Pubbl. Lun, 23 Giu 2025
La disciplina urbanistica e il diritto alla relazione sociale
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Lorenzo La Via

Questo articolo analizza la disciplina urbanistica, evidenziando come il predominio degli interessi privati in questo settore abbia privilegiato la massimizzazione del profitto a discapito della coesione sociale, contribuendo all´isolamento degli individui. Si rileva, inoltre, una carenza normativa che affronti adeguatamente tali problematiche, considerando anche l´interesse dei singoli alla relazione sociale, un diritto non codificato e poco esplorato dalla dottrina. L'analisi propone nuove soluzioni per evitare che le città siano progettate in modo da escludere spazi di interazione, promuovendo, invece, una vivibilità inclusiva e una pianificazione urbana orientata al benessere collettivo.

Urban planning discipline and the right to social relations
This article analyzes the urban planning discipline, highlighting how the dominance of private interests in this sector has favored the maximization of profit to the detriment of social cohesion, contributing to the isolation of individuals. Furthermore, there is a lack of legislation that adequately addresses these issues, also considering the interest of individuals in social relationships, a right that is not codified and little explored by doctrine. The analysis proposes new solutions to prevent cities from being designed in such a way as to exclude spaces for interaction, instead promoting inclusive livability and urban planning oriented towards collective well-being.Sommario: 1. Considerazioni introduttive; 2. Excursus storico sulla disciplina urbanistica; 3.1. La disciplina urbanistica italiana; 3.2. Il piano regolatore generale; 3.3. Comparazione con la normativa straniera ed europea; 4. L’impatto dell’investitore privato sull’urbanistica; 5.1. Individuazione del problema; 5.2. La progettazione interna degli edifici; 6.1. Il diritto alla relazione sociale; 6.2. Il bene della vita; 6.3. La natura ibrida del diritto alla relazione sociale; 7.1. L’articolo 32 della Costituzione e il diritto alla salute psichica; 7.2. Il riconoscimento costituzionale; 7.3. Il diritto alla relazione sociale: un mero aspetto della salute psichica o una figura giuridica autonoma; 8. Il contributo medico-scientifico; 9. Riferimento della giurisprudenza; 10. Criticità della disciplina; 11.1. Le possibili soluzioni giuridiche; 11.2. Estensione applicativa del diritto alla relazione sociale; 12. Considerazione conclusive.
1. Considerazioni introduttive
L’odierno sistema economico di matrice liberale ha progressivamente rafforzato il proprio fine di massimizzazione dei profitti in molteplici settori, tra cui quello dell’edilizia e, in particolare, nella progettazione di nuovi quartieri residenziali. I privati che investono ingenti capitali in queste realtà urbane perseguono il comprensibile desiderio di un ritorno economico massimizzato. Tuttavia, il conseguimento di tale profitto comporta spesso il sacrificio di molti interessi collettivi, come la creazione di quartieri che non sono capaci di favorire la socializzazione tra i residenti, costituiti da contesti in cui l’individuo viene isolato e ridotto a mero strumento di consumo.
La Pubblica amministrazione, così come il diritto amministrativo, sembrano essere poco sensibili a queste tematiche. Si può individuare, infatti, un nuovo interesse giuridicamente rilevante del privato che può essere ricondotto nel diritto alle relazioni sociali, cioè: l’interesse di qualunque consociato di poter interagire, comunicare e costruire legami con altre persone, creando delle relazione umane essenziali per la propria salute psicologica. Le Istituzioni poco intervengono per promuovere quei nuovi diritti che emergono dal mutato contesto sociale, evidenziando una lacuna che interessa anche gli studi giuridici.
Come espresso dalla stessa Costituzione, la Repubblica ha il dovere sia di intervenire per rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona, sia di creare strumenti volti a promuovere attivamente i diritti fondamentali. Ciò vuol dire che non ci si può limitare ad una tutela meramente formale dei diritti, ma sostanziale, dove lo Stato interviene attivamente per promuovere e migliorare il godimento dei diritti personali. Si può sostenere che la facoltà di relazionarsi con altri individui costituisca un elemento essenziale per il diritto alla salute, e come si costaterà in seguito, anche configurabile come un diritto autonomo. Ai sensi dell’art. 32 Cost. è importante la tutela tanto dell’integrità fisica quanto dell’integrità mentale.
I quartieri residenziali non devono così ridursi a meri luoghi dormitorio, dove gli individui vivono in isolamento, ma devono essere progettati per favorire la socializzazione e, in tal modo, lo sviluppo della personalità. Le zone urbane dovrebbero includere luoghi di incontro e socializzazione, spesso caratteristiche assenti nella visione moderna dell’ordinamento amministrativo, in particolare nella disciplina urbanistica. Lo Stato deve intervenire con normative che introducano criteri atti a tutelare e garantire il diritto alla relazione sociale. La P.a. deve così promuovere le relazioni sociali in modo attivo, senza limitarsi ad intervenire soltanto in caso di evidenti violazioni, come la compromissione nei rapporti familiari tra genitore e figlio, ovvero nella tutela dei detenuti [1].
L’analisi giuridica che segue si propone di individuare e definire l’emersione dal pensiero moderno del diritto alla relazione sociale, se trovi davvero fondamento nei valori costituzionali, analizzando poi le criticità della normativa vigente in materia di regolazione urbanistica. Infine, comprendere come tale diritto possa integrarsi nell’ordinamento giuridico amministrativo.
2. Excursus storico sulla disciplina urbanistica
Nel corso dei secoli, il diritto amministrativo in materia urbanistica si è evoluto per rispondere ai principali mutamenti sociali e alle graduali esigenze dei singoli individui. Un esempio significativo è rappresentato dall’avvento delle automobili, che ha imposto un adattamento dei piani urbanistici con la creazione di strade più larghe e sicure, nonché l’introduzione di regole per la circolazione. La regolamentazione urbanistica si evolve sull’idea di uno strumento per organizzare lo sviluppo delle città e delle aree urbane, cercando di bilanciare gli interessi dei singoli con quelli della collettività, mediante una pianificazione territoriale accurata e lungimirante.
La prima grande riforma in ambito urbanistico risale alla Rivoluzione Industriale inglese, periodo in cui si manifestarono significativi problemi legati all’urbanizzazione. L’aumento della popolazione, causato dall’attrazione esercitata dalle nuove opportunità lavorative nelle fabbriche, rese doveroso regolamentare i quartieri per evitare un’eccessiva concentrazione di persone in spazi troppo ristretti. Norme come quelle attuali sulle distanze tra edifici hanno origine proprio da queste esigenze: esse non tutelano interessi del singolo, bensì mirano a garantire una corretta circolazione dell’aria, condizioni igieniche adeguate e una generale salubrità degli ambienti.
L'urbanistica possiede fra le sue radici originarie proprio la sociologia e l'economia, in quanto concernono l'evoluzione di fenomeni sociali ed economici che incidono sul territorio.
Nel XVIII e XIX secolo, in Inghilterra, le aree residenziali destinate ai lavoratori erano spesso sovraffollate e prive di infrastrutture adeguate. Le abitazioni venivano costruite in modo economico, con spazi ridotti, scarsa ventilazione e illuminazione, e senza sistemi per lo smaltimento delle acque reflue e dei rifiuti, favorendo così la diffusione di malattie. Il diritto amministrativo si rivelò uno strumento importante per affrontare queste criticità, imponendo l’utilizzo di materiali sicuri e la costruzione di infrastrutture come reti idriche, fognarie, e in futuro anche opere per la fornitura di energia elettrica.
Un ulteriore problema riguardava la collocazione delle fabbriche, spesso situate all’interno delle città, con le abitazioni degli operai nelle immediate vicinanze. Questa configurazione aumentava l’inquinamento acustico e atmosferico, aggravato dalla scarsa consapevolezza dell’epoca sugli effetti nocivi delle emissioni industriali. Fu solo nella seconda metà del XIX secolo che iniziarono a emergere interventi significativi per migliorare le condizioni urbanistiche, spesso come risposta a emergenze sanitarie. L’inquinamento causato dalla combustione del carbone nelle industrie ha fatto sorgere l’esigenza di organizzare le città in modo tale che le fabbriche venissero realizzate in zone meno popolate e lontane dai centri abitati.
Tra gli esempi più emblematici di riorganizzazione del diritto amministrativo in materia urbanistica, si possono citare i lavori di modernizzazione della città di Parigi sotto la guida del barone Georges-Eugène Haussmann. Egli su incarico dell’imperatore Napoleone III, trasformò radicalmente la città. Le strade strette, tipiche della città ancora legata alle funzioni medievali, furono sostituite da ampi boulevard per favorire la maggiore circolazione di mezzi, anche di dimensioni più grandi.
