Pubbl. Sab, 27 Gen 2018
Traffico di influenze illecite e millantato credito: tratti distintivi
Modifica paginaLa Cassazione, con sentenza n. 53332 del 27 settembre 2017, pone a base della distinzione tra il delitto di millantato credito ed il delitto di traffico di influenze illecite la sussistenza o meno di un reale potere di influenza del soggetto agente nei confronti del pubblico ufficiale.
Sommario: 1. Il fatto; 2. Millantato credito; 3. Traffico di influenze illecite; 4. Tratti distintivi; 5. Conclusioni.
1. Il fatto
La sentenza n. 53332 del 27 settembre 2017 prende le mosse dal procedimento penale intrapreso nei confronti di un maresciallo dei Carabinieri il quale, dopo aver raccolto una querela, si faceva dare dal querelante una somma di denaro millantando di dover acquistare il favore del sostituto Procuratore, asserendo che in caso contrario il procedimento penale sarebbe rimasto fermo ed il querelante non avrebbe potuto ottenere la restituzione delle vetture in sequestro.
La condotta dell’imputato in primo grado veniva sussunta nella fattispecie di cui all’art. 346 bis c.p., invece, la Corte d’Appello la qualificava in termini di millantato credito ritenendola così punibile ai sensi dell’art. 346 c.p.
2. Millantato credito
Il delitto di millantato credito rientra nella categoria dei delitti contro la Pubblica Amministrazione e trova il suo fondamento normativo nell’art. 346 c.p.
In ordine all’individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma si sono contrapposti due indirizzi ermeneutici. Secondo l’orientamento maggioritario, seguito anche dalla sentenza in commento, si tratterebbe di un reato mono-offensivo: l’oggettività giuridica sarebbe, infatti, rappresentata esclusivamente dal prestigio della Pubblica Amministrazione che il millantatore andrebbe a ledere facendo apparire il pubblico ufficiale (o l’incaricato di un pubblico servizio) come persona avvicinabile, disposta a far prevalere l’interesse del singolo su quello pubblico in cambio di un proprio tornaconto personale. In base ad un secondo filone ermeneutico, invece, si tratterebbe di un reato plurioffensivo in quanto il bene giuridico tutelato non sarebbe rappresentato unicamente dal prestigio della Pubblica Amministrazione, ma altresì dal patrimonio del privato che, ingannato dal millantatore, effettua o promette la prestazione[1].
Con riguardo all’elemento materiale del reato vi è da precisare che la giurisprudenza ha da sempre ritenuto che le diverse condotte descritte ai commi primo e secondo diano luogo ad autonome fattispecie di reato, in tal senso si sono espresse anche le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 12822 del 12 gennaio 2010.
Per quanto concerne la prima fattispecie di reato, il comma I dispone che «chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309 a euro 2.065».
La condotta consiste in una vanteria, ossia nell’ostentazione della capacità di influire sulla volontà del pubblico ufficiale che viene presentato dal millantatore come soggetto avvicinabile, disposto a favorire gli interessi privati a discapito di quelli pubblici. La giurisprudenza ha precisato che non sia necessaria l’individuazione dei singoli funzionari cui il millantatore fa riferimento, ciò che conta è che agli occhi del privato risulti evidente la lesione del prestigio della P.A. i cui interessi il funzionario appare disposto a pregiudicare per un proprio tornaconto personale[2].
Vi è da precisare che nel delitto de quo l’intermediario non ha la benché minima intenzione di intercedere verso il pubblico ufficiale: infatti, l’ostentazione della capacità di influire sulla volontà di quest’ultimo è finalizzata esclusivamente ad ottenere una prestazione –o la sua promessa- in proprio favore.
Al comma II si prevede l’ipotesi in cui «il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare». Nel caso di specie il millantatore prospetta al privato che il denaro richiestogli sia funzionale all’acquisto del favore del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio), tuttavia, il reo deve agire con l’intenzione di ricevere la prestazione e tenerla per sé. Laddove, invece, il soggetto attivo agisse con l’effettiva intenzione di destinare la prestazione ricevuta a vantaggio del pubblico ufficiale si rientrerebbe in una diversa fattispecie di reato: secondo alcuni si ricadrebbe nel delitto di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346 bis c.p., secondo altri si avrebbe un concorso nel delitto di corruzione consumata o tentata a seconda della corresponsione o meno dell’utilità in favore del Pubblico Ufficiale.
In conclusione, come ribadito anche nella sentenza in commento, la differenza tra le fattispecie di reato di cui ai commi I e II dell’art. 346 c.p. sta nella diversa prospettazione che il millantatore fa al privato in ordine alla destinazione dell’utilità ricevuta: nel delitto di cui al primo comma l’utilità ricevuta viene prospettata come corrispettivo per la propria mediazione verso il pubblico ufficiale, nel delitto di cui al secondo comma è prospettata come prezzo della corruzione[3].
In entrambe le fattispecie il fatto tipico è delineato come reato comune: la condotta oggetto di incriminazione può essere , infatti, tenuta da chiunque, non essendo necessaria la titolarità, in capo al soggetto attivo, di una particolare qualifica soggettiva. Per quanto concerne l’elemento soggettivo è, invece, necessario e sufficiente il dolo generico.
