Pubbl. Lun, 26 Mag 2025
L´Adunanza plenaria sulla disciplina applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto
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Marina Belfiore

È posto all’attenzione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato il tema relativo alla disciplina applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e alla possibilità di applicare a tale situazione un trattamento sanzionatorio più mite in luogo di quello ripristinatorio/demolitorio. Osserva l’Adunanza che sussiste un abuso quando vi è “divergenza tra consentito e realizzato”, ipotesi ravvisabile anche nel caso di opere incompiute. Con la sentenza del 30 luglio 2024, n. 14 viene, dunque, espresso il principio di diritto a mente del quale in presenza di opere non completate, prive dei requisiti di autonomia e funzionalità il Comune deve disporne la demolizione e la riduzione in pristino, in quanto eseguite in totale difformità rispetto al titolo.

Sommario: 1. La vicenda e la questione deferita all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato; 2. Il principio di tutela degli interessi del privato e il regime sanzionatorio più mite previsto per le opere edilizie conformi a un titolo edilizio successivamente rimosso; 3. Il bilanciamento tra la tutela dell’affidamento del privato al completamento dell’opera e i principi di conservazione e proporzionalità; 4. Le conseguenze della “divergenza tra consentito e realizzato”; 5. Osservazioni conclusive.
1. La vicenda e la questione deferita all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
È sottoposto al vaglio dell’Adunanza plenaria il tema relativo alla disciplina applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto.
Prima di analizzare le questioni rimesse, ex art. 99 c.p.a., dalla Seconda sezione del Consiglio di Stato all’Adunanza plenaria, pare opportuno ricostruire la vicenda alla base della vertenza in esame.
Un soggetto, proprietario dell’area ove veniva costruita l’opera poi rimasta incompiuta per le motivazioni di seguito esplicate, stipulava con una società un preliminare di compravendita del diritto di superficie al di sotto del suolo, sito in un luogo di un Comune, al fine di ottenere il permesso di costruire per la realizzazione di «boxes garages interrati»[1].
La menzionata società otteneva, dunque, il titolo edilizio abilitativo, rilasciato dai commissari ad acta nominati dal Comune competente, per la realizzazione di un’autorimessa interrata.
Successivamente all’inizio dei lavori, a seguito di un esposto, veniva avviata un’indagine penale, all’esito della quale venivano condannati con sentenza del Tribunale di Napoli il proprietario dell’area, i commissari ad acta e il rappresentante legale della società. La condanna nei confronti di alcuni imputati veniva, inoltre, confermata dalla Corte d’Appello di Napoli, che accertava l’illegittimità del permesso di costruire per violazione del Piano urbano del Traffico “PUT” del Comune, del Piano Regolatore Generale “PRG”, del Piano Urbanistico comunale “PUC” e del Regolamento comunale di attuazione per la realizzazione dei parcheggi, poiché veniva in rilievo la natura non pubblicistica dell’intervento.
Il Comune, pertanto, notificava al proprietario dell’area e alla società il provvedimento di presa d’atto della decadenza del permesso di costruire, a causa dello spirare del termine di ultimazione dei lavori. Anche gli ulteriori progetti presentati dalla società venivano respinti dal Comune, poiché nella zona erano ammessi esclusivamente interventi edificatori di natura pubblica.
Il Comune ordinava, dunque, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”) di ripristinare lo stato dei luoghi come risultante precedentemente all’esecuzione delle opere parzialmente eseguite. Tuttavia, dopo aver accertato l’inottemperanza dell’ordine di riduzione in pristino, il Comune disponeva l’acquisizione gratuita del fondo al proprio patrimonio.
Entrambi i provvedimenti del Comune, di riduzione in pristino (impugnato solo dalla società) e di acquisizione gratuita del fondo, venivano impugnati dinnanzi al TAR Campania, Napoli, che li riteneva legittimi.
Tale sentenza era oggetto di impugnazione dinnanzi al Consiglio di Stato, la cui Seconda Sezione poneva all’esame dell’Adunanza plenaria il seguente quesito: «quale sia la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio».
Prima di esaminare i principi di diritto formulati dall’Adunanza plenaria sulla questione deferita dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, pare opportuno analizzare le tematiche riproposte nella sentenza in commento e gli orientamenti giurisprudenziali rilevanti.
2. Il principio di tutela degli interessi del privato e il regime sanzionatorio più mite previsto per le opere edilizie conformi a un titolo edilizio successivamente rimosso
La sentenza dell’Adunanza plenaria ripercorre, inizialmente, il ragionamento della Seconda Sezione del Consiglio di Stato deferente, relativo alla possibilità di applicare, nella vicenda in esame, un trattamento sanzionatorio più mite in luogo di quello previsto dal Comune con cui è stato ordinato alla società di ripristinare lo stato dei luoghi esistente prima dell’inizio dei lavori.
Occorre, innanzitutto, evidenziare, prima di trattare le argomentazioni sottese al ragionamento della richiamata Seconda Sezione, che, nella situazione oggetto di esame da parte dell’Adunanza plenaria, il Comune non aveva annullato l’originario permesso di costruire, ma l’aveva dichiarato decaduto a causa dello spirare del termine per la conclusione dei lavori.
La Sezione deferente ha, pertanto, richiamato i principi giurisprudenziali secondo cui le opere eseguite sulla base di un valido titolo edilizio non possono essere oggetto di demolizione ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, «che riguarda le opere eseguite abusivamente, sicché - data la tassatività delle norme sanzionatorie - tale previsione non potrebbe essere estesa a fattispecie non espressamente contemplate»[2]. Tale disposizione, infatti, prevede per gli «interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire» l’ingiunzione alla rimozione o alla demolizione.
