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Pubbl. Sab, 21 Lug 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Tecnica di redazione del ricorso per cassazione e principio di efficienza processuale

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Irene Coppola


Il principio di efficienza del ricorso per Cassazione si concretizza nella tecnica spartana di redazione e nella specificità dello scritto, alla luce dei principi di chiarezza e sinteticità. L´autosufficienza consiste nel garantire l´efficienza processuale all´atto, inteso nei suoi semplici e chiari elementi, senza dover attingere aliunde.


La giustizia amministrata in nome del popolo non può non essere efficiente.
(Irene Coppola)

Sommario: 1. Introduzione. 2. La funzione nomofilattica e le ricadute del giudizio di rinvio; 3. Il Protocolla di intesa ed implicita affermazione del principio di efficienza processuale; 4. La redazione del ricorso per Cassazione, tra rigore e specificità; 5. Osservazioni conclusive.

1. Introduzione.

La Corte Suprema di Cassazione rappresenta, nel panorama giuridico nazionale, il punto di riferimento consolidante dell'intero ordinamento italiano.

Essa prende spunto dalla Cour de cassation in Francia e raccoglie il senso dell'ordinamento, inteso come ordine, sistema, meccanismo ed insieme, senza contraddizioni applicative, improntato non solo a dare certezza, ma anche unicità interpretativa ed applicativa alla norma.

La funzione nomofilattica ne rappresenta la massima espressione; esigenza fondante di un vero " sistema" organizzato per la garanzia sostanziale della legalità.

Oggi, più che mai, è necessario dare un ruolo centrale al Giudice di Legittimità, in ragione della oggettivo affastellamento di produzione legislativa e giurisprudenziale.[1]

2. La funzione nomofilattica e le ricadute del giudizio di rinvio

L'art. 65 della legge sull'ordinamento giudiziario italiano (R.D. 30 gennaio 1941 n. 12) statuisce che "La Corte Suprema di Cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge. La Corte Suprema di Cassazione ha sede in Roma ed ha giurisdizione su tutto il territorio del regno, dell’impero e su ogni altro territorio soggetto alla sovranità dello Stato".

La funzione nomofilattica, in definitiva, si sostanzia in due sottofunzioni ben distinte: da un lato occorre garantire l'attuazione della legge nel caso concreto, realizzando la giurisdizione in senso stretto; dall'altro bisogna fornire indirizzi interpretativi “uniformi” per mantenere, il più possibile, l'unità dell'ordinamento giuridico, attraverso una sostanziale uniformazione della giurisprudenza.[2]

Il controllo degli indirizzi interpretativi mira a soddisfare la primaria esigenza di garantire la certezza del diritto, pur non potendo sottacersi che attualmente la crescente sovrapposizione normativa, la fluidità pericolosa del sistema delle fonti, la complessità della materia giuridica, la dinamica ingestibile degli operatori, le oscillanti decisioni della giurisprudenza, minano a fondo (e continuano a minare) l'effettività e l'efficienza dello stesso meccanismo nomofilattico.

Difatti, lo studio delle stesse decisioni del Giudice delle Leggi, evidenzia non pochi problemi per gli operatori del settore, che, non di rado, possono trovarsi innanzi ad orientamenti contrastanti della stessa Corte Suprema, a detrimento della precipua e fondamentale funzione che la Corte è evocata ad esercitare.

La solidità della argomentazione e la correttezza del dato normativo applicato, genera la fissazione del principio di diritto volto ad assicurare la garanzia dell'interpretazione e dell'univocità dell'intero sistema giuridico.[3]

Questa incontestabile situazione ha determinato (e determina) una vera e propria crisi della funzione nomofilattica, cui si è recentemente tentato di porre rimedio con il D. Lgs. n. 40/2006[ che ha sottolineato l'importanza delle pronunce a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, impedendo alle sezioni semplici di discostarsi da esse, se non rimettendo motivatamente la questione problematica a una nuova pronuncia delle Sezioni Unite (cfr. art. 374 c.p.c.)[4].

Con il medesimo provvedimento citato, si è anche dato ampio spazio al principio di diritto enunciato nella sentenza di legittimità, attribuendo in tal modo un ruolo essenziale all'Ufficio del massimario che, in seno all'organizzazione della Corte di Cassazione, si occupa della redazione delle massime delle pronunce emanate.

