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La programmazione negoziata tra diritto statale e regionale: l´esperienza lombarda
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Pubbl. Mer, 20 Ago 2025

La programmazione negoziata tra diritto statale e regionale: l´esperienza lombarda

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Giuseppe Amendola
Funzionario della P.A.Università degli Studi della Calabria



L´evoluzione della società contemporanea ha indotto il legislatore a ricercare nuovi modelli di regolazione ed organizzazione delle funzioni amministrative, basati su logiche di cooperazione e condivisione degli obiettivi, al fine di recepire efficacemente i bisogni umani. In quest´ottica si inserisce la programmazione negoziata, come complesso di strumenti che - discostandosi dal carattere unilaterale dell´azione amministrativa - consente ai membri della comunità locale di partecipare alla definizione delle politiche di sviluppo del territorio. Attraverso un raffronto tra legislazione statale e regionale lombarda, si evidenzieranno gli aspetti peculiari di quest´ultima rispetto alla prima.


Sommario: 1. Introduzione; 2. Inquadramento sistematico ed origini storiche; 3. La programmazione negoziata nel diritto regionale lombardo: sguardo d’insieme; 3.1. Strumenti; 4. Considerazioni conclusive e alcuni spunti.

1. Introduzione

L’evoluzione continua della società contemporanea, caratterizzata da una crescente complessità e da strutture sempre più articolate, ha generato un aumento dei bisogni e delle esigenze umane, richiedendo alle istituzioni pubbliche uno sforzo maggiore per il loro soddisfacimento. Questo sforzo si traduce nella definizione di nuovi strumenti normativi di organizzazione e di regolazione delle funzioni amministrative da parte del legislatore, che siano tali da aderire al contesto sociale ed economico in maniera più efficiente, coinvolgendo direttamente il territorio attraverso le istituzioni rappresentative più vicine ai bisogni dei cittadini.

In tale quadro si inserisce la programmazione negoziata, intesa quale insieme di strumenti di attuazione delle politiche di sviluppo del territorio basato sulla cooperazione tra soggetti pubblici e privati. “Programmare” significa predisporre strategie e linee d’azione per il raggiungimento di determinati obiettivi, in un’ottica che guarda al futuro; la “negoziazione”, invece, si riferisce ad un’attività, tradizionalmente relegata al diritto civile, in cui due o più soggetti, posti in posizione di parità, discutono per giungere ad un risultato finale – generalmente sotto forma di accordo - che sia per essi conveniente, e che rappresenti la sintesi dei loro interessi individuali. Termini, prima facie, antitetici, avendo la programmazione ad oggetto l’esercizio delle funzioni amministrative per il soddisfacimento di finalità predeterminate dalla legge, diversamente dall’attività negoziale in cui le parti stabiliscono autonomamente quali interessi perseguire.

La logica che permea la programmazione negoziata è chiaramente quella del consenso, della collaborazione orientata al soddisfacimento di obiettivi comuni, senza tuttavia tradire il principio di legalità dell’azione amministrativa di cui all’art. 1 L. n. 241/90.

Nel presente lavoro, si cercheranno di tracciare le linee fondamentali della disciplina in materia di programmazione negoziata dettata dalla Regione Lombardia con la L. rg. 29 novembre 2019, n.19, operando un raffronto con gli strumenti previsti dal legislatore statale, al fine di coglierne analogie e differenze.

2. Inquadramento sistematico ed origini storiche

Come affermato in apertura, l’argomento in esame investe la questione dell’esercizio delle funzioni amministrative, e più in generale i rapporti tra autorità pubblica e cittadino. Da qui occorre muovere, per collocare esattamente il tema all’interno della cornice normativa.

La funzione amministrativa può essere definita come attività diretta alla realizzazione di scopi prefissati dal legislatore all’interno di una o più norme giuridiche. Poiché quest’ultime esprimono un modello deontologico di comportamento, sono cioè espressione di un dover essere riferito all’attività amministrativa, se ne deduce che l’autorità amministrativa ha l’obbligo di soddisfare quelle finalità, così come esattamente delineate. Il principio è espresso dall’art. 1, co. 1, della L. n. 241/90, ove l’attività amministrativa viene ancorata al perseguimento di scopi stabiliti direttamente ex lege (c.d. principio di legalità).