L’art. 38, invece, prevede l’applicazione da parte dell’Amministrazione di una sanzione pecuniaria in luogo dell’ingiunzione alla rimozione o alla demolizione nel caso di «interventi eseguiti in base a permesso di costruire, poi annullato»[3], ipotesi differente a quella in esame ove il titolo era decaduto a causa del decorso del tempo previsto per l’ultimazione dei lavori.
Pare, tuttavia, opportuno analizzare quanto è stato affermato dalla giurisprudenza e dalla dottrina con riferimento alla sanzione pecuniaria prevista dal menzionato art. 38.
Con riferimento a quest’ultima disposizione la giurisprudenza ha affermato che «l’art. 38 cit. si ispira ad un principio di tutela degli interessi del privato mirando ad introdurre un regime sanzionatorio più mite proprio per le opere edilizie conformi ad un titolo abilitativo successivamente rimosso, rispetto ad altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo, per tutelare un certo affidamento del privato, sì da ottenere la conservazione d’un bene che è pur sempre sanzionato (cfr. ex multis Consiglio di Stato sez. VI 09 aprile 2018 n. 2155 e 10 maggio 2017 n. 2160 [4]».
Tale norma, infatti, prevede una sanzione più mite rispetto a quella ripristinatoria/demolitoria, ovvero una sanzione pecuniaria «pari al valore venale delle opere (o delle loro parti abusivamente eseguite) “qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino»[5].
La giurisprudenza ha, inoltre, evidenziato che il fondamento del richiamato regime sanzionatorio più mite va rinvenuto «nella specifica considerazione dell’affidamento riposto dall’autore dell’intervento sulla presunzione di legittimità e comunque sull’efficacia del titolo assentito»[6][7]. A tal fine, come osservato dalla sentenza dell’Adunanza plenaria oggetto di analisi, l’Amministrazione dovrà, inoltre, verificare se i vizi formali o sostanziali siano emendabili, ovvero se la demolizione sia effettivamente possibile senza recare pregiudizio ad altri beni o opere del tutto regolari. «In presenza di tali presupposti per convalidare l’atto, «l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36» del Testo unico (art. 38, comma 2, del d.P.R. 380 del 2001)»[8].
Con riferimento alla possibilità di prevedere una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, è stato osservato a livello generale che l’Amministrazione dovrà, comunque, fare un’attenta e motivata valutazione, per «ricorrere alla demolizione dell’opera solo come extrema ratio»[9], infatti, la fiscalizzazione[10], come già evidenziato è rimessa a un’attenta e motivata valutazione «sull’impossibilità di sanare il vizio procedurale o ripristinare lo status quo ante»[11]. La proporzionalità di tale misura deve essere valutata prendendo in considerazione una serie di «criteri e parametri tra cui: la natura e la gravità della violazione avuto altresì riguardo all’interesse pubblico sotteso»[12]. In tale ambito è stato, altresì, evidenziato che potrebbe ravvisarsi «la violazione dell’art. 1, prot. 1, CEDU qualora l’opera abusiva sia stata tollerata dalle autorità pubbliche – pur consapevoli ed edotte dell’abusività delle costruzioni»[13].
Secondo la giurisprudenza della CEDU la sanzione demolitoria è legittima se «adottata entro un termine ragionevole»[14] e se «il sacrificio imposto al privato non sia manifestamente sproporzionato ed esorbitante rispetto agli scopi perseguiti»[15].
Inoltre, la giurisprudenza ha escluso la fiscalizzazione dell’abuso quando l’annullamento del permesso di costruire sia conseguenza della sussistenza di un “vizio sostanziale”[16].
In dottrina è stata ravvisata la sussistenza di una struttura bifasica: dopo un primo giudizio “di tipo analitico-ricognitivo” l’Amministrazione ordina la demolizione, mentre nella seconda fase, su domanda del privato, la stessa è chiamata a svolgere un giudizio “sintetico-valutativo” relativo alla possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con la misura sanzionatoria[17]. Alle istanze presentate ai sensi del menzionato art. 38, inoltre è stato rappresentato che non è possibile applicare l’istituto del silenzio assenso[18].
Occorre, inoltre, evidenziare che il privato deve aver confidato in buona fede nella validità del titolo poi annullato ed è proprio a causa della sussistenza di tale “animus”[19] che è prevista una sorta di «gradualità del trattamento sanzionatorio»[20], che da pecuniaria diviene ripristinatoria/demolitoria nelle ipotesi in cui il soggetto violi «scientemente la disciplina vigente, realizzando un’opera edilizia già in origine abusiva»[21]. A tal proposito, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha evidenziato la sussistenza di un’incompatibilità «costituzionale e convenzionale degli automatismi sanzionatori che non tengano conto del caso di specie e della necessità di prevedere un meccanismo di graduazione e di valenza ripristinatoria»[22] al fine di rendere conformi le opere realizzate alla disciplina urbanistica «con il minore sacrificio per il privato».
Si evidenzia, tuttavia, che, con riferimento alla necessità di repressione degli abusi edilizi, la giurisprudenza ha anche osservato che «costituisce attività doverosa e vincolata»[23] e la rimozione di tali abusi, a prescindere dalla colpevolezza del soggetto responsabile, è «regola di principio e non l’extrema ratio»[24]. Tale assunto è stato rappresentato con riferimento alla possibilità di rinunciare a sanzionare l’abuso edilizio mediante una trattativa privata, ipotesi esclusa dalla giurisprudenza, a mente della quale «è del tutto disancorata dalla normativa di riferimento l’idea che un Comune possa soprassedere a sanzionare degli abusi edilizi addivenendo ad accordi stipulati ai sensi dell’art. 11 L. n. 241/1990»[25].