Londra, invece, affrontò gravi problemi igienici, a causa delle acque reflue che scaricavano i liquami direttamente nel Tamigi, compromettendo anche la fornitura di acqua potabile. L’ingegnere Joseph Bazalgette progettò una rete fognaria innovativa per convogliare i rifiuti liquidi fuori città e migliorare le condizioni sanitarie. Uno dei momenti più significativi nell'ambito della pianificazione urbanistica si ebbe con il Codice Napoleonico nei primi anni del XIX secolo, ponendo le basi della moderna regolamentazione territoriale. Sebbene non fosse una normativa specifica per l’urbanistica, influenzò significativamente l'organizzazione degli spazi urbani.
In Italia, un contributo rilevante per la disciplina urbanistica venne fornito dai Borbone, mediante interventi, sviluppati nel Regno di Napoli tra il Settecento e la metà dell’Ottocento, che miravano a migliorare la funzionalità delle città, con opere finalizzate a ottimizzare la viabilità, ampliare gli spazi pubblici e garantire una distribuzione più equilibrata della popolazione. Napoli, durante il periodo borbonico, fu una delle città più popolose d’Europa e, per alcuni periodi, la più popolata in assoluto. Questa crescita demografica rese urgente l’adozione di regolamenti urbanistici.
Anche con la dominazione austriaca nella realtà milanese, l’organizzazione amministrativa divenne più razionale. Maria Teresa d’Austria e Giuseppe II promossero una visione moderna, basata su criteri di igiene, ordine e funzionalità. Si assistette a un controllo maggiore dello Stato sull’edilizia, con regolamenti che disciplinavano lo sviluppo urbano, i materiali da costruzione e la manutenzione degli spazi pubblici. Il Codice Civile Austriaco, in vigore a Milano, regolava i rapporti di proprietà e influenzava indirettamente l’urbanistica. In seguito, le politiche napoleoniche introdussero principi di pianificazione urbana che miravano a conciliare esigenze commerciali e civili.
Ciò che è stato espresso finora mette in evidenza come, in passato, la disciplina urbanistica sia stata plasmata dal lungimirante operato di figure illuminate, capaci di cogliere le esigenze del loro tempo e di tradurle in leggi. Si trattava di una regolazione che non si limitava a soddisfare bisogni puramente materiali, ma che si fondava su norme ispirate ai progressi della scienza, la quale offriva una comprensione più approfondita delle modalità di gestione delle città.
Oggi, appare nuovamente necessario recuperare queste abitudini, rendendo il diritto amministrativo attento nell'affrontare le sfide contemporanee, come il crescente fenomeno dell'isolamento sociale.
3.1. La disciplina urbanistica italiana
L'evoluzione del diritto amministrativo italiano in materia urbanistica ha conosciuto un’importante progresso dal secondo dopoguerra. Il boom economico e il rapido processo di industrializzazione portarono a una massiccia urbanizzazione, rendendo così doverosa una migliore pianificazione urbanistica delle aree residenziali ed industriali. In questo contesto si diffuse il fenomeno del condominio, una forma di comunione immobiliare in cui gli appartamenti sono proprietà esclusiva dei singoli, mentre le altre parti dell’edificio sono di tutti i condomini, come il tetto o i corridoi [2].
Tuttavia, le prime esperienze normative risalgono al 1865, con l’introduzione del regolamento edilizio, come unico strumento giuridico a disposizione delle autorità per disciplinare l’uso del territorio. Esso mirava principalmente al risanamento degli edifici esistenti, spesso privi di servizi essenziali e opere di urbanizzazione, affiancandosi talvolta a interventi espropriativi [3].
Una svolta si ebbe con la legge urbanistica del 1942, che introdusse molti obiettivi ambiziosi, dalla regolazione dell’espansione urbana al rinnovamento edilizio, acquisendo autonomia e rilevanza, superando il semplice regolamento edilizio e abbracciando un approccio più complesso. Non si trattava soltanto di risanare edifici esistenti, ma di gestire l’espansione territoriale e di pianificare l’edificabilità futura. Con il tempo, il sistema urbanistico vide l’ingresso delle Regioni, con la legge Bucalossi (l. 10/1977) e il legame con l’art. 42 Cost. che consente di conformare l’uso del territorio e della proprietà agli interessi collettivi [4] [5].
Tra le leggi fondamentali per lo sviluppo urbanistico si annoverano la legge 167 del 1962, la legge 865 del 1971 e la legge 478 del 1978, che promuovevano la costruzione di alloggi popolari e regolamentavano lo sviluppo urbano per migliorare la qualità della vita. Così, ancora una volta il diritto amministrativo era adoperato per affrontare un nuovo problema sociale, relativo alla carenza di alloggi per i meno ambienti. La legge 265/1999 abbracciò il principio di sostenibilità ambientale, adeguandosi ai valori dell’Unione Europea. Un ulteriore valore emerso nella società moderna [6].
A metà dello scorso secolo, un dibattito animò il confronto tra chi sosteneva che la pianificazione urbanistica dovesse includere anche le attività economiche. La giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto che essa non si limita al coordinamento edificatorio, ma realizza una pluralità di interessi costituzionalmente garantiti, come la tutela di valori sociali e ambientali, consolidando così il ruolo del diritto urbanistico come strumento essenziale per il benessere collettivo. Un ruolo che oggi può tranquillamente essere esteso ad altri interessi, come la socializzazione [7] [8].
3.2. Il piano regolatore generale
Il Piano Regolatore Generale, introdotto con la legge n. 1150 del 1942, ha ridefinito il precedente istituto normativo del 1865. Questo strumento costituisce il fondamento dell’organizzazione e della pianificazione territoriale, adottando principi come la zonizzazione del territorio comunale in aree con destinazioni d’uso specifiche [9].
Tra le sue principali funzioni, il PRG attribuisce ai comuni rilevanti poteri espropriativi, prevedendo l’imposizione di vincoli preordinati all’esproprio e di vincoli morfologici. Tuttavia, recentemente la pianificazione urbanistica ha ampliato il proprio orizzonte per includere interessi settoriali. In questo contesto, lo Stato e le Regioni hanno assunto un ruolo più incisivo, accompagnato da norme sempre più dettagliate per la salvaguardia del paesaggio e l’incremento delle aree pubbliche, come i parchi urbani [10].
Ciò riflette nuovamente l’esigenza di una maggiore tutela ad interessi oramai considerati sensibili dalla pensiero collettivo moderno.
Nonostante la sua importanza, il PRG è stato concepito storicamente senza considerare il diritto alla relazione sociale. Esso si è limitato a regolare l’uso e la trasformazione del suolo, intervenendo sulle modalità di utilizzo della proprietà privata, sia per gli immobili esistenti che per quelli nuovi. Tuttavia, il PRG non vincola i privati, in quanto l’unico strumento che appare davvero coercitivo a disposizione dei comuni rimane l’espropriazione per pubblica utilità, applicabile in casi particolari.
Questa impostazione ha comportato una dipendenza dalle risorse economiche e dalla volontà dei privati, favorendo uno sviluppo territoriale spesso frammentato e subordinato a logiche di mercato. Lo Stato, concentrandosi prevalentemente su altri aspetti della pianificazione ha trascurato l’impatto che la conformazione urbana esercita sulle relazioni sociali. La zonizzazione ha prodotto città prive di spazi pubblici e di luoghi di aggregazione, relegando le relazioni sociali a un ruolo marginale [11].
Negli ultimi decenni, la pianificazione urbanistica ha registrato significative introduzioni di nuovi strumenti che promuovono la collaborazione tra il pubblico ed il privato. Sono stati introdotti per perseguire obiettivi di interesse collettivo. Il Consiglio di Stato ha riconosciuto la legittimità di tali strumenti, benché la loro applicazione abbia spesso rafforzato la prevalenza di interessi economici privati a scapito di quelli collettivi, senza mai dare giusta importanza all’interesse relazionale [12].
Un’importante innovazione è stata introdotta dalla Regione Toscana nel 1995, con la distinzione tra Piano Strutturale e Piano Operativo. Il primo definisce le strategie generali, mentre il secondo traduce tali strategie in interventi concreti attraverso piani attuativi negoziati con i privati, con una durata temporale limitata, rafforzando la collaborazione tra pubblico e privato [13].
Dal punto di vista istituzionale, la disciplina urbanistica ha subito una trasformazione con la riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 3/2001), che ha ridefinito le competenze in materia di governo del territorio. Ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, l’urbanistica è diventata materia di competenza concorrente tra Stato e Regioni, rientrando nel più ampio concetto di governo del territorio. Questo ha generato conflitti interpretativi, soprattutto per la mancanza di una legge-quadro che distingua chiaramente tra principi fondamentali e norme di dettaglio. Ponendo ancora una volta in secondo piano gli interessi diffusi, tra cui il diritto di relazione sociale [14].
