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Pubbl. Mer, 5 Dic 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Il diritto all´ascolto del minore nelle liti dei genitori

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Barbara Mascitto


Il Tribunale di Firenze nella Sentenza n.2945 del 2 novembre 2018 applica, con ferma lungimiranza, il diritto del minore ad essere ascoltato nei giudizi che lo riguardano. Ma l´ascolto potrebbe trovare migliore applicazione con lo strumento della mediazione familiare.


Sommario: 1) Premessa; 2) La tutela nei carteggi internazionali; 3) I diritti dei minori nella legislazione nazionale; 4) Il diritto all’ascolto nei procedimenti che lo riguardano – il contemperamento delle due anime della normativa; 5) Sentenza n.2945/2018 Tribunale di Firenze del 2 novembre 2018 e lo spiraglio della mediazione familiare.

1. Premessa

La tutela del minore è un aspetto che nasce in tempi relativamente recenti, nonostante l’alto grado di civiltà che hanno raggiunto le società moderne.

Tradizionalmente il minore veniva ritenuto incapace di sostenere i propri diritti¹. L’autorità del genitore, e soprattutto la potestà paterna, erano elementi pressoché indiscutibili.

Con il passare del tempo, i bambini cominciano ad avere una loro identità e, di conseguenza, anche la loro tutela si caratterizza per l’impegno di protezione non più come “proprietà” dei genitori, bensì in modo autonomo con l’impegno, eventuale e necessario, di proteggerli anche dai loro stessi familiari nei casi di violenze, maltrattamenti ed abusi.

2. La tutela nei carteggi internazionali

Il primo strumento internazionale in assoluto a tutela dei diritti dell’infanzia è stata la “Convenzione sull’età minima” adottata dalla Conferenza Internazionale del lavoro nel 1919, ma la prima significativa attestazione dei diritti del bambino si ha con la Dichiarazione di Ginevra (Dichiarazione dei diritti del bambino), adottata nel 1924².

Tale documento, che precede di più di venti anni la “Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo” (1948), non è ancora concepito come strumento atto a valorizzare il bambino in quanto titolare, ma solo come destinatario passivo di diritti.

Inoltre, la Dichiarazione non si rivolge agli Stati per stabilirne gli obblighi, ma chiama in causa più genericamente l’umanità intera, affinché garantisca protezione ai minori.

Dopo la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo comincia a farsi strada l’idea di una “Carta sui diritti dei bambini” proprio ad integrazione della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e con lo scopo di sottolinearne i bisogni specifici.

La stesura e l’approvazione della Dichiarazione dei diritti del fanciullo da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite avviene all’unanimità e senza astensioni il 20 novembre 1959 ³.

Per la prima volta il minore, al pari di qualunque altro essere umano, è un soggetto portatore di diritti: riconosce il principio di non discriminazione e quello di un’adeguata tutela giuridica del bambino sia prima che dopo la nascita; ribadisce il divieto di ogni forma di sfruttamento nei confronti dei minori e auspica l’educazione dei bambini alla comprensione, alla pace ed alla tolleranza.

Viene introdotto il principio del “superiore interesse del fanciullo” che deve servire come guida per le decisioni ed i comportamenti di coloro che hanno la responsabilità sia dell’educazione che del suo orientamento.

Continua, comunque, l’idea della concezione “protettiva e paternalistica” per cui il soggetto a cui si rivolge è l’adulto, poiché responsabile del minore stesso.

I diritti dei minori sono ufficialmente riconosciuti solo nel 1989 dall’ONU con l’approvazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia (Convenzione di New York).

La convenzione si rivolge “ad ogni essere umano al di sotto del 18° anno di età” ed è un trattato internazionale con valore di legge al cui interno vengono analizzati, in modo ampio, dettagliato ed articolato, una serie di diritti che riguardano protezione, assistenza e partecipazione dei soggetti beneficiari (fanciulli).

E proprio questo concetto di “partecipazione” è la vera innovazione rispetto al passato. Infatti, è in questo ambito che emerge l’obiettivo di dare ai minori la possibilità di essere presenti nel sociale come soggetti capaci di far conoscere agli adulti la propria interpretazione del mondo.

Altro passaggio importante è il Trattato di Lisbona (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) ⁴ del 2000, dove all’art.24 ⁵ viene sancito il diritto del minore ad essere ascoltato affinchè possa esprimere liberamente la propria opinione e questa venga tenuta in considerazione sulle questioni che lo riguardano. Ovviamente si deve tener conto dell’età del minore stesso e del suo grado di maturità.

3. I diritti dei minori nella legislazione nazionale

A fronte di tutto questo fermento internazionale, l’Italia presenta una partenza alquanto arcaica, essendo comunque la Carta Costituzionale del 1947.