 Resta il fatto che comunque la funzione nomofilattica pur conservando ed assicurando il ruolo ed il significato di corretta interpretazione ed applicazione di una norma, non vale a scardinare la natura di civil law dell'ordinamento italiano .[5]

La sentenza, difatti, non è un precedente sostitutivo di una norma.

La sentenza è e resta, una decisione e non equivale ad una specie di affermazione del criterio dello stare decisis, espressione dell'ordinamento di common law.

La concretizzazione di tale funzione si ha, con particolare significazione, con l'esame delle ricadute del giudizio di rinvio.

Cassata la sentenza, quando non vi sono ipotesi di cassazione senza rinvio[6], il giudizio viene rimesso innanzi allo stesso ufficio giudiziario che ha reso la sentenza viziata .

L'effetto importante che discende dalla cassazione della sentenza con rinvio, ex art. 383 c.p.c., comporta la riapertura degli atti per l'esatta applicazione del principio di diritto individuato dalla Corte Suprema.

Ma tale effetto non è automatico.

Il giudizio di rinvio è contenuto negli artt. 392 a 394 c.p.c.

Generalmente, dunque, il giudizio di Cassazione elimina la sentenza del giudice di merito e rende possibile un nuovo esame della controversia.[7]

In altri termini la cassazione con rinvio si ha nei casi, residuali rispetto a quelli di cassazione senza rinvio, in cui il processo, a seguito della decisione della Corte, procede dinanzi a un altro giudice. Essa, in sostanza, viene disposta quando la Corte ritiene che il giudice del merito debba compiere delle nuove valutazioni. 

Il rinvio viene fatto a un giudice diverso da quello che ha emesso la sentenza impugnata, ma di pari grado.

Può tuttavia accadere che le parti siano giunte in cassazione dopo essersi accordate per omettere l'appello. In tal caso, la Corte rinvia al giudice che si sarebbe dovuto pronunciare in appello se non ci fosse stata la rinuncia delle parti.

Se  è rilevata una nullità che interessa la sentenza di primo grado e a causa della quale il giudice dell'appello avrebbe dovuto rimettere le parti al primo giudice. In tal caso, il rinvio viene fatto direttamente al primo giudice.[8]

Il giudizio di rinvio, nel diritto italiano, è il giudizio rescissorio effettuato dal giudice di merito che segue la fase rescindente, cioè la fase in cui la cassazione decide sulla sentenza impugnata enucleando il corrispondente "principio di diritto" che deve essere osservato dal giudice del rinvio nello svolgimento della corrispondente fase.

Una volta disposto il rinvio da parte della Corte di Cassazione, le parti hanno l'onere di riassumere la causa davanti al giudice del rinvio.

La indicata riassunzione dovrà avvenire mediante atto di citazione, notificato personalmente a tutte le parti del precedente giudizio, entro tre mesi, (prima della riforma del 2009 era un anno), dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione, ex art. 392 cpc. A questo punto possono verificarsi due distinte situazioni:

1) La riassunzione, così come sopra descritta, non viene disposta entro i termini. In tale caso l'intero giudizio si estingue. A fronte di tale estinzione ogni precedente pronuncia viene travolta e resa inefficace. Fanno eccezione le sentenze passate in giudicato e l'eventuale principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione.

2) La riassunzione avviene nel termine previsto dalla legge, e allora il processo di rinvio prosegue.

L'oggetto del giudizio del procedimento in esame non coincide con quello che caratterizzò il giudizio che produsse il provvedimento poi cassato.

Infatti con il giudizio di rinvio non si mira ad una mera rinnovazione del giudizio di merito pregresso.

In effetti il giudice del rinvio si deve limitare alla sostituzione, nella sentenza cassata, delle parti affette da vizi o errori. Ovviamente affinché ciò venga effettuato con successo, è necessario che il giudice vada ad applicare il principio di diritto così come formulato dalla Corte di Cassazione.

In sede di rinvio si applicano le disposizioni che caratterizzano il procedimento davanti al quale la causa è stata rinviata.

Le parti mantengono la stessa posizione processuale che avevano nel processo in cui fu pronunciata la sentenza poi cassata; esse non possono formulare conclusioni diverse da quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata.

Nel giudizio di rinvio va prodotta copia autentica della sentenza cassata.

La sentenza conclusiva sarà impugnabile solo con ricorso per cassazione e solo per fare valere la mancata ottemperanza ai principi stabiliti dalla cassazione nella sentenza conclusiva del giudizio rescindente.