Nonostante i progressi normativi, il PRG continua a essere concepito come uno strumento tecnico e statico, incapace di rispondere alle sfide poste da una società sempre più frammentata e individualista. La pianificazione urbanistica, privilegiando l’efficienza economica e la tutela del suolo, ha spesso trascurato la dimensione relazionale delle città. La mancanza di luoghi di incontro e di spazi pubblici ha contribuito all’isolamento sociale. Appare necessario ripensare a tali strumenti di pianificazione alla luce del diritto alla relazione sociale.
Le città devono essere progettate non solo per tutelare l’ambiente o per esigenze economiche, ma anche per promuovere un tessuto urbano che favorisca l’interazione, il dialogo e il senso di comunità. Solo così sarà possibile costruire città che, oltre a essere sostenibili e efficienti, siano anche a misura d’uomo [15].
3.3. Comparazione con la normativa straniera ed europea
Durante la Rivoluzione Industriale, l'Inghilterra sviluppò un modello urbanistico per rispondere all'afflusso di contadini che si trasferivano dalle campagne alle città. Questi migranti portarono con sé abitudini di vita rurali, preferendo abitazioni dotate di giardini privati, da cui sorsero quartieri residenziali caratterizzati da case con giardino. Questo stile abitativo, progettato prevalentemente per il riposo, anticipava il concetto di “quartieri dormitorio". In seguito, tale modello si diffuse negli Stati Uniti, dove trovò ampie aree disponibili. Tuttavia, in Italia, un'applicazione indiscriminata di urbanizzazione a bassa densità sarebbe problematica a causa della limitata disponibilità di territorio e della necessità di salvaguardare il patrimonio ambientale e culturale.
In Inghilterra, la pianificazione urbanistica è regolata dal Planning and Compulsory Purchase Act 2004, che prevede strumenti come i Local Development Frameworks e il Community Infrastructure Levy. La guida centrale del sistema è il National Planning Policy Framework (NPPF), che promuove lo sviluppo sostenibile, la protezione delle aree verdi e l'incremento dell'offerta abitativa. Zone come le Green Belt, le Conservation Areas e i parchi sono sottoposte a normative rigorose.
Negli Stati Uniti, il sistema urbanistico è altamente decentralizzato, con regolamenti che variano significativamente tra stati e città. La zonizzazione, introdotta a New York nel 1916, è il principale strumento per regolare il territorio, definendo la destinazioni d’uso (residenziale, commerciale, industriale) e la densità degli edifici. A livello federale, il National Environmental Policy Act impone valutazioni ambientali obbligatorie per grandi progetti, mentre i finanziamenti federali sostengono infrastrutture e programmi abitativi. In contrasto, l'Italia segue un quadro normativo definito dallo Stato, con una certa autonomia regionale, ma con una rigidità maggiore nei Piani Regolatori Generali e nei piani urbanistici locali.
Il sistema urbanistico francese è centralizzato e regolato dal Code de l'Urbanisme, che stabilisce i criteri per pianificazione territoriale e sviluppo edilizio. Strumenti come il Plan Local d’Urbanisme, il Schéma Régional d'Aménagement, de Développement Durable et d'Égalité des Territoires garantiscono il coordinamento tra livelli locali e regionali. Aree di interesse ecologico e i parchi sono sottoposte a tutele rigorose, simili a quelle italiane per il patrimonio paesaggistico e storico.
In Germania, l'urbanistica è regolata dal Baugesetzbuch, che disciplina la pianificazione territoriale e garantisce sostenibilità ambientale e sociale. Il Raumordnungsgesetz stabilisce i principi generali per l'uso del territorio, mentre strumenti locali come il Flächennutzungsplan e il Bebauungsplan regolano gli sviluppi specifici. La Germania possiede un'integrazione avanzata tra sostenibilità ambientale e innovazione tecnologica, come dimostrato dalle politiche per le smart cities. In Italia, invece, queste politiche sono ancora poco sviluppate.
Da questa analisi emerge come a livello internazionale non esiste una normativa che affronti in modo organico l'organizzazione delle città con un focus sull'interazione sociale, nella speranza che la giurisprudenza e la dottrina italiana possano essere la fonte per il legislatore di una normativa.
4. L’impatto dell’investitore privato sull’urbanistica
In uno Stato di diritto che si consideri evoluti, ogni aspetto della società e della vita di un individuo deve essere regolato da una normativa che consideri una pluralità di fattori e interessi, in modo che vengano armonizzati e bilanciati tra loro. Quando l’ordinamento risulta carente nel disciplinare un fenomeno, si rischia di generare confusione e di esporre a pericoli concreti tutti gli interessi coinvolti. Un esempio significativo è rappresentato dalla pianificazione urbanistica.
Se lo Stato manca di predisporre i piani idonei per la realizzazione di quartieri residenziali che tengano conto sia delle esigenze collettive sia dei diritti individuali, si corre il rischio di porre in pericolo tali interessi, rendendoli vulnerabili a potenziali lesioni. La progettazione urbanistica non riguarda solo l'accesso a servizi essenziali come acqua ed energia elettrica, ma anche la creazione di spazi che favoriscano la vita sociale e la costruzione di una sana comunità.
L’assenza di una normativa adeguata ha lasciato ai privati un margine di libertà eccessivo nella gestione della progettazione urbana, orientandola principalmente verso obiettivi economici. È naturale che un investitore privato miri a massimizzare il ritorno finanziario dei propri investimenti. Tuttavia, affidare esclusivamente a soggetti privati la gestione di aree urbane comporta il rischio di trascurare l’interesse collettivo, che non rientra tra le loro priorità. Non si tratta di un atteggiamento negativo, poiché il privato non è obbligato a perseguire finalità pubbliche; è, invece, compito dello Stato delineare regole chiare e vincolanti che guidino i privati nella progettazione.
L’urbanistica moderna, in molti casi, ha trasformato i quartieri in dormitori privi di luoghi di aggregazione sociale, dove i residenti vivono in isolamento, con scarse opportunità di interazione. Anche le aree verdi, quando presenti, appaiono spesso scollegate dal tessuto sociale e vengono progettate senza una reale integrazione con la vita quotidiana degli abitanti. Si tratta di aree verdi indipendenti. Ne derivano quartieri concepiti per valorizzare il patrimonio immobiliare, dove non esistono punti di contatto tra le persone può essere.
Le attività commerciali sono spesso localizzate e concentrate in aree distanti dalle zone residenziali, facendo perdere l’interazione tra compratore e venditore. In passato, e ancora oggi nei quartieri più tradizionali, era comune che l’attività commerciale si trovasse nello stesso edificio in cui si viveva.
Le città si sono trasformate in mercati immobiliari, dominati dal rendimento. Questo approccio, sebbene essenziale per la finanza, non risponde alle finalità sociali che dovrebbero essere garantite e tutelate dallo Stato mediante la legge. Tutto ciò che non genera un immediato guadagno economico tende ad essere trascurato o ignorato. Il risultato è una progettazione urbana che privilegia il profitto rispetto al benessere. Questo modello, come suggeriscono alcune analisi psicologiche, alimenta una società di consumatori isolati, dove l’acquisto di beni materiali tenta di compensare l’assenza di relazioni sociali significative.
Lo Stato, attraverso un quadro normativo adeguato, deve affrontare questa realtà e tutelare il diritto alla socialità, creando regole che bilancino gli interessi degli investitori privati con quelli dei cittadini. Una normativa efficace deve promuovere la realizzazione di quartieri confortevoli ed efficienti, capaci di favorire non solo il benessere materiale, ma anche la costruzione di legami sociali tra gli individui.
5.1. Individuazione del problema
Negli ultimi decenni, il mercato immobiliare ha attratto ingenti capitali da parte di privati e società, sia nazionali che esteri, mossi dall'obiettivo primario di ottenere un rendimento sull'investimento, massimizzando i guadagni attraverso una specifica progettazione dei quartieri. I piani urbanistici approvati dai privati mirano a creare zone abitative confortevoli, ma che rispondono esclusivamente all’esigenza di favorire una comunità orientata al consumo, relegando le interazioni interpersonali a un ruolo secondario nella vita dell’individuo.
Di conseguenza, nei quartieri più moderni si riscontra una carenza di centri di aggregazione sociale, essenziali per il benessere sociale, a favore di un sistema che promuove l’isolamento del singolo, trasformandolo in un mero consumatore.
Nel corso degli anni, le istituzioni pubbliche hanno sviluppato una disciplina urbanistica che ha trascurato alcuni aspetti fondamentali della vita di una persona, come la dimensione relazionale. Tale disinteresse ha permesso ai privati di assumere un ruolo dominante nell’organizzazione delle città, senza un adeguato intervento normativo che salvaguardi gli interessi pubblici.
