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La natura pubblicistica della raccolta del risparmio postale e la qualificazione soggettiva del dipendente di Poste italiane S.p.a.
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Pubbl. Gio, 18 Dic 2025

La natura pubblicistica della raccolta del risparmio postale e la qualificazione soggettiva del dipendente di Poste italiane S.p.a.

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Aldo Andrea Presutto
AvvocatoUniversità degli Studi di Napoli Parthenope



Il contributo esamina la sentenza delle Sezioni Unite n. 34036/2025, che ha risolto il contrasto sulla qualifica dei dipendenti di Poste Italiane addetti al risparmio postale. La Corte ha riconosciuto la natura pubblicistica della raccolta tramite libretti e buoni fruttiferi, attribuendo agli operatori la qualifica di incaricati di pubblico servizio e confermando la configurabilità del peculato. L’analisi evidenzia l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, la confutazione della tesi privatistica e le implicazioni sistematiche sul principio di eguaglianza e sul confine tra pubblico e privato nel diritto penale della P.A.


ENG

The Public Nature of Postal Savings Collection and the Legal Qualification of Poste Italiane S.p.A. Employees

This paper examines Supreme Court’s United Sections ruling no. 34036/2025, which settled the debate on the legal status of Poste Italiane employees engaged in postal savings. The Court affirmed the public nature of savings collection through passbooks and bonds, classifying operators as public service officials and confirming the applicability of embezzlement charges. The analysis highlights legislative and case law developments, rejection of the privatistic view, and systemic implications for equality and the boundary between public and private in criminal law of public administration.

Sommario: 1. Premessa: la rilevanza della questione e l'esigenza nomofilattica; 2. I fatti di causa e l'iter processuale; 3. Il quadro normativo di riferimento: dall'ente pubblico alla società per azioni; 3.1. La trasformazione di Poste Italiane e la disciplina del bancoposta; 3.2. Il regime speciale del risparmio postale nel d.P.R. n. 144/2001; 3.3. Il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti e la garanzia dello Stato; 4. Il criterio funzionale-oggettivo nella definizione delle qualifiche pubblicistiche; 4.1. L'abbandono del criterio soggettivo e la riforma del 1990; 4.2. La nozione di pubblico servizio nell'art. 358 c.p.; 5. Il contrasto giurisprudenziale; 5.1. L'orientamento maggioritario: la tesi pubblicistica; 5.2. L'orientamento minoritario: la tesi privatistica.; 6. L'ordinanza di rimessione n. 31605/2024: la cristallizzazione del contrasto; 7. La decisione delle Sezioni Unite n. 34036/2025; 7.1. La ricostruzione della ratio decidendi; 7.2. Gli argomenti a sostegno della qualificazione pubblicistica; 7.3. La confutazione della tesi privatistica; 8. Valutazione critica della soluzione adottata; 8.1. Profili di coerenza sistematica; 8.2. La questione del principio di eguaglianza; 8.3. L'impatto sulla distinzione tra peculato e appropriazione indebita; 9. Implicazioni sistematiche e ricadute applicative; 10. Conclusioni: la bancoposta come paradigma della tensione tra pubblico e privato.

1. Premessa: la rilevanza della questione e l'esigenza nomofilattica

La questione della qualificazione soggettiva del dipendente di Poste Italiane S.p.A. addetto alla raccolta del risparmio postale ha rappresentato, per oltre un decennio, uno dei nodi ermeneutici più controversi nell'ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione. Il contrasto giurisprudenziale, lungi dal costituire una mera disputa classificatoria, investiva profili di straordinaria rilevanza pratica, atteso che dalla soluzione della quaestio iuris dipendeva l'applicabilità dell'art. 314 c.p. – che punisce il peculato con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi – ovvero dell'art. 646 c.p. – che sanziona l'appropriazione indebita con la reclusione fino a tre anni – con evidenti ricadute sia sul piano del trattamento sanzionatorio sia su quello della prescrizione del reato[1].

L'intervento delle Sezioni Unite, sollecitato dalla Sesta Sezione Penale con l'ordinanza di rimessione n. 31605 del 2024, si imponeva dunque come necessario presidio della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, al fine di garantire la prevedibilità delle decisioni giudiziarie e l'uniforme applicazione della legge penale su tutto il territorio nazionale[2].

La pronuncia n. 34036 del 2025, oggetto della presente analisi, ha definitivamente composto il contrasto, affermando la natura pubblicistica dell'attività di raccolta del risparmio postale e riconoscendo, conseguentemente, la qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo all'operatore di Poste Italiane. La soluzione adottata, che si inscrive nel solco dell'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, merita un approfondito esame critico, tanto con riguardo alla solidità dell'impianto argomentativo quanto in relazione alle sue implicazioni sistematiche.

2. I fatti di causa e l'iter processuale

Il caso sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite traeva origine da una complessa vicenda appropriativa posta in essere da un dipendente di Poste Italiane S.p.A. con funzioni di responsabile della sala consulenze presso un ufficio postale.

