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Pubbl. Gio, 15 Giu 2023

Il principio di conservazione dell´equilibrio contrattuale nel nuovo Codice dei Contratti pubblici tra rinegoziazione del contratto e revisione dei prezzi

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Aurora Ricci
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Perugia



L´articolo prende in esame il principio di conservazione dell´equilibrio contrattuale introdotto in maniera innovativa nel nuovo Codice dei Contratti pubblici alla luce della tematica delle modifiche contrattuali con particolare riguardo ai due istituti della rinegoziazione del contratto ed alla revisione dei prezzi.


ENG

The principle of maintenance of contractual balance in the new Code of Public Contracts between renegotiation of the contract and revision of the prices

The article examines the principle of conservation of contractual introduced in an innovative way in the New Code of the Public Contracts in the light of the issue of contractual changes with particular regard to the institutions of the renegotation of the contract and price revision.

Sommario: 1. Il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale nel Nuovo Codice dei Contratti pubblici - D.lgs. 36/2023. 2. L’istituto della rinegoziazione nel quadro del principio di tutela della concorrenza e disamina del quadro normativo. 3. L’istituto della revisione dei prezzi in rapporto alla rinegoziazione del contratto pubblico. 4. Il dibattito in ordine alla possibilità di intervenire con lo strumento della rinegoziazione nella fase temporale intercorrente tra l'aggiudicazione e il contratto: in particolare, l'intervento del T.a.r. Sardegna n. 770 del 2022.

1. Il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale nel Nuovo Codice dei Contratti pubblici - D.lgs. 36/2023. 

Tra le novità di maggior rilievo del decreto recante il nuovo Codice dei Contratti pubblici, approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 marzo 2023, entrato in vigore il 1° aprile 2023 con efficacia a partire dal 1° luglio 2023, va certamente annoverata l’enunciazione, nell’ambito dei principi generali, di quello di conservazione dell’equilibrio contrattuale, contenuto nell’art. 9 del c.d. Nuovo Codice.

In primo luogo, si rileva come la collocazione del principio nel novero dei primi articoli del Nuovo Codice, peraltro in posizione anticipata rispetto al principio di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione, ne attesta l’importanza e la portata dirompente che il legislatore ha voluto assegnare al principio in questione. Invero, l’art. 9 del D.lgs. 36/2023 introduce una significativa innovazione attraverso la quale si codifica la disciplina da applicare per la gestione dell'eccessiva onerosità sopravvenuta negli appalti pubblici, dovuta a sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, tali da determinare una sostanziale alterazione nell’equilibrio contrattuale. La disposizione in esame specifica, altresì, i presupposti che devono ricorrere cumulativamente per l'applicazione del principio: la sopravvenienza di circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica ed al rischio di mercato, l'alterazione rilevante dell’equilibrio originario del contratto ed i relativi rischi non devono essere stati assunti volontariamente dalla parte svantaggiata. Al verificarsi dei presupposti sopramenzionati, viene riconosciuto alla parte svantaggiata il diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali.

Dalla disamina della novella in commento emerge con evidenza la consacrazione di un principio di derivazione privatistica di stampo emergenziale, sulla falsariga delle numerose misure adottate nel tempo dal legislatore per fronteggiare le problematiche correlate alla modifica dei contratti pubblici di appalto in corso di esecuzione sorte durante la pandemia e la conseguente crisi macro-economica1, che attribuisce fondamentale rilievo all'equilibrio contrattuale durante l'esecuzione del contratto, consentendo alla parte danneggiata da una causa straordinaria e imprevedibile diretta ad alterare il rapporto, di chiedere la rinegoziazione del contratto.

In quest’ottica si introduce in maniera innovativa un’apposita previsione nel settore dei contratti pubblici ispirata alla prassi internazionale dell’eccessiva onerosità sopravvenuta (o più in particolare alle c.d. clausole hardship), che permette di superare il rigore della disciplina civilistica recata dall’art. 1467 c.c. che, in tema di eccessiva onerosità sopravvenuta consente alla parte danneggiata di attivare, in assenza di un'offerta della controparte di equa modifica delle condizioni, il solo rimedio caducatorio diretto alla la risoluzione del contratto, senza possibilità di invocare un rimedio di tipo conservativo del sinallagma contrattuale.