Se il diritto civile ha il compito di regolare i rapporti tra privati e il diritto penale si occupa di punire le condotte lesive di beni giuridici, il diritto amministrativo dovrebbe garantire il corretto equilibrio tra gli interessi privati e pubblici. Un esempio significativo è rappresentato dalla disciplina della libera concorrenza, che ha portato all’istituzione di enti regolatori e all’introduzione di sistemi normativi volti a garantire un mercato equo e competitivo.
Questi strumenti servono a evitare la concentrazione del potere economico in poche mani, fenomeno che potrebbe generare monopoli ovvero oligopoli, con effetti negativi sulla qualità dei prodotti, sull’equità dei prezzi e, in prima analisi, sugli interessi dei cittadini. Il medesimo principio deve essere applicato anche in altri ambiti nei quali il diritto amministrativo è chiamato a intervenire per tutelare gli interessi fondamentali dell’essere umano ed evitare che fenomeni incontrollati, come la concorrenza nel mercato o, nel caso specifico, l’urbanizzazione, possano compromettere i diritti dei singoli.
La regolamentazione di qualsiasi fenomeno diventa indispensabile, soprattutto quando esso ha un impatto rilevante sulla vita delle persone e, ancor di più, in un ordinamento giuridico tipico per uno Stato di diritto, dove tutto deve essere regolato e disciplinato dalla legge, cui tutti devono sottostare. In questione vi sono interessi legati alla dignità umana, che rappresentano non solo un valore fondamentale, ma anche la base stessa del diritto alla dignità e di altri diritti fondamentali dell’essere umano.
L’urbanistica non è solo una disciplina tecnica finalizzata allo sviluppo del territorio, ma, come già evidenziato nei progetti di Leonardo da Vinci sulla città ideale, rappresenta un elemento con una forte valenza sociale, economica e culturale. Essa incide profondamente sulla qualità della vita degli individui, influenzando non solo la sicurezza e la salute fisica, ma anche le dinamiche di interazione sociale, essenziali per il benessere umano.
Bisogna prestare particolare attenzione alle carenze attuali nella sensibilità e nell’applicabilità di alcuni valori fondamentali nella pianificazione dei luoghi residenziali. Tali luoghi sono, infatti, importanti per lo sviluppo della vita e della personalità dei cittadini. L'urbanistica contemporanea, spesso orientata a logiche di profitto e funzionalità, trascura aspetti fondamentali come la socializzazione e l'interazione tra i residenti.
5.2. La progettazione interna degli edifici
Un breve accenno merita la disciplina che regola la progettazione interna degli edifici, un tema che, sebbene marginale rispetto alla pianificazione urbanistica, potrebbe apparire utile per comprendere le dinamiche legate al diritto alla relazione sociale.
Tra le procedure amministrative che si devono rilevare sussiste la SCIA, utilizzata per interventi significativi sulla struttura dell’edificio, e la CILA, prevista per modifiche di minore entità, come la modifica degli spazi interni, purché non strutturali. Entrambi gli istituti evidenziano l’intenzione del Legislatore di voler garantire che gli interventi interni rispettino le normative igienico-sanitarie e di sicurezza, sottolineando come anche la progettazione interna della residenza può avere un motivo di contemplazione normativa. Tuttavia, appare difficile che la progettazione interna degli edifici possa diventare oggetto di una tutela e di una disciplina alla luce del diritto alla relazione sociale.
Ciò è utile, però, al fine di comprendere soltanto come il crescente individualismo nello sviluppo edilizio delle città, si risconta anche nella progettazione interna dei nuovi edifici, privilegiando accessi diretti agli appartamenti, dove i condomini non si incontrano. Pur non avendo un impatto diretto sulla pianificazione urbanistica, questa dinamica evidenzia come la progettazione, anche interna, contribuisca a plasmare un modello abitativo sempre più individualista. Si riscontra il modo stesso di ragionare nella realizzazione della società, dal generale al particolare.
6.1. Il diritto alla relazione sociale
I diritti fondamentali dell’essere umano sono garantiti e tutelati con l’obiettivo di permettere a ciascuno di sviluppare ed evolvere al meglio la propria genuina personalità. Questi diritti offrono la possibilità di condurre una vita piena e appagante, in accordo con i propri desideri e progetti. Senza una tutela concreta della vita e della salute, la qualità stessa dell'individuo sarebbe compromessa. Come affermato nel primo articolo della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, la dignità umana è essenziale per vivere pienamente secondo le proprie capacità. Si tratta di un diritto che mira a garantire un concetto astratto di felicità della persona, cioè uno stato emotivo che permetta all’individuo di poter agire liberamente per poter progredire. Un analogia sussiste pure sul piano storico. I periodi più prosperi dell’Umanità, infatti, coincidono quando l’essere umano stesso è riuscito a superare le difficoltà e le ingerenze, come la fame o la guerra, e soltanto in periodi di tranquillità e serenità è stato in grado di sviluppare se stesso, portando la società a livelli superiori.
Sebbene i diritti fondamentali, come sanciti nella Costituzione e nei trattati internazionali, non tutelino esplicitamente la "felicità" in senso stretto, anche causa di un concetto troppo astratto e non di natura giuridica, ma utile soltanto per comprendere il fine della legge nel tutelare uno stato di benessere, i diritti mirano soprattutto a garantire condizioni favorevoli al benessere individuale e collettivo. Diritti come la libertà, la dignità, l’uguaglianza e il diritto alla salute sono strumenti che possono essere interpretati come mezzi per il perseguimento della felicità. E tra questi anche un ambiente che favorisca i rapporti umani.
Se oggi dovessimo individuare un ulteriore diritto fondamentale, che si ricollega direttamente alla natura umana e alla sua realizzazione, sarebbe il diritto di ogni individuo di instaurare rapporti umani con gli altri. Si tratta di tutelare l’interesse di ciascuna persona di poter formare legami e relazioni interpersonali. Dopo aver riconosciuto tale diritto, bisogna ricordare che la Costituzione invita la Repubblica ad andare oltre una tutale formale dei diritti, promuovendo attivamente lo sviluppo di questi. La Repubblica, quindi, non si limita a rimuovere gli ostacoli, ma deve anche favorire la realizzazione e lo sviluppo concreto di questi diritti.
In questo contesto, lo Stato ha il dovere di promuovere e sostenere i diritti dei singoli, compreso il diritto alla relazione sociale. Per questo motivo, è necessario che le istituzioni sviluppino politiche e normative che permettano alle persone di interagire e di vivere in una società che favorisca le relazioni umane. Il diritto alla relazione sociale implica che ogni individuo possa liberamente stabilire legami e interagire con gli altri, un aspetto rilevante della vita sociale e civile.
L’amministrazione pubblica può contribuire alla realizzazione di tale diritto attraverso un’adeguata pianificazione urbanistica, che consenta la creazione di spazi pubblici e infrastrutture che favoriscano l’interazione tra le persone. Oltre a considerare esigenze moderne come la fornitura di energia elettrica e idrica, ormai essenziali per il benessere della collettività, è fondamentale che i piani urbanistici abbiano come obiettivo anche la creazione di ambienti che promuovano la socializzazione. La Repubblica deve adottare misure amministrative e urbanistiche che favoriscano il diritto di ciascuno di costruire rapporti con gli altri, rimuovendo ostacoli e creando opportunità per una vita sociale ricca e soddisfacente.
Il diritto alla relazione sociale diventa un elemento fondamentale per il benessere della persona, al punto che la creazione di quartieri residenziali dotati di spazi di incontro e di opportunità per interagire con gli altri è essenziale per favorire l’instaurarsi di rapporti umani.
Questo diritto non riguarda solo la necessità di socializzare, ma rappresenta un aspetto per la felicità e la realizzazione del singolo individuo. Infatti, la solitudine, che spesso nasce dalla difficoltà di connettersi con gli altri, è una delle problematiche più gravi della società moderna, con effetti diretti sulla salute mentale e fisica.
Paesi del nord Europa, come il Regno Unito, stanno affrontando un crescente problema di isolamento sociale, soprattutto tra le persone anziane, ma anche tra i giovani, che spesso si trovano a fronteggiare una solitudine profonda. La mancanza di legami sociali, infatti, può portare a condizioni di depressione e a una significativa riduzione della qualità della vita. Pertanto, il diritto alla relazione sociale, che implica la possibilità di vivere in ambienti che promuovano l’interazione e la connessione, è un fattore imprescindibile per il benessere e la felicità delle persone.
In merito al concetto della felicità e alla sua possibile rilevanza in ambito giuridico, bisogna, senza alcun onere di dubbio, ricordare la Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo (New York il 20 novembre 1989) approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU il 20 novembre 1959 e ratificata dalla legge 27 maggio 1991, n. 176. Essa prevede espressamente il diritto alla felicità, disponendo che gli Stati parti si impegnino a garantire nella più alta misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo.