Secondo la ricostruzione accusatoria, confermata nei due gradi di merito, l'imputato aveva sistematicamente sottratto somme di denaro derivanti dal riscatto di buoni fruttiferi postali intestati ai clienti dell'ufficio, somme che avrebbero dovuto essere destinate a operazioni di reinvestimento. La condotta appropriativa, protrattasi per un significativo arco temporale, era stata realizzata mediante l'abuso delle credenziali informatiche e delle prerogative connesse al ruolo ricoperto, che consentivano all'agente di operare sui rapporti della clientela e di disporre delle relative giacenze[3].

La Corte di Appello aveva confermato la condanna per il delitto di peculato continuato, ravvisando nella condotta dell'imputato gli estremi della fattispecie di cui all'art. 314 c.p., sul presupposto che l'attività di raccolta del risparmio postale costituisse pubblico servizio e che, conseguentemente, il dipendente di Poste Italiane rivestisse la qualifica di incaricato di pubblico servizio.

Avverso tale pronuncia, la difesa dell'imputato proponeva ricorso per cassazione, articolando plurimi motivi di doglianza. In particolare, con il primo motivo di ricorso, si contestava l'erronea qualificazione giuridica del fatto, assumendo che l'attività di bancoposta avesse natura schiettamente privatistica e che, pertanto, la condotta avrebbe dovuto essere ricondotta nell'alveo dell'appropriazione indebita o, in subordine, della truffa. Con il secondo motivo, si deduceva che le somme fossero state ottenute mediante artifici e raggiri, con conseguente configurabilità del reato di truffa in luogo del peculato. Ulteriori censure investivano l'elemento soggettivo, la determinazione della pena e la prescrizione del reato[4].

La Sesta Sezione Penale, investita del ricorso, rilevava l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione centrale della qualificazione dell'attività e, con ordinanza n. 31605 del 2024, rimetteva la decisione alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 618 c.p.p.

3. Il quadro normativo di riferimento: dall'ente pubblico alla società per azioni

3.1. La trasformazione di Poste Italiane e la disciplina del bancoposta

La corretta impostazione della quaestio iuris impone una preliminare ricognizione del quadro normativo che disciplina l'attività di Poste Italiane S.p.A. e, segnatamente, il servizio di bancoposta.

Il processo di trasformazione dell'Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni – originariamente configurata come azienda autonoma dello Stato – ha attraversato diverse fasi. Con il d.l. 1° dicembre 1993, n. 487, convertito con modificazioni dalla l. 29 gennaio 1994, n. 71, l'azienda è stata dapprima trasformata in ente pubblico economico. Successivamente, la delibera del CIPE del 18 dicembre 1997 ha disposto la trasformazione dell'ente in società per azioni, con decorrenza dal 28 febbraio 1998[5].

Tale metamorfosi istituzionale non ha tuttavia determinato, secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza, il venir meno ipso facto della natura pubblicistica di tutte le attività svolte dall'ente. Il mutamento della veste giuridica, infatti, non incide sulla qualificazione delle singole attività, che deve essere operata alla stregua del criterio funzionale-oggettivo introdotto dalla riforma del 1990[6].

3.2. Il regime speciale del risparmio postale nel d.P.R. n. 144/2001

Il d.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, recante il Regolamento concernente i servizi di bancoposta, costituisce la fonte normativa primaria per la ricostruzione del regime giuridico dell'attività in esame. L'art. 2, comma 1, del citato decreto opera una distinzione fondamentale tra diverse tipologie di attività esercitabili da Poste Italiane:

«BancoPosta è la denominazione con la quale la società Poste italiane S.p.a. svolge le seguenti attività: a) raccolta del risparmio postale, sulla base di apposite convenzioni stipulate con la Cassa depositi e prestiti; b) raccolta del risparmio tra il pubblico, sotto ogni forma, ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 [...]»[7].

La distinzione tra la lettera a) e la lettera b) dell'art. 2 riveste un'importanza sistematica decisiva, che le Sezioni Unite hanno valorizzato compiutamente. Mentre la raccolta del risparmio tra il pubblico (lett. b) è assoggettata alla disciplina del Testo Unico Bancario e assume natura privatistica, la raccolta del risparmio postale (lett. a) soggiace a un regime speciale di diritto pubblico, caratterizzato dalla stipulazione di convenzioni con la Cassa Depositi e Prestiti e dalla destinazione delle risorse al finanziamento di finalità di interesse generale[8].

Né può sottacersi il rilievo dell'art. 12 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Codice postale), che, con disposizione di carattere generale, qualificava espressamente gli addetti ai servizi postali e di bancoposta come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. Tale norma, ancorché anteriore alla privatizzazione, conserva rilevanza ermeneutica quale indice della voluntas legis in ordine alla natura dell'attività[9].

3.3. Il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti e la garanzia dello Stato

Il d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326, ha disposto la trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni, delineandone al contempo la missione istituzionale. L'art. 5, comma 7, del citato decreto-legge stabilisce che:

«La raccolta del risparmio postale [...] continua ad essere effettuata dalla società Cassa depositi e prestiti S.p.a., per il tramite di Poste Italiane S.p.a., ed è assistita dalla garanzia dello Stato»[10].