In particolare, per effetto della novella in commento viene previsto un sostanziale obbligo delle stazioni appaltanti di favorire l’inserimento di clausole contrattuali a garanzia del diritto di rinegoziazione al fine di garantire la buona esecuzione del contratto, scongiurando il rischio che circostanze straordinarie e imprevedibili possano compromettere lo svolgimento del rapporto contrattuale con eventuali contenziosi che potrebbero insorgere tra le parti. In altri termini, mentre in passato si è discusso dell’applicazione di tale diritto alla rinegoziazione del contratto in forza del rinvio esterno operato dal Codice dei Contratti pubblici alle previsioni civilistiche, con il cd. Nuovo Codice si è sdoganato, nella logica della tutela della parte svantaggiata da sopravvenienze volte ad alterare l’equilibrio contrattuale, nonché nell’ottica dell’interesse pubblico alla conservazione del contratto, l'utilizzo di uno strumento finalizzato a preservare l'efficacia del contratto mediante la c.d. rinegoziazione, da affiancare al rimedio demolitorio rappresentato dalla risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta connotato dal forte limite di porre nel nulla l’assetto degli interessi compiutamente definito dalle parti.

Peraltro, i richiami alla disciplina civilistica sono evidenti anche alla luce della regolamentazione recata dal comma 3 dell'art. 9 in commento in relazione alla specifica ipotesi in cui le sopravvenienze suindicate rendano la prestazione, in parte o temporaneamente, inutile o inutilizzabile per uno dei contraenti, ipotesi peraltro ampiamente verificatasi durante il periodo pandemico e che necessitava, pertanto, di un espresso intervento normativo sul punto. Invero, in tal caso, il contraente ha diritto ad una riduzione proporzionale del corrispettivo, secondo la disciplina privatistica recata dall’art. 1464 c.c. in tema di impossibilità parziale nell’ambito dei contratti sinallagmatici.

Si segnala, infine, come il livello di tutela assicurato dalla nuova previsione normativa sia completato e rafforzato anche dal rinvio operato dal quinto comma della novella agli artt. 60 e 120 del D.lgs. 36/2023 che disciplinano i due fondamentali istituti della revisione dei prezzi e delle modifiche consensuali dei contratti in corso d’esecuzione.

In chiave critica, occorre, tuttavia, rilevare che tale novella attiene alla fase esecutiva e non partecipativa della procedura ad evidenza pubblica, fase governata da una perfetta situazione di parità tra le parti contraenti, la cui disciplina integrale si rinviene nelle disposizioni civilistiche, le quali risentono fortemente dell’evoluzione interpretativa giurisprudenziale.

2. L’istituto della rinegoziazione nel quadro del principio di tutela della concorrenza e disamina del quadro normativo

Recentemente e in conseguenza anche delle sollecitazioni del diritto europeo, si registra una notevole sensibilità in ordine alla tematica della rinegoziazione da parte della giurisprudenza e del legislatore, con particolare riguardo alle garanzie di tutela della concorrenza nel mercato delle commesse pubbliche: difatti, proprio in ragione della modifica delle clausole di contratti già aggiudicati e in corso di esecuzione, potrebbero rinvenirsi spazi elusivi dell’obbligo di aggiudicazione ad evidenza pubblica. Invero, rinegoziare in termini sostanziali il contratto di appalto in fase di esecuzione implica non solo mutare le regole di un rapporto obbligatorio che già lega la stazione appaltante ad un dato contraente privato, ma anche eludere i termini dell’aggiudicazione, nella misura in cui le modifiche comportino lo stravolgimento dei termini dell’offerta, del bando e/o degli altri atti originari della procedura ad evidenza pubblica.

In proposito, in dottrina si è evidenziata la formazione di due approcci da parte del giudice europeo sulla questione.

In particolare, un primo indirizzo propugna in tema di rinegoziazione la prospettiva del c.d. contract test, che consente di rinegoziare, purché la sostanza del contratto venga preservata e venga ripristinato l’equilibrio fra le prestazioni contrattuali. Per contro, un diverso approccio è ancorato al c.d. competition test, che non si accontenta di preservare la sostanza del contratto, laddove le modifiche introdotte sono comunque tali che se fossero state previste sin dall’inizio avrebbero attratto nuovi operatori o avrebbero cambiato le condizioni e i criteri dell’aggiudicazione e comunque non sono tali da poter essere introdotte nel contratto.

A livello normativo, i suddetti approcci hanno trovato espresso riconoscimento normativo in alcune previsioni normative delle direttive europee in tema di contratti pubblici: l’art. 43 della Direttiva 2014/23/UE in tema di concessioni, l’art. 72 della Direttiva 2014/24/UE in tema di appalti e l’art. 89 della Direttiva 2014/25/UE.