E proprio perché espressione del periodo, così come detto in precedenza, la Costituzione italiana concretizza una visione paternalistica in cui i fanciulli sono soggetti bisognosi di protezione.

Negli articoli 30, 31, 34 e 37 ⁶ della Costituzione vengono riconosciuti diritti fondamentali che sono solo una base dell’estrinsecazione della personalità del soggetto che non ha ancora raggiunto la maggiore età, ma è comunque l’impianto di un sistema che vede il minore nelle sue relazioni con altri soggetti dai quali ci si aspetta che costituiscano sostegno e supporto per un corretto sviluppo della personalità dello stesso.

La visione a tutto tondo, ovvero la forma più completa di tutela che prevede sia l’aspetto da proteggere, ma che non può fare a meno della componente evolutiva dell’individuo, necessita del completamento della normativa sovranazionale.

Con tale visione, il minore diventa protagonista attivo della vita sociale nella quale interviene a primo titolo, in prima persona, individualmente o all’interno di gruppi⁷.

Pur in assenza di una specifica disposizione legislativa interna che pone in via generale l’obbligo all’ascolto, la Corte Costituzionale afferma l’esistenza nell’ordinamento italiano del diritto del minore ad essere ascoltato nell’art.336 secondo comma cod. civ., in combinato disposto con la normativa sovranazionale, “nel senso di configurare il minore come parte del procedimento, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti” (C.Cost. n.1 30/01/2002).

La novella del 1987 alla L.n.898 del 1970 (legge sul divorzio) prevedeva l’audizione del minore, con una notevole limitazione: la valutazione del Presidente del Tribunale in merito alla “stretta necessità”.

L’interesse morale e materiale del minore assume nel tempo carattere di piena centralità: L. n. 151 del 19 maggio 1975 (Riforma del diritto di famiglia); riforma dell’adozione L.n.184 del 4 maggio 1983 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori) come modificata dalla L.n.149 del 28 marzo 2001, cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minore.

Fino alla riforma della filiazione, però, il riconoscimento dei diritti riconosciuti nella struttura sovranazionale è lasciata sostanzialmente alla sensibilità del magistrato e l’obbligo dell’ascolto del minore è strettamente limitato a singole fattispecie⁸.

4. Il diritto all’ascolto nei procedimenti che lo riguardano – il contemperamento delle due anime della normativa

 Con l’entrata in vigore prima della legge n.219/2012 e poi del D.lgs. n.154/2013, in seno ad una complessiva riforma della filiazione, viene introdotto e sancito nell’ordinamento italiano la disciplina generale dell’ascolto del minore con gli artt.315bis, 336bis, in combinato disposto con l’art.38 disp. att. cod. civ.⁹ come effettivo obbligo per gli operatori giuridici di prendere atto del volere del minore ed effettuare una comparazione tra le necessità ipotizzate e le reali condizioni esplicative dei suoi diritti.

Con il riconoscimento dell’obbligatorietà dell’ascolto si riconosce il minore non solo come soggetto da proteggere, bensì come effettivo titolare di diritti soggettivi affinchè questo possa permettere la tutela di uno sviluppo armonioso della sua personalit๺.

Da un lato la giurisprudenza di legittimità ha da subito recepito l’intento ed ha fortemente affermato il principio dell’obbligatorietà dell’ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano¹¹.

Dall’altro, la Dottrina è stata più perplessa, sostenendo che l’audizione del minore, anche in vigenza dell’art.155sexies c.c., per quanto obbligatoria, era sempre soggetta alla preventiva valutazione del Giudice e configurare il mancato adempimento in termini di nullità per violazione del contraddittorio risultava alquanto inopportuno¹².

A seguito delle modifiche legislative l’ascolto del minore diviene imprescindibile, pena la nullità della sentenza [Cass. civ. n.11687 del 15/05/2013; cfr. Cass. civ. Sez. I, 27/07/2017, n. 18649; Cass. civ. Sez. I Ord., 24/05/2018, n. 12957]; una condizione di procedibilità della domanda, un adempimento necessario per il giudice allorchè deve adottare decisioni che anche indirettamente riguardano il minore.

Alla doverosità dell’ascolto corrisponde l’obbligo del giudice di fornire puntuali motivazioni in ordine alla scelta di non procedere in tal senso; scelta che trova il suo fondamento nell’art.336bis c.c. ove l’ascolto risulti in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.

5. La Sentenza n.2945/2018 Tribunale di Firenze del 2 novembre 2018 e lo spiraglio della validità della mediazione familiare

L’istituto dell’ascolto del minore ha un rilievo sostanziale quale strumento di attuazione del diritto dello stesso, portatore di bisogni ed interessi, a far emergere all’interno del processo le proprie opinioni ed esigenze in relazione alle vicende familiari.