3. Il Protocolla di intesa ed implicita affermazione del principio di efficienza processuale

La grande mole dei contenziosi, con il conseguente ingolfamento dei ruoli degli uffici giudiziari, non è più sostenibile.

Per essere effettiva ed efficiente la giustizia deve essere governata da un principio di sinteticità e chiarezza degli atti processuali.

Anche la Corte di Strasburgo ha evidenziato, all’art. 47, par. 1, lett. e) del suo regolamento interno, che i ricorsi individuali devono indicare “un’esposizione succinta e leggibile dei fatti”.

A tale indirizzo si è uniformata la Suprema Corte di Cassazione con l'elaborazione di un Protocollo di intesa con il Consiglio Nazionale Forense.

L’esposizione dei motivi specifici - ex art. 360 c.p.c. , 362 c.p.c.- espressi nel ricorso per Cassazione devono avere le caratteristiche della sinteticità e chiarezza e l’avvocato dovrà evitare la riproduzione del contenuto degli atti processuali del gravame, essendo sufficiente la specifica indicazione degli stessi posta nell’indice, nonché occorre evitare scritti ridondanti e trascrizioni integrali di riferimenti giurisprudenziali. 

Anche nella disciplina del processo amministrativo, il Legislatore, nel decreto legislativo n. 104/2010 ha positivizzato il principio di sinteticità degli atti processuali nell’art. 3: il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica.

 Questa norma deve essere letta in combinato disposto con l’art. 1 c.p.a. che sancisce il principio di effettività della tutela giurisdizionale amministrativa. 

E l'ordinanza della S.C. n. 21136/2017 rappresenta una conferma del quadro normativo e della prassi giurisprudenziale in subiecta materia.[9]

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, dichiarato inammissibile un ricorso composto da ben ventisei pagine redatte con la tecnica dell’assemblaggio, attraverso un’attività di copia ed incolla dei documenti.[10]

 Nella fattispecie concreta, l’esposizione sommaria dei fatti, ai sensi dell’art. 366, n. 3, c.p.c. era stata articolata con un collage di tutti gli atti processuali , comprese le note di udienza. Pertanto, ad avviso della S.C., è mancato “il momento di sintesi idoneo ad illustrare la ricostruzione del fatto storico e lo svolgimento della vicenda processuale nei punti essenziali”.

Alla luce delle suddette osservazioni, la Corte ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per ed ha condannato al pagamento delle spese processuali la parte ricorrente.[11]

In conclusione, questo decisum rappresenta un monito al fine di fare attenzione nella redazioni degli atti introduttivi di giudizio che devono essere chiari ed operare una sintesi esaustiva dei fatti di causa.[12]

Ciò è fondamentale per garantire al cittadino una giustizia effettiva ed accessibile.

In data 17 dicembre 2015, il Primo presidente della Corte di Cassazione e il presidente del CNF hanno concordato un protocollo che fissa le regole redazionali dei ricorsi per cassazione in materia civile e tributaria.

Il protocollo nasce da una iniziativa del Primo Presidente della Corte Suprema, volta ad una significativa riduzione delle dimensioni dei ricorsi, in modo da poterne contenere la stesura in un ragionevole numero di pagine.

Accanto a regole formali, quali, ad esempio, l’utilizzo di foglio A4, i caratteri da usare (Times New Roman, Arial e simili), le interlinee, e soprattutto il numero di pagine del ricorso, che non possono superare le 5 per lo svolgimento del processo e le 30 per i motivi di impugnazione, si associano precisazioni circa lo svolgimento del processo, la sintesi dei motivi ed i motivi di impugnazione.

Il ricorso deve contenere i nomi delle parti (art. 366 n. 1 c.p.c.), gli estremi del provvedimento impugnato (art. 366 n. 2 c.p.c.), lo svolgimento del processo (art. 366 n. 3 c.p.c.), le conclusioni (art. 366 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 125 c.p.c.), l’oggetto del giudizio ed il valore della controversia.[13]

Quanto alla descrizione dello svolgimento del processo, appare oltremodo opportuno che il protocollo precisi che essa debba essere “sommaria” e, soprattutto, “ funzionale alla percepibilità delle ragioni poste a fondamento delle censure poi sviluppate nella parte motiva”.[14]

E questo è un punto nodale, bisogna andare al nocciolo della questione di legittimità anche per rispettare il ruolo della Corte che è Giudice di Legittimità e non Giudice del merito.