Nell'ambito dell’ordinamento italiano, in particolare, tale disciplina è stata trasfusa nell’art 106 del Codice attualmente vigente, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che richiede sempre il c.d. “competition test”. Invero, dalla disamina della lettera a), e della successiva previsione di chiusura di cui alla lettera e), del primo comma dell’articolo 106, si ricava il principio regolatore della materia: è possibile procedere alla rinegoziazione dei contratti di appalto, che siano in senso ampio in corso di esecuzione, a patto che le modifiche apportate non abbiano l'effetto di alterare la natura generale del contratto. In particolare, una prima ipotesi di modifica è contemplata nel caso in cui la relativa facoltà sia stata prevista nei documenti iniziali di gara attraverso “clausole chiare, precise e inequivocabili”. Una seconda ipotesi, prevista dalla lettera b) dell’art. 106 del D.lgs. n. 50/2016, contempla il caso delle prestazioni supplementari, rispetto all’oggetto principale del contratto, che si siano rese necessarie nel corso dell’esecuzione contrattuale.

Alla lettera c) del citato decreto, poi, il legislatore introduce la disciplina delle c.d. “varianti in corso d’opera”, ovvero quelle particolari modificazioni dell’oggetto contrattuale così come definito in sede di aggiudicazione e stipula originari, in ragione di circostanze impreviste e imprevedibili per la stazione appaltante. Anche in tale caso vale il limite oggettivo generale per l’ammissibilità delle modifiche, consistente nella conservazione della natura generale del contratto originario.

Per contro, il Nuovo Codice appalti, ispirato al fondamentale principio guida del risultato amministrativo ed alla concezione “strumentale” della concorrenza, non più concepita come fine, bensì come mezzo da impiegare per il perseguimento del risultato, apre alla possibilità di rinegoziare i contratti pubblici, per fronteggiare situazioni eccezionali, derivanti da cause esogene all’ordinaria fluttuazione economica, al fine di conservare l’equilibrio originario del contratto.

L’istituto della rinegoziazione è richiamato, come sopra anticipato, nell’ambito dei principi generali dall’art. 9 del D.lgs. 36/2023 ed è poi disciplinato nell’art. 120 del Nuovo Codice. In particolare, l’art. 120 consente le modifiche del contratto in corso d’esecuzione nelle seguenti ipotesi: se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste in clausole chiare, precise e inequivocabili; se sopravviene la necessità di acquisire prestazioni supplementari e un cambiamento del contraente risulterebbe impraticabile per ragioni oggettive o fonte per la stazione appaltante di notevoli di disagi (e sempre che l'eventuale aumento di prezzo non ecceda il 50 per cento del valore del contratto iniziale); in caso di varianti in corso d’opera (e sempre che l'eventuale aumento di prezzo non ecceda il 50 per cento del valore del contratto iniziale).

Sono sempre ammesse modifiche non sostanziali che sono quelle che soddisfano la duplice condizione di: non alterare l’equilibrio economico originario (c.d. contratct test); b) non alterare la concorrenza (c.d. competition test), nel senso che introducono condizioni che, se fossero state previste nella procedura d'appalto iniziale, non avrebbero consentito di ammettere candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o di accettare un'offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure di attirare ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione. Si prevede, tuttavia, che sono sempre ammesse la modifiche ai sensi dell’art. 9, ovvero quelle consensuali, all’esito della rinegoziazione, per ripristinare l’equilibrio economico del contratto, inciso in maniera rilevante da circostanze imprevedibili, estranee alla normale alea contrattuale e all’ordinaria fluttuazione di mercato, c.d. shock esogeni. In questo caso, non è richiamata la condizione c.d. del “competition test”.

Da tale disamina si inferisce che il Codice attualmente vigente recato dal D.lgs. 50/2016 si ispira all’approccio pro concorrenziale, in quanto l’articolo 106 sopra richiamato prevede che una modifica del contratto, si considera sostanziale quando introduce condizioni che se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti, con preclusione, quindi, della rinegoziazione.

Tuttavia, si è rilevato che siffatto approccio concorrenziale rischia di rivelarsi inefficiente, soprattutto, laddove non sussistano i tempi e i modi per indire un’altra procedura ad evidenza pubblica o all’amministrazione occorrano prestazioni diverse ed aggiuntive. Pertanto tale prospettiva può non essere funzionale rispetto a quelle che sono le esigenze dell’amministrazione. Non solo, tale approccio rischia di non tenere in considerazione neanche le esigenze del privato, soprattutto a fronte di gravi e imprevisti shock economici di natura esogena, come la pandemia o il conflitto bellico in Ucraina, determinanti fluttuazioni che superano la normale alea di mercato e il rischio contrattuale.

