Pubbl. Mar, 9 Set 2025
Per il Consiglio di Stato la destinazione a parcheggio pubblico non costituisce un vincolo espropriativo
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Giuseppe Anfuso

La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 giugno 2025, n. 5538, si occupa di una questione fondamentale del diritto urbanistico: la qualificazione della destinazione urbanistica di aree private a parcheggio pubblico. Il giudice amministrativo ha chiarito che tale previsione integra un vincolo conformativo e non espropriativo, poiché non comporta l’ablazione automatica del bene e lascia ai privati la possibilità di realizzare le attrezzature destinate all’uso collettivo. Conseguentemente, non è previsto alcun indennizzo e la reiterazione del vincolo non richiede motivazioni specifiche. Il contributo ricostruisce il quadro normativo e giurisprudenziale, offre una riflessione critica sull’impatto della decisione e ne discute le implicazioni sistemiche e comparate.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il quadro normativo; 3. L’elaborazione giurisprudenziale; 4. La sentenza n. 5538/2025; 5. Profili critici e implicazioni pratiche; 6. Conclusioni.
1. Introduzione
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5538 del 25 giugno 2025, ha avuto occasione di chiarire nuovamente la natura dei vincoli urbanistici che incidono sulla proprietà privata, affrontando in particolare la destinazione di un’area a parcheggio pubblico[1]. La questione, tutt’altro che nuova, continua a rivestire un ruolo centrale nel diritto urbanistico e costituisce terreno di confronto tra esigenze pubbliche e garanzie proprietarie.
Il problema di fondo è rappresentato dalla qualificazione giuridica del vincolo: deve essere inteso come vincolo espropriativo, con conseguente applicazione della disciplina della temporaneità quinquennale e del diritto a indennizzo, oppure come vincolo conformativo, espressione della funzione sociale della proprietà e quindi non indennizzabile? La risposta fornita dal Collegio è stata netta: la destinazione urbanistica a parcheggio pubblico costituisce un vincolo conformativo, poiché non comporta automaticamente l’ablazione del suolo e consente al privato di attuare le previsioni pianificatorie realizzando le attrezzature richieste.
Questa presa di posizione non si limita a risolvere un caso concreto, ma ribadisce un principio destinato ad incidere profondamente sull’assetto dei rapporti tra privati e amministrazioni, rafforzando la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi e chiarendo la portata della funzione sociale della proprietà.
2. Il quadro normativo
Il punto di partenza è rappresentato dall’art. 42 della Costituzione, che sancisce il diritto di proprietà privata, ma ne subordina l’esercizio alla funzione sociale, consentendo al legislatore di disciplinarne i limiti in vista dell’interesse generale[2]. L’art. 9 Cost., a sua volta, richiama la tutela del paesaggio e la pianificazione del territorio come principi fondamentali.
Sul piano legislativo, il d.P.R. 380/2001 (Testo unico edilizia) attribuisce agli strumenti urbanistici generali la funzione di conformare il contenuto del diritto di proprietà, determinando le destinazioni d’uso del suolo. È in tale quadro che si colloca la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi: i primi hanno carattere generale e indifferenziato, non prevedono indennizzo e non sono soggetti a scadenza; i secondi preordinano beni specifici all’ablazione, comportano il diritto all’indennizzo e sono soggetti a decadenza quinquennale[3].
L’effetto pratico di questa distinzione è enorme: qualificare un vincolo come espropriativo significa sottoporre l’amministrazione a obblighi stringenti e a potenziali oneri finanziari; qualificarlo come conformativo consente invece di pianificare in modo stabile, senza dover periodicamente giustificare la reiterazione delle scelte.
3. L’elaborazione giurisprudenziale
La giurisprudenza costituzionale e amministrativa ha contribuito in maniera decisiva a delineare i confini della distinzione. Con la storica sentenza n. 55 del 1968, la Corte costituzionale affermò che i vincoli conformativi attengono al contenuto minimo e massimo del diritto di proprietà e si applicano in maniera generalizzata, mentre i vincoli espropriativi hanno carattere puntuale e sono diretti alla realizzazione di opere pubbliche[4].
Il Consiglio di Stato ha più volte ribadito che destinazioni a standard urbanistici come parcheggi, scuole e aree verdi costituiscono vincoli conformativi, poiché non sottraggono il bene ma ne regolano l’utilizzo nell’interesse collettivo[5]. La giurisprudenza ha anche chiarito che la gravosità economica del vincolo non ne muta la natura: esso rimane conformativo finché residua una possibilità di utilizzazione coerente con le finalità generali del piano. Con l’Adunanza plenaria n. 11 del 2020, il Consiglio ha ribadito che il criterio distintivo non è il grado di incidenza economica, ma la finalità e la struttura del vincolo[6].