In definitiva è stato detto no al copia incolla e no all'assemblaggio degli atti.

Lo studio di questo protocollo, in effetti evidenzia un principio di efficienza degli atti processuali nel senso che ogni atto immediatamente percepibile è un atto efficiente quando non esonda e non si aggrava di inutili obesità, nonchè l'esatto contenuto del principio di autosufficienza che non sta a significare "tutto e di più", ma semplicemente impone di consentire al Giudice di Legittimità di leggere il ricorso e percepire subito immediatamente qual è la doglianza in ordine alla esatta applicazione di una norma all'interno del processo in esame, senza dover ricorrere a letture " esterne" al ricorso stesso.

Evidente, dunque, che in tal senso l'autosufficienza è il precipitato tecnico della sinteticità e della chiarezza.

I giudici della Cassazione, infatti, se non in casi del tutto eccezionali, per decidere se accogliere o respingere un ricorso, studiano il solo fascicoletto, che contiene ricorso, controricorso, sentenza impugnata e procura, se separata.

In altri termini l'autosufficienza del ricorso ha sempre avuto questo significato: non obbligare il giudice della Cassazione ad aprire il fascicolo di merito, poiché il giudice della Cassazione deve trovare ogni elemento utile alla decisione nel solo fascicoletto, ovvero nel ricorso o nel controricorso.

Se un avvocato mette a fuoco questo aspetto, capisce subito cosa deve scrivere, e cosa non è necessario scrivere nel ricorso, per soddisfare l’esigenza della autosufficienza.[15]

In definitiva, i fatti processuali da riportare sono, solo ed unicamente, quelli che possano avere una qualche pertinenza con il giudizio di Cassazione ed un avvocato Cassazionista non può non avere la capacità di discernere i fatti processuali utili da quelli inutili.

Va altresì detto che giustamente il protocollo pretende, per ciascun motivo di ricorso, non soltanto l’indicazione delle norme di legge che la parte ricorrente ritenga siano state violate dal provvedimento impugnato, perché questo è già previsto dall’art. 366 n. 4 c.p.c., ma anche una sintesi dei temi trattati, accompagnato da una sorta di abstract.

In effetti va indicato alla Corte, per ogni motivo di ricorso, il principio di diritto che si vorrebbe veder accolto.[16]

Indicare il principio di diritto ha un doppio effetto:

a) serve al ricorrente per aver conferma della serietà del motivo di impugnazione proposto e deve essere riassunto in un principio di diritto;

b) agevola il lavoro degli stessi giudici della Cassazione, i quali, pur avendo obbligo di esame, hanno la suggestione, per ogni motivo di impugnazione, del principio di diritto tenuti a enunciare anche ai sensi dell’art 384 c.p.c.

Il protocollo precisa che i motivi di ricorso devono “rispondere al criterio di specificità e di concentrazione.”[17]

Ed allora l’avvocato Cassazionista, impegnato nella stesura, dovrà controllare, non solo se il ricorso, nel rispetto del diritto di difesa, può essere più breve e contenuto nell’esposizione, ma anche se taluni motivi possano essere concentrati, così da ridurne, per quanto è possibile, il numero.4

Ecco perché gli avvocati di Cassazione devono essere specialisti.[18]

Ciò agevola la comprensione del ricorso ed, in una certa misura, lo rafforza, poiché appunto un buon ricorso per Cassazione deve esser fatto di pochi motivi, chiari, esposti in modo sintetico, e contenenti l’indicazione dei principi di diritto che si pretenderebbero accolti dalla suprema Corte.

La concentrazione dei motivi di ricorso può avvenire agevolmente in ipotesi di violazioni di legge, meno facilmente nella concentrazione di motivi di ricorso ai sensi dei nn. 3 e 5 art. 360 c.p.c., ovvero quando la denuncia di un vizio della sentenza sia fatto sotto i diversi aspetti della violazione di legge e del vizio di omissione e/o motivazione di una circostanza decisiva.

Tuttavia, stando anche all’orientamento assunto dalle sezioni unite sul punto, un motivo di ricorso può essere formulato anche unitamente ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. qualora la natura del vizio denunciato ne imponga la trattazione congiunta5.

In questi casi il ricorrente ben può concentrare in un unico motivo di ricorso anche denunce sotto i diversi aspetti nn. 3 e 5 art. 360 c.p.c.

In definitiva quello che emerge è che il ricorso deve essere sostanzialmente e formalmente efficiente.

