Pubbl. Gio, 18 Set 2025
La rilevabilità delle questioni di rito da parte del giudice d´appello: le questioni fondanti e non fondanti
Editoriale a cura di Andrea Simaldone

Con la sentenza n. 24172/2025, la Corte di Cassazione ha chiarito il limite della rilevabilità d´ufficio delle questioni di rito da parte del giudice di secondo grado, distinguendo tra le questioni di rito fondanti e quelle non fondanti.
Con la sentenza n. 24172 del 29 agosto 2025, la Corte di cassazione a Sezioni Unite ha risolto un contrasto giurisprudenziale in materia di rilievo d’ufficio delle questioni di rito nei gradi di impugnazione, laddove il giudice di primo grado ha deciso nel merito senza esaminare la relativa questione processuale.
La questione rimessa al vaglio della Suprema Corte verteva sulla possibilità, per il giudice di secondo grado, di dichiarare d’ufficio, senza appello incidentale della parte vittoriosa, l’inammissibilità di una domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c., proposta in via autonoma anziché nel processo in cui era maturata la condotta ritenuta abusiva. Nei fatti in causa, il giudice di primo grado ha rigettato la domanda attorea senza rilevare l’inammissibilità, che invece è stata rilevata d’ufficio dal giudice di appello.
Dopo aver esposto e chiarito gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema, la Corte ha optato per una soluzione che distingue tra questioni di rito fondanti e non fondanti.
Rientrano tra le prime quelle che attengono alla stessa esistenza e validità del processo, in quanto strettamente collegate a principi costituzionali come il diritto di difesa, il contraddittorio e il giusto processo, e come tali riguardano violazioni che danno luogo a nullità assolute ed insanabili.
La Corte è pervenuta alla conclusione che su queste ultime il giudice dell’impugnazione conserva sempre il potere di rilevare d’ufficio la questione di rito non trattata nel grado precedente. In altre parole, tali questioni sono estromesse dalla copertura del giudicato implicito.
Per quel che riguarda le questioni di rito non fondanti, la Corte ha statuito che la parte interessata a far valere il vizio processuale deve proporre impugnazione sul punto (mezzo ritenuto più idoneo rispetto alla riproposizione ex art. 346 c.p.c.), precisando che in mancanza si determina la formazione del giudicato interno.
RILIEVO D'UFFICIO DELLE QUESTIONI DI RITO: LA MASSIMA
"Qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia nel merito, omettendo di pronunciare espressamente su un vizio processuale rilevabile d'ufficio (in base alla norma del processo o desumibile dallo scopo di interesse pubblico, indisponibile dalle parti, sotteso alla norma processuale che stabilisce un requisito formale, prescrive un termine di decadenza o prevede il compimento di una determinata attività), la parte che abbia interesse a far valere detto vizio è onerata di proporre, nel grado successivo, impugnazione sul punto, la cui omissione determina la formazione del giudicato interno sulla questione processuale in applicazione del principio di conversione del vizio in motivo di gravame ex art. 161, comma primo, c.p.c., rimanendo precluso tanto al giudice del gravame, quanto alla Corte di cassazione, il potere di rilevare, per la prima volta, tale vizio ex officio.
A tale regola si sottraggono, così da consentire al giudice dei gradi successivi di esercitare il potere di rilievo officioso, i vizi processuali rilevabili, in base ad espressa previsione legale, "in ogni stato e grado" e i vizi relativi a questioni "fondanti", la cui omessa rilevazione si risolverebbe in una sentenza inutiliter data, ovvero le ipotesi in cui il giudice abbia esternato la propria decisione come fondata su una ragione più liquida, che impedisce di ravvisare una decisione implicita sulla questione processuale implicata".