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Pubbl. Mar, 30 Mag 2023

La natura soggettiva dell´aggravante agevolatrice dell´attività mafiosa

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Claudia Migliazza
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Catanzaro Magna Græcia



Il presente contributo è volto ad analizzare le caratteristiche tipiche dell’associazione mafiosa e del metodo mafioso con particolare riferimento all’aggravante introdotta dal nuovo art. 416-bis 1. Si delineerà l’evoluzione dell’articolo, in particolare la pronuncia delle Sezioni Unite n. 8545/2020 ed il dibattito che ha accompagnato la natura dell’aggravante (soggettiva, oggettiva, intermedia) fino ad arrivare alla soluzione della natura soggettiva della stessa, come sottolineato in numerose pronunce giurisprudenziali, soffermandoci su alcuni profili critici ancora irrisolti. Importante analisi riguarderà l’elemento psicologico che accompagna il reato, con riferimento all’aggravante e alla condotta del partecipe ed, infine, come tale aggravante viene applicata al caso concreto.


ENG

The subjective nature of the aggraving factor of mafia activity

This contribution is aimed at analyzing the typical characteristics of the mafia association and the mafia method with particular reference to the aggravating circumstance introduced by the new art. 416-bis 1. The evolution of the article will be outlined, in particular the pronouncement of the United Sections n. 8545/2020 and the debate that accompanied the nature of the aggravating circumstance (subjective, objective, intermediate) up to the solution of the subjective nature of the same, as underlined in numerous jurisprudential pronouncements, focusing on some critical profiles still unresolved. An important analysis will concern the psychological element that accompanies the crime.

Sommario: 1. L’associazione di stampo mafioso e il metodo mafioso; 2.Il concorso di persone nel reato e applicazione al fenomeno mafioso; 3. I gradi del dolo; 4. Le circostanze aggravanti; 5. L’articolo 416-bis 1 c.p.; 6. La sentenza 8545/2020: situazione di fatto; 6.1. Considerazioni di diritto: natura oggettiva o soggettiva dell’aggravante?; 6.2. La natura oggettiva dell’aggravante: la giurisprudenza; 7. L’ordinanza di rimessione; 8. L’elemento psicologico: il dolo; 9. La linea sottile tra finalità agevolatrice e concorso esterno; 10. Applicabilità dell’aggravante con finalità di agevolazione mafiosa ; 11. Punti nodali e critica.

1. L’associazione di tipo mafioso ed il metodo mafioso

L'associazione di tipo mafioso, come ipotesi criminosa, viene introdotta con Legge 13.09.1982, n. 646 (nota come Legge Rognoni-La Torre) in particolare al suo articolo 1. Tale legge introduce nel codice penale l’art. 416-bis, rubricato “associazione di tipo mafioso” il quale recita testualmente: «Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni.

Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da quattro a nove anni. L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Se l'associazione è armata si applica la pena della reclusione da quattro a dieci anni nei casi previsti dal primo comma e da cinque a quindici anni nei casi previsti dal secondo comma.

L'associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell'associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito. Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego. Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all'ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso».

Il nuovo modello punitivo è stato considerato come «un punto di svolta nella storia giuridica italiana perché, sul presupposto che le consorterie mafiose integrano, al di là delle forme diverse di cui talora si rivestono, un fenomeno unitariamente apprezzabile di criminalità organizzata, allestisce uno strumento di contrasto penale decisamente innovativo»[1]. L'associazione di stampo mafioso presenta tre caratteristiche principali: il metodo intimidatorio, il quale si avvale della violenza; il finalismo preparatorio delle risorse economiche; la trasformazione incessante della accumulazione della ricchezza ai fini della commissione di nuovi delitti[2]. Tali caratteristiche emergono dalla lettura dell’art. 416-bis c.p., dal quale affiorano, oltre alla forza intimidatrice, la condizione di assoggettamento ed omertà: cd. metodo mafioso.

L’art. 416-bis c.p. è stato introdotto in quanto, il già esistente art. 416 c.p.[3] rubricato “associazione per delinquere” utilizzato fino al 1982, non era sufficiente a combattere la criminalità organizzata, considerato che tra le finalità perseguite dai soggetti uniti dal vincolo associativo vi erano anche talune attività lecite e ciò costituiva un limite alla stessa applicazione. Tuttavia, non diversamente dall’associazione a delinquere comune, anche quella a stampo mafioso presuppone “l'organizzazione”, essendo necessaria l'esistenza stabile e permanente di una struttura capace di perpetuarsi nel tempo, tale da porsi del tutto autonoma rispetto all'attività preparatoria ed esecutiva dei delitti-fine[4].

La forza intimidatrice, che deriva dal vincolo associativo, è un elemento essenziale ai fini della radicazione della mafia nel contesto storico e culturale e, tale elemento, non si sostituisce alla struttura organizzativa ma va ad aggiungersi a questa[5].

La tipicità di tale modello delittuoso è da rinvenire nel “metodo mafioso”, strumento di intimidazione che induce alla sudditanza psicologica e all'omertà[6]. La capacità di intimidazione non deve essere solo potenziale bensì effettiva e riscontrabile.

 Il metodo mafioso non deve essere confuso con l'autorevolezza dei soggetti nella comunità locale e risulta necessario accertare che l'associazione sia radicata in un determinato territorio.

L' assoggettamento e l’omertà non sono semplici corollari dell’intimidazione bensì effetti a questa ricollegabili attraverso un nesso causale[7].

L' assoggettamento, nel suo significato letterale, denota la «condizione di soggezione psicologica dettata da uno stato di sottomissione posto in essere da una associazione mafiosa, ex art. 416-bis»[8]. Ci si riferisce a soggetti estranei al meccanismo criminale, i quali, per paura e di conseguenza privati del loro potere decisionale, possono essere indotti a comportamenti conformi alla volontà dell’associazione[9].

L’omertà[10], invece, è un profilo peculiare dell'assoggettamento: consiste nell’indisponibilità a prestare collaborazione agli organi di Giustizia e dello Stato per timore di reazioni violente da parte dell’organizzazione criminale[11]. L'assoggettamento e l'omertà devono riscontrarsi all'esterno dell’associazione.

Per quanto attiene, poi, alle finalità perseguite dall’associazione mafiosa, l'articolo 416-bis delinea quattro scopi perseguibili, tra loro cumulabili, che non necessariamente devono essere realizzati ma possono anche rimanere sul piano programmatico.

La norma prevede: la commissione di delitti, basati sulla forza intimidatrice nella loro commissione; la finalità di monopolio, tradotta alla dottrina in “mafia imprenditoriale”; la realizzazione di profili o vantaggi ingiusti per sé o altri e, infine, la finalità politico-elettorale che può esplicarsi in varie direzioni. La finalità politico-elettorale si estrinseca in quattro direzioni, in particolare, i membri di un sodalizio mafioso perseguono tali finalità avvalendosi della carica intimidatoria per impedire il libero esercizio del voto, ostacolare il libero esercizio del voto, procurare voti a sé stessi e procurare voti ad altri[12].

Una finalità di grande rilievo che merita, seppur in sintesi, particolare attenzione è la “mafia imprenditoriale” che vede il fenomeno mafioso assumere sembianze di una vera e propria organizzazione imprenditoriale. L’espressione “impresa mafiosa” può rappresentare la sintesi definitoria del simbolico passaggio da una visione “statica”, personale e padronale del potere, ad una dimensione “dinamica” dello sfruttamento economico. Il paradigma “mafia-impresa” è, quindi, collegato ad una entità di carattere economico che opera sul territorio e negli stessi settori di altre imprese, con una serie di vantaggi derivanti dall’utilizzo della capacità di intimidazione derivante dal metodo mafioso[13].