Un’ipotesi in cui è stato preferito il trattamento sanzionatorio a quello demolitorio è stata ravvisata anche «nella necessità di tutelare la posizione dei terzi acquirenti in buona fede[26] “ancor meno consapevoli della vicenda rispetto al titolare del permesso di costruire annullato”»[27][28].
Secondo la Seconda sezione del Consiglio di Stato, oggetto di analisi, alla luce dell’esame comparativo tra le menzionate disposizioni, sarebbe una sanzione eccessiva quella di prevedere la demolizione di opere realizzate in conformità a un titolo edilizio valido e successivamente decaduto, ma non annullato.
La problematica che si è posta la richiamata Sezione riguarda, dunque, la possibilità o meno per l’Amministrazione di «ordinare la demolizione delle opere parzialmente eseguite, non completate per l’assenza di un nuovo titolo»[29]. La Seconda Sezione, prima di sottoporre il quesito all’Adunanza Plenaria, ha esposto la tesi favorevole alla demolizione, poiché «le opere parzialmente realizzate potrebbero essere qualificate come un manufatto difforme»[30], pur ravvisando un possibile contrasto con i menzionati orientamenti giurisprudenziali.
3. Il bilanciamento tra la tutela dell’affidamento del privato al completamento dell’opera e i principi di conservazione e proporzionalità
Per fornire una risposta al quesito posto dalla Sezione remittente, l’Adunanza plenaria inizia la propria argomentazione dal contenuto dell’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, che riporta la disciplina relativa all’efficacia temporale del titolo abilitativo e alla sua decadenza qualora le opere non siano state ultimate entro il termine di tre anni[31]. Tale termine è suscettibile di proroga qualora il privato richieda, prima che il titolo decada, un nuovo permesso di costruire per il completamento delle opere, «sempreché quelle mancanti non possano realizzarsi ai sensi dell’art. 22 dello stesso testo unico (in quanto soggette a s.c.i.a.)»[32]. Come evidenziato dall’Adunanza plenaria, il nuovo titolo deve essere, inoltre, conforme con la disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio. Infatti, come osservato dalla giurisprudenza «l’interpretazione dell’art. 15 cit. è univoca nel senso che il rinnovo della concessione implica il rilascio di un nuovo ed autonomo titolo, subordinato ad una nuova ed autonoma verifica dei presupposti richiesti dalle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio (tra le tante, Cons. Stato, ordinanza cautelare, Sez. IV, n. 966 del 2005)»[33].
Il titolo abilitativo, inoltre, è soggetto a decadenza non solo nell’ipotesi di decorso del menzionato termine di tre anni dall’inizio dei lavori, indicato nel titolo stesso al fine di garantire una certezza temporale, ma anche nel caso di contrasto con sopravvenute previsioni urbanistiche «salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data del loro inizio»[34].
La ratio di tale disciplina è quella «di mantenere il controllo sull’attività di edificazione, ovviamente per sua natura non istantanea»[35], nonché operare un bilanciamento tra «la tutela dell’affidamento del privato al completamento dell’opera in fase di realizzazione sulla base di un permesso di costruire, il principio di conservazione e quello di proporzionalità»[36].
Ai medesimi principi si ispirano anche gli artt. 36 e 38 del d.P.R. n. 380 del 2001. In particolare, il primo consente di sanare gli abusi nell’ipotesi di conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda[37]. La seconda disposizione, come già evidenziato, prevede la possibilità di applicare una sanzione pecuniaria, in luogo della demolizione, al fine di conservare l’immobile realizzato sulla base di un titolo edilizio poi annullato. A tal proposito, infatti, è stato evidenziato che, seppur la necessità del ricorso alla demolizione sia un principio fondamentale, secondo la Corte Costituzionale, tale assunto non fa venir meno «l’astratta possibilità di conservare»[38], soprattutto nelle ipotesi in cui la conservazione del bene sia rispondente a un interesse pubblico, nonché se «la conservazione stessa non contrasta con rilevanti interessi urbanistici e ambientali»[39]. Tuttavia, si osserva che l’esercizio del potere di conservazione debba essere preceduto da un «giudizio tecnico di conformità urbanistica»[40], poiché non risulta sufficiente «il mero interesse pubblico del decisore politico»[41].
4. Le conseguenze della “divergenza tra consentito e realizzato”
L’Adunanza plenaria[42] non condivide la tesi, secondo cui le opere eseguite sulla base di un titolo legittimo non siano suscettibili di demolizione e restituzione in pristino, poiché non abusive.
Riprendendo la definizione di permesso di costruire di cui all’art 10 del d.P.R. n. 380 del 2001, qualificato come il «provvedimento che legittima le trasformazioni urbanistiche ed edilizie ivi individuate»[43], l’Adunanza evidenzia che la funzione di tale titolo abilitativo è quella di consentire la realizzazione di interventi conformi con la disciplina pianificatoria, assolvendo alla «funzione di garantire il corretto inserimento del manufatto sul territorio». Il privato potrà, dunque, costruire solo il manufatto descritto nel progetto e qualunque realizzazione difforme, comporterebbe una «divergenza tra consentito e realizzato»[44].
Come osservato dalla sentenza oggetto di analisi, le ipotesi di edificazione in assenza del permesso di costruire e in totale difformità o con variazioni essenziali vengono sanzionati allo stesso modo dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.