La garanzia statale sui prodotti del risparmio postale – estesa tanto ai libretti quanto ai buoni fruttiferi – costituisce un elemento qualificante che differenzia nettamente tali strumenti dai prodotti finanziari ordinari. Non si tratta di una mera garanzia accessoria, funzionale al rafforzamento del credito, bensì dell'espressione normativa della funzione pubblicistica della raccolta, destinata al finanziamento degli enti locali, delle opere pubbliche e delle infrastrutture strategiche nazionali[11].

Ulteriori elementi distintivi sono rappresentati dal regime fiscale agevolato dei prodotti del risparmio postale, dalla loro immediata liquidabilità e dalla sottoposizione dell'attività al controllo della Corte dei Conti e al potere di indirizzo del Ministero dell'Economia e delle Finanze, esercitato mediante decreti ministeriali che definiscono le condizioni economiche dei prodotti[12].

4. Il criterio funzionale-oggettivo nella definizione delle qualifiche pubblicistiche

4.1. L'abbandono del criterio soggettivo e la riforma del 1990

La l. 26 aprile 1990, n. 86, ha segnato una svolta epocale nella definizione delle qualifiche soggettive rilevanti ai fini dei delitti contro la pubblica amministrazione. Il legislatore, recependo le sollecitazioni della dottrina più avvertita, ha abbandonato il criterio formale-soggettivo – fondato sul rapporto organico con l'ente pubblico – in favore del criterio funzionale-oggettivo, incentrato sulla natura dell'attività concretamente svolta[13].

Tale opzione metodologica risponde a un'esigenza di tutela sostanziale degli interessi protetti dalle norme incriminatrici. Se si consentisse di sottrarre determinate attività alla disciplina penale speciale mediante il mero ricorso a moduli organizzativi privatistici, la tutela del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione risulterebbe irrimediabilmente compromessa. Come efficacemente osservato, «la scelta della forma privatistica per lo svolgimento di attività materialmente pubblicistiche non può tradursi in un'immunità penale per i soggetti che di fatto esercitano funzioni o servizi pubblici»[14].

Le Sezioni Unite, nella sentenza Citaristi del 1992, hanno compiutamente delineato le implicazioni del nuovo criterio, affermando che «la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio deve essere riconosciuta a tutti i soggetti che, pubblici dipendenti o meno che siano, possono e debbono essere definiti tali alla stregua delle norme definitorie di cui agli artt. 357 e 358 c.p., come modificati dalla legge n. 86 del 1990»[15].

4.2. La nozione di pubblico servizio nell'art. 358 c.p.

L'art. 358 c.p., nella formulazione vigente, definisce l'incaricato di pubblico servizio come colui che «a qualunque titolo presta un pubblico servizio», intendendo per tale «un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale»[16].

La norma opera una definizione per differenza rispetto alla pubblica funzione di cui all'art. 357 c.p., escludendo i poteri autoritativi e certificativi ma richiedendo comunque una disciplina pubblicistica dell'attività. Tale disciplina deve essere individuata in «norme di diritto pubblico e atti autoritativi», con esclusione delle attività regolate esclusivamente dal diritto privato[17].

La giurisprudenza ha progressivamente elaborato una serie di indici rivelatori della natura pubblicistica di un'attività, tra i quali assumono rilievo: la sottoposizione a controlli e vigilanza pubblicistici; la determinazione eteronoma delle condizioni di esercizio; la destinazione al soddisfacimento di bisogni di interesse generale; l'obbligatorietà della prestazione; la sottoposizione a regimi tariffari predeterminati[18].

5. Il contrasto giurisprudenziale

5.1. L'orientamento maggioritario: la tesi pubblicistica

L'orientamento favorevole alla qualificazione pubblicistica dell'attività di raccolta del risparmio postale, fatto proprio dalla maggioranza delle pronunce della Sesta Sezione, si fonda su una lettura sistematica delle disposizioni normative che ne disciplinano l'esercizio.

La sentenza Carloni del 2016 costituisce il leading case di tale indirizzo. In tale pronuncia, la Corte ha affermato che l'attività di raccolta del risparmio postale «mantiene la sua originaria connotazione pubblicistica anche dopo la trasformazione di Poste Italiane in società per azioni, in ragione della peculiare disciplina che ne governa l'esercizio, dei vincoli che gravano sulla determinazione delle condizioni economiche, della garanzia dello Stato che assiste i prodotti del risparmio postale e della destinazione delle risorse raccolte al finanziamento di finalità di interesse generale»[19].

Tale orientamento valorizza in particolare:

La distinzione normativa operata dall'art. 2 del d.P.R. n. 144/2001 tra la raccolta del risparmio postale e la raccolta del risparmio tra il pubblico, che non sarebbe casuale ma rifletterebbe la diversa natura giuridica delle due attività.

La garanzia dello Stato sui prodotti del risparmio postale, espressione della persistente funzione pubblicistica della raccolta.

La strumentalità della raccolta rispetto alle finalità istituzionali della Cassa Depositi e Prestiti, che utilizza le risorse per il finanziamento degli enti locali e delle infrastrutture.