Quando si parla di impresa mafiosa, però, è opportuno porre una distinzione fondamentale tra impresa mafiosa tradizionale[14] e impresa a partecipazione mafiosa[15]. Vengono, quindi, individuati due differenti modelli di interazione tra il mondo del crimine e quello di impresa. Tra le due tipologie la più pericolosa appare la seconda, in quanto, attraverso il sistema della “compartecipazione” aziendale, l’infiltrazione dei gruppi mafiosi nell’economia legale avviene in modo mascherato, conferendo la titolarità dell’attività imprenditoriale ad un mero prestanome, in apparenza estraneo alle logiche criminali dell’associazione mafiosa e formalmente autonomo dal sodalizio.

2. Il concorso di persone nel reato e applicazione al fenomeno mafioso

Il concorso di persone nel reato, nel nostro ordinamento, è regolato dall’art. 110 c.p.[16] rubricato “pena per coloro che concorrono nel reato”. L’art. 110 c.p. è, pacificamente, ritenuto una norma incriminatrice, in quanto consente di estendere la punibilità di determinati fatti di reato per cui, di regola, è prevista l’esecuzione mono-soggettiva[17].

Il concorso di persone consta di quattro elementi costitutivi: pluralità di persone; realizzazione di un fatto di reato; contributo causale della condotta tipica alla realizzazione del fatto; consapevolezza e volontà di contribuire casualmente alla realizzazione del fatto[18]. Il concorso in commento, dunque, prevede che, ai fini della commissione del fatto, debba concorrere, oltre all’autore – la cui condotta è descritta nella norma incriminatrice di parte speciale – un’altra persona: il partecipe.

L’ordinamento italiano, ai fini della configurazione del concorso, ritiene sufficiente il fatto tipico e non prende in considerazione l’antigiuridicità, la colpevolezza e la punibilità, basandosi sul principio di accessorietà: «il comportamento tipico rileva se e in quanto accede ad un fatto principale tipico»[19]. Nel momento in cui l’esecuzione del fatto avviene ad opera di più soggetti, d’accordo tra loro, si parla di coautori che pongono in essere un’esecuzione frazionata[20]. Non vi può essere concorso se la condotta tipica non ha esercitato un’influenza causale sul fatto concreto tipico realizzato da altri e, quando la condotta tipica di aiuto è stata condizione necessaria per l’esecuzione del fatto concreto penalmente rilevante da parte di altri, parleremo di concorso materiale[21]. Rilevante, poi, ai fini di tale contributo è la forma del concorso morale che si realizza quando un soggetto fa nascere in altri, con comportamenti esteriori, il proposito di commettere il fatto che poi viene materialmente commesso o rafforza un proposito già esistente, ma non ancora consolidato[22].

L’elemento psicologico che caratterizza la responsabilità del partecipe è il dolo, il cui oggetto abbraccia sia il fatto principale realizzato dall’autore, sia il contributo causale recato dalla condotta atipica. Tuttavia, viene posta una deroga al dolo quando il fatto realizzato dall’autore integra una figura di reato diversa da quella che il partecipe voleva contribuire a realizzare[23]. Complesso è il problema della configurabilità di un concorso di persone nei reati necessariamente plurisoggettivi designati come associativi, tra i quali emerge l’associazione di tipo mafioso. Chi occasionalmente contribuisce al rafforzamento dell’associazione mafiosa non opera come partecipe ma la sua condotta è dolosa, si configura, così, il concorso esterno nel reato associativo.

«La storia del concorso esterno nel delitto di associazione mafiosa è l'emblema dell'urgenza - sociale prima che giuridica - di colpire questo percorso individuando questa insidiosa e pericolosa fetta di potere criminale»[24]. Il problema del concorso eventuale, emergente nel XIX secolo, viene definito in corrispondenza della celebrazione del “maxi-processo”. “Sul piano giuridico si perviene alla conclusione che «una condotta, per realizzare il concorso nel delitto di associazione mafiosa, deve risolversi in un contributo causale alla realizzazione degli scopi di “Cosa Nostra” e deve essere consapevolmente volta a favorirne - dall'esterno- le attività. Altrimenti, a seconda dei casi, ricorrerà l'ipotesi delittuosa di favoreggiamento personale o di favoreggiamento reale o di ricettazione (nella forma della intermediazione ricettatoria) a favore di singoli associati». Al contempo, però, si avverte che «tali criteri, teoricamente nitidi e precisi sono - in pratica - di non agevole applicazione, data la complessità del reticolo di conclusioni e di connivenze che avvolge, proteggendolo, il fenomeno mafioso e ne agevola la finalità».  Quindi «solo un'accurata disamina del caso concreto ed una sufficiente raccolta di elementi probatori potrà stabilire quale ipotesi di reato ricorre nella fattispecie»”[25].

Nel diritto penale italiano non esiste una norma che disciplina il concorso esterno nel reato associativo, per tale motivo si fa ricorso al combinato disposto dell’art 110 c.p. e 416-bis c.p. Ammettere il concorso eventuale di un "soggetto esterno" nel reato di associazione di tipo mafioso significa punire questo soggetto con la stessa pena prevista per chi fa parte dell'associazione stessa.  Si equipara cioè l'extraneus con l'intranues[26]. Il concorso di persone e l’associazione mafiosa presentano alcune caratteristiche fondamentali, è indispensabile, ai fini del concorso, che tutti i concorrenti seguano la finalità specifica richiesta dalla norma incriminatrice, siano, dunque, consapevoli di contribuire alla condotta di chi, per commettere il reato, agisce con tale finalità.

Pertanto, il concorrente eventuale nel reato associativo deve agire con la volontaria consapevolezza che la sua azione contribuisca alla realizzazione degli scopi della societas sceleris, il che non sembra differire dagli elementi caratterizzanti la partecipazione all’associazione di tipo mafioso e, quindi, dal concorso necessario[27]. Affinché sussista la volontà di concorrere è sufficiente la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta. Non è necessario un accordo preventivo dei correi essendo punibile anche la condotta di colui che - anche sconosciuto agli altri agenti - agevoli il disegno criminoso in via del tutto estemporanea, in vantaggio di un soggetto del tutto ignaro. In altri termini, basta la volontà unilaterale di concorrere. Si pone quindi una distinzione tra il concorrente ed il partecipe, dal punto di vista soggettivo, infatti, la figura del partecipe tende a realizzare gli scopi dell’associazione mafiosa, mentre la figura del concorrente si limita a contribuire a realizzare gli scopi della stessa. Si deve, quindi, operare una distinzione tra concorrente necessario e concorrente eventuale, il primo è considerato come un affiliato/partecipe (un soggetto interno), dove l’elemento oggettivo è la condotta tipica del far parte dell’associazione e l’elemento soggettivo il dolo specifico (volontà di far parte dell’associazione).  

Il secondo – concorrente eventuale - è un soggetto esterno che contribuisce alla realizzazione degli scopi dell’associazione, dove l’elemento oggettivo è la condotta tipica di dare un contributo morale o materiale e l’elemento soggettivo il dolo specifico/generico. Come emerge il dolo è specifico per l'associato (cd. dolo di partecipazione) mentre può essere considerato specifico o generico per il concorrente (c.d. dolo di contribuzione). Sicuramente il dolo del concorrente è diverso dal dolo del partecipe: il concorrente eventuale non potrà avere quella parte del dolo che ha il partecipe, consistente nella volontà di fare parte dell'associazione.

Ai fini della configurabilità del concorso, ex art. 110 c.p., occorre attentamente verificare l'adeguatezza del contributo rispetto alla dimensione lesiva del fatto e alla complessità della fattispecie,  la sua apprezzabilità in termini oggettivi e soggettivi in relazione alla vita del sodalizio, in quanto la prestazione esterna consiste in un apporto materiale idoneo e psicologicamente diretto ad irrobustire e rafforzare la struttura organizzativa che caratterizza il fenomeno associativo[28].

3.  I gradi del dolo

La realizzazione con dolo di un fatto giuridico comporta la forma più grave di responsabilità penale. La definizione di dolo è rinvenibile nell’art. 43 c.p., rubricato “delitto doloso, preterintenzionale, colposo”, al cui comma 1 recita testualmente: “il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.