A livello generale, la disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni contempla tre fattispecie per le quale è astrattamente prevista la sanzione demolitoria: «l’ipotesi di interventi in assenza di permesso o in totale difformità; l’ipotesi intermedia di variazioni essenziali dal titolo edilizio; l’ipotesi residuale della parziale difformità da esso»[45]. Pare opportuno, al fine di comprendere il quesito analizzato dall’Adunanza plenaria, distinguere tali fattispecie, tralasciando quella relativa agli interventi costruiti in assenza di permesso di costruire, la cui definizione risulta facilmente evincibile.
Sussistono interventi eseguiti in totale difformità rispetto al permesso di costruire quando, come prevede il richiamato art. 31, che ne fornisce la definizione, «comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso (per il quale non sono quindi necessari incrementi di volume), ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile (da ultimo v. C. St., sez. V, 21.3.2011, n. 1726; T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 5.11.2010, n. 929) »[46].
Le variazioni essenziali riguardano, invece, «le modalità di esecuzione delle opere»[47] e sono caratterizzate da incompatibilità di tipo qualitativo-quantitativo rispetto al progetto edificatorio originario con riferimento ai parametri indicati dall’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001[48], che dispone che sono le regioni a stabilire quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, «tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle condizioni»[49] indicate in tale disposizione. Le variazioni essenziali al progetto approvato comportano, dunque, modifiche di gravità intermedia rispetto alla menzionata “totale difformità” delle opere rispetto a quanto approvato e alla “parziale difformità”[50], che contempla mutamenti di entità più lieve. Quest’ultima ipotesi, disciplinata dall’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, riguarda situazioni residuali, tra le quali si possono ricomprendere «le variazioni relative a parti accessorie o gli aumenti di superficie o cubatura di scarsa rilevanza»[51].
Dopo aver distinto le varie situazioni in cui è possibile individuare un’opera abusiva, la vicenda oggetto di analisi potrebbe astrattamente sembrare differente dalle ipotesi elencate, poiché l’opera risulta realizzata, ma non completata, sulla base di un titolo decaduto a causa del decorso del tempo prima dell’ultimazione dei lavori. L’Adunanza evidenzia, tuttavia, che un’opera possa qualificarsi come «abusiva per totale difformità ogni qual volta il risultato finale consista in una struttura che non è riferibile a quella assentita»[52] e tale circostanza si verifica anche quando il manufatto sia stato parzialmente edificato.
A tal proposito, si rappresenta che la giurisprudenza amministrativa[53] qualifica l’abuso[54] edilizio come «illecito amministrativo con effetti permanenti stante la sua capacità di produrre un persistente e non attenuabile vulnus ai valori tutelati dagli artt. 9, 41, 42 e 117 Cost.»[55].
La giurisprudenza ha, inoltre, osservato che, ove sussista un abuso, l’applicazione di sanzioni in materia edilizia costituisce un «atto tipicamente vincolato e il relativo potere è imprescrittibile»[56], proprio a causa della natura permanente della violazione. La natura vincolata di tali atti sanzionatori comporta l’insussistenza della necessità di instaurare previamente un contraddittorio tra l’Amministrazione e il privato e, dunque, «non devono essere preceduti dalla comunicazione d’avvio del relativo procedimento»[57]. A tal proposito, si è tuttavia, osservato che la menzionata comunicazione sia necessaria nell’ipotesi in cui l’atto sanzionatorio venga comminato a carico di proprietari ignari «a notevole distanza di tempo dalla commissione dell’abuso»[58].
Con riferimento al decorso del tempo, inoltre, si è discusso in giurisprudenza circa la necessità per l’Amministrazione di addurre all’ordinanza di demolizione un’adeguata motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico. Relativamente a tale aspetto, è stato osservato che «al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione non può essere connessa “la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo”»[59].
La giurisprudenza amministrativa ha osservato che la natura della sanzione amministrativa[60] dell’ordine di demolizione, «in ragione della funzione riparatoria assume carattere reale, prescindendo così dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante del manufatto»[61]. Tale sanzione deve essere, dunque, emanata anche nei confronti «di chi non abbia commesso la violazione»[62].
Dopo aver riportato quanto rappresentato dalla giurisprudenza con riferimento alla natura dell’abuso edilizio e alle caratteristiche della conseguente sanzione demolitoria, si evidenzia che, secondo la sentenza oggetto di esame, rientra tra i casi di divergenza tra il consentito e il realizzato anche il “non finito architettonico”[63], che si ravvisa quando le opere sono «incomplete strutturalmente e funzionalmente»[64]. La cosiddetta “opera incompiuta” comporta un degrado ambientale e paesaggistico, sussistendo, pertanto, secondo la sentenza in esame, «il fondamento normativo per disporre la restituzione in pristino».
Al fine di comprendere quando si possa discorrere di totale difformità, l’Adunanza richiama la definizione elaborata dalla giurisprudenza di “costruzione”, che è ravvisabile quando «l’intervento edilizio produca un effettivo e rilevante impatto sul territorio e, dunque, in relazione alle opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi determinandone una significativa trasformazione»[65]. È necessario, dunque, il rilascio del permesso di costruire per le opere che comportino tale trasformazione dello stato dei luoghi[66], «pur quando si tratti di movimento terra, in assenza di volumi e per realizzare una strada»[67]. Il problema relativo alla tutela dell’affidamento sorge solo quando alla base vi è un provvedimento legittimo, «successivamente oggetto di un provvedimento di autotutela»[68], mentre non si pone quando sussiste una costruzione “sine titulo[69].
Osserva l’Adunanza, come già evidenziato, che vi è divergenza tra consentito e realizzato non solo quando «si costruisce più del consentito»[70], ma anche quando vi siano opere incompiute e spetta al Comune constatare la sussistenza di tale divergenza, nonché adottare «la determinazione conseguente, che può essere – a seconda dei casi – quella della demolizione ex art. 31 cit., ovvero la sanzione prevista dall’art. 34 del testo unico»[71]. La parte interessata potrebbe anche richiedere «l’accertamento di conformità di cui all’art. 36»[72].