Il millantato credito si caratterizza per essere un reato a concorso necessario: è indispensabile, infatti, la partecipazione di due soggetti. ossia il millantatore ed il soggetto che dà o promette l’utilità credendo di poter così ottenere il favore del pubblico ufficiale. La posizione del privato non acquisisce rilevanza penale in quanto lo stesso è, in realtà, un “compratore di fumo” vittima di un raggiro.
3. Traffico di influenze illecite
Il legislatore con la L. 190/2012, meglio conosciuta come “legge anticorruzione”, ha deciso di intervenire sul Titolo II del Libro II del codice penale concernente i delitti contro la pubblica amministrazione, ciò anche al fine di adeguarsi alle Convenzioni internazionali in materia di corruzione[4].
Con la suddetta legge, intitolata “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, sono state apportate varie modifiche alle disposizioni vigenti nonché introdotte nuove fattispecie di reato tra le quali il delitto di traffico di influenze illecite.
L’art. 346 bis c.p. al comma I dispone che «chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni».
Attraverso l’introduzione della disposizione de qua, finalizzata alla tutela del prestigio e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, il legislatore ha inteso anticipare la soglia di punibilità andando a colpire tutte quelle condotte prodromiche alla commissione del delitto di corruzione. Ciò rappresenta una novità di rilievo, infatti, prima della suddetta novella legislativa, la condotta consistente nel mero raggiungimento di un accordo finalizzato alla commissione del delitto di corruzione non rilevava neanche a titolo di tentativo.
La condotta descritta dal legislatore consiste nello sfruttamento da parte del soggetto agente di relazioni esistenti con il pubblico ufficiale per far dare o promettere, per sé o per altri, una somma di denaro od altra utilità funzionale a remunerare o la propria attività di mediazione illecita oppure il funzionario pubblico per il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto d’ufficio.
La relazione intercorrente tra il mediatore ed il pubblico ufficiale è sfruttata anche dal soggetto privato: è proprio nel potere del primo di orientare la condotta del secondo che la dazione o la promessa trovano la propria ragione giustificatrice. Ecco allora che anche la condotta del privato acquisisce rilevanza penale, tanto è che il comma II dispone che «la stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale».
Per quanto concerne l’elemento soggettivo è necessario e sufficiente il dolo generico.
Il legislatore ha previsto altresì delle specifiche circostanze aggravanti: al comma III si prevede, infatti, che «la pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sè o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio» ed al comma IV che «le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di attività giudiziarie». Nel caso in cui i fatti siano di «particolare tenuità» è possibile, invece, una diminuzione di pena.
4. Tratti distintivi
Dalla sopraesposta disamina delle fattispecie emerge che tra le due disposizioni vi siano importanti tratti distintivi.
Il primo elemento differenziale è rappresentato dal fatto che all’art. 346 bis c.p. si fa riferimento allo sfruttamento di relazioni esistenti tra il mediatore ed il pubblico ufficiale; inoltre, è altresì necessario che il primo abbia un reale potere di influenza sul secondo. Diversamente, la fattispecie di cui all’art. 346 c.p. ricorre in tutte le ipotesi in cui il potere di influenza non sussista, ma ciononostante il millantatore lo ostenti al fine di ricevere un vantaggio indebito con pari danno per il soggetto privato vittima del raggiro[5].
Il secondo tratto distintivo è rappresentato dal fatto che nel delitto di cui all’art. 346 bis c.p. acquisisce rilevanza penale anche la condotta del privato. Egli viene punito per aver stipulato il pactum sceleris finalizzato alla corruzione del pubblico ufficiale attraverso lo sfruttamento delle relazioni intercorrenti tra quest’ultimo ed il mediatore. Ovviamente il privato deve essere consapevole dell’esistenza del potere di influenza e quindi che «il pericolo per la disfunzione dei pubblici apparati a suo vantaggio sia obiettivo concretamente perseguibile». La posizione del privato è invece irrilevante nel delitto di cui all’art. 346 c.p., infatti, egli assume la veste del «malcapitato “compratore di fumo”, beffato (…) eventualmente da tutelare sotto il profilo dell’interesse patrimoniale leso»[6].
5. Conclusioni
Alla luce di quanto sopra, la Cassazione ha sussunto il caso concreto nella fattispecie di cui all’art. 346 bis c.p.: erano sussistenti, infatti, tanto una relazione tra l’imputato ed il pubblico ufficiale quanto un potere di influenza del primo nei confronti del secondo ed è proprio lo sfruttamento di tali elementi che ha rappresentato la ragione giustificatrice della dazione ad opera del privato.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 1997 - 21 marzo 1997, n. 2740, secondo cui «nel reato di millantato credito persona offesa non è solo la pubblica amministrazione, ma altresì colui che effettua o promette la prestazione: invero elemento essenziale della condotta criminosa è anche la lesione dell’integrità patrimoniale del soggetto vittima della millanteria».
[2] Ex pluribus Cass. pen., sez. VI, 27 gennaio 2000 – 1 marzo 2000, n. 2645.
[3] Ex multis Cass. pen., 2 maggio 1983, n. 1597; Cass. pen., 24 gennaio 1990 – 30 maggio 1990, n. 7529; Cass. pen., 19 marzo 2003, n. 17923.
[4] Tra questi la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 2003, cd. Convenzione di Merida.
[5] «…il delitto di millantato credito…presuppone che non esista il credito né la relazione con il pubblico ufficiale e tanto meno l’influenza; mentre il traffico di influenze postula una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale» Cass. 53332/2017, cit.
[6] Cass. 53332/2017, cit.