La sottoposizione dell'attività al controllo della Corte dei Conti e al potere di indirizzo del Ministero dell'Economia, mediante decreti che definiscono le condizioni economiche dei prodotti[20].

Nel solco della sentenza Carloni si collocano numerose pronunce conformi, tra cui le sentenze Barraco, Santonocito, Serva, Parrotta, Ferreri e Faso, che hanno progressivamente consolidato l'orientamento maggioritario.[21]

5.2. L'orientamento minoritario: la tesi privatistica

L'orientamento contrario, espresso in particolare nelle sentenze De Vito/Romano del 2014 e Paolacci del 2018, nega la qualifica di incaricato di pubblico servizio al dipendente di Poste Italiane addetto alla raccolta del risparmio postale, assumendo la natura schiettamente privatistica dell'attività.

Gli argomenti posti a fondamento di tale tesi possono essere così sintetizzati:

La natura intrinsecamente bancaria dell'attività, che non differirebbe, nella sua essenza, dalla raccolta del risparmio svolta dagli istituti di credito.

L'assenza di poteri pubblicistici in capo all'operatore, che compie operazioni materiali di natura esecutiva prive di qualsiasi connotazione autoritativa o certificativa.

Il principio di eguaglianza, che sarebbe violato dalla disparità di trattamento tra il dipendente di Poste Italiane – chiamato a rispondere di peculato – e l'impiegato bancario – che per la medesima condotta risponderebbe di appropriazione indebita.

L'evoluzione del mercato dei servizi finanziari, che avrebbe determinato il venir meno della specialità del risparmio postale, ormai in diretta concorrenza con i prodotti bancari e assicurativi[22].

Tale orientamento contesta inoltre la rilevanza attribuita dalla tesi opposta alla garanzia dello Stato, osservando che anche i depositi bancari sono assistiti da un sistema di garanzia – il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi – senza che ciò determini la qualificazione pubblicistica dell'attività bancaria[23].

6. L'ordinanza di rimessione n. 31605/2024: la cristallizzazione del contrasto

L'ordinanza della Sesta Sezione n. 31605 del 2024 ha segnato un momento di svolta nell'evoluzione della vicenda, cristallizzando il contrasto giurisprudenziale e sollecitando l'intervento delle Sezioni Unite.

Il collegio rimettente, nell'analizzare i motivi del ricorso proposto dalla difesa dell'imputato, ha rilevato l'esistenza di due orientamenti inconciliabili sulla questione della qualificazione dell'attività di raccolta del risparmio postale. Significativamente, l'ordinanza manifesta una chiara adesione all'orientamento minoritario, pur rimettendo la questione al Supremo Consesso per la necessaria composizione nomofilattica[24].

L'ordinanza sviluppa articolatamente gli argomenti favorevoli alla tesi privatistica, insistendo in particolare sulla violazione del principio di eguaglianza che deriverebbe dal diverso trattamento riservato a condotte sostanzialmente identiche, a seconda che siano poste in essere da dipendenti di Poste Italiane o da impiegati bancari. Si osserva che, in entrambi i casi, l'agente si appropria di somme affidate dalla clientela, senza che la diversa destinazione finale delle risorse – alla CDP nel primo caso, all'istituto di credito nel secondo – possa giustificare una disparità di trattamento sanzionatorio così marcata[25].

Il collegio rimettente evidenzia altresì come l'orientamento pubblicistico conduca a esiti paradossali, atteso che la stessa CDP può avvalersi, per la raccolta del risparmio, anche di istituti bancari diversi da Poste Italiane. In tali casi, secondo la tesi pubblicistica, il dipendente bancario che gestisce prodotti CDP acquisterebbe la qualifica di incaricato di pubblico servizio, mentre il collega addetto ai prodotti bancari ordinari resterebbe soggetto privato, con evidenti difficoltà applicative[26].

7. La decisione delle Sezioni Unite n. 34036/2025

7.1. La ricostruzione della ratio decidendi

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 34036 del 2025, hanno risolto il contrasto aderendo all'orientamento maggioritario e affermando la natura pubblicistica dell'attività di raccolta del risparmio postale.

La pronuncia si segnala per l'ampiezza e l'articolazione dell'apparato argomentativo, che muove da una puntuale ricognizione del quadro normativo per poi sviluppare una serrata confutazione degli argomenti addotti dall'orientamento minoritario.

Il dictum delle Sezioni Unite può essere così sintetizzato: la raccolta del risparmio postale, consistente nella raccolta di fondi mediante libretti di risparmio postale e buoni fruttiferi postali per conto della Cassa Depositi e Prestiti, costituisce pubblico servizio ai sensi dell'art. 358 c.p.; conseguentemente, l'operatore di Poste Italiane S.p.A. addetto a tale attività riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio e risponde del delitto di peculato in caso di appropriazione delle somme di cui abbia il possesso o la disponibilità per ragione del servizio.