Dal principio del giusto processo ci si avvia al principio del processo efficiente.

4. La redazione del ricorso per Cassazione, tra rigore e specificità.

Non è semplicissimo redigere un ricorso per Cassazione, sia per il peso specifico delle responsabilità assunte, sia per la capacità di mettere subito in evidenza quello che è necessario per evitare censure di inammissibiità.

In buona sostanza si devono osservare tre fondamentali regole:

1) La regola della chiara e sintetica esposizione;

2) La regola della formulazione precisa dei vizi della sentenza aggredita e dei motivi specifici di impugnazione, senza sovrapposizione degli stessi;  

3) La regola dell'efficienza dell'atto processuale.

La redazione del ricorso viene fatta ad opera dell'Avvocato Cassazionista , iscritto in un albo ad hoc e presuppone lo studio dell'intero processo che è attività complessa e delicata.[19]

Il protocollo del 15 dicembre 2015 ha predisposto uno schema di ricorso di seguito riportato:

PARTE RICORRENTE: Cognome e Nome / Denominazione sociale Data e luogo di nascita / Legale rappresentante Luogo di residenza / Sede sociale Codice fiscale Dati del difensore (Cognome e Nome, Codice fiscale, PEC e fax) Domicilio eletto Dati del domiciliatario (Cognome e Nome, Codice fiscale, PEC e fax) PARTE INTIMATA: Gli stessi dati indicati per la parte ricorrente, nel limite in cui essi siano noti alla medesima parte ricorrente SENTENZA IMPUGNATA: Indicare gli estremi del provvedimento impugnato (Autorità giudiziaria che lo ha emesso, Sezione, numero del provvedimento, data della decisione, data della pubblicazione, data della notifica (se notificato) OGGETTO DEL GIUDIZIO: Indicare un massimo di 10 (dieci) parole chiave, tra le quali debbono essere quelle riportate nella nota di iscrizione a ruolo, che descrivano sinteticamente la materia oggetto del giudizio. VALORE DELLA CONTROVERSIA. Indicare il valore della controversia ai fini della determinazione del contributo unificato SINTESI DEI MOTIVI: Enunciare sinteticamente i motivi del ricorso (in non più di alcune righe per ciascuno di essi e contrassegnandoli numericamente), mediante la specifica indicazione, per ciascun motivo, delle norme di legge che la parte ricorrente ritenga siano state violate dal provvedimento impugnato e dei temi trattati. Nella sintesi dovrà essere indicato per ciascun motivo anche il numero della pagina ove inizia lo svolgimento delle relative argomentazioni a sostegno nel prosieguo del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO L’esposizione del fatto deve essere sommaria, in osservanza della regola stabilita dall’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e deve essere funzionale alla percepibilità delle ragioni poste a fondamento delle censure poi sviluppate nella parte motiva. L’esposizione deve essere contenuta nel limite massimo di 5 pagine. MOTIVI DI IMPUGNAZIONE In questa parte trova spazio l’esposizione delle argomentazioni a sostegno delle censure già sinteticamente indicate nella parte denominata “sintesi dei motivi”. L’esposizione deve rispondere al criterio di specificità e di concentrazione dei motivi e deve essere contenuta nel limite massimo di 30 pagine. CONCLUSIONI In questa parte trova spazio l’indicazione del provvedimento in ultimo richiesto (e con richiesta comunque non vincolante). Ad esempio: cassazione con rinvio, cassazione senza rinvio con decisione di merito, ecc.. DOCUMENTI ALLEGATI Elencare secondo un ordine numerico progressivo gli atti e i documenti prodotti ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.

Questo schema appare senz'altro utile, anche se la capacità del legale può senz'altro consentire una stesura del ricorso anche più libera.

5. Osservazioni conclusive

Da quanto sopra esposto , appare del tutto evidente che le evoluzioni e le dinamiche attuali, nel campo giuridico, sono assolutamente sensibili ed, in particolare, sono attente allo studio della redazione degli atti processuali, intesi come atti della parte e come atti dell'autorità giudiziaria.

La mole di carte e l'impossibilità di far fronte alle stesse, con la necessaria e serena attenzione, ha spinto e, decisamente, costretto a diverse riflessioni che portano all'affermazione di altri e, più stringenti principi, di carattere processuali.

E questi principi rappresentano, senza ombra di dubbio, consistenti soluzioni per un processo, decisamente , più snello e più pratico: Il principio del confezionamento degli atti secondo i criteri di sinteticità e chiarezza ed il principio di efficienza degli atti processuali ed, in genere, di efficienza dell'intero processo.

