fisco potrebbero essere efficacemente utilizzate per l’individuazione della situazione economica dei coniugi in base alla quale determinare l’assegno di mantenimento per i figli ed in generale regolare i rapporti patrimoniali tra i coniugi in caso di separazione e divorzio.
Dall’indagine condotta è emerso come il potere del giudice di disporre delle indagini della polizia tributaria è vincolato alla presenza di elementi circostanziati, concreti e specifici che permettono di completare un quadro reddituale e patrimoniale abbastanza incerto ed incompleto. Il giudice stesso, in presenza di questi elementi non può, in nessun caso, rigettare la richiesta di indagini di polizia tributaria e contestualmente rigettare le domande su cui si la stessa si fondava, dovendo infatti procedere all’espletamento delle indagini nel caso in cui la parte che le abbia richieste, come nel caso di specie analizzato in questo scritto, abbia fornito un qualche elemento di prova.
[1] In tema di separazione l’art. 706 cod. civ. dispone che “Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate”.
[2] La fonte di tale potere istruttorio si rinviene negli artt. 155 cod. civ. laddove in tema di mantenimento a favore dei figli “Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.
[3] Comma abrogato dall'art. 27, comma 1, lett. c), D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall'art. 52, comma 1, del medesimo D. Lgs. n. 149/2022. A norma dell'art. 35, comma 1, del citato D. Lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lett. a), L. 29 dicembre 2022, n. 197, le disposizioni dello stesso D. Lgs. n. 149/2022 hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.
[4] Il quale ha altresì disposto (con l'art. 35, comma 1, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".
[5] Art. 473-bis.2. c.p.c. Poteri del giudice. “A tutela dei minori il giudice può d'ufficio nominare il curatore speciale nei casi previsti dalla legge, adottare i provvedimenti opportuni in deroga all'articolo 112 e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria. Con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può d'ufficio ordinare l'integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria”.
[6] Di Santo A. “Separazione e divorzio: l’intervento della riforma Cartabia sulle indagini di polizia tributaria. Potere d'indagine ex officio e collaborazione tra autorità giudiziaria e Guardia di Finanza. Il consolidamento legislativo di un potere preesistente”, Altalex, 06-10-2024.
[7] Il decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68 (D. Lgs 68/2001) ha confermato alla Guardia di Finanza il ruolo di forza di polizia ad ordinamento militare con competenze specifiche in materia economica e finanziaria. La Guardia di Finanza agisce come polizia economico-finanziaria, giudiziaria, di ordine e sicurezza pubblica, e marittima, con il compito di tutelare il bilancio nazionale ed europeo.
[8] Art. 191 c.p.c., Nomina del consulente tecnico. “Nei casi previsti dagli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con ordinanza ai sensi dell'articolo 183, quarto comma, o con altra successiva ordinanza, nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l'udienza nella quale il consulente deve comparire. Possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone”.
[9] Art. 198 c.p.c., Esame contabile. “Quando è necessario esaminare documenti contabili e registri, il giudice istruttore può darne incarico al consulente tecnico, affidandogli il compito di tentare la conciliazione delle parti. 2. Il consulente sente le parti e, previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa. Di essi tuttavia senza il consenso di tutte le parti non può fare menzione nei processi verbali o nella relazione di cui all'articolo 195”.
[10] In caso contrario la società potrà opporre l'obbligo di riservatezza ai sensi della legge 23 novembre 1939, n. 1966. La regola della riservatezza insita nell’attività delle società fiduciarie comporta la possibilità di avanzare alle società fiduciarie solo richieste nominative; non è possibile chiedere loro in maniera del tutto generica chi siano i proprietari dei beni loro intestati. Qualora, dunque, uno dei coniugi asserisse, senza dimostrare neppure per presunzioni l’esistenza di un rapporto fiduciario, la relativa richiesta legittimerebbe la società fiduciaria ad opporre il suo obbligo di riservatezza.
[11] Cass., 29 luglio 2011, n. 16650, in “il fisco “n. 33/2011, fascicolo n. 2, pag. 5455; nel solco giurisprudenziale si inserisce anche Cass., 14 dicembre 2012, n. 23079, in “GT-Riv. giur. trib.” n. 4/2013, pag. 344, con nota di E. Bruschetta, Intorno alle presunzioni.
[12] Cass., 29 novembre 2013, n. 26741.
[13] F. Pistolesi, Le indagini finanziarie disposte dal Giudice nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio, in “Riv. dir. trib.” n. 10/2012, Parte prima, pag. 847; G. Pezzuto, Le indagini reddituali e patrimoniali della “polizia tributaria” nei procedimenti di separazione e di divorzio, in “il fisco “n. 17/2003, fascicolo n. 1, pag. 2556; G. Fanticini, Indagini e accertamenti della Polizia Tributaria nei procedimenti di separazione e divorzio, in “Familia” n. 4-5/2006, pag. 779.
[14] Il ricorso all’espletamento delle indagini finanziarie si fonda, per il giudizio di separazione, sul disposto normativo di cui all’art. 156 c.c., rubricato “Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi”, in forza del quale “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.
[15] Cassazione civile sez. I, 10/01/2024, (ud. 14/12/2023, dep. 10/01/2024), n.918
[16] Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287; v. anche Cass. civ., sez. I, 23 gennaio 2019, n. 1882;
[17] Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9915 del 24/04/2007
[18] Cass., Sez. 1, n. 10344 del 17/05/2005 e Cass., Sez. 1, n. 8417 del 21/06/2000; v. già Sez. 1, Sentenza n. 3529 del 21/03/1992 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6087 del03/07/1996
[19] Prima sezione civile della Corte di Cassazione con ordinanza n. 24995 del 22 agosto 2023.
[20] Cass. Sez. 1, n. 10344 del 17/05/2005
[21] Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 23263 del 15/11/2016, con riferimento all’assegno divorzile; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2098 del 28/01/2011, con riguardo al contributo al mantenimento dei figli.
[22] Cass. civ., sez. I, 9 agosto 2019, n. 21234; Cass. civ., sez. VI-1, n. 27771 del 2019.
[23] Corte di Cassazione con ordinanza n. 22616 del 19 luglio 2022, accogliendo il ricorso della moglie di un professionista che lamentava il fatto che la quantificazione dell'assegno si era basata unicamente sui redditi "in chiaro", trascurando il "nero" fatto dall'ex.