In particolare, secondo la sentenza oggetto di analisi, il menzionato art. 31 «si applica quando le opere incomplete non sono autonome, scindibili e funzionali»[73].
In tali situazioni è necessario ripristinare lo stato dei luoghi, poiché «costituisce anche causa di degrado dell’ambiente circostante»[74].
L’Adunanza plenaria osserva, inoltre, che ove, invece, le opere risultino autonome funzionalmente, anche se non complete, potrebbero risultare conformi al titolo edificatorio originario «qualora vi siano tutti gli elementi costitutivi ed essenziali del manufatto e manchino soltanto opere marginali che non richiedono il rilascio del permesso di costruire (art. 15, comma 3)»[75]. Nel caso in cui tali opere, seppur autonome funzionalmente, presentino variazioni rispetto al titolo abilitativo, spetterà al Comune stabilire se siano conformi al permesso di costruire o se «ricadano nella fattispecie ex art. 34» o se siano passibili di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Secondo l’Adunanza plenaria, dunque, l’abuso sanzionato con la demolizione deriva dalla “divergenza tra consentito e realizzato”, situazione non ravvisabile nella disposizione di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, che, a differenza dell’art. 31, contempla la diversa ipotesi di conformità delle opere al permesso di costruire annullato.
5. Osservazioni conclusive
L’Adunanza plenaria con la sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, nel fornire un riscontro alla questione posta dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, ha enunciato i seguenti principi di diritto:
«- in caso di realizzazione, prima della decadenza del permesso di costruire, di opere non completate, occorre distinguere a seconda se le opere incomplete siano autonome e funzionali oppure no;
- nel caso di costruzioni prive dei suddetti requisiti di autonomia e funzionalità, il Comune deve disporne la demolizione e la riduzione in pristino ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, in quanto eseguite in totale difformità rispetto al permesso di costruire;
- qualora il permesso di costruire abbia previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio villette) che siano rispondenti al permesso di costruire considerando il titolo edificatorio in modo frazionato, gli immobili edificati - ferma restando l’esigenza di verificare se siano state realizzate le opere di urbanizzazione e ferma restando la necessità che esse siano comunque realizzate - devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma - in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali - necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire;
- qualora invece, le opere incomplete, ma funzionalmente autonome, presentino difformità non qualificabili come gravi, l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art. 34 del t.u.;
- è fatta salva la possibilità per la parte interessata, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 del t.u. nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto - di per sé funzionale e fruibile - di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica»[76].
Con la sentenza in esame l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha, pertanto, chiarito, dopo aver precisato che si è in presenza di opere incompiute quando sussiste una “divergenza tra consentito e realizzato”, quale sia la sorte delle stesse, operando un bilanciamento tra l’interesse del privato e il suo legittimo affidamento al completamento dell’opera realizzata, e la necessità di reprimere gli abusi edilizi.
La decisione in esame evidenzia l’importanza del permesso di costruire, che autorizza l’esecuzione di determinate opere in esso indicate, costituendo, invece, abuso ogni tipologia di discostamento rispetto a quanto assentito, sia in eccesso[77], che in difetto, come nell’ipotesi della costruzione non terminata, che viene a costituire un “incompleto architettonico”. Quest’ultimo risulta configurabile sotto il profilo temporale, come precisato dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, nel recepire i principi di diritto espressi dall’Adunanza plenaria, «qualora vi sia stata la decadenza del permesso di costruire e non sia possibile ottenere un nuovo titolo abilitativo, ovvero l'interessato non lo richieda»[78].
Con riferimento al rilievo della sussistenza di un titolo abilitativo, la giurisprudenza ha evidenziato che «la realizzazione di opere edilizie, in assenza del relativo titolo e in contrasto con le previsioni urbanistiche, incide negativamente sul paesaggio, sull’ambiente, sull’ordinato assetto del territorio e sulla regola per la quale il godimento della proprietà privata deve svolgersi nel rispetto dell’utilità sociale»[79].
Allo stesso modo le opere incompiute e non funzionalmente autonome incidono negativamente sul paesaggio, sull’ambiente e sull’ordinato assetto del territorio, poiché non assolvono alla funzione per cui è stato richiesto il titolo abilitativo. La sanzione demolitoria in tali circostanze appare proporzionata, anche nelle ipotesi, come quella relativa alla vicenda in esame, in cui il titolo era presente e non è stato annullato, ma è decaduto per decorso del tempo relativo all’ultimazione dei lavori.
Come già evidenziato la presenza di opere incompiute «costituisce anche causa di degrado dell’ambiente circostante»[80].
È stato rappresentato, infatti, che «il fenomeno dell’edilizia incompiuta implica rilevanti conseguenze territoriali, quali la inesistenza o l’inadeguatezza degli standard, deficit di qualità urbana, l’impossibilità di adeguare o costruire le reti di servizio ed infrastrutturali, che genera, tra le altre cose, una rilevante caduta delle capacità e dell’efficacia dell’azione di pianificazione del governo del territorio, a sua volta condizione necessaria per procedere ad un reale recupero dell’abitato in siffatti contesti»[81].
Pare evidente che nell’operare un bilanciamento tra interessi contrapposti, risultino in tale circostanza recessivi sia l’interesse del privato e il suo legittimo affidamento, sia il principio di conservazione, rispetto a un’adeguata e corretta pianificazione del territorio.