Lo strumento che consente di concretizzare la funzione amministrativa è costituito dal potere amministrativo, che si pone come passaggio intermedio necessario tra l’astratta previsione normativa e la sua realizzazione mediante atti o comportamenti idonei ad innovare il mondo giuridico.

La concezione della funzione amministrativa come strumento di attuazione dei compiti amministrativi deriva dal fatto che gli interessi in gioco non rientrano nella libera disponibilità delle parti, come nelle relazioni inter-privatistiche, bensì sono espressione di valori essenziali e delicati della società, che solo un’autorità – dotata dei necessari poteri e posta al di sopra dei cittadini – può adeguatamente tutelare. Pertanto, il modello cardine delle relazioni tra cittadino e P.A., fondato, come è noto, sulla supremazia di quest’ultima, origina proprio dal fallimento dei modelli sociali fondati sulla cooperazione tra individui posti su di un piano di parità nel perseguimento dei suddetti interessi.

Questo concetto è desumibile dall’art. 117, co. 2, Cost., che demanda allo Stato il compito di occuparsi di quelle materie, essenziali per l’esistenza ed il progresso del genere umano.

Pertanto, il modulo tipico di esercizio del potere da parte di un soggetto pubblico si basa sul carattere unilaterale ed autoritario degli atti e provvedimenti amministrativi (oltre ovviamente ai comportamenti materiali necessari ad attuarli), non essendo richiesta alcuna intermediazione altrui per la produzione dell’effetto giuridico.

Storicamente, infatti, la logica dirigista che animava l’attività delle amministrazioni pubbliche impediva tanto ai privati quanto alle istituzioni locali la possibilità di partecipare al processo di definizione delle politiche di sviluppo di un territorio.

Il cambio di prospettiva nell’attribuzione delle funzioni tra i diversi livelli di governo pubblico di una comunità fu influenzato dall’ordinamento comunitario, in particolare dal principio di sussidiarietà come criterio flessibile di distribuzione dei poteri tra Stati membri e Comunità Europea, comparso per la prima volta all’interno dell’Atto unico europeo (A.U.E.) del 1986, seppur limitato alla tematica ambientale[1]; principio successivamente esteso dal Trattato sull’Unione Europea (T.U.E.) a qualsiasi competenza comunitaria[2].

Il legislatore italiano, nel solco tracciato dal diritto europeo, iniziò a disegnare un nuovo modello dei rapporti tra livelli istituzionali, basato sulla co-progettazione e sulla condivisione di idee. Già la L. n. 64/1986[3] evocava l’idea di una programmazione negoziata, al cui art. 7 compare per la prima volta l’istituto dell’Accordo di programma per la realizzazione coordinata degli interventi[4].

Successivamente, le riforme amministrative operate con le leggi n. 142/1990 e n. 241/1990 ampliarono il novero degli strumenti di lavoro utilizzabili dalle PP.AA. per il raggiungimento dei propri fini, prevedendo il coinvolgimento anche di soggetti terzi, non direttamente destinatari dell’azione amministrativa. A tal proposito, gli istituti della Conferenza di servizi e degli accordi tra PP.AA., di cui rispettivamente agli artt. 14 e 15 della L. n. 241/1990, rappresentano esempi paradigmatici dell’apertura verso moduli consensuali in precedenza sconosciuti, in grado di snellire l’attività dei pubblici poteri in armonia con il principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost[5].

La definitiva istituzionalizzazione della programmazione negoziata si ebbe con la L. n. 662/1996[6], il cui art. 2, co. 203, la definiva come «regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico competente e la parte o le parti pubbliche o private per l'attuazione di interventi diversi, riferiti ad un'unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione complessiva delle attività di competenza».

Il passo successivo fu poi compiuto dall’introduzione del d.lgs. n. 267/2000[7] il quale, al Capo V, delineò una serie di forme associative per lo svolgimento concordato di funzioni e servizi[8] ovvero per la definizione o realizzazione di interventi puntuali e specifici, che richiedono l’azione coordinata dei vari livelli istituzionali[9].