Pertanto, negli ultimi anni il tema dell’esposizione dei contratti pubblici a questi fenomeni esogeni che determinano shock macroeconomici e dell’esigenza di rinegoziazione del contratto in rapporto alla tutela concorrenza nella fase di esecuzione è tornato di stringente attualità nel dibattito giurisprudenziale, dottrinale e anche a livello legislativo.

In tale contesto, il Nuovo Codice dei Contratti pubblici, come sopra esaminato, dimostra di aver tenuto conto di tale fenomeno e delle criticità dell’approccio concorrenziale del vigente Codice, in quanto si ritiene sufficiente il c.d. contract test, consentendosi di rinegoziare il contratto purché venga ripristinata la sostanza economica del medesimo, anche se ciò non è stato previsto nel contratto e nel bando, fermo restando che le pubbliche amministrazioni devono favorire l’inserimento, dando un’adeguata pubblicità nel bando, di apposite clausole di rinegoziazione. Tale approccio preserva anche dalle preoccupazioni pro concorrenziali, non occorrendo un successivo test pro concorrenziale.

L’articolo 120 precisa che, in ogni caso, anche se non è prevista una clausola di rinegoziazione, il contratto è modificabile ai sensi dell’articolo 9, in base ad un obbligo di rinegoziazione ex lege, all’esito di un procedimento di rinegoziazione avviato mediante una proposta di rinegoziazione avanzata dal RUP all’appaltatore, consentendosi alla parte svantaggiata, in difetto di accordo, di adire il giudice per ottenere l’adeguamento del contratto e il ripristino dell’equilibrio originario, salva la responsabilità per violazione dell’obbligo di rinegoziazione. Pertanto, siffatto obbligo di rinegoziazione viene declinato come obbligo non di trattare, ma di contrarre, apportando le modifiche necessarie per ripristinare l’equilibrio economico originario.

3. L’istituto della revisione dei prezzi in rapporto alla rinegoziazione del contratto pubblico

Nell’ambito del Nuovo Codice, il potere di modificare i contratti pubblici nel corso della loro esecuzione può ricondursi a due istituti principali: a) revisioni unilaterali o comunque riconducibili ad un potere autoritativo della PA, anche laddove si tratti di revisioni o modifiche sollecitate dal privato per soddisfare un suo interesse: ciò accade in relazione alla revisione dei prezzi e per le varianti in corso d’opera che si rendano necessarie durante l’esecuzione; b) modifiche contrattuali riconducibili a un modello consensuale, come la sopra menzionata rinegoziazione del contratto.

In particolare, il Nuovo Codice all’art. 60 prevede l'obbligo delle stazioni appaltanti di inserire, nei documenti di gara, clausole di revisione dei prezzi da attivarsi al ricorrere di "particolari condizioni di natura oggettiva" che determinino una variazione dell'importo complessivo del costo dell'opera, della fornitura o del servizio" “in relazione alle prestazioni da eseguire in maniera prevalente". In particolare, la suddetta previsione introduce un meccanismo revisionale automatico operante in presenza di circostanze che determinino una variazione sull'importo del contratto oltre una determinata soglia, individuata sulla base di appositi indici ISTAT, disciplinando, altresì, gli specifici capitoli di spesa cui le Pubbliche Amministrazioni devono attingere per fronteggiare i conseguenti maggiori oneri.

L’istituto della revisione dei prezzi è preordinato al bilanciamento di contrapposti interessi, rappresentati dall’interesse della stazione appaltante al contenimento spesa pubblica, dall’esigenza di adeguare i compensi a fronte dell’aumento dei costi dei fattori di produzione per evitare il rischio che possa configurarsi una diminuzione qualitativa della prestazione, nonché dall’interesse dell’appaltatore di conservare l’originario equilibrio contrattuale inciso da un significativo aumento dei costi, evitando che l’aumento di questi ultimi sia esclusivamente a suo carico con conseguente ingiustificata riduzione sul piano del valore reale del corrispettivo.