La giurisprudenza amministrativa ha rappresentato, nell’affermare che l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’art. 36 del richiamato Testo Unico, che la norma si ispira a «un principio di tutela degli interessi del privato e mirando ad introdurre un regime sanzionatorio più mite per le opere edilizie conformi ad un titolo abilitativo successivamente rimosso, rispetto ad altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo»[82].
Alla luce di tale orientamento, si potrebbe astrattamente ravvisare una sproporzione con riferimento alla decisione di optare per una sanzione demolitoria, in luogo di quella pecuniaria, più mite, in una situazione come quella in esame, ove il titolo era presente, non è stato annullato, ma è decaduto a causa dello spirare del termine di conclusione dei lavori, prima del completamento dell’opera.
Il privato, tuttavia, nella maggior parte delle ipotesi, non ricaverebbe alcuna utilità dalla corresponsione di una somma, a titolo di sanzione pecuniaria, al fine di conservare un’opera incompiuta e non autonoma funzionalmente, né, inoltre, per tale ragione si potrebbe applicare il richiamato principio di conservazione.
Applicare una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria/ripristinatoria, conservando sul territorio la costruzione non completata e non autonoma funzionalmente, significherebbe, inoltre, per l’Amministrazione legittimare un abuso, che avrebbe un impatto negativo sull’ambiente circostante, contribuendo al suo degrado, con rilevanti conseguenze sfavorevoli sull’assetto del territorio.
La Seconda sezione del Consiglio di Stato, infine, nel recepire i principi di diritto espressi dall’Adunanza plenaria e nel riformare parzialmente la sentenza appellata, ha affermato, con riferimento ai profili attinenti con la presente analisi, dopo aver premesso che «l’adozione dell’ordinanza di demolizione, con la quale l’autorità preposta alla tutela del territorio provvede alla repressione degli illeciti in materia edilizia e urbanistica, si connota come un preciso obbligo dell’Amministrazione, la quale non gode di alcuna discrezionalità al riguardo (ex aliis, Cons. giust. amm. sic., sez. riun., n. 198 del 2023)[83]» ha affermato che «la violazione della regola di proporzionalità (che parte appellante aggancia alla presenza di opere “modeste”) non può qui trovare utile invocazione considerato che la (come si è detto, corretta) configurazione delle opere, abusive, tratteggiata dal Comune non poteva che condurre al completo ripristino dello stato dei luoghi nei termini in cui è stato disposto (cfr. Consiglio di Stato, sez VI. n. 8072/2024)»[84].
[1] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[2] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[3] Ibid.
[4] Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 28 novembre 2018, n. 6753, in www.giustizia-amministrativa.it.
[5] A. GIUSTI, La fiscalizzazione dell’abuso edilizio fra esigenze punitive e di ripristino dell’equilibrio urbanistico, Giurisprudenza italiana, aprile 2021, cit. pag. n. 925.
[6] Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 28 novembre 2018, n. 6753, in www.giustizia-amministrativa.it.
[7] S. CALVETTI, Abusi edilizi, legittimo affidamento e accordi ex art. 11. L. n. 241/1990, Urbanistica e appalti 2/2024, a tal proposito viene evidenziato che l’affidamento riposto dal privato sulla legittimità del titolo non è «in ogni caso idoneo a fondare il mantenimento in vita di atti amministrativi illegittimi», cit. pag. n. 227.
[8] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[9] A. GIUSTI, La fiscalizzazione dell’abuso edilizio fra esigenze punitive e di ripristino dell’equilibrio urbanistico, Giurisprudenza italiana, aprile 2021, cit. pag. n. 229.
[10] Secondo la sentenza della Corte di Cassazione pen, sez. III, 13 aprile 2023, n. 17422 «affinché tale procedura possa trovare applicazione, da un lato è necessario che l’impossibilità di demolire senza arrecare pregiudizio alla parte eseguita in conformità sia fatta valere dall’interessato e sia accertata dall’autorità Comunale, dall’altro, è necessario che il caso di specie sia ricompreso nell’ambito di applicazione della procedura, che è limitato ai soli interventi in parziale difformità del permesso di costruire o agli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in totale difformità dallo stesso».
[11] A. GIUSTI, La fiscalizzazione dell’abuso edilizio fra esigenze punitive e di ripristino dell’equilibrio urbanistico, Giurisprudenza italiana, aprile 2021, cit. pag. n. 926, che ha altresì evidenziato che la fiscalizzazione è, pur sempre, una sanzione, infatti, la giurisprudenza l’ha definita il «“prezzo” per la regolarizzazione delle opere abusive, imponendo di utilizzare come base di calcolo il valore attuale di mercato, cioè riferito al momento in cui avviene l’abbandono della condizione di illegittimità».
[12] C. COMMANDATORE, Il sistema sanzionatorio dell’illecito edilizio all’esame dell’Adunanza plenaria, Urbanistica e appalti 1/2024, cit. pag. n. 67.
[13] Ibid.
[14] Ibid. cit. pag. n. 68.
[15] Ibid.
[16] A. GIUSTI, La fiscalizzazione dell’abuso edilizio fra esigenze punitive e di ripristino dell’equilibrio urbanistico, Giurisprudenza italiana, aprile 2021, cit. pag. n. 925 e Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza del 7 settembre 2020, n. 17, in www.giustizia-amministrativa.it.
[17] E. BOSCOLO, Misure pecuniarie alternative alla demolizione: natura giuridica e obbligo di attualizzazione, Giurisprudenza Italiana, agosto-settembre 2024, cit. pag. n. 1933.