A questo punto, infatti, sembra più giusto e più pertinente, affermare e consacrare l'efficienza processuale e non solo il concetto di autosufficienza.

Non può sottacersi che lo stesso concetto di autosufficienza, apparso sulla scena giuridica degli ultimi anni, ha dato adito a non pochi spunti critici ed è stato inteso nel senso opposto a quello dell'esigenza indefettibile di sintesi.

Autosufficienza, difatti, sembrava rappresentare un atto pieno ed esondante "di tutto e di più" perché solo in tal modo, avrebbe potuto consentirne una lettura autonoma, slegata dai vari fascicoli racchiusi nel faldone processuale.

Niente di tutto questo.

Nell'esaminato protocollo del 15 dicembre 2015 si è affermato a chiare lettere che:

"Il rispetto del principio di autosufficienza non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento. Il sunnominato principio deve ritenersi rispettato, anche per i ricorsi di competenza della Sezione tributaria, quando: 1) ciascun motivo articolato nel ricorso risponda ai criteri di specificità imposti dal codice di rito; 2) nel testo di ciascun motivo che lo richieda sia indicato l’atto, il documento, il contratto o l’accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso (art. 366, c. 1, n. 6), cod. proc. civ.), con la specifica indicazione del luogo (punto) dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo al quale ci si riferisce; 3) nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso originario, costituzione in giudizio, memorie difensive, ecc.) del deposito dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo e la fase (primo grado, secondo grado, ecc.) in cui esso è avvenuto; 4) siano allegati al ricorso (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all’allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., gli atti, i documenti, il contratto o l’accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso".

Ergo il vero obiettivo da raggiungere, all' attento esame del processo attuale, è la necessità di confezionare gli atti secondo criterio di efficienza ed intelligibilità immediata.

Nello specifico del ricorso per Cassazione, il ricorso deve essere sostanzialmente e formalmente efficiente, nel senso che la sua formulazione deve essere esaustiva, breve e chiara e, soprattutto, pertinente ad evidenziare i motivi e le violazioni specifiche delle legge per consentirne un esame più sereno e duttile.

Quello che si auspica è però l'inserimento di una norma ad hoc che codifichi il principio di efficienza nel confezionamento degli atti processuali e la relativa sanzione dell'inammissibilità in caso di violazione dello stesso principio.