Ai fini dell’esistenza del dolo si richiede un duplice elemento psicologico: la rappresentazione, la quale esige la conoscenza effettiva di tutti gli elementi rilevanti del fatto concreto che integra una figura di reato e che deve sussistere nel momento in cui il soggetto inizia l’esecuzione dell’azione tipica e la volizione, ossia la volontà dell’evento, il soggetto deve volere il fatto tipico che ha realizzato e non un altro e deve essere presente nel momento in cui si realizza il fatto[29]. Il momento rappresentativo del dolo viene ritenuto integrato anche in caso di dubbio, a meno che la legge non richieda una conoscenza piena e certa dell’esistenza di un elemento del fatto[30].

Nel nostro ordinamento non vengono riconosciuti il dolo susseguente – la volontà nasce dopo – ed il dolo antecedente, la volontà di commettere il reato è anteriore alla commissione stessa. Si distingue, però, il dolo d’impeto – che si manifesta nei casi in cui si ha un impulso ad agire legato all’ira o alla gelosia - dal dolo di proposito, riconosciuto come una circostanza aggravante (predeterminazione)[31]. In base all’intensità del momento volitivo e/o rappresentativo, si distinguono tre gradi del dolo: intenzionale, diretto ed eventuale.

Il dolo intenzionale si configura quando il soggetto agisce allo scopo di realizzare il fatto e si distingue in dolo generico – volontà dell’evento – e dolo specifico, dove oltre alla volontà dell’evento, ai fini dell’integrazione del fatto, è presente un fine ulteriore anche se non si dovesse realizzare[32].

«Il dolo diretto si configura, invece, quando l’agente non persegue la realizzazione del fatto, ma si rappresenta come certa o come probabile al limite della certezza l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione»[33]. «Il dolo eventuale, infine, si ha quando il soggetto non persegue la realizzazione del fatto ma si rappresenta come seriamente possibile (non come certa) l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare all’azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi: il soggetto decide di agire “costi quel che costi”, mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto»[34].

La rappresentazione e la volizione, ai fini del dolo, devono avere ad oggetto il fatto concreto che corrisponde al modello di una specifica figura di reato e non elementi astratti; quanto, invece, ai presupposti della condotta, il soggetto deve rappresentarsi la loro esistenza come certa e possibile, accettandone l’eventualità[35].

Di difficile soluzione risulta, poi, l’accertamento del dolo in quanto essendo la volizione e la rappresentazione elementi psicologici, non possono essere acclarati mediante i sensi, bensì solo desunti tramite dati esteriori, con l’aiuto di massime di esperienza e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (modalità della condotta, persona dell’agente)[36].

Per quanto concerne il reato di associazione mafiosa il dolo richiesto è quello più grave, ossia quello specifico. Ciò comporta che i soggetti che agiscono “per nome e per conto” dell’associazione mafiosa devono essere a conoscenza del fatto di agire “per nome e per conto” di questa, dell’utilizzo del metodo mafioso e della forza di intimidazione.  Deve, dunque, essere effettiva la volontà di far parte dell’associazione mafiosa e seguirne le finalità.

4. Le circostanze aggravanti

Le circostanze, che siano queste attenuanti o aggravanti, non sono elementi costitutivi del reato bensì elementi che “stanno intorno” ad un reato già perfetto. Le circostanze presentano tre requisiti fondamentali: non sono elementi costitutivi, la figura del reato circostanziato è speciale rispetto alla figura del reato semplice, l’effetto della circostanza è l’aggravamento o l’attenuazione della pena commisurata dal giudice per il reato semplice[37].

Ai fini dell’individuazione di una circostanza di reato, oltre agli elementi di discernimento su delineati, un primo criterio è offerto dall’espressa qualificazione di un elemento come circostanza del reato operata dal legislatore nella rubrica o nel testo di una disposizione[38]. All’espressa qualificazione, talvolta, si accompagna un ulteriore dato formale: il riferimento alla disciplina del giudizio di bilanciamento delle circostanze. Per quanto riguarda nello specifico le circostanze aggravanti – ossia quelle che comportano un inasprimento della pena commisurata dal giudice per il reato semplice – spesso è controverso se l’evento aggravante debba essere considerato come circostanza del reato o come elemento costitutivo dello stesso.

Il codice sembra orientato, in linea di principio, a definire l’evento aggravante come elemento costitutivo di autonome figure delittuose[39]. L’aggravante, e quindi l’aumento di pena, può essere: quantitativo, quando, ad esempio, alla pena inflitta per un reato semplice deve aggiungersi un quantum di pena della stessa specie; qualitativo, quando per effetto della circostanza cambia la specie della pena[40].

Le circostanze, poi, si distinguono in circostanze ad efficacia comune – aumento della pena fino ad un terzo – e circostanze ad efficacia speciale – aumento della pena superiore ad un terzo, per le quali la legge prevede una cornice di pena diversa da quella prevista per il reato semplice[41]. L’imputazione delle circostanze è disciplinata dalla Legge n. 19 del 7 febbraio 1990, in particolare l’art. 59 co. 3 c.p. dispone «se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti (o attenuanti), queste non sono valutate contro (o a favore) di lui». Tale Legge ha completamente modificato l’impostazione precedente sulle circostanze aggravanti, abbandonando la logica del versari in re illicita, armonizzandole con il principio di colpevolezza, infatti, tali circostanze, possono essere poste a carico dell’agente solo se gli si può muover almeno un rimprovero per colpa, ex art. 59 co. 2 c.p.[42]

Nel caso in cui dovessero concorrere più circostanze aggravanti, per ciascuna di esse è previsto un aumento di pena che «si opera sulla quantità di essa risultante all’aumento (…) della precedente». Il Codice penale prevede le cd. “circostanze comuni”, ossia quelle circostanze aggravanti che possono accompagnarsi ad un numero indeterminato di reati, ossia tutti quelli con cui non risultano incompatibili. Si tratta di quattordici circostanze: - l’avere agito per motivi abietti o futili; - l’avere commesso il reato per eseguirne o occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il profitto o il prezzo, ovvero l’impunità di un altro reato; - l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento; - l’avere adoperato sevizie, o l’avere agito con crudeltà verso le persone; - l’avere approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; - l’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato; - l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità; - l’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso; - l’avere commesso il fatto con abuso di poteri, o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto; - l’avere commesso un fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio; - l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero  con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità; - l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione; - l’avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere; - l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’articolo 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza[43]. L’art. 416-bis c.p. nel delineare le pene previste per le associazioni a stampo mafioso, prevede al suo interno una serie di aggravanti. Infatti, viene applicata l’aggravante se l’associazione è armata, «se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti». Infine, le aggravanti che connotano l’associazione di tipo mafioso sono essenzialmente due: - l’utilizzo del metodo mafioso; - l’agevolazione mafiosa.

5. L’articolo 416-bis punto 1 c.p.

L’aggravante speciale, inserita oggi nel Codice penale all’art. 416-bis punto 1, viene introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991. Questa prevede l’aumento di pena quando la condotta tipica si sia consumata “al fine di” agevolare l’attività mafiosa”. La novella normativa è intervenuta a seguito della verifica dell’assoluta pericolosità dell’attività mafiosa, in quel periodo storico ove si accertò che le associazioni illecite di stampo mafioso evidenziavano una sempre maggiore pervasività e per la prima volta mostravano di estendersi anche a finalità eversive.

L’articolo in commento recita testualmente: «per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà. Le circostanze attenuanti, diverse da quelli previste dagli articoli 98 e 114 concorrenti con l’aggravante di cui al primo comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante. Per i delitti di cui all’articolo 416-bis e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso, nei confronti dell’imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà. Nei casi previsti dal terzo comma non si applicano le disposizioni di cui al primo e secondo comma».