Alla luce della pluralità degli interessi da bilanciare, non possono verificarsi automatismi: invero il riconoscimento del compenso revisionale presuppone una valutazione tecnico-discrezionale della Pubblica Amministrazione, volta a verificare, innanzitutto, le ragioni che hanno determinato l’aumento dei prezzi, la loro imprevedibilità e a valutare se e in che misura riconoscere al privato il compenso.

La qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale comporta che il privato contraente potrà avvalersi solo dei rimedi e delle forme tipiche di tutela dell'interesse legittimo. Ne deriva che sarà sempre necessaria l'attivazione, su istanza di parte, di un procedimento amministrativo nel quale l'Amministrazione dovrà svolgere l'attività istruttoria volta all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, che dovrà sfociare nell'adozione del provvedimento finalizzato al riconoscimento del diritto al compenso revisionale ed alla fissazione del relativo importo.

In caso di inerzia da parte della stazione appaltante, a fronte dell'apposita richiesta dell'appaltatore, quest'ultimo potrà impugnare il silenzio inadempimento in cui è incorsa l'Amministrazione, ma non potrà demandare in via diretta al giudice l'accertamento del diritto, non potendo questi sostituirsi all'Amministrazione rispetto ad un obbligo di provvedere gravante su di essa.

In punto di riparto di giurisdizione si rileva che l'ambito della giurisdizione esclusiva in materia di revisione dei prezzi ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a. ha assunto una portata generale, superandosi il tradizionale orientamento interpretativo secondo cui al giudice amministrativo spettavano le sole controversie relative all'an della pretesa alla revisione del prezzo, competendo, per contro, al giudice ordinario le questioni inerenti alla quantificazione del compenso. Pertanto, allo stato attuale entrambe le controversie rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista da tale disposizione del codice del processo amministrativo, residuando, per converso, un ambito  della giurisdizione del g.o. solo quando questo sia puntualmente disciplinato nel contratto sia nell'an che nel quantum, poiché in tale ipotesi la domanda trae fondamento in via esclusiva nel rapporto paritetico scaturente dal regolamento pattizio tra le parti.

Quindi, la posizione soggettiva dell'appaltatore rispetto alla facoltà dell'Amministrazione di procedere alla revisione dei prezzi è tutelabile dinanzi al g.a. quando attenga all'an della revisione, in quanto correlata all'esercizio di un potere discrezionale riconosciuto dalla norma alla stazione appaltante, sulla base di valutazioni attinenti a preminenti interessi pubblicistici, mentre acquista natura e consistenza di diritto soggettivo quando l'Amministrazione non abbia negato di dover procedere alla revisione dei prezzi, ma abbia contrapposto all'appaltatore un sistema di calcolo diverso. Per converso, si radica in via residuale la giurisdizione del g.o. quando: il diritto alla revisione derivi da apposita clausola contrattuale, che esaurisca ogni discrezionalità dell’Amministrazione, oppure quando l'Amministrazione abbia già esercitato il potere discrezionale a lei spettante adottando un provvedimento attributivo e il privato agisca per ottenere il pagamento del riconosciuto compenso revisionale.

Per contro, la giurisdizione sulla rinegoziazione consensuale spetta al g.o., poiché attiene all’esecuzione del contratto, a meno che un problema di rinegoziazione si profili prima della conclusione del contratto, ovvero nella fase tra stipula e aggiudicazione. In questi casi è stata riconosciuta la giurisdizione del g.a.

4. Il dibattito in ordine alla possibilità di intervenire con lo strumento della rinegoziazione nella fase temporale intercorrente tra l'aggiudicazione e il contratto: in particolare, disamina dell'intervento del T.a.r. Sardegna n. 770 del 2022

La recente sentenza del TAR Sardegna n. 770 del 16 novembre scorso ha affrontato la problematica della possibilità di “rinegoziare” il contenuto di alcune clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e il contratto, con particolare riferimento all’istanza di revisione prezzi.

In particolare, considerando che le modifiche previste dall’art. 106, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 sono riferite ai “contratti”, se ne inferisce che il contratto debba essere stato già stipulato perché se ne possa prospettare una sua modifica. La giurisprudenza prevalente ha affermato, quindi, che deve essere rigettata la domanda di modifica delle pattuizioni prima di procedere alla stipulazione del contratto. Invero, secondo tale orientamento il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverso rispetto a quelle dell’appalto iniziale2.

Secondo tale indirizzo l’istanza di revisione del prezzo è stata formulata dall’impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto, ossia in un momento in cui, non essendo ancora in essere alcun rapporto contrattuale, non era giuridicamente ipotizzabile, né ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso. In particolare, nell’ipotesi in cui un evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria sarebbe comunque tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta3.