[18] C. CONTESSA, Permesso di costruire in sanatoria con fiscalizzazione degli abusi, Recentissime Consiglio di Stato, Giurisprudenza Italiana, marzo 2025, su Consiglio di Stato, sez. II, 13 dicembre 2024, n. 10076, si osserva, inoltre, che ove «il legislatore non abbia espressamente qualificato la mancata tempestiva risposta dell’amministrazione come silenzio assenso, ovvero come silenzio diniego, essa configura un’ipotesi di silenzio inadempimento», cit. pag. n. 488.
[19] R. PARISI, Urbanistica. Profili applicativi della fiscalizzazione degli abusi edilizi, Nota a Consiglio di Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243, Lexambiente Rivista giuridica a cura di Luca Ramacci ISSN 2499-3174, pubblicato in data 13 marzo 2024 su giustiziainsieme.it
[20] Ibid.
[21] Ibid.
[22] C. COMMANDATORE, Il sistema sanzionatorio dell’illecito edilizio all’esame dell’Adunanza plenaria, Urbanistica e appalti 1/2024, cit. pag. n. 68.
[23] S. CALVETTI, Abusi edilizi, legittimo affidamento e accordi ex art. 11. L. n. 241/1990, Urbanistica e appalti 2/2024, cit. pag. n. 229 e Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza del 17 ottobre 2017, n. 8.
[24] Ibid., si tratta, tuttavia, di situazioni in cui vi è assenza del titolo abilitativo.
[25] S. CALVETTI, Abusi edilizi, legittimo affidamento e accordi ex art. 11. L. n. 241/1990, Urbanistica e appalti 2/2024, cit. pag. n. 229 e Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza del 17 ottobre 2017, n. 8 è stato, inoltre, osservato che le conseguenze dannose subite dal privato a causa della condotta dell’amministrazione contraria a buona fede oggettiva possono dare luogo ad una responsabilità risarcitoria e possono essere oggetto di trattative, che possono anche perfezionarsi senza l’utilizzo degli accordi ex art. 11 della l. n. 241 del 1990.
[26] C. COMMANDATORE, Il sistema sanzionatorio dell’illecito edilizio all’esame dell’Adunanza plenaria, Urbanistica e appalti 1/2024, cit. pag. n. 68. A tal proposito, viene evidenziato che le sezioni unite della Corte di Cassazione, ordinanza dell’8 gennaio 2024, n. 583, sollevavano questione di costituzionalità degli artt. 7, terzo comma, della L. 47 del 1985, 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, in riferimento agli artt. 3, 24, 42 e 117, primo comma, Cost., nonché art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU, «nella parte in cui non prevedono – in caso di iscrizione di ipoteca giudiziale su di un terreno sul quale sia stato costruito un immobile abusivo, immobile gratuitamente acquisito al patrimonio del comune – la permanenza dell’ipoteca sul terreno a garanzia del creditore ipotecario».
[27] A. GIUSTI, La fiscalizzazione dell’abuso edilizio fra esigenze punitive e di ripristino dell’equilibrio urbanistico, Giurisprudenza italiana, aprile 2021, cit. pag. n. 926 e Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 9 aprile 2018, n. 2155, in www.giustizia-amministrativa.it.
[28] A tal proposito, la giurisprudenza ha anche osservato che «le misure ripristinatorie in materia edilizia si applicano anche a chi si trovi, casualmente, in una data relazione giuridica con la cosa, in qualità di attuale proprietario dell’immobile», si veda Consiglio di Stato, sez. II, sentenza del 25 febbraio 2025 n. 1648, in www.giustizia-amministrativa.it.
[29] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[30] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[31] Ibid.
[32] Ibid.
[33] Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 5 luglio 2017, n. 3283.
[34] Ibid.
[35] Ibid.
[36] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[37] Ibid.
[38] G. NICODEMO, Edilizia e Urbanistica. Abusi edilizi e potere conformativo della P.A.: nessuno spazio per la conservazione? Giurisprudenza Italiana, n. 5, 1° maggio 2024, cit. pag. n. 1133 e G. Sdaganelli, Sulla legittimità costituzionale delle misure alternative alla demolizione per illecito edilizio, in P.A. Persone e Amministrazione, n. 2/2019 (Nota alla sentenza della Corte cost. n. 140/2018).
[39] G. NICODEMO, Edilizia e Urbanistica. Abusi edilizi e potere conformativo della P.A.: nessuno spazio per la conservazione? Giurisprudenza Italiana, n. 5, 1° maggio 2024, cit. pag. n. 1133, osserva che la dottrina ha evidenziato che il privato, autore dell’illecito, «potrebbe anche ritornare nella proprietà del bene acquisendolo, dal momento che il Comune potrebbe deliberare anche la vendita dello stesso».
[40] Ibid.
[41] Ibid. ovvero l’organo politico comunale.
[42] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[43] Ibid.
[44] Ibid.
[45] Consiglio di Stato, sez. II, sentenza del 2 aprile 2025, n. 2814, in www.giustizia-amministrativa.it.
[46] S. BATTINI, L. CASINI, G. VESPERINI, C. VITALE, Codice di Edilizia e Urbanistica, I Codici commentati, UTET Giuridica, aprile 2013, cit. pag. n. 1368.
[47] Consiglio di Stato, sez. II, sentenza del 2 aprile 2025, n. 2814, in www.giustizia-amministrativa.it.
[48] Ibid.
[49] V. DE GIOIA, Edilizia e Urbanistica, UTET Giuridica, gennaio 2009, cit. pag. n. 591.
[50] Ibid. cit. pag. n. 592.
[51] Ibid. cit. pag. n. 571.
[52] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[53] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza dell’11 ottobre 2023, n. 16, in www.giustizia-amministrativa.it.