Il Codice dell’ordinamento penitenziario, all’art. 4-bis comma 1, individua un elenco di fattispecie in presenza delle quali può essere applicato il regime speciale. Rispetto alla elencazione tassativa di previsioni di reato, spicca la presenza di una indicazione "aperta" relativa a delitti comunque commessi al fine di agevolare le attività delle associazioni di cui all'art. 416-bis c.p., ovvero avvalendosi delle condizioni previste in detto articolo. Si tratta, come può notarsi, di una indicazione che ricalca i contenuti dell'aggravante dell'art. 7 l. n. 356/92 anche se, nella disposizione, nessun riferimento viene fatto alla eventuale contestazione dell'aggravante in sede giudiziaria. 

La giurisprudenza di alcuni tribunali non ritiene applicabile l'art. 41-bis del codice dell’ordinamento penitenziario per delitti - diversi da quelli contemplati nel comma 1 dell'art. 4-bis ordinamento penitenziario - nei quali manchi l’espressa contestazione dell'aggravante dell'art. 7 d.l. n. 203/91, anche se di fatto essi appaiano chiaramente connotati dalle modalità mafiose o compiuti allo scopo di agevolare una tale associazione[44]. Una ricorrente interpretazione della disciplina dell'aggravante di cui all'art. 7 l. n. 203/91 non ne riteneva possibile la contestazione per i reati puniti con la pena dell'ergastolo. Dalla lettura del testo della norma, che prevede l'inasprimento da un terzo alla metà della sanzione prevista per i delitti puniti con la reclusione con esclusione della pena dell'ergastolo, alcuni operatori desumevano la non compatibilità dell'aggravante con i reati puniti "in astratto" con l'ergastolo. È, dunque, accaduto di frequente che reati commessi in modo conclamato in contesti di criminalità mafiosa, per volontaria scelta delle autorità giudiziarie procedenti, non abbiano avuto in contestazione l'aggravamento speciale[45].

6. La sentenza 8545/2020: situazione di fatto

Nella sentenza 3 marzo 2020 n. 8545, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione relativa al regime di comunicabilità delle circostanze nella disciplina del concorso di persone nel reato, con particolare riguardo all’aggravante della c.d. agevolazione mafiosa. Le motivazioni offerte dalle Sezioni Unite rappresentano un’utile occasione per ripercorrere le cadenze del diritto vivente, non sempre allineato a quello vigente, su tematiche indubbiamente complesse e controverse.

La sentenza emessa dalle Sezioni Unite concerne il ricorso proposto da Paolo Chioccini, nato a Borgo San Lorenzo il 28/03/1946, per mezzo del difensore avv. Luca Cianferoni, avverso la sentenza del 27/11/2018 emessa dalla Corte di Appello di Firenze. La Corte di Appello di Firenze, infatti, attraverso la succitata sentenza condannava Paolo Chioccini ad anni tre e mesi dieci di reclusione ed euro 2.400,00 di multa per i reati di usura, tentata estorsione ed abusiva attività finanziaria, aggravati dalla finalità di agevolazione mafiosa. Veniva accertato che Chioccini fungeva da intermediario tra i ricercatori di finanziatori ed i coimputati Russo e Tavoletta, svolgendo attività di recupero crediti.

Avverso tale decisione, l’avv. Cianferoni, per nome e per conto del Sig. Chioccini propone ricorso deducendo l’unico motivo di violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed è) c.p.p. («Il ricorso per cassazione può essere proposto per i seguenti motivi: […] b) inosservanza o erronea applicazione di legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale; […] e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame […]»)  in relazione all’applicazione dell’art. 7 d.l. n. 152/1991 (abrogato dal d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21). Attraverso tale ricorso viene dedotto che le due sentenze di merito emesse, pur avendo lo stesso esito, esprimono valutazioni tra loro contrastanti in merito alla natura dell’aggravante che viene ritenuta dapprima “oggettiva” e successivamente “soggettiva”, inoltre, viene sottolineata l’assenza di argomentazioni a sostegno dell’applicazione dell’aggravante. Il collegamento tra il Sig. Chioccini ed i coimputati Russo e Tavoletta - per i quali è stato accertato tramite prova il dolo di agevolazione – non viene dimostrato, sostiene l’avvocato della parte, e, quindi, viene applicata l’aggravante senza individuare elementi dimostrativi.

Nella sentenza impugnata viene sottolineata l’esistenza del dolo specifico di agevolazione, basata sulla risalente conoscenza tra il ricorrente e lo zio di Angelo Russo. Alla luce di tali contestazioni viene richiesto l’annullamento della sentenza, con riferimento alla circostanza aggravante.

Il ricorso è stato assegnato alla seconda sezione penale che rimette la questione alla Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 c.p.p. («se una sezione della corte rileva che la questione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo, o può dar luogo, a un contrasto giurisprudenziale, su richiesta delle parti o di ufficio, può con ordinanza rimettere il ricorso alle sezioni unite»), prendendo atto del contrasto interpretativo posto dalla Corte di Cassazione in merito alla natura oggettiva/soggettiva dell’aggravante in esame. Il Presidente Aggiunto, preso atto di tale contrasto, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, fissando apposita udienza.

In sintesi, al ricorrente sono contestati i reati di usura, tentata estorsione ed abusiva attività finanziaria aggravati dalla circostanza prevista dall’art. 7 d.l. n. 152/1991 (oggi art. 416-bis.1 c.p.). Il Tribunale aveva riconosciuto l’aggravante ritenendola di natura oggettiva, invece, la Corte di appello ne aveva confermato la sussistenza qualificandola di natura soggettiva. Si è accertato che l’imputato agiva quale intermediario tra coloro i quali ricercavano dei finanziatori ed i coimputati, che tali crediti riconoscevano a tassi usurari e svolgeva la successiva attività di recupero violento dei crediti. Mentre, però, rispetto ai correi la Corte d’appello avrebbe verificato la sussistenza della prova del dolo di agevolazione, tale aggravante - secondo il ricorrente - sarebbe stata applicata anche nei suoi confronti sulla base dell’assunto, indimostrato, della conoscenza dei rapporti dei suoi concorrenti con il clan dei Casalesi.

Ciò sottenderebbe una configurazione oggettiva dell’aggravante, a fronte di una esplicitazione astratta della qualificazione soggettiva della stessa.

6.1 Considerazioni di diritto: natura oggettiva o soggettiva dell’aggravante?

La questione rimessa alle Sezioni Unite verte sull’applicabilità dell’aggravante speciale prevista dall’art 416-bis 1 c.p. che prevede l’aumento di pena quando la condotta è finalizzata all’agevolazione di associazioni mafiose e, in particolare, sulla sua natura oggettiva o soggettiva.

Le Sezioni Unite, in apertura, sottolineano la maggiore garanzia apportata dall’articolo in commento, il quale appunto prevede una maggiore efficacia della funzione preventivo-repressiva del fenomeno mafioso.

“La disposizione dell’art 416-bis c.p. dispone che l’aumento della pena prevista per qualsiasi reato, nell’ipotesi in cui l’illecito sia stato realizzato con l’utilizzazione di una forza intimidatoria che – a prescindere da qualsiasi legame del suo autore con l’organizzazione mafiosa o con l’esistenza stessa di tale compagine in quel contesto – ne mutui la modalità di azione, per proporre il clima di assoggettamento che le è caratteristico; evidenzia un duplice carattere preventivo: evitare fenomeni emulativi (forieri di un rafforzamento della tipica struttura mafiosa, volta alla sopraffazione) e liberare i soggetti passivi dal potenziale giogo conseguente a tali atti, restituendo loro strumenti per una pronta reazione, a tutela della libertà di autodeterminazione”.

La norma, quindi, contempla due distinte circostanze aggravanti ad effetto speciale: quella del “metodo mafioso” (avvalersi delle condizioni di cui all’art. 416-bis) e quella della “agevolazione mafiosa” (aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dall’art. 416-bis). Mentre la prima ha, pacificamente, natura oggettiva, riguardando le modalità dell’azione, la natura della seconda è controversa.