Da ultimo, con le c.d. leggi Bassanini furono valorizzate ed accresciute le competenze di Regioni ed Enti locali, anticipando l’ingresso nell’ordinamento giuridico italiano del principio di sussidiarietà, successivamente introdotto a livello costituzionale dalla L. cost. n. 3/2001, di riforma del Titolo V della Costituzione. In particolare, l’art. 118 Cost. assegna l’esercizio delle funzioni amministrative in primis al livello di governo più prossimo alle esigenze dei cittadini[10], limitando l’intervento sostituivo dello Stato a casi eccezionali. Inoltre, per assicurare l’efficacia dell’azione amministrativa, Regioni ed enti locali vengono dotati di autonomia finanziaria di entrata e di spesa, pur nel rispetto dei principi fondamentali concernenti l’equilibrio di bilancio e dei vincoli imposti dall’ordinamento europeo.

Nel silenzio dell’art. 117 Cost., il tema della programmazione negoziata rientra quindi tra le competenze legislative esclusive delle Regioni, salvo il rispetto delle attribuzioni ratione materiae in relazione al settore o attività verso cui l’azione regionale si rivolge

3. La programmazione negoziata nel diritto regionale lombardo: sguardo d'insieme

Premesso un inquadramento generale, occorre ora soffermarsi sulla disciplina dettata da Regione Lombardia in relazione al tema in esame.

Il legislatore regionale ha inteso usufruire dei poteri assegnati dalla Costituzione introducendo, mediante la L. rg. n. 9/2019 ed il reg. rg. attuativo n. 6/2020, la «Disciplina della programmazione negoziata di interesse regionale», al fine di realizzare, in maniera condivisa, gli obiettivi ed i programmi fissati all’interno del Programma regionale di sviluppo, del Documento di economia e finanza regionale e di ogni altro piano o programma regionale di settore, nel rispetto dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza amministrativa (art. L. cit.).

La normativa prevede diversi strumenti della programmazione negoziata di interesse regionale. Segnatamente, l’art. 2 L. cit. contempla: a) l’accordo quadro di sviluppo territoriale (di seguito AQST); b) l’accordo di rilancio economico, sociale e territoriale (di seguito AREST); c) l’accordo di programma (di seguito ADP); d) l’accordo locale semplificato (di seguito ALS)[11].

Dal punto di vista generale, il legislatore regionale prevede da un lato talune disposizioni generali, applicabili a tutti i summenzionati strumenti[12], dall’altro regole di dettaglio costruite in relazione alla particolare natura di ciascuno di essi.

La programmazione negoziata viene concepita come processo che si snoda essenzialmente in tre macro-fasi: promozione, sottoscrizione, attuazione. Con la prima fase, uno o più soggetti – pubblici o privati – possono avanzare proposte alla Regione per realizzare opere, piani o programmi di intervento, ovvero per definire le politiche di sviluppo di una o più zone determinate. Per ogni strumento viene individuato un soggetto promotore, che ha la facoltà di attivare un confronto con i potenziali partner territoriali finalizzato ad individuare priorità strategiche e progettualità condivise.

La predisposizione degli strumenti di programmazione negoziata avviene sulla base di alcuni indirizzi, elencati all’art. 2 del reg. cit., che devono orientare i soggetti coinvolti all’interno di ciascuna fase. Essi sono rappresentati da: a) governance, intesa quale modalità di coinvolgimento di più soggetti possibili per una maggiore efficacia e condivisione delle azioni di sviluppo del territorio; b) territorializzazione, quale volontà di accrescere la partecipazione delle realtà locali alla programmazione negoziata; c) partenariato territoriale, per l’individuazione condivisa delle strategie e dei progetti; d) convergenza di risorse economiche, competenze e progettualità, come modalità di definizione di un insieme di interventi secondo criteri di coerenza e integrazione funzionale per la realizzazione del comune obiettivo di sviluppo del territorio; e) sostenibilità, quale obiettivo per rispondere alle esigenze future dei cittadini, favorendo impatti positivi delle misure in termini economici, di coesione sociale, ambientale, di innovazione, formazione e trasformazione digitale; f) semplificazione, quale modalità atta a favorire processi decisionali agili ed omogenei.