Un aspetto che non si tiene spesso conto nella disciplina urbanistica, è relativo al minore che vive insieme al maggiorenne nei quartieri residenziali, i quali devono garantire non soltanto il benessere dell’adulto, ma anche del fanciullo. Senza luoghi di aggregazione giovanile e senza luoghi in cui possano interagire con altri coetanei per migliorare la loro capacità di socializzare.
La Dichiarazione Universale dei Diritti del Fanciullo che vincola pienamente l’Italia, dopo la ratifica, ricorda nell’art. 31 il diritto del fanciullo, altre al diritto al riposo, allo svago e al gioco, anche alla frequenza di attività ricreative proprie della sua età, ed a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica. Nell’articolo seguente poi si invitano gli Stati a promuovere la partecipazione alla vita culturale ed artistica, incoraggiano l'organizzazione di adeguate attività di natura ricreativa, artistica e culturale in condizioni di uguaglianza.
In questi importantissimi dispositivi normativi si trova sancito espressamente il concetto di felicità che, secondo la scienza neurologica, può essere chimicamente generata dalla frequenza con altre persone, cioè dalla socialità. In secondo luogo, si invita lo Stato firmatario a promuovere una sana partecipazione alla vita sociale. Ciò significa, che la Dichiarazione fa menzione, seppur ricavabile in via interpretativa, del diritto alla relazione sociale.
Nulla deve far dubitare che la pianificazione urbana debba tener presente per interesse di chiunque, adulti e minori, un’organizzazione che preveda luoghi di ritrovo e zone di aggregazione che diano, forse e specialmente al fanciullo che si trova in una fase di crescita delicata, il diritto di poter relazionarsi con altre persone.
6.2. Il bene della vita
L’interesse legittimo, che riconosce la pretesa del privato affinché la Pubblica Amministrazione agisca in conformità alla legge, ha progressivamente evoluto il suo significato, legandosi alla tutela di un bene della vita. Questo concetto ha ampliato la sua portata nel tempo, includendo non solo l’interesse al rispetto delle norme da parte della P.a., ma anche la protezione di diritti sostanziali, tra cui si potrebbe far anche rientrare il diritto alla relazione sociale.
Il diritto alla relazione sociale si configura come il diritto di instaurare rapporti con altre persone, un aspetto fondamentale della vita umana che può trovare tutela anche nel diritto amministrativo. Questo diritto, che si sviluppa all’interno delle relazioni umane, è stato riconosciuto in diverse pronunce giurisprudenziali, come nel caso della tutela dei detenuti, radicandosi poi nei principi fondamentali che sorreggono i diritti dell’essere umano [16].
Un esempio emblematico del diritto alla relazione sociale si trova nell’ambito familiare, dove esso si manifesta nelle relazioni tra genitori e figli [17]. Tuttavia, il riconoscimento di questo diritto può essere esteso a tutte le tipologie di relazioni sociali, poiché ogni diritto fondamentale si esprime e si realizza attraverso relazioni personali o sociali.
La Costituzione, in molteplici articoli, riconosce implicitamente l’importanza delle relazioni umane come base del vivere civile: basti pensare all’art. 13 dove sancisce la libertà personale, affermando che nessuno può esserne privato arbitrariamente, riconoscendo così il valore della relazione tra individui come elemento essenziale di tale libertà. Inoltre, sussiste l’art. 29 Cost. che definisce la famiglia come una società naturale, riconoscendo i diritti relazionali all’interno del nucleo familiare. L’art. 54 della Costituzione richiede ai cittadini di essere fedeli alla Repubblica, sottolineando l’importanza dei rapporti sociali, personali e politici nella costruzione della comunità nazionale. Anche l’art. 21 tutela la libertà di pensiero, che presuppone la possibilità di comunicare e relazionarsi con gli altri.
Un ulteriore esempio si trova nell’Art. 18, che riconosce il diritto di associarsi liberamente. Tale diritto, oltre a garantire la libertà di creare enti legali o di fatto, implica l’interesse del singolo a instaurare relazioni sociali significative. La Costituzione, inoltre, tutela i diritti inviolabili dell’individuo sia come singolo che nelle formazioni sociali, riconoscendo l’essenzialità di queste ultime nella vita dell’uomo e impegnandosi a difendere i diritti individuali anche all’interno di tali contesti. Il diritto alla relazione sociale emerge come un principio trasversale, radicato nei valori costituzionali e giuridici.
Il bene della vita che ha ad oggetto la possibilità di relazionarsi con altre persone è importante per individuare così un eventuale lesione all’interesse legittimo in caso di violazione della normativa.
6.3. La natura ibrida del diritto alla relazione sociale
Il diritto alla relazione sociale tutela un interesse che, pur essendo riconducibile a un soggetto singolo, può acquisire una dimensione collettiva e sociale, configurandosi così come un diritto individuale, ma anche come un interesse diffuso. Da un lato, il diritto alla relazione sociale può essere inteso come un diritto personale, essenziale per il benessere psicologico, emotivo e fisico di ciascun individuo. La possibilità di instaurare legami interpersonali, partecipare alla vita comunitaria e condividere esperienze è fondamentale per la realizzazione della persona. In questo senso, il diritto risponde direttamente agli interessi individuali dei cittadini.
Assume una dimensione diffusa quando esaminato nell’ambito dell’organizzazione e progettazione di un quartiere. La violazione delle normative che regolano la pianificazione urbanistica, se non rispettosa delle necessità sociali, può essere contestata da associazioni rappresentative o dalla stessa pubblica Amministrazione. Sebbene sembri difficile inquadrarlo esclusivamente come un interesse diffuso, le modalità di impugnazione lo potrebbero collocare semmai su un piano ibrido, tra un diritto individuale e un interesse diffuso.
Se il diritto alla relazione sociale viene violato da provvedimenti urbanistici, la competenza a trattare la questione spetta al giudice amministrativo, poiché la violazione di tale diritto nell’ambito delle normative urbanistiche implica una lesione di norme riguardanti la gestione del territorio e la salvaguardia della qualità della.
7.1. L’art. 32 della Costituzione e il diritto alla salute psichica
Il diritto alla salute tutela l’interesse di ciascun soggetto, affinché la propria integrità fisica e psicologica non venga lesa né esposta a pericoli derivanti da fattori esterni. Questo diritto trova la sua prima tutela nei confronti dello Stato, che deve astenersi da atti, come punizioni o pene corporali o mentalmente lesive. In passato, sono state proprio alcune istituzioni a mettere in atto comportamenti che compromettevano l’integrità dei singoli.
La salute è intesa in senso ampio, comprendendo non solo il benessere fisico, ma anche quello psichico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. Non soltanto quindi la semplicemente assenza di malattie o infermità. Negli ultimi decenni, sia in ambito giuridico che dottrinale, è stata data attenzione al benessere psicologico, al contrario del passato in cui era considerato marginale rispetto ai danni di natura fisica. Oggi, la tutela è strettamente legata alla dignità umana, e pronunce giurisprudenziali hanno riconosciuto con maggiore enfasi la sua rilevanza [18].
Anche se il tema non è stato affrontato in modo sistematico, alcune decisioni delle Corti italiane ed europee hanno comunque riconosciuto l’importanza delle relazioni sociali per il benessere individuale. Ad esempio, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto l’indennità di frequenza anche ai minori con disabilità che frequentano l’asilo nido, evidenziando come il servizio fornito non si limiti a un supporto pratico alle famiglie, ma abbia finalità educative e formative. Mediante i rapporti con i coetanei, i minori sviluppano capacità relazionali essenziali per la crescita.
La Corte di Cassazione, si è espressa sul diritto dei minori a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori, anche in situazioni di conflitto familiare, estendendo il diritto alla relazione sociale ed includendo non solo i rapporti tra genitori e figli, ma anche quelli con i nonni e altri familiari [19] [20]. Tuttavia, è stato ribadito che la frequentazione deve sempre essere compatibile con l’interesse superiore del minore. Ad esempio, la Cassazione ha negato il diritto dei nonni alla frequentazione dei nipoti laddove ciò fosse ritenuto pregiudizievole per il minore [21]. Tuttavia, ciò fa comprendere l’importanza della relazione con altri individui. L’art. 30 Cost. Ricorda che è compito dei genitori educare i figli, comportando così l’insegnamento di comportamenti adeguati per relazionarsi con gli altri. In via interpretativa, si riconosce che il diritto del minore a relazioni sociali è parte integrante del suo sviluppo.
La Cassazione ha considerato anche maltrattamenti i comportamenti dei genitori che, per impedire ai figli di frequentare amici [22]. Altri casi giurisprudenziali sottolineano la tutela delle relazioni sociali. Il Tribunale di Napoli ha autorizzato una figlia a lasciare la residenza familiare, ritenendo gravemente pregiudizievole la condotta del genitore che ostacolava il suo fidanzamento. La Cassazione ha condannato una coppia di genitori che avevano rinchiuso la figlia in casa per impedirle di uscire. La Corte costituzionale ha evidenziato che tali comportamenti causano stress emotivo e compromettono la salute psicologica dei figli.