Per comprendere la natura della circostanza aggravante, le Sezioni Unite riportano i tre maggiori orientamenti interpretativi: uno a sostegno della natura soggettiva, uno a sostegno di quella oggettiva e, infine, un terzo orientamento che prevede un approccio casistico.

Un primo orientamento pone alla base della discussione le circostanze indicate dall’art 118 c.p., in quanto ritiene che la circostanza aggravante in esame sia integrata da un atteggiamento di tipo psicologico dell’agente che richiama i motivi a delinquere.

L’art. 118 c.p. recita testualmente: “Le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostante inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono”; questo, quindi, non risulta estensibile ai concorrenti nel reato. Tale orientamento, a sua volta può essere suddiviso in due profili: non è pacifico se lo scopo agevolativo debba essere l’unico perseguito dall’agente, oppure se esso possa concorrere anche con ulteriori finalità; ed, inoltre, stante l’applicabilità dell’art. 118 c.p., non è chiaro quale sia il requisito necessario ai fini dell’applicazione della circostanza al correo e cioè se sia necessario accertare in capo a ciascuno il dolo specifico richiesto dalla norma o se, invece, sia sufficiente che il concorrente avesse consapevolezza della finalità agevolatrice perseguita dall’altro concorrente[46]. L’atteggiamento psicologico succitato attiene al dolo specifico: “l’agente, oltre alla coscienza e volontà del fatto materiale integrante l’elemento oggettivo del reato base, agisce per un fine particolare (quello di agevolare l’associazione di tipo mafioso), la cui realizzazione non è necessaria per l’integrazione dell’aggravante”[47].

Discusso è il metodo di individuazione dell’elemento soggettivo necessario ai fini dell’integrazione dell’aggravante ed il requisito necessario ai fini dell’applicazione della circostanza. La stessa Corte, infatti, riferendosi ad alcune pronunce sottolinea la necessità di accertare il dolo specifico di agevolazione in capo a ciascun concorrente cui deve essere applicata l’aggravante, in altre, invece, sottolinea come può essere applicata al concorrente.

A sostegno della tesi in commento soccorre la sentenza n. 10 del 28/03/2001 (cd. “Sentenza Cinalli”)[48], nella quale, la stessa Corte, aveva ritenuto l’aggravante di agevolazione di tipo soggettivo, rilevando che “essa si sostanzia nella volontà specifica di favorire ovvero di facilitare, con il delitto posto in essere, l’attività del gruppo” ed è “relativa alla semplice volontà di favorire, indipendentemente dal risultato, l’attività del gruppo, e cioè di qualsiasi manifestazione esteriore del medesimo”. Ancora, la sentenza n. 337 del 18/12/2008[49]: “l’aggravante in esame è di natura soggettiva, giacché è costituita dallo scopo di agevolare, con il delitto posto in essere, l’attività dell’associazione di tipo mafioso e, inoltre, si pone in rapporto di specialità con l’aggravante comune dei motivi abietti o futili”.

Un secondo e contrapposto orientamento sostiene che l’aggravante è integrata da un elemento obiettivo, riferendosi alle modalità di azione ed è, quindi, riconducibile all’art. 70 c.p. («agli effetti della legge penale: 1) sono circostanze oggettive quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo ed ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell’offeso; 2) sono circostanze soggettive quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della colpa, o i rapporti tra il colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole»), in riferimento al comma 1 – circostanze di natura oggettiva – non contemplate nell’art. 118 (a sostegno della succitata tesi soggettiva), con conseguente possibilità di estensione ai concorrenti, come previsto dall’art 59 c.p., purché conosciuta e conoscibile. Secondo tale orientamento, ai fini dell’estensione, è sufficiente l’ignoranza incolpevole, la stessa, però, non risulta sufficiente ai fini dell’aggravante per la quale deve invece sussistere, in capo ad almeno uno dei concorrenti, o il dolo specifico o la consapevolezza della funzionalizzazione della condotta all’agevolazione dell’associazione di tipo mafioso. Anche a sostengo di tale tesi, rilevano alcune precedenti pronunce della Corte[50].

Secondo queste due contrapposte tesi rileva, da un lato, la ricaduta oggettiva dell’aspirazione dell’agente e, dall’altro, la direzione di volontà che deve accompagnare l’unità potenziale, sotto la previsione dell’agente stesso.

Infine, la Corte sottolinea il terzo orientamento definito “intermedio” o “casistico”. Secondo tale prospettiva, la natura dell’aggravante e la conseguente disciplina del concorso di persone nel reato, dipende da come questa si espleta nel concreto reato di riferimento: «quando l'aggravante, in concreto, si configura come un dato oggettivo, che travalica la condotta del singolo agente, e che, piuttosto che denotare una specifica attitudine delittuosa del singolo concorrente, finisce per agevolare la commissione del reato, deve ritenersi estensibile ai concorrenti, in base al principio ubi commoda ibi incommoda che deve guidare l'interpretazione nei casi dubbi, e far ritenere oggettive le aggravanti che abbiano facilitato la commissione del reato»[51]. Ad esempio, assumerebbe natura oggettiva l’aggravante che acceda ad un reato associativo, quando la concreta struttura organizzativa dell’associazione si ponga in una situazione di collegamento rispetto all’associazione mafiosa (perché la seconda le garantisce spazi di operatività nei territori controllati, oppure avallo e protezione in cambio dello svolgimento a suo vantaggio di parte della propria attività, oppure perché la prima sostiene la seconda o ne reimpiega i profitti, o contribuisce a formare una cassa comune, o comunque la agevola con altre modalità).

Anche tale orientamento pone un’oggettiva capacità di agevolare, anche solo in via potenziale, l’associazione criminale.

6.2 La natura oggettiva dell’aggravante: la giurisprudenza

Prima di arrivare alla conclusione che la circostanza aggravante abbia natura soggettiva, attraverso diverse sentenze la Corte si è espressa in senso contrario affermandone la natura oggettiva. La disamina prende le mosse dalla sentenza n. 19802 del 22/01/2009[52] che afferma la natura oggettiva dell’aggravante in quanto, la stessa, riguarda le modalità di azione rivolte ad agevolare un’associazione di tipo mafioso. Nel 2012, con sentenza n. 10966 del 08/11[53], la Cassazione afferma che, per quanto attiene l’estensione ai concorrenti, occorre che la finalità di agevolazione sussista solo in capo ad alcuni e non a tutti i concorrenti nello stesso reato e tale impostazione è ripresa nelle successive sentenze: n. 9429 del 13/10/2016[54],  n.52025 del 24/11/2016[55] e n. 24046 del 17/01/2017[56].

La natura soggettiva dell’aggravante è sottolineata da numerose massime della giurisprudenza. La ricostruzione prende le mosse dalla sentenza n. 337 del 18/12/2008[57], la quale afferma che la circostanza aggravante di aver agito con metodo mafioso è applicabile ai delitti astrattamente punibili con la pena edittale dell’ergastolo[58]. L’affermazione della natura soggettiva dell’aggravante viene definita nella sentenza n. 29816 del 29/03/2017[59], la quale pone una distinzione tra la natura dell’aggravante per agevolazione mafiosa e la natura di quella dell’uso del metodo mafioso. La giurisprudenza, infatti, pone una distinzione definendo la natura della prima oggettiva e della seconda soggettiva, derivando quest’ultima dalle modalità di realizzazione del metodo criminoso, operando nei confronti di tutti i concorrenti.

Tale pronuncia è, poi, confermata con la sentenza n. 43890 del 21/06/2017[60] sostenuta e motivata nella successiva del 12/10/2017 n. 28212[61], dalla quale, ai fini della natura soggettiva, rileva la modalità di azione e l’idoneità del delitto ad agevolare l’attività dell’associazione stessa. La finalità del dolo e l’applicabilità ai concorrenti è delineata nella sentenza 06/11/2017, n. 54481[62], con particolare rilevanza degli artt. 59 e 118 c.p., a tale riguardo, la Corte, in motivazione[63], specifica che la disciplina dell’art. 118 c.p. ha carattere speciale rispetto a quella prevista dall’art. 59 c.p. Successive sentenze[64], però, sottolineano come l’applicazione ai concorrenti ed ai partecipi non risulta automatica bensì è applicabile «solo previo accertamento che il medesimo abbia agito con lo scopo di agevolare un’associazione di tipo mafioso o, comunque, abbia fatto propria tale finalità».