Ha suscitato particolare interesse, riaccendendo il dibattito dottrinario e giurisprudenziale, la sentenza del Tribunale di Firenze n.2945 del 2 novembre 2018 attraverso la quale i giudici fiorentini hanno deciso di dare largo spazio alla volontà del figlio rispetto alla gestione dei suoi rapporti con i genitori, valorizzandone al massimo il suo ascolto ed il contenuto delle sue dichiarazioni¹³.

Certo, il punto focale della sentenza non è stato mettere in discussione il diritto all’ascolto del minore, bensì l’attuazione di una effettiva condivisione della gestione del minore stesso, unitamente all’altra questione inerente l’assegno di mantenimento, ma ciò che è stato rimarchevole nella sentenza sono state le premesse della decisione.

Infatti, il giudice in fase istruttoria ed a seguito di già intervenute modifiche delle condizioni di separazione, viene sollecitato all’ascolto proprio da parte del minore interessato alla diatriba attraverso una lettera.

In Sentenza il giudice non fa altro che accertare la veridicità e fondatezza delle affermazioni del minore e tradurre in prescrizioni per i genitori i suoi voleri.

Tutto questo avrebbe avuto un epilogo identico, ma in una fase extragiudiziale e con un notevole guadagno in termini temporali, fattuali ed umani, se ci si fosse avvalsi dell’istituto della mediazione familiare.

Parallelamente all’acquisizione della consapevolezza dell’importanza dell’iniziativa del giudice nella direzione del processo e nell’acquisizione degli elementi di prova, da tempo la dottrina rinsalda la convinzione che nei processi della crisi familiare l’autorità giudiziaria non può essere “lasciata sola” nel regolamentare tutti gli aspetti del conflitto.

In tal senso la L.n.54/2006 sull’affidamento condiviso, nel confermare e rafforzare il ricorso agli strumenti tipici del processo (audizione del minore e consulenza tecnica) introduce, per la prima volta, il richiamo all’istituto della mediazione familiare.

Nell’ordinamento italiano il riferimento normativo alla mediazione familiare è rinvenibile nella L.n.285 del 28 agosto 1997 contenente “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, la quale, all’art. 4, lett. i), inserisce la mediazione familiare fra i servizi utilizzabili per perseguire le finalità della Convenzione di New York del 1989.

Oltre che ad essere menzionata da alcune disposizioni regionali, la mediazione familiare viene richiamata dalla L.n.154 del 4 aprile 2001, contenente “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” ¹⁴.

Infine, la L.n.54 dell’8 febbraio 2006 recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” che ha introdotto l’art. 155sexies c.c., seppure successivamente abrogata e sostituita dall’odierno art. 337octies (rubricato “Poteri del giudice e ascolto del minore”), che sostanzialmente la riproduce integralmente.

In particolare, il comma 2° dell’articolo dispone che “Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 337ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”.

Attraverso l’istituto della mediazione si agevola la ripresa della comunicazione tra le parti in un momento in cui il dialogo sembra del tutto impraticabile, ricostruendo le dinamiche relazionali appropriate tra i membri del nucleo familiare.

Il mediatore offre un intervento professionale alla coppia in crisi al fine di creare uno spazio ed un tempo appropriati per la riorganizzazione della famiglia.

Il mediatore dirige il procedimento e ne è responsabile, ma tende a non intervenire sui contenuti del percorso mediativo.

Le soluzioni sono scelte dalle parti grazie all’aiuto dell’esperto che amplifica il procedimento di autodeterminazione e di assunzione delle proprie responsabilità da un lato, mentre dall’altro riconosce e soddisfa il bisogno di ascolto delle parti.

Il procedimento di mediazione, prima o durante gli eventi di frattura della famiglia, rappresenta un processo di accompagnamento alla coppia in crisi affinchè la stessa continui ad essere artefice delle decisioni più importanti riguardanti la cura e l’educazione dei figli ed eventualmente proceda alla divisione e distribuzione dei beni comuni.

Proprio in questo si sostanzia l’elemento distintivo rispetto al percorso giudiziario: le parti, a differenza che nel processo, partecipano attivamente alla creazione della soluzione, riacquisendo la consapevolezza della necessità di continuare a rapportarsi l’una con l’altra.

Riorganizzare le relazioni è compito specifico del mediatore e tale figura professionale non può che dimostrarsi un valido aiuto per il Giudice quando denota nella coppia alta conflittualità o semplicemente possibilità di dialogare altrove rispetto al Tribunale.

 

 

Note e riferimenti bibliografici

¹ Anticamente il minore era incapace poiché “privo di parola”. Il termine infanzia deriva, infatti, dal latino infans, parola composta da in – non – e fans – parlante, “colui che non sa parlare”.