Queste pronunce giurisprudenziali ribadiscono come il diritto alle relazioni sociali, oltre a essere parte del benessere del minore, sia essenziale per la sua crescita e formazione personale. I giudici hanno quindi riconosciuto che impedire arbitrariamente e ingiustificatamente le relazioni sociali può costituire una lesione dei diritti fondamentali, estendendo la tutela anche agli adulti conviventi.
L'impedimento di vietare al coniuge di frequentare persone al di fuori del nucleo familiare può configurarsi come una forma di vessazione e maltrattamento, che compromette non solo la buona convivenza, ma la tutela della salute psichica della persona coinvolta. La giurisprudenza, pur non trattando esplicitamente il tema in ogni sentenza, sottintende che tale impedimento crei disagio, ostacolando lo sviluppo della persona e danneggiando, di conseguenza, la salute psicologica.
La possibilità di frequentare genitori, nonni o amici è un diritto che riguarda sia i minori che gli adulti, come i figli maggiorenni o il coniuge convivente. Quando tale libertà viene negata, può causare esaurimento psicologico e stanchezza mentale, configurando anche illeciti di natura penale, come i maltrattamenti [23]. Le pronunce giuridiche evidenziano come il diritto a mantenere relazioni sociali sia fondamentale per lo sviluppo della persona, e questo principio si applica non solo ai minori, ma anche agli adulti. È necessario che l'ambiente familiare favorisca la socializzazione, in quanto i bambini e i ragazzi devono essere educati fin da piccoli a interagire con coetanei e altre persone al di fuori della propria famiglia. La giurisprudenza rafforza i valori costituzionali relativi alla dignità della persona e al diritto a vivere in modo sano, evitando che l'isolamento o la privazione delle relazioni sociali possano provocare danni psicologici [24].
Tale diritto non riguarda esclusivamente l'ambito civile o penale, ma anche l'ambito amministrativo, dove le politiche pubbliche devono considerare questo bene giuridico. La pubblica amministrazione deve garantire che gli spazi urbani e i servizi pubblici non ledano il diritto alla socializzazione, ma piuttosto li promuovano. In particolare, le città devono essere progettate per facilitare le relazioni sociali, evitando che siano solo i privati a gestire la pianificazione, ma facendo in modo che lo Stato intervenga per coniugare la regolamentazione con l'interesse collettivo a promuovere la socializzazione. Gli spazi urbani dovrebbero includere non solo aree residenziali, ma anche parchi, piazze, luoghi di culto, negozi al piano terra e strutture sportive che favoriscano l'interazione tra le persone, senza che gli abitanti siano costretti a vivere in quartieri separati e isolati. L'urbanizzazione dovrebbe, quindi, tenere conto di una visione integrata della comunità, che includa spazi di incontro e relazioni [25].
7.2. Il riconoscimento costituzionale
Per individuare una base giuridica del diritto alla relazione sociale nella Carta costituzionale, occorre partire dall’art. 2, in cui la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Tuttavia, non è mai stato chiarito, né in dottrina né in giurisprudenza, se questo articolo debba essere interpretato come una clausola chiusa, limitata ai diritti espressamente previsti, ovvero come una clausola aperta, capace di includere nuovi diritti emergenti nella società moderna.
Quando la Corte costituzionale è chiamata a valutare la legittimità di una norma, deve verificare se potrebbe introdurre un nuovo principio fondamentale, degno di autonoma considerazione e tutela. Questo approccio ha permesso l’emersione di nuovi diritti, come il diritto alla privacy o il diritto all’ambiente, che rispondono alle esigenze di una società in continua evoluzione. Ne consegue che il riconoscimento dei diritti fondamentali rimane aperto a nuove istanze, riconducibili alla sfera dei diritti della personalità.
I diritti inviolabili della persona rappresentano una manifestazione del principio personalistico, che concepisce l’individuo non come un’entità isolata, ma come una persona che si realizza pienamente mediante le relazioni sociali. Ciascun diritto fondamentale non tutela solamente l’individuo in senso stretto, ma garantisce anche le condizioni affinché la persona possa vivere armoniosamente nella società ed esprimere pienamente sé stessa.
Si pensi, ad esempio, al diritto alla privacy: esso protegge le informazioni personali dalla divulgazione, poiché la loro diffusione potrebbe compromettere le relazioni interpersonali o causare imbarazzo, evidenziando così non solo il ruolo del diritto nel regolare le relazioni sociali, ma anche l’importanza, per ogni individuo, di potersi relazionare con gli altri in modo idoneo, senza ostacoli o fattori che compromettano tali rapporti.
Tuttavia, ciascun diritto fondamentale deve essere esercitato nel rispetto di altri interessi altrettanto fondamentali, sia individuali che collettivi. L’art. 2 della Costituzione è stato, inoltre, la base per il riconoscimento del diritto all’identità personale, inteso come il diritto di ciascuno a essere se stesso, con le proprie caratteristiche individuali.
7.3. Il diritto alla relazione sociale: un mero aspetto della salute psichica o una figura giuridica autonoma
Per poter esaminare in modo più approfondito e completo il diritto alla relazione sociale, bisogna trattare una questione che emerge nel suo esaminare. Una delle prime fasi dell’analisi di un diritto consiste nell’individuazione della sua natura, per comprendere come meglio disciplinarlo, mediante le sue caratteristiche fondamentali e la sua funzione.
Per affrontare tale dilemma, è necessario impostare correttamente l’esame e chiedersi se l’interesse in questione abbia una propria identità e meriti di essere riconosciuto come un diritto autonomo, ovvero debba considerarsi solo un aspetto del diritto alla salute, come elemento legato al benessere psichico di un individuo.
Le relazioni sociali, infatti, sono strettamente connesse al benessere psicologico, costituendo un elemento imprescindibile per il mantenimento della salute psichica. In questo senso, esse trovano già una tutela implicita nell’art. 32 della Costituzione. Tuttavia, nella storia giuridica non è raro che un diritto inizialmente percepito come un’estensione di un altro sia successivamente riconosciuto come autonomo. Basti pensare al diritto all’identità digitale, che potrebbe sembrare un’estensione di diritti già consolidati come il diritto alla privacy, ma, in realtà, è un diritto autonomo, indispensabile per tutelare l’individuo. Analogamente, il diritto alla relazione sociale potrebbe aspirare a un’autonoma rilevanza giuridica, distinta dal diritto alla salute psichica.
Questo diritto si fonderebbe sul riconoscimento della natura relazionale della persona, già affermata dall’art. 2 Cost. che tutela i diritti inviolabili nelle formazioni sociali. Così non rappresenterebbe solo uno strumento per garantire il benessere psichico, ma anche un valore intrinseco e autonomo.
Un eventuale riconoscimento del diritto alla relazione sociale come figura autonoma comporterebbe anche rilevanti implicazioni sul piano amministrativo, in particolare in ambiti come l’urbanistica. La progettazione degli spazi residenziali dovrebbe essere orientata a favorire l’interazione sociale, imponendo obblighi sia positivi che negativi a carico dello Stato e degli enti pubblici, andando oltre una semplice tutela della salute psichica.
La relazione con gli altri non solo favorisce il benessere individuale, ma è anche uno strumento fondamentale per la comunicazione, la diffusione di informazioni e la trasmissione di conoscenze che arricchiscono la società nel suo complesso. Si tratta dunque di un concetto assai ampio.
8. Il contributo medico-scientifico
Come già accennato, le scienze, tra cui quella giuridica, basate su una concezione moderna e interdisciplinare, non possono svilupparsi in modo indipendente e autonomo. È necessario che il sapere giuridico si integri con altre discipline, come la medicina, per affrontare problemi complessi che emergono dalla società. Attraverso le ricerche di esperti di altri campi, si possono individuare nuove questioni che il diritto, con le sue regole e la sua esperienza, può affrontare e risolvere.
Ad esempio, nell’industria automobilistica si devono tener presenti una molteplicità di discipline che si intrecciano nella realizzazione di un’autovettura, dalla meccanica al design, dall’elettronica alla fisica. Anche in altri ambiti è indispensabile integrare diversi saperi per creare qualcosa di più completo e avanzato: nell’ingegnera, nell’architettura, ovvero nell’informatica. Allo stesso modo, il diritto non può più svilupparsi esclusivamente attraverso le sue regole interne, ma deve aprirsi e dialogare con altre discipline, come la psicologia o la medicina, per affrontare in modo più efficace e proficuo le sfide della società contemporanea.