La natura soggettiva, collegata alla componente psicologica del dolo e il riferimento alla partecipazione nel reato, è ravvisabile in numerose altre pronunce della Cassazione[65]. Per quanto attiene, poi, il tema del favoreggiamento personale, la Corte, attraverso una recente sentenza[66], ritiene che sia applicabile l’aggravante quando risulti provato che la condotta sia caratterizzata dalla coscienza e volontà di favorire, oltre ai singoli indagati, anche le cosche di appartenenza.

Quanto ai presupposti di applicazione, questi sono delineati nella sentenza n. 6764 del 13/11/2019[67], infatti, risulta necessaria la prova di aver commesso il fatto con il fine di agevolare l’associazione mafiosa, una prova reale e non una semplice supposizione. Quando, invece, l’aggravante risulta “oggettiva” perché collegata al metodo mafioso, è sufficiente l’evocazione della forza intimidatrice e, quindi, dell’utilizzo, vero e proprio, del metodo. Il culmine di tale ricostruzione è rinvenibile nella sentenza in commento, n. 8545/2020, la quale pone una ricostruzione della fattispecie, soffermandosi sul dolo, sulla natura dell’aggravante e sulla sua applicazione. Da questa, seppur breve, ricostruzione emerge, quindi, la natura soggettiva dell’aggravante prevista dall’art 416-bis punto 1 c.p. e la sua contrapposizione con l’aggravante oggettiva collegata al metodo mafioso.

7. L’ordinanza di rimessione

L’ordinanza di rimessione sottolinea come tutti gli orientamenti, espressi nel precedente paragrafo, abbiano un punto in comune: l’elemento obiettivo.

L’unico punto di contrasto tra gli orientamenti risulta la “copertura volitiva” di tale elemento, consistente nella «concreta funzionalizzazione dell'attività criminosa contestata all'agevolazione di un'associazione mafiosa», nel senso cioè che il contrasto si configurerebbe tra una tesi che ritiene necessaria «la volizione piena e specifica ovvero la piena consapevolezza» della oggettiva finalità agevolatrice della condotta ed una contrapposta tesi per la quale «è sufficiente che il nesso funzionale tra reato contestato e associazione mafiosa sia sorretto da una “volizione attenuata” cioè l'ignoranza colposa»[68].

La Corte, però, sottolinea che non si tratta di stabilire quale sia la “copertura volitiva di tale elemento”, come sollevato nell’ordinanza di rimessione, bensì il contrasto di riferimento si esplicherebbe sotto due distinti profili: l’individuazione dell’elemento soggettivo necessario ad integrare l’aggravante, ossia se si tratti di dolo specifico o mera consapevolezza della direzione della condotta; l’individuazione del requisito necessario per applicare l’aggravante ai concorrenti, ossia il dolo specifico, la consapevolezza o la mera ignoranza colposa[69]. La Corte, in relazione al primo profilo, sottolinea come ai fini dell’applicazione dell’aggravante rilevi la presenza del dolo specifico o intenzionale di uno dei partecipi.

Le Sezioni Unite ribadiscono che la finalità agevolatrice non deve essere esclusiva, ben potendo accompagnarsi ad esigenze personali che si coniughino con l’esigenza di agevolazione, si ritiene, infatti, possibile la presenza di una pluralità di motivi, purché almeno uno di questi corrisponda alla finalità considerata dalla norma.

Nell’ordinanza di rimessione, inoltre, la Corte veniva sollecitata in riferimento “all’inquadramento di un elemento strutturale della fattispecie, quale dolo specifico, nell’elemento accidentale, costituito dalla circostanza”.

La Corte ritiene tale aspetto infondato affermando che, la strutturazione della circostanza alla stregua di un dolo specifico, appare legittima in quanto “il particolare atteggiamento psicologico è richiesto per la configurazione del solo elemento accidentale che, ove riscontrabile, si salda con quelli del reato a cui è applicabile per definire una autonoma fattispecie, che accede alla diversa disciplina nascente dalla fusione delle due previsioni”[70].

L’atteggiamento richiesto dalla Corte, definito dalla stessa come dolo specifico o intenzionale, “può essere individuato quale elemento tipizzante del reato (come ad esempio nell’abuso di ufficio, nel sequestro di persona a scopo di estorsione, nel furto) o elemento circostanziale (aggravante di discriminazione o di odio razziale o la finalità di terrorismo, o i motivi abietti e futili) ed è conseguenza della rilevanza attribuita dalla legge al motivo a delinquere per caratterizzare la fattispecie o giustificare l’aggravamento di pena”[71].

La Corte, poi, si sofferma sulla ricostruzione dello spazio di autonomia tra la fattispecie aggravata dalla finalità agevolatrice ed il concorso esterno in associazione mafiosa, osservando che «quel che caratterizza il concorrente esterno rispetto all’autore dell’illecito aggravato è che solo il primo ha un rapporto effettivo e strutturale con il gruppo, della cui natura e funzione ha una conoscenza complessiva, che gli consente di cogliere l’assoluta funzionalità del proprio intervento, ancorché unico, alla sopravvivenza o vitalità del gruppo»[72]. Inoltre – aggiunge la Corte – «perché possa dirsi realizzata la fattispecie delittuosa si richiede che si verifichi il risultato positivo per l'organizzazione illecita, conseguente a tale intervento esterno, che si caratterizza per la sua infungibilità»[73]. Inoltre, «elemento differenziale della condotta è l’intervento non tipico dell'attività associativa, ma maturato in condizioni particolari (la c.d. fibrillazione o altrimenti definita situazione di potenziale capacità di crisi della struttura), che rendono ineludibile un intervento esterno, per la prosecuzione dell’attività»[74]. La Corte, poi, sottolinea un’ulteriore differenza intercorrente tra il concorso estero e l’aggravante in commento, infatti, l’associato può consumare condotte aggravate dalla finalità agevolativa ma non può essere, allo stesso tempo, concorrente esterno, vista la contraddizione logica di un concorso, come previsto dall’art. 110 c.p. e colui che è già partecipe[75].

Infine, la Corte perviene al rigetto dell’istanza, verificando la consapevolezza del ricorrente che ha animato la condotta dei coimputati, enunciando un principio di diritto: «l’aggravante agevolatrice dell'attività mafiosa prevista dall'art. 416-bis 1 c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità».

8. L’elemento psicologico: il dolo

Dopo aver, seppur brevemente, delineato nella prima parte di questo contributo le varie tipologie e le principali caratteristiche del dolo, alla luce della ricostruzione della sentenza 8545/2020 è opportuno delineare come l’elemento psicologico sia rilevante ai fini dell’applicazione dell’aggravante prevista dall’art 416-bis 1 c.p.

Tale elemento è stato molto discusso, infatti, grande incertezza vi era sull’intensità di dolo da considerare ai fini dell’applicazione dell’aggravante. Apparentemente “agevola” il soggetto che, attraverso dolo specifico, entra a far parte dell’associazione mafiosa. L’approccio soggettivistico, però, che viene utilizzato nell’applicazione non tiene conto dei motivi e delle circostanze, le quali risultano variabili in base al contributo del correo.

La circostanza aggravante, quindi, non è applicabile solo in caso di agevolazione pienamente dolosa, in quanto la semplice partecipazione formale risulta insufficiente. Ai fini del dolo specifico, in tale ambito, rilevante è l’accertamento della volontà criminosa, con una premeditazione piena ed intensa[76].