La proposta per l’attivazione di uno o più strumenti di programmazione negoziata è sottoposta al vaglio preliminare della Regione, che – ai sensi del combinato disposto dell’art. 3 L. cit., 2 e 3 del reg. cit. – deve verificare la sussistenza dell’interesse regionale in relazione agli interventi che si intendono realizzare, nonché la coerenza delle proposte con i propri documenti programmatici. Si tratta di una verifica definita di “ammissibilità amministrativa”, cui sembra non residuare alcun margine di discrezionalità in capo alla Regione, trattandosi di attività di mera comparazione rispetto ai contenuti del PRS, DEFR e degli altri piani e programmi di settore. Gli esiti dell’istruttoria confluiscono poi all’interno della delibera di Giunta regionale di promozione dello strumento prescelto, con la quale si dà avvio al percorso.

Successivamente, si apre la fase intermedia di negoziazione vera e propria, volta a definire i contenuti dello strumento prescelto dai soggetti, in termini di azioni e progettualità da attuare. In questa fase, vengono organizzati incontri multilaterali (convegni, tavoli tematici et similia) per ottenere il maggior consenso possibile dal territorio di riferimento. Gli incontri sono aperti alla partecipazione di qualsivoglia soggetto avente interesse a collaborare, a prescindere dalla veste giuridica pubblica o privata posseduta, il quale può formulare proposte ed osservazioni rispetto ai temi trattati; il legislatore regionale, infatti, non disciplina puntualmente questa fase, la quale è quindi lasciata alla libera disponibilità dei vari attori istituzionali e segue perlopiù prassi consolidate.

Accanto ai negoziati, condotti principalmente dai vari rappresentanti legali degli enti coinvolti, si sviluppa parallelamente un lavoro, di tipo istruttorio, che coinvolge dirigenti e funzionari, i quali hanno il compito di verificare la compatibilità tecnica e finanziaria delle proposte al vaglio, elaborando tutti i documenti necessari alla gestione dei progetti in corso di discussione. Come si nota, il legislatore ha voluto riproporre quel modello di separazione delle funzioni tra politica e amministrazione di cui all’art. 97 Cost., recepito all’interno del d.lgs. n. 165/2001.

Al termine delle negoziazioni, si addiviene alla stipula di un accordo o patto, sottoscritto dalle parti e approvato secondo i rispettivi ordinamenti interni. Sulla natura giuridica di tale accordo non sembrano esserci dubbi, trattandosi di Accordi tra Pubbliche Amministrazioni riconducibili all’archetipo di cui all’art. 15 L. n. 241/1990, sebbene il legislatore – nel regolamentarne la fase patologica – faccia riferimento all’istituto dell’inadempimento di matrice civilistica[13]. Qualche dubbio potrebbe suscitare l’ipotesi in cui parte dell’accordo sia un soggetto privato, trattandosi in questo caso di una fattispecie ibrida, cui tuttavia la prevalenza dell’interesse regionale sancita dall’art. 2 del reg. cit. non consente di accostarlo ad un vero e proprio contratto.

Da ultimo, la fase dell’attuazione consiste nell’esecuzione di quanto concordato, ossia traduzione in atti e comportamenti di quanto cristallizzato all’interno dello strumento. A tal fine, la normativa prevede l’istituzione di un collegio di vigilanza, composto dagli stessi rappresentanti degli enti sottoscrittori, con il compito di monitorare lo stato di avanzamento degli interventi e delle opere, di intervenire in caso di criticità con poteri di accertamento e di intimazione.

3.1. Strumenti

Il primo strumento contemplato dalla normativa è l’AQST. Ai sensi dell’art. 5 della legge, viene definito come programma condiviso di interventi funzionalmente collegati e finalizzato all’attuazione delle priorità di sviluppo all’interno dei territori provinciali o della città metropolitana di riferimento, ovvero di particolare rilievo tematico regionale, contenente una specificazione di tempi, modalità e risorse finanziarie, promovibile unicamente dalla Regione.