7.2. Gli argomenti a sostegno della qualificazione pubblicistica

Le Sezioni Unite fondano la propria decisione su una pluralità di argomenti, che convergono nel delineare la specificità della disciplina del risparmio postale rispetto all'ordinaria attività bancaria.

In primo luogo, la Corte valorizza la distinzione operata dall'art. 2 del d.P.R. n. 144/2001, osservando che il legislatore ha inteso mantenere separati due ambiti di attività ontologicamente diversi: la raccolta del risparmio postale, disciplinata da norme di diritto pubblico e funzionale alle finalità istituzionali della CDP, e la raccolta del risparmio tra il pubblico, assoggettata alla disciplina del Testo Unico Bancario. Tale distinzione non sarebbe meramente nominalistica, ma rifletterebbe una diversa natura giuridica delle due attività.

In secondo luogo, le Sezioni Unite attribuiscono rilievo decisivo alla garanzia dello Stato sui prodotti del risparmio postale, prevista dall'art. 5, comma 7, del d.l. n. 269/2003. Tale garanzia, che copre integralmente il capitale e gli interessi, non ha natura di mero strumento di marketing finanziario, ma esprime la funzione pubblicistica della raccolta, volta a convogliare il risparmio delle famiglie verso il finanziamento di finalità di interesse generale.

In terzo luogo, la Corte evidenzia la strumentalità della raccolta rispetto alla missione istituzionale della Cassa Depositi e Prestiti, che utilizza le risorse provenienti dal risparmio postale per il finanziamento degli enti locali, delle opere pubbliche e delle infrastrutture strategiche. Tale destinazione vincolata delle risorse conferma la natura pubblicistica dell'attività, che si inserisce nel circuito della finanza pubblica.

In quarto luogo, le Sezioni Unite valorizzano il regime di controllo e vigilanza cui è sottoposta l'attività di raccolta del risparmio postale. La Corte dei Conti esercita un controllo sulla gestione della CDP, mentre il Ministero dell'Economia e delle Finanze dispone di penetranti poteri di indirizzo, esercitati mediante decreti ministeriali che definiscono le condizioni economiche dei prodotti. Tale assetto, incompatibile con la logica dell'autonomia privata, connota l'attività in senso pubblicistico.

In quinto luogo, la pronuncia richiama l'art. 12 del d.P.R. n. 156/1973, che qualificava espressamente gli addetti ai servizi postali e di bancoposta come pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. Benché tale disposizione sia anteriore alla privatizzazione, essa conserva valore ermeneutico quale indice della ratio legis in ordine alla natura dell'attività.

7.3. La confutazione della tesi privatistica

Le Sezioni Unite procedono a una puntuale confutazione degli argomenti addotti dall'orientamento minoritario.

Con riguardo all'asserita natura bancaria dell'attività, la Corte osserva che la circostanza per cui la raccolta del risparmio postale presenti analogie operative con l'attività bancaria non è sufficiente a qualificarla come tale. Ciò che rileva, ai fini della qualificazione pubblicistica, non è la materialità delle operazioni compiute dall'operatore, bensì la disciplina giuridica dell'attività e la sua finalizzazione a interessi di carattere generale.

Con riguardo alla doglianza fondata sul principio di eguaglianza, le Sezioni Unite osservano che la disparità di trattamento tra il dipendente di Poste Italiane e l'impiegato bancario trova giustificazione nella diversa natura dell'attività svolta. L'operatore che si appropria di somme destinate alla CDP non lede soltanto il patrimonio del risparmiatore, ma pregiudica anche l'interesse pubblico al corretto svolgimento del servizio di raccolta e alla destinazione delle risorse alle finalità istituzionali. Tale maggiore disvalore giustifica il più severo trattamento sanzionatorio.

La Corte precisa altresì che il principio di eguaglianza non impone l'uniformità di trattamento di situazioni diverse, ma vieta trattamenti irragionevolmente discriminatori di situazioni analoghe. La diversità di disciplina tra raccolta del risparmio postale e attività bancaria esclude l'analogia delle situazioni e, conseguentemente, la fondatezza della censura[27].

Con riguardo all'obiezione fondata sulla possibilità per la CDP di avvalersi anche di istituti bancari per la raccolta del risparmio, le Sezioni Unite osservano che tale circostanza non incide sulla qualificazione dell'attività svolta da Poste Italiane. La specificità del risparmio postale deriva dalla sua disciplina normativa e dalla sua strumentalità rispetto alle finalità istituzionali della CDP, elementi che permangono indipendentemente dalla circostanza che la raccolta sia affidata a Poste Italiane o ad altri soggetti.

Con riguardo, infine, al rilievo per cui i rapporti con la clientela sarebbero regolati dal diritto privato, la Corte osserva che la natura privatistica dei rapporti contrattuali non esclude la qualificazione pubblicistica del servizio. È pacifico, infatti, che numerosi servizi pubblici siano erogati mediante contratti di diritto privato, senza che ciò incida sulla natura dell'attività.

8. Valutazione critica della soluzione adottata

8.1. Profili di coerenza sistematica

La soluzione adottata dalle Sezioni Unite appare coerente con i principi generali in materia di qualifiche soggettive e con l'evoluzione normativa del settore.