Per converso, un diverso indirizzo giurisprudenziale ha ritenuto, al contrario, valorizzando la ratio dell’istituto in esame, che esso sia ascrivibile, nel suo complesso, sia all’esigenza di governare le sopravvenienze contrattuali, sia a quella di evitare vere e proprie forme di diseconomia procedimentale, e che la legislazione in materia di appalti pubblici sia sì ispirata al rispetto del principio di concorrenza, ma anche informata ai criteri di efficacia ed economicità, e che sia irragionevole ogni azzeramento di una procedura amministrativa in assenza di specifiche illegittimità che la affliggano, soprattutto nella particolare ipotesi in cui l’impresa sia rimasta vittima delle sopravvenienze4.

La sentenza del TAR Sardegna si inserisce nel solco giurisprudenziale indicato, aderendo alla seconda delle due tesi prospettate dalla giurisprudenza, e quindi ritenendo possibile “rinegoziare” il contenuto di alcune clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e il contratto.

Il Collegio ha affermato di condividere, altresì, gli assunti dottrinali favorevoli a questa seconda impostazione ermeneutica, che richiamano, da un lato, il ricorso ai presupposti applicativi dell'analogia di cui all’art. 12 disp. prel. c.c., quali la lacuna dell’ordinamento, in quanto non vi è una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto e l’”eadem ratio”; dall’altro, l'applicazione del principio di economicità, quindi di buon andamento dell’amministrazione (richiamato dall’art. 30, comma 1, del Codice dei Contratti pubblici), scongiurerebbe una riedizione della procedura, che diversamente s’imporrebbe in tutti i casi di modifica, ancorché non “essenziale”, delle condizioni.

In secondo luogo, il TAR afferma che il principio di immodificabilità del contratto non avrebbe carattere assoluto anche alla luce della giurisprudenza comunitaria5.

Su tali basi, e richiamando l’istituto di cui all’art. 106 del vigente Codice dei Contratti, il Collegio ha ritenuto che tale coacervo di principi trovi applicazione anche al caso di specie, nonostante le sopravvenienze determinanti le modifiche siano intervenute nella fase ricompresa fra l'aggiudicazione e la stipula del contratto.

Il TAR ha ritenuto, quindi, legittima la clausola del contratto nella parte in cui ha previsto un adeguamento del compenso per l’appalto rispetto alla procedura di gara, in ragione del lungo tempo trascorso tra la presentazione dell’offerta e la stipulazione del contratto stesso, in relazione all’aumento del costo del personale e del numero delle utenze nelle more intervenuto (prima della stipulazione del contratto).

In conclusione, secondo la sentenza in commento, se è vero che in linea generale il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale, occorre comunque precisare che il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto. Invero, le succitate sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ammetterebbero quelle modifiche non sostanziali, valorizzando dunque la tipologia delle modifiche e non il momento in cui intervengono.


Note e riferimenti bibliografici

1. ​Per un quadro esaustivo delle misure emergenziali adottate dal legislatore in epoca pandemica si vedano i seguenti riferimenti normativi: D.L. 73/2021; D.L. 4/2022; D.L. 36/2022; D.L. 50/2022.

2. Consiglio di Stato, Sez. IV, 31/10/2022, n 9426 che richiama la sentenza del 19 giugno 2008, pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06, EU:C:2008:351, punti da 34 a 37.

3. T.A.R. Lombardia, Brescia, 10 marzo 2022, n. 239; in termini anche T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10.06.2022, n. 1343.

4. T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667 e T.A.R. Toscana, Sez. I, 25 febbraio 2022, n. 228. In particolare, secondo T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667 “la scelta dell’amministrazione di individuare i termini della necessaria rinegoziazione ancor prima di procedere alla stipulazione del contratto si configura in fondo come prudente, poiché, posto che la rinegoziazione implica ovviamente l’accordo della controparte, ove tale accordo non fosse stato raggiunto, si sarebbe rafforzata in capo all’amministrazione una possibilità di revoca fondata sulle sopravvenienze organizzative e su un ragionevole rispetto delle aspettative dell’aggiudicatario”.

5. In proposito, la Corte di Giustizia UE, sez. VIII, nella sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14, avrebbe chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale. Ciò avviene, ha stabilito la Corte, solo quando le modifiche previste hanno l’effetto: a) di estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti; b) di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario; c) di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, «se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi”.