La Cassazione[77], infatti, afferma che «l'aggravante dell'agevolazione mafiosa può essere applicata al concorrente nel reato, in base all'art. 118 c.p., non soltanto quando risulti che lo stesso abbia agito con lo scopo di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, ma anche quando egli abbia fatto propria tale finalità perseguita da un altro concorrente». Vi deve essere, quindi, una volontà specifica di facilitare l’attività del gruppo.

Posto che la natura dell’aggravante è soggettiva ed il dolo specifico, questa è applicabile «anche al concorrente che non si astiene dal commettere il reato, con la consapevolezza che il correo agisce con il fine specifico di agevolare un'associazione mafiosa, e che agisce con dolo intenzionale o anche soltanto eventuale, per più ragioni»[78].

È pacifico, quindi, che l’aggravante risulti applicabile anche al concorrente ma non è sufficiente la colpa, in quanto deve delinearsi il dolo diretto, comprensivo del dolo eventuale. In merito a tale impostazione, però, sorgono molteplici dubbi in quanto il dolo specifico, tipizzato in via soggettiva, rappresenta il mezzo per il perseguimento del fine che, a sua volta, è una componente oggettiva del dolo.

Per tale motivo anche qualora l’autore agisse con dolo specifico, il correo potrebbe agire con dolo generico o eventuale[79]. Nel caso di specie, riferendosi ad una circostanza aggravante e non ad una componente del reato, questa non è applicabile al correo che ha agito con dolo specifico ma con dolo eventuale[80]. «Per criminalizzare le organizzazioni mafiose non v'è dubbio che la soluzione adottata dalla sentenza impugnata è più che coerente. Chi aiuta colui che vuole aiutare un'associazione di tipo mafioso, anche se agisce con dolo eventuale, è evidente che indirettamente finisce per aiutare anche l'organizzazione criminale»[81] .

Se, invece, si muove dalla concezione oggettivistica della natura dell’aggravante si può osservare come il giudicante possa esprimersi su criteri ermeneutici fattuali meno astratti, rispetto a quelli delineati per la concezione soggettivistica[82]. Il dolo non è misurabile in maniera certa ed oggettiva, così come non lo sono il grado della colpa e le qualità personali.

Tale interpretazione, essendo svincolata dai criteri soggettivi e basata su quelli oggettivi, vede l’estensione dell’aggravante a tutti i correi, senza la concessione dell’«ignoranza scusabile»[83]. L’interpretazione intermedia, infine, applica entrambe le interpretazioni – oggettiva e/o soggettiva – in base alla singola fattispecie concreta giudicabile; tale impostazione è esplicitata nella motivazione della sentenza 8545/2020 che afferma «la natura dell' aggravante [ex comma 1 art. 416 bis 1 c.p.], e la disciplina in caso di concorso di persona nel reato, dipende da come la stessa si atteggia in concreto e dal reato a cui accede: quando l' aggravante, in concreto, si configura come un dato oggettivo, che travalica la condotta del singolo agente, e che, piuttosto che denotare una specifica attitudine delittuosa del singolo concorrente, finisce per agevolare la commissione del reato, deve ritenersi estensibile ai concorrenti, in base al principio ubi commoda ibi incommoda, che deve guidare l' interpretazione nei casi dubbi, e far ritenere oggettive le aggravanti che abbiano facilitato la commissione del reato».

Secondo tale impostazione, quindi, l’intensità del dolo e le finalità perseguite devono essere valutate caso per caso, fattispecie per fattispecie e imputato per imputato, sempre in considerazione del principio di ragionevolezza e del giusto processo, ex art. 111 Cost.[84]. Si configura una circostanza mista con un elemento oggettivo – idoneità del fatto a realizzare il fine – ed uno soggettivo, il dolo specifico. Per quanto concerne l’estensibilità al correo, l’articolo di riferimento è il 59 c.p., in quanto si deve porre una distinzione intorno alla posizione dell’agente: se questi è in una posizione marginale, tale da non portare all’agevolazione, si parlerà di ignoranza scusabile; viceversa, se il correo agisce con dolo specifico e quindi con piena consapevolezza, vi sarà l’applicazione dell’aggravante[85].

9. La linea sottile tra finalità agevolatrice e concorso esterno

Alla luce di esposto, prima di trattare l’applicabilità dell'aggravante, è opportuno tracciare una linea di confine tra la finalità agevolatrice ed il concorso esterno in associazione mafiosa.

Ciò che caratterizza il concorrente esterno rispetto all'autore dell'illecito aggravato, come ribadito nella sentenza 8545/2020, «è che solo il primo ha un rapporto effettivo e strutturale con il gruppo, della cui natura e funzione ha una conoscenza complessiva, che gli consente di cogliere l'assoluta funzionalità del proprio intervento, ancorché unico, alla sopravvivenza o vitalità del gruppo. Inoltre, perché possa dirsi realizzata la fattispecie delittuosa si richiede che si verifichi il risultato positivo per l'organizzazione illecita, conseguente a tale intervento esterno, che si caratterizza per la sua infungibilità.

Non a caso elemento differenziale della condotta è l'intervento non tipico dell'attività associativa, ma maturato in condizioni particolari, che rendono ineludibile un intervento esterno, per la prosecuzione dell'attività. Rispetto allo sviluppo dello scopo sociale l'azione del concorrente esterno si contraddistingue da elementi di atipicità ed al contempo di necessarietà in quel particolare ambito temporale.

Gli elementi costitutivi appena richiamati sono estranei alla figura aggravata, con cui condivide solo la necessità dell’esistenza dell’associazione mafiosa, mentre nella forma circostanziale l'utilità dell'intervento può essere anche valutata astrattamente solo da uno degli agenti, senza estensione  ai componenti del gruppo, e del tutto estemporanea fungibile e rispetto alla attività delinquenziale programmata e, soprattutto, non necessariamente produttiva di effetti concreti agevolazione»[86].

La Cassazione, inoltre, sottolinea che mentre l’associato può porre in essere condotte aggravante dalla finalità agevolativa, al concorrente esterno non è riconosciuta in quanto sarebbe in contraddizione con la logica del concorso delineata dall’art. 110 c.p.[87].

10. Applicabilità dell’aggravante con finalità di agevolazione mafiosa

La forma aggravata esige che l’agente deliberi la condotta illecita, nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa. Una volta delineate le caratteristiche dell’aggravante in commento occorre trattare l’ambito di applicabilità della stessa, in quanto, a lungo dibattuta, è stata la sua estensione ai concorrenti nel reato.

L’individuazione degli elementi necessari all’applicazione dipende dalla natura che viene attribuita all’aggravante. Posto che l’aggravante ha natura soggettiva assume rilevanza la ricostruzione dell’elemento soggettivo che integra l’aggravante stessa. Ai fini di un più ampio inquadramento sistematico della problematica prospettata nell’ordinanza di rimessione, giova rilevare come l’attività di addebito di una circostanza aggravante da parte del giudice sia scandita in due diverse fasi, tanto in caso di esecuzione monosoggettiva, quanto in caso di esecuzione plurisoggettiva[88].

Nella prima fase, il  giudice ha il compito di accertare la presenza dell’aggravante nel caso concreto: prendendo ad esempio l’aggravante di cui all’art. 61, comma 1, n. 7 c.p.[89], questi dovrà verificare che il soggetto agente abbia effettivamente arrecato un danno patrimoniale di rilevante gravità alla persona offesa dal reato[90]. In caso di esito positivo, il giudice potrà passare alla seconda fase di accertamento, in cui valuterà la presenza del coefficiente soggettivo necessario per l’imputazione delle circostanze aggravanti, introdotto dall’art. 1 legge 7 febbraio 1990 n. 19: il nuovo secondo comma dell’art. 59 c.p., infatti, prevede che le circostanze aggravanti possano essere valutate a carico dell’agente soltanto se da quest’ultimo «conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa»[91]. Il giudice, dunque, accertata la presenza della circostanza aggravante (ad esempio, del danno patrimoniale di rilevante gravità), potrà applicarla a carico del soggetto agente soltanto a condizione che essa sia stata da costui rappresentata, o fosse rappresentabile secondo il parametro dell’agente modello[92].