I tempi sono più che maturi per farlo.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, Bari , Vol II, 2013, 401,402; P. CALAMANDREI, La Cassazione civile, Torino, 1920.
[2] Si consiglia la lettura di S. RUSCIANO, Nomofilachia e ricorso in Cassazione, in collana Biblioteca di diritto processuale civile, Torino, 2012.
[3] F. TERRUSI, Il ricorso per cassazione nel processo civile, in Collana Il Punto, Torino, 2004, 101-134.
[4] Art. 8. Modifiche all'articolo 374. 1. L'articolo 374 del codice di procedura civile e' sostituito dal seguente: «Art. 374 (Pronuncia a sezioni unite). - La Corte pronuncia a sezioni unite nei casi previsti nel n. 1) dell'articolo 360 e nell'articolo 362. Tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il ricorso può essere assegnato alle sezioni semplici, se sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite. Inoltre il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza. Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. In tutti gli altri casi la Corte pronuncia a sezione semplice.».
[5] Svolgono anche un'essenziale funzione nomofilattica le sezioni riunite della Corte dei conti e il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria e adunanza generale.
La funzione nomofilattica non opera soltanto nel diritto interno. Tralasciando i profili di diritto comparato, si deve quantomeno tener presente che svolge una sostanziale funzione nomofilattica, per il settore di relativa competenza anche la Corte di giustizia dell'Unione europea.
La cosiddetta competenza a titolo pregiudiziale, infatti non è altro che l'esplicazione "ante iudicium" di una funzione nomofilattica collegata all'applicazione del diritto comunitario e centralizzata - come per la Corte di cassazione con le Sezioni Unite - in una particolare formazione operativa della Corte medesima, la Grande Camera.
Atteso che la funzione nomofilattica dipende dalla solidità delle linee argomentative seguite per la risoluzione delle singole problematiche giuridiche sotto esame, una funzione nomofilattica va riconosciuta anche alla dottrina. L'autorevolezza dell'autore potrà spingere a un graduale mutamento giurisprudenziale, che potrà infine trovare il suo sbocco nelle sentenze della stessa Cassazione, chiudendo così il circolo del controllo giuridico collettivo sulle soluzioni adottate in relazione ai correnti problemi di diritto. Attualmente anche talune autorità indipendenti svolgerebbero una funzione nomofilattica.
Poiché le authorities svolgono spesso un ruolo di elaborazione e controllo sull'applicazione di numerose normative di settore, si ritiene che esse possano svolgere, nell'ambito delle loro funzioni di vigilanza, anche un controllo di tipo nomofilattico sugli atti degli enti assoggettati al loro controllo, per verificarne l'effettiva corrispondenza con la normativa legale e regolamentare di settore.
[6] Cfr. art. 382 c.p.c.
[7] Talvolta la pronuncia della Corte si configura come definitiva e blocca la prosecuzione del processo, stante l'impossibilità di giungere a una pronuncia di merito. Si tratta, più precisamente, dei casi in cui il ricorso viene accolto senza rinvio. Tali ipotesi sono tassativamente elencate dal terzo comma dell'articolo 382 del codice di procedura civile. Innanzitutto, la Corte cassa senza rinvio quando riconosce che il giudice del quale è impugnato il provvedimento ed ogni altro giudice difettano di giurisdizione. Ciò può accadere esclusivamente nei confronti di un giudice straniero o di un potere non giurisdizionale dello Stato, rientrandosi, negli altri casi, nelle ipotesi di cui al primo comma dell'articolo 382 del codice di rito, ovverosia in quelle di statuizione sulla giurisdizione. Allo stesso modo, la Corte cassa senza rinvio quando ritiene che la causa non poteva essere proposta. L'improponibilità può riguardare sia l'oggetto della pretesa, che potrebbe non trovare tutela nel nostro ordinamento o difettare di determinati presupposti processuali, sia le parti della controversia, che potrebbero difettare di legittimazione o di interesse ad agire. Infine, si ha cassazione senza rinvio nel caso in cui il processo non poteva essere proseguito davanti al giudice di merito. Si pensi, ad esempio, ai casi in cui nel processo di merito si è verificata una fattispecie estintiva, un'inammissibilità o un'improcedibilità.
[8] Nel caso in cui il ricorso per cassazione viene proposto in presenza di un'ordinanza di inammissibilità dell'appello ex articolo 348-bis, commi 3 e 4, c.p.c., la Corte rinvia la causa al giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull'appello. Ciò salvo i casi in cui il ricorso venga accolto per motivi di giurisdizione o di competenza (nel qual caso si procede a norma dell'articolo 382 c.p.c.). Circa il giudizio di rinvio ciascuna parte deve riassumere la causa entro tre mesi.
[9] Le Sezioni Unite n. 16628/2009 affermano che, nel ricorso per cassazione, una tecnica espositiva dei fatti di causa realizzata mediante la pedissequa riproduzione degli atti processuali, non soddisfa il requisito di cui all’art. 366, n.3, c.p.c. ed è inammissibile.
Anche le Sezioni Unite n. 5698/2012 hanno ribadito che, ai fini del requisito di cui all’art. 366, n.3, c.p.c.la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è per un verso del tutto superflua non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si sia articolata e per altro verso è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso.