L’emersione di una nuova malattia virale, il COVID-19, e l'adozione di misure di isolamento nei primi mesi del 2020 per limitare la diffusione del virus, hanno causato in molte persone una cronicizzazione di forme di depressione. Queste erano spesso generate dalla solitudine indotta dalle restrizioni sociali. Di conseguenza, la comunità medica ha intensificato l’attenzione verso la salute mentale, concentrandosi in particolare sugli effetti della solitudine.
Un importante studio condotto presso l'Università di Cardiff, in Galles, in un centro internazionale per le neuroscienze, ha esplorato il funzionamento del cervello umano in relazione alla solitudine. Attraverso avanzate tecniche di scansione cerebrale, i ricercatori hanno osservato che la regione del cervello denominata substantia nigra, situata nel tronco cerebrale, reagisce in modo simile in caso di fame e di solitudine, elaborandole entrambe mediante un’attività neurale analoga [26]. Ciò suggerisce che i contatti sociali siano un bisogno imprescindibile e la loro privazione attiva nel cervello una risposta analoga a quella provocata dalla mancanza di cibo. Se la solitudine si trasforma in una condizione cronica, può sfociare in vere e proprie patologie [27].
Al Policlinico Universitario di Berlino, ulteriori studi hanno rilevato che l'isolamento prolungato può avere conseguenze negative sul cervello. In particolare, è stata osservata una riduzione del volume dell'ippocampo, una struttura fondamentale per la memoria e l’apprendimento. In media, i soggetti isolati hanno mostrato una diminuzione del volume dell’ippocampo su entrambi i lati del cervello, con ripercussioni sul funzionamento cognitivo e sulle capacità individuali [28].
Un altro studio condotto dai ricercatori del Max Planck Institute di Lipsia ha esaminato il cervello e le abitudini sociali, riscontrano che le persone che l’ippocampo delle persone più sole risultava invecchiare più velocemente [29]. Questo invecchiamento accelerato potrebbe essere collegato a un rischio maggiore di declino cognitivo precoce e demenza [30]. La solitudine è stata associata a un aumento del rischio di morte precoce. È stata inoltre collegata a un rischio maggiore di sviluppare malattie croniche, tra cui patologie cardiovascolari, ictus, diabete e problemi di salute mentale, aumentando la letalità per la salute, come il fumo, il consumo eccessivo di alcol, l'inattività fisica e l’obesità [31]. La mancanza di una rete sociale che offra supporto e relazioni appaganti non ha solo un impatto emotivo, ma può influenzare in modo significativo il funzionamento del cervello [32].
Per questa ragione, una disciplina urbanistica che favorisca la creazione di città in cui i singoli individui sono isolati gli uni dagli altri può contribuire a rafforzare e cronicizzare i fenomeni di isolamento e solitudine, esponendo le persone a rischi maggiori per la salute. Il diritto alla salute, quindi, non deve limitarsi a essere un principio da proteggere passivamente; come sottolinea la Costituzione, la Repubblica ha il dovere di intervenire attivamente per promuovere i diritti fondamentali, tra cui quello alla socialità e della relazione umana.
Affidare la regolamentazione urbanistica esclusivamente al settore privato rappresenta un rischio, in quanto manca spesso una visione orientata al benessere collettivo. Inoltre, il diritto alla salute non può più essere inteso esclusivamente come tutela dell'integrità fisica: deve includere anche la salute psichica, che è altrettanto importante. Sebbene formalmente questo principio sia riconosciuto, nella prassi giurisprudenziale non vi è ancora una tutela pienamente equiparabile tra salute fisica e mentale. Questa lacuna si riflette nella realtà giuridica, evidenziando la necessità di un approccio più integrato e incisivo nella promozione di città e ambienti urbani che favoriscano il benessere psicologico e relazionale, oltre a quello fisico.
9. Riferimento della giurisprudenza
Il diritto alla relazione sociale, inteso come l’interesse del singolo a relazionarsi e interagire con altre persone, non è mai stato formalmente individuato in maniera marcata dalla dottrina o dalla giurisprudenza. Tuttavia, diverse pronunce giudiziarie hanno fatto riferimento, anche in modo indiretto, a questo concetto, riconoscendone la rilevanza sotto vari profili.
Anzitutto, questo diritto può essere considerato costituzionalmente orientato, trovando il suo fondamento nei valori cardine dell’ordinamento. Tra questi si annoverano il diritto alla dignità umana, sancito nell’art. 1 CEDU, e il diritto alla salute, ex. art. 32 Cost. che riflette il principio del pieno sviluppo della persona.
Il diritto a non vivere nella solitudine è stato riconosciuto implicitamente in diversi ambiti. Ad esempio, nella disciplina e nelle pronunce relative al trattamento dei detenuti, la giurisprudenza ha stabilito che deve essere garantito loro un trattamento umano, che includa opportunità di socialità e interazione. Questo rappresenta una prima concretizzazione del diritto alla relazione sociale. Allo stesso modo, nel caso dei minori, la legge e i giudici sottolineano l’importanza di garantire rapporti familiari essenziali, privilegiando il legame con i genitori e, in loro assenza, con altri familiari. Inoltre, sono state emesse pronunce che riconoscono il diritto dei bambini e degli adolescenti di frequentare amici e coetanei, purché ciò non comporti rischi per la loro crescita e formazione [33].
Un’importante conferma del valore delle relazioni sociali è arrivata dalla Corte Costituzionale, che ha chiarito come la salute non debba essere intesa solo come assenza di malattia, ma anche come benessere psicofisico complessivo. In questa prospettiva, il diritto a una vita relazionale adeguata è parte integrante della tutela costituzionale della salute.
10. Criticità della disciplina
Il modello di pianificazione urbana contemporaneo tende a favorire l'isolamento sociale degli individui, mancando di promuovere le interazioni e riducendo le opportunità di costruire relazioni interpersonali. Questo problema deriva dalla scarsa attenzione al tema da parte dei pianificatori e dalla delega quasi totale ai privati nella gestione dei quartieri residenziali, fatta eccezione per le normative su criteri ambientali e di sicurezza.
Nelle aree urbane più moderne, si osserva una carenza di spazi pubblici come piazze, parchi o aree comuni, che faciliterebbero l'incontro e la socializzazione. A ciò si aggiunge una predominanza di infrastrutture dedicate al traffico veicolare a discapito di quelle destinate alla vita pedonale e comunitaria. La rigida separazione tra zone residenziali, commerciali e industriali impedisce la creazione di quartieri misti e dinamici, in cui le persone possano interagire facilmente.
Molti quartieri residenziali risultano isolati, privi di negozi, servizi o luoghi di ritrovo raggiungibili a piedi. Inoltre, il proliferare di complessi residenziali chiusi, come i gated communities, o di edifici progettati senza considerare le relazioni tra abitanti e quartiere, contribuisce a ridurre ulteriormente le occasioni di socializzazione. La progettazione di spazi privati autosufficienti riduce la necessità di interagire con l'esterno, trasformando le città in luoghi di transito piuttosto che di permanenza, dove le persone vivono in modo funzionale ma raramente appagante.
11.1. Le possibili soluzioni giuridiche
Per affrontare i problemi della realtà urbana contemporanea, è fondamentale che i Piani Regolatori Generali prevedano obblighi chiari e vincolanti per la creazione di spazi pubblici come piazze, parchi, aree pedonali e centri di integrazione, rendendo questi elementi imprescindibili per l’approvazione dei piani urbanistici. Con la sussistenza di negozio non troppo distanti dalle residenze e non necessariamente riflettano una distribuzione di massa. È altrettanto importante introdurre vincoli che assicurino infrastrutture sociali come scuole, biblioteche e centri civici.
Inoltre, garantire sempre la presenza di un servizio di trasporto che non isoli l’intero quartiere, e che spesso diventa una delle cause di ghettizzazione dei quartieri. L’interesse che il proprio quartiere sia rifornito di servizi di trasporto pubblico non appare più un mero interesse di fatto o semplice, ma un vero e proprio diritto o interesse legittimo.
11.2. Estensione applicativa del diritto alla relazione sociale
In questa analisi si è esaminato il diritto alla relazione sociale alla luce della normativa urbanistica. Tuttavia, tale situazione giuridica non può essere circoscritta esclusivamente a questo ambito, che rappresenta solo una delle sue molteplici dimensioni. Questo diritto, infatti, merita di essere tutelato e garantito in ogni contesto in cui possa emergere una violazione. L’utilizzo dei social network, pone oggi rilevanti problematiche di isolamento sociale, colpendo in particolare i minori. Si tratta di temi ancora poco esplorati sotto la lente del diritto, il quale risulta scarsamente definito, analizzato e sviluppato sia in ambito giurisprudenziale che dottrinale.
Attualmente, gli interventi giurisprudenziali e normativi relativi al diritto alla relazione sociale si concentrano su settori specifici, come il trattamento dei detenuti [34] o i rapporti tra figli e genitori. Tuttavia, manca un’estensione organica a ulteriori ambiti e, soprattutto, una definizione autonoma e completa di questa realtà giuridica.