Questi orientamenti hanno costruito il terreno su cui si innesta la sentenza del 2025, che ne rappresenta una coerente applicazione.
4. La sentenza n. 5538/2025
Il Consiglio di Stato ha affermato che “la destinazione di un terreno privato a parcheggio pubblico, impressa in base a previsioni di tipo urbanistico, non comportando automaticamente l’ablazione dei suoli, ed anzi, ammettendo la realizzazione anche da parte dei privati, in regime di economia di mercato, delle relative attrezzature destinate all’uso pubblico, costituisce un vincolo conformativo e non anche espropriativo della proprietà privata, per cui la relativa imposizione non necessita della contestuale previsione dell’indennizzo, né delle puntuali motivazioni sulle ragioni poste a base della eventuale reiterazione della previsione stessa”[7].
La sentenza sottolinea tre aspetti essenziali. Primo: la proprietà non viene ablata, ma rimane nella titolarità del privato. Secondo: il vincolo ammette l’iniziativa privata, consentendo al proprietario di realizzare le attrezzature richieste. Terzo: non è dovuto indennizzo e non è necessaria una motivazione specifica in caso di reiterazione.
La ratio è chiara: evitare che vincoli conformativi vengano trattati come espropriativi, con conseguente incertezza e oneri impropri per le amministrazioni. La sentenza rafforza così la certezza e la stabilità della pianificazione, chiarendo definitivamente che la destinazione a parcheggio pubblico non ha natura ablativa.
5. Profili critici e implicazioni pratiche
Pur consolidando un orientamento consolidato, la pronuncia solleva alcuni profili critici. Per i proprietari privati, il rischio è che la compressione delle facoltà dominicali diventi eccessiva: sebbene il bene resti formalmente nella loro disponibilità, la possibilità di trarne un’utilità economica significativa può essere ridotta o annullata. In tali casi, il mancato riconoscimento di indennizzo potrebbe apparire sproporzionato [8].
Dal punto di vista delle amministrazioni, la decisione rappresenta un vantaggio evidente, consentendo una pianificazione più stabile e meno onerosa. Tuttavia, proprio perché la discrezionalità pianificatoria è ampia, è necessario che sia esercitata con equilibrio, tenendo conto del principio di proporzionalità e dell’impatto concreto sui diritti dei singoli.
L’analisi comparata mostra come altri ordinamenti abbiano affrontato la questione. In Francia, le destinazioni conformative sono integrate da strumenti di perequazione urbanistica che redistribuiscono i sacrifici tra più proprietari[9]. In Germania, la Bauleitplanung prevede meccanismi di compensazione interproprietaria che evitano squilibri eccessivi[10]. Questi esempi mostrano come sia possibile garantire stabilità alla pianificazione senza sacrificare oltre misura le posizioni individuali.
6. Conclusioni
La sentenza n. 5538/2025 rappresenta un ulteriore tassello di un orientamento ormai consolidato, che qualifica come conformativi i vincoli urbanistici relativi a standard pubblici. Tale interpretazione garantisce certezza alla pianificazione e riduce i costi per le amministrazioni.
Tuttavia, il nodo della proporzionalità rimane aperto: la compressione delle facoltà dominicali, pur senza ablazione, può equivalere a una forma di espropriazione sostanziale. È qui che si gioca la sfida futura del diritto urbanistico italiano: rafforzare gli strumenti di perequazione e compensazione per rendere equo il bilanciamento tra esigenze collettive e diritti individuali.
La sentenza va dunque letta non come un punto di arrivo, ma come uno stimolo per rafforzare la riflessione dottrinale e legislativa sul futuro della pianificazione, affinché il principio della funzione sociale della proprietà sia attuato senza degenerare in un sacrificio sproporzionato a carico del singolo.
1. Cons. Stato, Sez. IV, 25 giugno 2025, n. 5538.
2. Corte cost., 27 dicembre 1984, n. 179.
3. Cons. Stato, Sez. IV, 12 gennaio 2022, n. 208.
4. Corte cost., 20 maggio 1968, n. 55.
5. Cons. Stato, Sez. IV, 14 luglio 2016, n. 3160.
6. Cons. Stato, Ad. plen., 9 giugno 2020, n. 11.
7. MORBIDELLI, G., Diritto urbanistico, Bologna, Il Mulino, 2023.
8. SANDULLI, M.A., Vincoli conformativi ed espropriativi nella pianificazione urbanistica, in Riv. giur. urb., 2022, 157 ss.
9. POLICE A., La funzione sociale della proprietà tra Costituzione e pianificazione territoriale, in Giur. cost., 2021, 421 ss.
10. SCHRÖER, H., Stadtplanung und Eigentumsschutz im deutschen Bauplanungsrecht, Berlin, Springer, 2019.