Il criterio funzionale-oggettivo, che costituisce il cardine del sistema introdotto dalla riforma del 1990, impone di avere riguardo alla natura intrinseca dell'attività svolta, prescindendo dalla veste giuridica dell'ente. Tale impostazione risponde a un'esigenza di tutela sostanziale, che verrebbe frustrata se fosse sufficiente il ricorso a moduli organizzativi privatistici per sottrarre determinate attività alla disciplina penale speciale.[28]

La pronuncia delle Sezioni Unite valorizza compiutamente gli elementi che differenziano la raccolta del risparmio postale dall'attività bancaria ordinaria: la disciplina di fonte pubblicistica, la garanzia dello Stato, la destinazione delle risorse a finalità di interesse generale, la sottoposizione a controlli e poteri di indirizzo ministeriali. Tali elementi, considerati nel loro insieme, delineano un regime giuridico che presenta tutti i caratteri del pubblico servizio.[29]

8.2. La questione del principio di eguaglianza

La doglianza fondata sul principio di eguaglianza, ancorché suggestiva, non appare decisiva.

Come correttamente osservato dalle Sezioni Unite, il parametro dell'art. 3 Cost. non impone l'uniformità di trattamento di situazioni diverse, ma vieta discriminazioni irragionevoli tra situazioni analoghe. La diversità di disciplina tra raccolta del risparmio postale e attività bancaria – attestata dalla separazione operata dall'art. 2 del d.P.R. n. 144/2001 – esclude l'analogia delle situazioni e, conseguentemente, la fondatezza della censura.[30]

Peraltro, la disparità di trattamento sanzionatorio trova giustificazione nel diverso disvalore delle condotte. L'appropriazione di somme destinate alla CDP non lede soltanto il patrimonio del singolo risparmiatore, ma pregiudica anche l'interesse pubblico alla corretta gestione del risparmio postale e alla sua destinazione alle finalità istituzionali. Tale lesione plurioffensiva giustifica il più severo trattamento previsto dall'art. 314 c.p.[31]

8.3. L'impatto sulla distinzione tra peculato e appropriazione indebita

La pronuncia delle Sezioni Unite ribadisce la centralità della qualifica soggettiva quale elemento discretivo tra peculato e appropriazione indebita.

Nel caso di specie, la Corte ha correttamente rilevato che l'imputato aveva la disponibilità delle somme in virtù delle credenziali informatiche e delle prerogative connesse al ruolo di responsabile della sala consulenze. Tale disponibilità, qualificata dalla ragione del servizio, integrava il presupposto del peculato, escludendo la configurabilità dell'appropriazione indebita[32].

La Corte ha altresì chiarito che le condotte fraudolente eventualmente poste in essere dall'agente – quali la falsificazione di moduli o l'apposizione di timbri non conformi – non valgono a trasformare il peculato in truffa, atteso che tali artifici sono funzionali all'occultamento di un'appropriazione già realizzata mediante l'abuso della disponibilità qualificata, e non all'acquisizione del possesso del bene[33].

9. Implicazioni sistematiche e ricadute applicative

La pronuncia delle Sezioni Unite è destinata a produrre significative ricadute applicative, che trascendono il caso concreto sottoposto al vaglio della Corte.

In primo luogo, la sentenza definisce con chiarezza i confini della qualifica di incaricato di pubblico servizio con riferimento ai dipendenti di Poste Italiane, distinguendo l'attività di raccolta del risparmio postale – che assume natura pubblicistica – dalle altre attività di bancoposta, quali la raccolta del risparmio tra il pubblico o la vendita di prodotti finanziari di terzi, che conservano natura privatistica[34].

In secondo luogo, la pronuncia offre un contributo significativo alla definizione del rapporto tra forma giuridica dell'ente e natura dell'attività, confermando che la privatizzazione formale non determina automaticamente il venir meno della natura pubblicistica delle attività svolte.

In terzo luogo, la sentenza si inserisce nel più ampio dibattito relativo alla qualificazione delle attività svolte dalle società partecipate e dagli enti a partecipazione pubblica, offrendo criteri ermeneutici suscettibili di applicazione anche in contesti diversi dal risparmio postale. Il paradigma elaborato dalle Sezioni Unite – fondato sulla valorizzazione della disciplina pubblicistica dell'attività, della sua finalizzazione a interessi generali e della sottoposizione a controlli e vigilanza pubblicistici – può costituire una guida per la soluzione di questioni analoghe in altri settori ibridi.[35]

In quarto luogo, la pronuncia produce immediate conseguenze sul piano della prescrizione del reato. La qualificazione del fatto come peculato, in luogo dell'appropriazione indebita, comporta l'applicazione di un termine prescrizionale significativamente più lungo, con evidenti ricadute sulle vicende processuali pendenti[36].

10. Conclusioni: la bancoposta come paradigma della tensione tra pubblico e privato

La sentenza delle Sezioni Unite n. 34036/2025 segna un punto di arrivo nell'evoluzione giurisprudenziale in materia di qualificazione dell'attività di raccolta del risparmio postale, ma costituisce al contempo un punto di partenza per la riflessione sulla più ampia problematica del rapporto tra pubblico e privato nel diritto penale della pubblica amministrazione.