12. Considerazione conclusive
L’urbanistica moderna non può limitarsi a essere uno strumento tecnico per l’organizzazione del territorio, ma deve assumere il ruolo di veicolo per la promozione dei diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto alla relazione sociale. Questo diritto, radicato nei principi costituzionali e intimamente legato alla dignità umana, al benessere psicologico e alla salute collettiva, rappresenta un valore imprescindibile per la realizzazione di una società coesa e inclusiva. Tuttavia, l’analisi condotta rivela che l’attuale sistema di pianificazione urbana, spesso dominato da logiche di mercato e da interessi privatistici, ha compromesso la funzione sociale degli spazi urbani, relegando la socialità a un aspetto marginale rispetto al profitto.
Le città contemporanee, in molti casi, sono diventate luoghi di isolamento, dove l’interazione sociale è ostacolata dalla mancanza di spazi pubblici adeguati e di infrastrutture pensate per favorire la coesione. I quartieri residenziali, spesso progettati per massimizzare il valore immobiliare, si trasformano in meri dormitori, privi di quelle caratteristiche che consentirebbero agli individui di sviluppare relazioni significative. Questo modello ha avuto un impatto negativo non solo sul benessere psico-sociale degli individui, ma anche sulla qualità della vita urbana in generale, alimentando un senso diffuso di solitudine e alienazione.
È dunque necessario ripensare radicalmente il paradigma urbanistico, riconoscendo che il diritto alla relazione sociale non è un accessorio, ma un elemento essenziale per la piena realizzazione della persona umana e per il corretto funzionamento della vita comunitaria. Tale riconoscimento impone allo Stato e alle istituzioni pubbliche di assumere un ruolo attivo nella pianificazione territoriale, intervenendo con strumenti normativi capaci di bilanciare gli interessi economici con quelli collettivi. Le normative urbanistiche devono essere orientate non solo alla sostenibilità ambientale e alla funzionalità infrastrutturale, ma anche alla promozione di spazi di incontro e socializzazione che possano rispondere alle esigenze relazionali degli individui.
Un rinnovato approccio all’urbanistica dovrebbe mirare a integrare valori sociali nei piani regolatori e nei progetti urbanistici, superando le logiche che relegano il bene collettivo in secondo piano rispetto al profitto. In questo contesto, la pianificazione non deve essere vista come un vincolo all’iniziativa privata, bensì come un’opportunità per realizzare un equilibrio tra sviluppo economico e benessere sociale. È essenziale che il settore pubblico si riappropri del suo ruolo di garante degli interessi collettivi, definendo standard di progettazione che favoriscano la creazione di luoghi vivibili, accoglienti e inclusivi.
L’articolo evidenzia come il diritto alla relazione sociale debba essere riconosciuto e tutelato con la stessa enfasi attribuita ad altri diritti fondamentali, quali la salute fisica e psichica. La progettazione urbanistica deve quindi porsi l’obiettivo di creare spazi capaci di promuovere l’interazione, ridurre l’isolamento sociale e garantire il benessere delle generazioni presenti e future. Solo un sistema urbanistico che ponga al centro l’individuo e la comunità potrà contribuire a costruire città capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo, riaffermando il primato dei diritti umani sulla logica del profitto.
[1] F. PERCHINUNNO, La tutela del diritto alla salute mentale dei detenuti nel recente approdo costituzionalmente orientato della Consulta (The protection of the right to mental health of prisoners in the recent sentence of the Constitutional.
[2] C. BEVILACQUA, F. SAVIA, N. GULLO, Manuale di diritto urbanistico, Cedam, 2021.
[3] C. BEVILACQUA, F. SAVIA, N. GULLO, Manuale di diritto urbanistico, Cedam, 2021.
[4] C. BEVILACQUA, F. SAVIA, N. GULLO, Manuale di diritto urbanistico, Cedam, 2021.
[5] G. C. MENGOLI, Manuale Di Diritto Urbanistico, Giuffrè Editore, 2014.
[6] C. BEVILACQUA, F. SAVIA, N. GULLO, Manuale di diritto urbanistico, Cedam, 2021.
[7] C. BEVILACQUA, F. SAVIA, N. GULLO, Manuale di diritto urbanistico, Cedam, 2021.
[8] G. C. MENGOLI, Manuale Di Diritto Urbanistico, Giuffrè Editore, 2014.
[9] G. C. MENGOLI, Manuale Di Diritto Urbanistico, Giuffrè Editore, 2014.
[10] A. SIMONATI, D. DE PRETIS, Diritto urbanistico e delle opere pubbliche, Giappichelli Editore, 2021.
[11] A. SIMONATI, D. DE PRETIS, Diritto urbanistico e delle opere pubbliche, Giappichelli Editore, 2021.
[12] G. C. MENGOLI, Manuale Di Diritto Urbanistico, Giuffrè Editore, 2014.
[13] A. SIMONATI, D. DE PRETIS, Diritto urbanistico e delle opere pubbliche, Giappichelli Editore, 2021.
[14] A. SIMONATI, D. DE PRETIS, Diritto urbanistico e delle opere pubbliche, Giappichelli Editore, 2021.
[15] G. C. MENGOLI, Manuale Di Diritto Urbanistico, Giuffrè Editore, 2014.
[16] F. PERCHINUNNO, La tutela del diritto alla salute mentale dei detenuti nel recente approdo costituzionalmente orientato della Consulta (The protection of the right to mental health of prisoners in the recent sentence of the Constitutional Court) Nota a sentenza Corte costituzionale 19 aprile 2019, n. 99; in ambientediritto.it, 2021.
[17] V. SANTARSIERE, Accordi di separazione consensuale dei coniugi con prole con astinenza da rapporti affettivi. Nota a Trib. Parma 26 giugno 2005 in Giurisprudenza di merito, 2006.
[18] G. STRAZZA, benessere e salute: le implicazioni giuridiche Relazione al Convegno nazionale AIDU Ripensare la città e il suo diritto, Padova, 1-2 ottobre 2020 in federalismi.it, 2021.
[19] Cassazione Civile, Sez. I, ord. 19 novembre 2024, n. 29685.
[20] V. SANTARSIERE, Accordi di separazione consensuale dei coniugi con prole con astinenza da rapporti affettivi. Nota a Trib. Parma 26 giugno 2005 in Giurisprudenza di merito, 2006.
[21] Cassazione Civile, Sez. I, ord. 19 novembre 2024, n. 29685.
[22] Cassazione civile, sent. n. 4219 del 2021.
[23] Cassazione civile, sent. n. 4219 del 2021.
[24] G. STRAZZA, benessere e salute: le implicazioni giuridiche Relazione al Convegno nazionale AIDU Ripensare la città e il suo diritto, Padova, 1-2 ottobre 2020 in federalismi.it, 2021.
[25] G. STRAZZA, benessere e salute: le implicazioni giuridiche Relazione al Convegno nazionale AIDU Ripensare la città e il suo diritto, Padova, 1-2 ottobre 2020 in federalismi.it, 2021.
[26] https://www.raiplay.it/video/2024/10/Malati-di-solitudine---PresaDiretta-20102024-d5f79a85-18e3-46a5-b192-a7206ae50dd1.html
[27] https://www.raiplay.it/video/2024/10/Malati-di-solitudine---PresaDiretta-20102024-d5f79a85-18e3-46a5-b192-a7206ae50dd1.html
[28] https://www.raiplay.it/video/2024/10/Malati-di-solitudine---PresaDiretta-20102024-d5f79a85-18e3-46a5-b192-a7206ae50dd1.html
[29] https://www.raiplay.it/video/2024/10/Malati-di-solitudine---PresaDiretta-20102024-d5f79a85-18e3-46a5-b192-a7206ae50dd1.html
[30] https://www.raiplay.it/video/2024/10/Malati-di-solitudine---PresaDiretta-20102024-d5f79a85-18e3-46a5-b192-a7206ae50dd1.html
[31] https://www.raiplay.it/video/2024/10/Malati-di-solitudine---PresaDiretta-20102024-d5f79a85-18e3-46a5-b192-a7206ae50dd1.html
[32] https://www.raiplay.it/video/2024/10/Malati-di-solitudine---PresaDiretta-20102024-d5f79a85-18e3-46a5-b192-a7206ae50dd1.html
[33] E. TOWNER, K .THOMAS, L. TOMOVA, S.J. BLAKEMORE, Increased threat learning after social isolation in human adolescents, 2024.
[34] F. PERCHINUNNO, La tutela del diritto alla salute mentale dei detenuti nel recente approdo costituzionalmente orientato della Consulta (The protection of the right to mental health of prisoners in the recent sentence of the Constitutional Court) Nota a sentenza Corte costituzionale 19 aprile 2019, n. 99; in ambientediritto.it, 2021.
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