[10] Suprema Corte di Cassazione, Sezione VI - 3 Civile, Ordinanza 11 aprile - 12 settembre 2017, n. 21136, omissis Motivi della decisione: 1. Il ricorso è inammissibile per il mancato rispetto del requisito di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3. Le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 16628/2009 hanno affermato che, nel ricorso per cassazione, una tecnica espositiva dei fatti di causa realizzata mediante la pedissequa riproduzione degli atti processuali non soddisfa il requisito di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3, che prescrive "l'esposizione sommaria dei fatti della causa" a pena di inammissibilità. E' stato infatti osservato che quella prescrizione è preordinata allo scopo di agevolare la comprensione dell'oggetto della pretesa, l'esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse, ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura. 2. Con la successiva ordinanza n. 19255/2010 è stato ribadito che l'assolvimento del requisito in questione è considerato dal legislatore come un'attività di narrazione del difensore che, in ragione dell'espressa qualificazione della sua modalità espositiva come sommaria, postula un'esposizione finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del processo. 3. Il principio è stato confermato con la pronuncia Sez. Un. n. 5698 del 11aprile 2012, con cui si è ribadito che in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all'art. 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell'intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso. 4. Nella specie l'esposizione sommaria dei fatti di causa è articolata in circa 26 pagine con la tecnica dell'assemblaggio, mediante fotocopia integrale di una serie di atti processuali: sentenza di rinvio dalla Cassazione, domande contenute nell'atto di riassunzione; conclusioni della comparsa di costituzione del Comune, note di udienza del S. del 1-10-12,foglio di precisazioni delle conclusioni del S. del 20-9-14. Manca del tutto il momento di sintesi idoneo ad illustrare la ricostruzione del fatto storico e lo svolgimento della vicenda processuale nei punti essenziali. 5. Anche la illustrazione dei motivi non consente di cogliere i fatti rilevanti in funzione della comprensione dei motivi stessi, in quanto sono formulati con la stessa tecnica e contengono nuovamente le note di udienza del S. del 1-10-12, la fotocopia dell'ordinanza del 23-1-2001 del Tribunale di Verona, la fotocopia della sentenza del Tribunale di Verona; provvedimenti del Comune, della regione Veneto, dell'Ispettorato provinciale dell'Agricoltura, controdeduzioni del c.t.p. del S.. Il ricorso deve dichiararsi inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.200,00,di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017 .Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2017.
[11] La Corte ha dato atto, ai sensi del DPR n. 115/2002, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
[12]U. MORCAVALLO, Il ricorso per cassazione. Dal giusto processo al processo efficiente, Milano, 2017, 26- 48.
[13] F. CARPI, La tecnica di formazione del ricorso per cassazione, in Riv. tri, Dir, Proc. Civ. 2004, 1017.
[14] Nel caso, poi, in cui la fattispecie sia particolarmente complessa, il ricorrente o il controricorrente devono specificare “le motivate ragioni per le quali sia ritenuto necessario eccedere dai limiti previsti”; e, di nuovo, “la eventuale riscontrata infondatezza delle motivazioni addotte per il superamento dei limiti dimensionali può essere valutata ai fini della liquidazione delle spese”.
[15] M. ACIERNO, P. CURZIO, A. GIUSTI ( a cura di), La Cassazione civile, Lezioni dei magistrati della Corte suprema italiana, Bari, 2015 e vd. R. RORDORF, nel noto articolo Questioni di diritto e giudizio di fatto, 1-11: “Il giudice di legittimità (salvo che in pochi casi piuttosto eccezionali) non deve affondare le mani nel materiale raccolto nelle fasi di merito, bensì decidere esclusivamente in base al contenuto degli atti compresi nel cosiddetto “fascicoletto”, che gli viene recapitato dalla cancelleria alcun tempo prima dell’udienza: un fascicolo di color arancione, nel quale sono contenuti unicamente il ruolo d’udienza, e per ogni ricorso di cui il consigliere è relatore, le copie del ricorso medesimo, del provvedimento impugnato, dell’eventuale controricorso e, se ve ne sono, delle memorie depositate dai difensori delle parti a norma dell’art. 378 c.p.c.”. 
[16] Nel 2006 fu inserito nel codice l’art 366 bis c.p.c. che pretendeva che ogni motivo di ricorso fosse completato con l’indicazione del quesito di diritto. La disposizione non ha avuto fortuna, ha avuto orientamenti giurisprudenziali non sempre coerenti, ed è stata fortemente criticata da parte della dottrina.
Venuto meno l’art. 366 bis c.p.c., non viene però meno l’esigenza di riuscir ad indicare, per ogni motivo di impugnazione, se non un quesito di diritto, un principio di diritto che si pretende affermato dalla Corte quale reazione alla violazione di legge compiuta dal giudice di merito.
[17] Si assiste, spesso, a ricorsi per cassazione contenenti una infinità di motivi di ricorso, l’uno ripetizione dell’altro.
[18] E’ una idea già tempo addietro lanciata dal CSM ma nemmeno presa in considerazione: si tratta, infatti, di rendere l’iscrizione all’albo degli avvocati cassazionisti incompatibile con quella di iscrizione agli albi ordinari.
[19]Passim: D. CHINDEMI, Ricorso civile per Cassazione; Tecniche di redazione dell'atto, Altalex , 2017; L. LEVITA ( a cura di),  Il ricorso per Cassazione. La nuova disciplina del giudizio di legittimità,Nuova Giuridica, 2014; G. MOLFESE, A: MOLFESE; Ricorso e controricorso per Cassazione in materia civile, Padova, 2013.