² La stesura della Dichiarazione è dovuta agli eventi drammatici che hanno caratterizzato l'inizio del '900, in particolar modo la I Guerra Mondiale. La scomparsa di milioni di persone, il problema delle vedove e degli orfani ponevano in primo piano la questione della salvaguardia delle generazioni future. È una collaboratrice della Croce Rossa ad elaborare un testo volutamente breve e conciso, recepito prima dall'Unione Internazionale per il soccorso all'Infanzia e successivamente adottato all'unanimità dalla Società delle Nazioni. La Dichiarazione di Ginevra consta di cinque principi ed ha un impianto sostanzialmente assistenzialista, teso ad affermare le necessità materiali e affettive dei minori. [Fonte sito UNICEF]

³ Il documento si propone di mantenere i medesimi intenti previsti nella Dichiarazione di Ginevra, ma chiedendo agli Stati sia di riconoscere i principi contemplati nella dichiarazione sia di impegnarsi nella loro applicazione e diffusione. La Dichiarazione consiste in una sorta di "statuto" dei diritti del bambino e contempla un Preambolo in cui vengono richiamati i precedenti carteggi e si esplica in dieci princìpi. La nuova Dichiarazione include una serie di diritti non previsti nella precedente Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, quali: il divieto di ammissione al lavoro per i minori che non abbiano raggiunto un'età minima; il divieto di impiego dei bambini in attività produttive che possano nuocere alla sua salute o che ne ostacolino lo sviluppo fisico o mentale; il diritto del minore disabile a ricevere cure speciali.

⁴ Corte Costituzionale Sent.76/2017 …la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione, ed ha riconosciuto che tale interesse è complesso ed articolato in diverse situazioni giuridiche. Queste ultime trovano riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento costituzionale interno – che demanda alla Repubblica di proteggere l’infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo (art. 31, secondo comma, Cost.) – sia nell’ordinamento internazionale, ove vengono in particolare considerazione le previsioni dell’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e dell’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo.

1. I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione. Questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. 3. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.

Art. 30 - È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

Art.31 - La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia [36, 37] e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità [37], l'infanzia e la gioventù [37], favorendo gli istituti necessari a tale scopo [291 ss. c.c.].

Art.34 - La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Art.37 - … La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

⁷ Cit. dalla relazione Prof. Paolo Passaglia “I minori nel diritto costituzionale” – tavola rotonda su “I minori e il diritto: dialogo con i giuristi” nell’ambito del progetto Scream, Pisa 6 aprile 2006.

⁸ Russo, I mezzi di prova e l’audizione del minore, in Sesta e Arcieri (a cura di), L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, Torino 2012, 821 – in riferimento alla materia dell’adozione e dell’affidamento eterofamiliare (cfr.artt.4, 7, 14 e 15 L.n.184/1983), nonché in caso di opposizione al riconoscimento del figlio naturale (art.250 c.c.) al fine di accertare la rispondenza all’interesse del minore all’opposizione al riconoscimento da parte dell’altro genitore [Cass.civ. n.5884 del 13/04/2012].

Altrettanto in tema di procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, la Cassazione ha ribadito la nullità della sentenza per violazione dell’obbligo di ascolto del minore [Cass.civ. n.1251 del 27/01/2012].

L’art.6 legge sul divorzio prevedeva l’audizione del minore quale mera facoltà per il Giudice ove fosse ritenuta strettamente necessaria [Dossetti, Gli effetti della pronuncia di divorzio, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, Torino, 2007, 716].

⁹ Art. 315-bis. Diritti e doveri del figlio (L.219/2012).

Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori …

Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. […]

Art. 336-bis. Ascolto del minore (D.lgs. n.154/2013).

Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato.

L'ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento.

Prima di procedere all'ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video.

¹º Tommaseo, Per una giustizia a misura di minore: la Cassazione ancora sull’ascolto del minore, in FD, 2012.

¹¹ Cass. civ. SU n.22238 del 21/10/2009.

¹² Danovi, L’audizione del minore nei processi di separazione e divorzio tra obbligatorietà e prudente apprezzamento giudiziale, in RDPr, 2010, 1418; contra Auletta, sub art.155sexies, in Balestra (a cura di), Della Famiglia, I, in Comm. Gabrielli, Torino, 2010, 756; Tommseo, Giudizi camerali de potestate e giusto processo, in FD, 2002, 233.

¹³ “Il Tribunale di Firenze conferma l’addio al genitore collocatario” Avv. Marino Maglietta su Studio Cataldi – Il diritto quotidiano 7/11/2018.

¹⁴ Tale normativa introduce all’interno del codice civile, l’art. 342 ter, il cui comma 2° prevede che il giudice possa disporre “ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare”.