Trattasi di una sorta di “macro-contenitore” di progettualità rilevanti per il territorio, avente la funzione di vincolare la volontà dei soggetti coinvolti e di stabilire regole di comportamento in vista della conclusione di futuri accordi specifici[14]. Sotto questo punto di vista, presenta delle similitudini con la figura del contratto normativo, con il quale le parti programmano la conclusione di futuri patti. Tale assunto è confermato dal comma 4, secondo cui l’attuazione degli interventi ricompresi nell’AQST può avvenire mediante il ricorso ad Accordi di Programma, Accordi Locali Semplificati ovvero altri strumenti attuativi previsti dall’ordinamento; di conseguenza, gli interventi da realizzare possono essere corredati dal progetto di fattibilità tecnico-economica di cui al d.lgs. n. 36/2023 o presentarsi come in via di sviluppo[15].

Caratteristiche affini a quelle dell’AQST presenta l’AREST, contenente un programma di interventi finalizzato all’attuazione di una specifica strategia di rilancio economico o anche sociale di un territorio di riferimento, anch’esso promovibile solo dalla Regione; la strategia viene determinata a seguito di avvio di una manifestazione di interesse indetta dalla Regione, cui enti locali e imprese possono partecipare presentando delle proposte che vadano a generare ricadute positive su di un territorio, in termini di maggiore occupazione, attrattività e competitività[16]. Tuttavia, a differenza del primo, l’AREST si sofferma su di una singola strategia, rispetto all’AQST che può riguardare potenzialmente ambiti multidisciplinari.

Il terzo strumento è rappresentato dall’Accordo di programma, definito dall’art. 7 della legge come fattispecie volta all’attuazione di opere, interventi e programmi di intervento previsti dai documenti programmatici regionali, che assicura il coordinamento delle attività necessarie tra i vari soggetti coinvolti, che può essere promosso da soggetti diversi dalla Regione. A differenza dei primi due strumenti, esso viene utilizzato per realizzare progetti aventi una dimensione più puntuale e non invece per definire strategie o politiche di sviluppo.

L’istituto regionale ricalca quello disciplinato dall’art. 34 del d.lgs. n. 267/2000 (T.U. Enti locali), dettato per la definizione o realizzazione di opere, interventi o programmi di intervento che richiedono l’azione unitaria e coordinata di enti locali e amministrazioni statali. Tuttavia, se ne differenzia in quanto può contemplare la partecipazione di soggetti privati i quali, mediante apposita istanza di adesione contenente gli impegni da assumere, possono partecipare alla realizzazione dei lavori, nel rispetto della normativa in materia di evidenza pubblica[17].

Da ultimo, l’ALS – disciplinato all’art. 8 della legge – viene descritto come strumento finalizzato alla realizzazione di interventi ed opere di valenza locale che concorrono all’attuazione delle politiche regionali previste nei piani e programmi. Come l’Accordo di programma, esso contiene una descrizione puntuale delle opere da realizzare, consentendo soprattutto ai Comuni di realizzare in tempi celeri programmi di intervento che non comportino variazioni allo strumento urbanistico. La proposta può pervenire anche da quest’ultimi, purché corredata sempre dagli impegni – anche di natura finanziaria – e da una descrizione tecnica dell’area territoriale che necessita di uno o più interventi.

L’istituto costituisce attuazione delle previsioni contenute agli artt. 4, comma 5 e 5, comma 3 d.lgs. n. 267/2000, attraverso cui le Regioni prevedono strumenti e procedure di raccordo e di cooperazione con gli enti locali, sia per la formazione dei piani e programmi regionali che per la realizzazione degli interventi.

4. Considerazioni conclusive e alcuni spunti

L’esperienza appena sinteticamente esposta delinea un nuovo modello delle relazioni tra Pubbliche amministrazioni, e tra queste ed i soggetti privati. Partendo dalle potenzialità offerte dal territorio, si cerca di adottare un metodo di lavoro basato sulla condivisione e sul confronto reciproco tra diversi livelli istituzionali, mediante strumenti flessibili che si prestano ad ogni esigenza. Al contempo, la partecipazione dei destinatari dell’azione amministrativa direttamente nella fase di pianificazione delle strategie di sviluppo aumenta le risorse, umane ed economiche, a disposizione di una collettività per la realizzazione degli obiettivi.