[54] B.V. GABARSI, Demolizione degli interventi edilizi abusivi, Immobili & Proprietà, cit. pagg. nn. 169 e 170, ha osservato che l’abuso costituisce, come noto, anche reato, tuttavia, «imputabile esclusivamente in capo a chi l’ha commesso diversamente dalla sanzione amministrativa che segue il bene su cui è stato effettuato l’abuso».
[55] C. COMMANDATORE, Il sistema sanzionatorio dell’illecito edilizio all’esame dell’Adunanza plenaria, Urbanistica e appalti 1/2024, cit. pagg. nn. 62 e 63.
[56] D. LAVERMICOCCA, Le sanzioni in edilizia. Atto vincolato e legittimo affidamento, Urbanistica e appalti 5/2019, cit. pag. n. 646.
[57] D. LAVERMICOCCA, Le sanzioni in edilizia. Atto vincolato e legittimo affidamento, Urbanistica e appalti 5/2019, cit. pag. n. 647, ove viene osservato che tale assunto è rilevante anche alla luce di quanto disposto dall’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990, infatti, «anche laddove si ritenesse necessaria tale disposizione, risultando palese che il contenuto dispositivo dell’ordinanza non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato».
[58] Ibid. cit. pag. n. 648.
[59] M. TRIMARCHI, Il contrasto all’abusivismo edilizio tra annullamento d’ufficio e ordine di demolizione, commento alla sentenza dell’Adunanza del Consiglio di Stato del 17 ottobre 2017, n. 8, Giornale di diritto amministrativo 1/2018, cit. pag. n. 72 e Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, del 17 ottobre 2017, n. 9.
[60] C. COMMANDATORE, Il sistema sanzionatorio dell’illecito edilizio all’esame dell’Adunanza plenaria, Urbanistica e appalti 1/2024, cit. pag. n. 67 e Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ordinanza del 19 aprile 2023, n. 3974, tale sistema sanzionatorio «seppure formalmente qualificato come amministrativo, in ragione dello scopo afflittivo-deterrente e della gravità delle conseguenze sulla sfera giuridica patrimoniale e non patrimoniale del destinatario debba qualificarsi, nell’ambito convenzionale ed eurounitario, come sistema sanzione penale alla luce degli Engel criteria».
[61] Ibid., afferma che, invece, l’acquisizione gratuita al patrimonio dello Stato ha natura afflittiva, indicata nella giurisprudenza costituzionale come «la reazione dell’ordinamento (di natura amministrativa) posto in essere da chi dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla».
[62] Ibid. cit. pag. n. 63, «con l’acquisto del diritto reale da parte dell’avente causa, si verifica una novazione soggettiva cumulativa dell’obbligo propter rem di demolire il bene».
[63]Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[64] Ibid.
[65] Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 3 aprile 2024 n. 3031, in www.giustizia-amministrativa.it.
[66] Consiglio di Stato, sez. II, sentenza del 29 novembre 2023, n. 10291, in www.giustizia-amministrativa.it.
[67] Consiglio di Stato, sez. II, sentenza del 24 marzo 2020, n. 2050, in www.giustizia-amministrativa.it.
[68] M. TRIMARCHI, Il contrasto all’abusivismo edilizio tra annullamento d’ufficio e ordine di demolizione, commento alla sentenza dell’Adunanza del Consiglio di Stato del 17 ottobre 2017, n. 8, Giornale di diritto amministrativo 1/2018, cit. pag. n. 72 e Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, del 17 ottobre 2017, n. 9.
[69] Ibid. cit. pag. 76: «la protezione dell’affidamento non può che essere condizionata alla legittimità dell’affidamento stesso: la quale sussiste soltanto quando il cittadino si sia comportato correttamente nel rapporto con l’amministrazione ed è invece esclusa quando l’abbia indotta in errore con il proprio comportamento».
[70] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[71] Ibid.
[72] Ibid.
[73] Ibid.
[74] Ibid.
[75] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[76] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[77] A. SCARCELLA, Acquirenti di terreno lottizzato abusivamente ed individuazione degli indici della “buona fede”, Cassazione penale, sez. III, 5 agosto 2024, n. 31818, Urbanistica e appalti 5/2024, cit. pag. n. 699, la giurisprudenza ha evidenziato che la creazione di un manufatto completamente diverso da quello assentito «dà luogo ad un’opera definibile come realizzata in totale assenza di un titolo abilitativo, atteso che in materia edilizia, si ha difformità totale della concessione quando la diversità concerna l’intera opera e sia accompagnata da trasformazioni tipologiche e planivolumetriche di tale entità da costituire uno stravolgimento complessivo dell’originario progetto, non più riferibile all’immobile realizzato».
[78] Consiglio di Stato, sez. II, sentenza del 7 febbraio 2025, n. 970, in www.giustizia-amministrativa.it.
[79] G. NICODEMO, Edilizia e Urbanistica. Abusi edilizi e potere conformativo della P.A.: nessuno spazio per la conservazione? Giurisprudenza Italiana, n. 5, 1° maggio 2024, cit. pag. n. 1133.
[80] Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sentenza non definitiva del 30 luglio 2024, n. 14, in www.giustizia-amministrativa.it.
[81] G. VELTRI e S. G. COSTANTINO, Commento alla normativa, Studio per una proposta di intervento normativo sulla rigenerazione urbana nazionale, Urbanistica e appalti, n. 6, 1° novembre 2021, p. 773.
[82] Consiglio di Stato, sez. II, sentenza del 23 settembre 2019, n. 6284, in www.giustizia-amministrativa.it.
[83] Consiglio di Stato, sez. II, sentenza del 7 febbraio 2025, n. 970, in www.giustizia-amministrativa.it.
[84] Ibid.
Bibliografia
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