La vicenda del risparmio postale è, per molti aspetti, paradigmatica delle tensioni che attraversano il sistema dei servizi pubblici nell'era delle privatizzazioni. La trasformazione di enti pubblici in società per azioni, l'esternalizzazione di funzioni tradizionalmente riservate all'amministrazione, la commistione tra logiche pubblicistiche e moduli organizzativi privatistici pongono all'interprete sfide inedite, che non possono essere risolte mediante il ricorso a categorie rigide e precostituite[37].

Il criterio funzionale-oggettivo, elaborato dalla giurisprudenza e recepito dalla riforma del 1990, offre uno strumento duttile per affrontare tali sfide, consentendo di superare la veste formale per cogliere la sostanza delle attività. Tuttavia, l'applicazione di tale criterio richiede un'attenta analisi delle specificità di ciascun settore, che tenga conto della disciplina normativa, delle finalità perseguite, dei controlli previsti e della complessiva configurazione dell'attività[38].

La sentenza delle Sezioni Unite ha compiuto tale operazione con riferimento al risparmio postale, pervenendo a una soluzione che appare coerente con il quadro normativo e con i principi generali del sistema. Resta tuttavia aperta la questione della definizione di criteri generali che possano guidare l'interprete nella soluzione di casi analoghi, evitando che la qualificazione delle attività rimanga affidata a valutazioni casistiche, con inevitabili margini di incertezza[39].

In questa prospettiva, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che, nel rispetto del principio di determinatezza, chiarisca espressamente la natura delle attività svolte dagli enti a partecipazione pubblica e dalle società che gestiscono servizi di interesse generale. Tale intervento potrebbe assumere la forma di una revisione degli artt. 357 e 358 c.p., che includa criteri più precisi per la qualificazione delle attività, ovvero di disposizioni settoriali che definiscano la natura delle singole attività[40].

In conclusione, la bancoposta si conferma come il paradigma della tensione tra pubblico e privato che attraversa il diritto penale della pubblica amministrazione. La sua qualificazione, ora definitivamente chiarita dalle Sezioni Unite, segna il confine della responsabilità penale nell'era delle società partecipate e dei servizi ibridi, offrendo all'interprete un punto di riferimento per la soluzione di questioni analoghe.


Note e riferimenti bibliografici

[1] La disparità sanzionatoria tra le due fattispecie è significativa: il peculato è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi (art. 314, comma 1, c.p., come modificato dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3), mentre l'appropriazione indebita prevede la reclusione fino a tre anni (art. 646, comma 1, c.p.). Sul piano della prescrizione, il termine per il peculato è pari a dieci anni e sei mesi, aumentato fino a un quarto in presenza di atti interruttivi, mentre per l'appropriazione indebita il termine è di sei anni. Cfr. FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, I, 7ª ed., Bologna, 2021, 210 ss.

[2] Sulla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e sul ruolo delle Sezioni Unite, cfr. BARGIS, Impugnazioni, in Compendio di procedura penale, a cura di Conso-Grevi-Bargis, 10ª ed., Padova, 2020, 915 ss.

[3] I fatti sono ricostruiti nell'ordinanza di rimessione Cass. pen., sez. VI, ord. 12 settembre 2024, n. 31605,  nonché nella sentenza delle Sezioni Unite qui annotata.

[4] I motivi di ricorso sono analiticamente esposti nell'ordinanza di rimessione, cit., §§ 2-6.

[5] Sul processo di trasformazione di Poste Italiane, cfr. NAPOLITANO, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, 2003, 156 ss.; CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, 5ª ed., Bologna, 2022, 312 ss.

[6] In questo senso, già Cass. pen., sez. un., 11 luglio 1992, n. 7958, Delogu, in Cass. pen., 1992, 2631, con nota di STORTONI, La nuova disciplina dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione: profili generali.

[7] Art. 2, comma 1, d.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, recante Regolamento recante norme sui servizi di bancoposta.

[8] La distinzione è valorizzata da Cass. pen., sez. VI, 24 aprile 2024, n. 22280, Faso, in CED Cass., rv. 286573, che ha affermato: «la specifica previsione di una disciplina distinta per la raccolta del risparmio postale rispetto alla raccolta del risparmio tra il pubblico evidenzia la diversa natura giuridica delle due attività».

[9] L'art. 12 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Codice postale), così recitava: «Gli addetti ai servizi postali e di bancoposta sono considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio a seconda delle funzioni esercitate». Sul valore ermeneutico della disposizione dopo la privatizzazione, cfr. Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2025, n. 34036, qui annotata, § 7.3.

[10] Art. 5, comma 7, lett. a), d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326.

[11] Sulle finalità istituzionali della CDP, cfr. CAPRIGLIONE, Cassa Depositi e Prestiti, in Enc. dir., Aggiorn., IV, Milano, 2000, 237 ss.; più di recente, FERRO-LUZZI, La raccolta del risparmio postale: profili giuridici, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, I, 1 ss.