Questo modello rappresenta un’evoluzione di quello desumibile dalla legislazione statale che, come si è avuto modo di notare, non prevede il coinvolgimento diretto dei privati. La scelta del legislatore regionale è in linea con la logica economica che sottende il principio di sussidiarietà verticale: maggiore complessità e stratificazione della società comporta la messa a disposizione di risorse maggiori, da utilizzare in maniera adeguata previo coinvolgimento dei soggetti presenti sul territorio. In questo modo, l’azione amministrativa potrà essere più precisa, evitando duplicazioni o ritardi nell’adempimento dei compiti amministrativi e consentendo di rispettare i vincoli posti dal legislatore europeo; al contempo, gli stessi attori “di prossimità” risulteranno maggiormente responsabilizzati, potendo incidere concretamente sulle politiche pubbliche.

Per una Regione, come la Lombardia, da sempre interessata a primeggiare in ambito economico, sia a livello europeo che nazionale, ciò rappresenta un aspetto ineludibile.

 


 
 

Note e riferimenti bibliografici

 

[1] Art. 130 R, co. 4: «La Comunità agisce in materia ambientale nella misura in cui gli obiettivi di cui al paragrafo 1 possano essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri».

[2] Art. 5, par. 3: «In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione».

[3] Recante: “Disciplina organica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno”.

[4] «Per gli interventi previsti nel programma triennale che richiedono, per la completa attuazione, l'iniziativa integrata e coordinata di regioni, enti locali ed altri soggetti pubblici e amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, il Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno e i soggetti interessati promuovono la conclusione fra di essi di un accordo di programma che attui il coordinamento delle azioni di rispettiva competenza e, fra l'altro, ne determini i tempi, le modalità e il finanziamento stabilendo, altresì, i destinatari della gestione, che può essere affidata a consorzi a tal fine costituiti».

[5] Cfr. R. GALLIA, La nuova disciplina della “Programmazione Negoziata”, in Rivista Giuridica del Mezzogiorno, 1997, fasc. 1.; L. BOBBIO, Produzione di politiche a mezzo contratti nella pubblica amministrazione, in Stato e Mercato, 2000, n. 58;

[6] Recante: “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”.

[7] Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

[8] Convenzioni, Consorzi, Unioni di Comuni.

[9] Accordi di programma.

[10] È significativo anche l’art. 114 Cost. che, nel delineare le componenti della Repubblica, origina proprio dal livello più “basso” rappresentato dai Comuni, con ciò volendo mettere in rilievo il ruolo che tali soggetti sono chiamati ad esercitare nel nuovo sistema come prima espressione dei bisogni della comunità, sebbene non si possa desumere da tale disposizione una equiparazione tra Stato, Regioni ed enti locali in virtù del disposto di cui all’art. 5 Cost.

[11] La norma prevede anche un quinto strumento, i Patti territoriali per lo sviluppo economico, ambientale, sociale e della mobilità dei territori montani ai quali la Regione aderisce, secondo le disposizioni di cui all’art. 2, co. 3, L. rg. n. 40/2017, disciplinato dalla L. rg. n. 40/2017.

[12] Artt. 1-2-3-4-9-10-11-12-13-14-15 della L. cit. e 1-2-3 del reg. cit.

[13] Ad es. art. 17 L. rg. n. 19/2019 per l’AQST.

[15] Art. 12 reg. cit.

[16] Art. 6 della L. cit. e 18 ss. del reg. cit.

[17] Cfr. art. 23, comma 4, reg. cit.

Bibliografia     

L. BOBBIO, Produzione di politiche a mezzo contratti nella pubblica amministrazione, in Stato e Mercato, 2000.

R. GALLIA, La nuova disciplina della “Programmazione Negoziata”, in Rivista Giuridica del Mezzogiorno, 1997.