[12] Il regime fiscale agevolato dei prodotti del risparmio postale è disciplinato dall'art. 1 del d.lgs. 1° aprile 1996, n. 239. Il potere di indirizzo del MEF è esercitato mediante decreti ministeriali, da ultimo il d.m. 5 ottobre 2020, che definisce le condizioni economiche dei buoni fruttiferi postali.

[13] Sulla riforma del 1990, cfr. PALAZZO, La riforma dei delitti dei pubblici ufficiali: un primo sguardo d'insieme, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 815 ss.; SEMINARA, Commento agli artt. 357-360 c.p., in Commentario breve al codice penale, a cura di Crespi-Stella-Zuccalà, 6ª ed., Padova, 2017, 1012 ss.

[14] Così FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, I, cit., 172.

[15] Cass. pen., sez. un., 27 marzo 1992, n. 10086, Citaristi, in Cass. pen., 1993, 23, con nota di SEVERINO DI BENEDETTO.

[16] Art. 358 c.p., come modificato dall'art. 18 della l. 26 aprile 1990, n. 86.

[17] Cass. pen., sez. un., 27 marzo 1992, n. 10086, Citaristi, cit.

[18] Tali indici sono stati progressivamente elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. Per una ricognizione sistematica, cfr. BENUSSI, I delitti contro la pubblica amministrazione, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, a cura di Marinucci-Dolcini, Padova, 2013, 32 ss.

[19] Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2016, n. 10875, Carloni, in CED Cass., rv. 266582

[20] Gli argomenti sono sviluppati analiticamente nella sentenza Carloni, cit., nonché nelle successive pronunce conformi.

[21] Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2015, n. 34854, Barraco, in CED Cass., rv. 264167; Cass. pen., sez. VI, 16 novembre 2017, n. 3385, Santonocito, in CED Cass., rv. 272227; Cass. pen., sez. VI, 18 settembre 2019, n. 40269, Serva, in CED Cass., rv. 277123; Cass. pen., sez. VI, 22 giugno 2023, n. 32624, Parrotta, in CED Cass., rv. 284921; Cass. pen., sez. VI, 20 marzo 2024, n. 26655, Ferreri, in CED Cass., rv. 286715; Cass. pen., sez. VI, 24 aprile 2024, n. 22280, Faso, cit.

[22] Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2014, n. 18457, De Vito, in CED Cass., rv. 259012; Cass. pen., sez. VI, 11 luglio 2018, n. 42657, Paolacci, in CED Cass., rv. 274249.

[23] L'argomento è sviluppato in Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2014, n. 18457, De Vito, cit., § 5.

[24] Cass. pen., sez. VI, ord. 12 settembre 2024, n. 31605,  cit., § 7.

[25] Ordinanza di rimessione, cit., §§ 8-10.

[26] Ordinanza di rimessione, cit., § 11.

[27] In tema di sindacato di ragionevolezza delle scelte legislative, cfr. Corte cost., sent. 24 ottobre 2007, n. 349, in Giur. cost., 2007, 3564.

[28] In senso conforme, PADOVANI, Diritto penale, 12ª ed., Milano, 2019, 25 ss

[29] Sul punto, cfr. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, 4ª ed., Milano, 2019, 43 ss.

[30] Sul principio di eguaglianza in materia penale, cfr. MARINUCCI-DOLCINI-GATTA, Manuale di diritto penale. Parte generale, 10ª ed., Milano, 2024, 58 ss.

[31] In tema di plurioffensività del peculato, cfr. SEMINARA, Il delitto di peculato, Milano, 1995, 87 ss.

[32] Sulla nozione di disponibilità nel peculato, cfr. Cass. pen., sez. un., 25 giugno 2009, n. 38691, Vattani, in CED Cass., rv. 244190.

[33] Sul criterio distintivo tra peculato e truffa, cfr. Cass. pen., sez. VI, 15 marzo 2019, n. 14822, in CED Cass., rv. 275632.

[34] La distinzione è chiarita nella sentenza delle Sezioni Unite, cit., § 17.

[35] Sul tema delle qualifiche soggettive nelle società partecipate, cfr. SEGRETO-DE LUCA, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, 4ª ed., Milano, 2017, 43 ss.

[36] Sul regime della prescrizione nel peculato, cfr. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, 11ª ed., Padova, 2020, 812 ss.

[37] Sul rapporto tra pubblico e privato nei servizi pubblici, cfr. NAPOLITANO, Servizi pubblici e rapporti di utenza, Padova, 2001, 234 ss.

[38] Sul criterio funzionale-oggettivo e le sue implicazioni, cfr. SEVERINO DI BENEDETTO, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, 3ª ed., Milano, 2015, 87 ss.

[39] L'esigenza di criteri più precisi è avvertita anche da PALAZZO, Introduzione ai principi del diritto penale, 2ª ed., Torino, 2016, 156 ss.

[40] Sul principio di determinatezza e le sue implicazioni per il legislatore, cfr. MARINUCCI-DOLCINI-GATTA, Manuale di diritto penale, cit., 62 ss.