Per quanto attiene l’individuazione del requisito necessario per applicare l’aggravante ai concorrenti, la Corte sottolinea come si debba partire dall’attuazione, al caso di specie, degli artt. 59 e 118 c.p. È opportuno ricordare che le norme in commento sono state modificate con Legge 19/1990, infatti viene eliminato qualsiasi riflesso di responsabilità oggettiva su elementi accidentali del reato[93].

L’art. 59 c.p. prevede che l’applicazione dell’aggravante è consentita solo se conosciuta dall’agente e l’art 118 c.p. non prevede la possibilità tout court di estensione delle circostanze soggettive, ex art. 70 c.p., ma prevede una semplice limitazione per le particolari circostanze espressamente previste dall’articolo, ossia – come osserva la Corte – “quelle aggravanti attinenti alle sole intenzioni dell’agente, pertanto potenzialmente non riconoscibili dai concorrenti”[94].

Alla luce di ciò, il discrimine tra le circostanze estensibili e non ai concorrenti non risiede nella natura oggettiva o soggettiva, come delineato dall’art. 70 c.p., bensì nella «possibilità di estrinsecazione della circostanza all’esterno, cosicché rimane esclusa dall’attribuzione al compartecipe qualsiasi elemento, di aggravamento o di attenuazione della fattispecie, confinato all’intento dell’agente che, proprio in quanto tale, non può subire estensione ai concorrenti, perché da questi non necessariamente conoscibile»[95].

Di conseguenza «qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che l’intento dell’agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione, non vi è ragione per escludere l’estensione della sua applicazione, posto che lo specifico motivo a delinquere viene in tal modo reso oggettivo, sulla base degli specifici elementi rivelatori che, per quanto detto, devono accompagnarne la configurazione, per assicurare il rispetto del principio di offensività»[96].

A sostegno di tale tesi, in riferimento all’estensibilità dell’aggravante, vi sono le Sezioni Unite, le quali, attraverso le sentenze Sez. 1, n. 6182 del 28/04/1997[97] e Sez. 1, n. 7205 del 17/05/1994[98], chiariscono che l’estensibilità dell’aggravante al partecipe è possibile quando si ha la conoscenza effettiva della premeditazione altrui; ad analoga soluzione si arriva con riferimento all’estensione dell’aggravante per motivi abietti e futili, ritenuta ascrivibile al motivo a delinquere[99].

“In definitiva, là dove l'elemento interno proprio di uno degli autori sia stato conosciuto anche dal concorrente che non condivida tale fine, quest'ultimo viene a far parte della rappresentazione ed è quindi oggetto del suo dolo diretto ove il concorrente garantisce la sua collaborazione nella consapevolezza della condizione inerente al compartecipe”[100].

L’art. 59 c.p., poi, viene ritenuto applicabile anche al concorrente nella parte in cui indica la conoscenza dell’aggravante quale criterio di imputazione soggettivo della circostanza, non già nella parte in cui si riferisce alla mera conoscibilità; infatti, è ritenuto applicabile in virtù dell’«impostazione monistica del reato plurisoggettivo».

Nel caso di specie, dunque, per il coautore non coinvolto nella finalità agevolatrice, sarà sufficiente il dolo specifico, al cui interno è ricompreso anche quello eventuale. A ciò si aggiungono due ulteriori precisazioni, anch’esse in realtà non del tutto perspicue.

La Corte afferma infatti che «la funzionalizzazione della condotta all’agevolazione mafiosa da parte del compartecipe in definitiva deve essere oggetto di rappresentazione, non di volizione, aspetto limitato agli elementi costitutivi del reato, e non può caratterizzarsi dal mero sospetto, poiché in tal caso si porrebbe a carico dell'agente un onere informativo di difficile praticabilità concreta»[101]; e che «occorre accertare se il compartecipe è in grado di cogliere la finalità avuta di mira dal partecipe, condizione che può verificarsi sia a seguito della estrinsecazione espressa da parte dell'agente delle proprie finalità, o per effetto della manifestazione dei suoi elementi concreti, quali particolari rapporti del partecipe con l’associazione illecita territoriale, o di altri elementi di fatto che emergano dalle prove assunte»[102].

Per le Sezioni Unite, la forma di aggravante esige che l’agente deliberi l’attività illecita nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa ed è necessario, però, che tale rappresentazione si fondi su elementi concreti inerenti, in via principale, all’esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all’art. 416-bis c.p. ed all’effettiva possibilità che l’azione illecita si inscriva nelle possibili utilità, anche non essenziali, al fine del raggiungimento dello scopo di tale compagine, affinché il reato non sia privo di offensività.

Quindi, un’aggravante che colpisce la maggiore pericolosità di una condotta, essendo finalizzata all’agevolazione, consta di una volizione che possa assumere un minimo di concretezza, anche attraverso una mera valutazione autonoma dell’agente che non impone un raccordo o un coordinamento con i rappresentanti del gruppo e, soprattutto, non prevede che il fine rappresentato sia poi nel concreto raggiunto, pur essendo presenti tutti gli elementi astrattamente idonei allo scopo. In definitiva, le Sezioni Unite ritengono che, là dove l’elemento interno proprio di uno degli autori sia stato conosciuto anche dal concorrente che non condivida tale fine, quest’ultimo viene a far parte della rappresentazione ed è, quindi, oggetto del suo dolo diretto ove il concorrente garantisce la sua collaborazione nella consapevolezza della condizione inerente al compartecipe. «In conseguenza, qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che l’intento dell’agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione, non vi è ragione per escludere l’estensione della sua applicazione, posto che lo specifico motivo a delinquere viene in tal modo resto oggettivo, sulla base degli specifici elementi rilevatori che, per quanto detto, devono accompagnare la configurazione, per assicurare il rispetto del principio di offensività»[103].

L’estensione dell’applicabilità della circostanza con finalità agevolativa è anche desumibile dalla giurisprudenza che, in altre occasioni[104], si è espressa in tal senso[105]. Quanto fin ora esposto e in applicazione dell’art. 59 c.p. fa desumere che il concorrente nel reato, che non condivida con il coautore la finalità agevolativa, può rispondere di reato aggravato se consapevole delle finalità del compartecipe.

11. Punti nodali e critica

La pronuncia delle Sezioni Unite poggia su alcuni punti nodali che così possono essere riassunti: - l’aggravante dell’agevolazione mafiosa ha natura soggettiva e, più precisamente, rientra fra le circostanze concernenti i “motivi a delinquere”, ex art. 118 c.p.; - lo scopo agevolatore non deve essere, necessariamente, l’unico perseguito dall’autore, potendosi accompagnare ad altri fini egoistici; - la finalità agevolatrice deve trovare un riscontro concreto e oggettivo necessario a fini probatori e nel rispetto del principio di offensività; - nonostante la circostanza richieda il dolo specifico (proprio della fattispecie costitutiva del reato), ciò non contrasta con il vigente sistema legislativo; - l’applicazione dell’aggravante richiede la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi; - nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un concorso di persone nel reato è sufficiente che la finalità agevolatrice sia riscontrabile in capo ad uno dei soggetti e che gli altri siano a conoscenza di tale finalità (dolo diretto che comprende le forme di dolo eventuale); - in via incidentale, la Corte si pronuncia sulla linea di confine che intercorre tra fattispecie aggravata e concorso esterno in associazione mafiosa.

La dottrina, pacificamente, condivide i primi quattro assunti[106] ma pone riserve sugli altri due[107]. La circostanza in esame viene, giustamente, ricondotta nei motivi a delinquere anche rispetto all’intensità del dolo[108], in quanto, tale locuzione, ha un significato letterale sufficientemente ampio, tale da ricomprendere non solo le ipotesi riconducibili al movente originario della condotta ma anche tutte quelle che individuano un fine che l’agente si proponeva di raggiungere e che abbia orientato la condotta tipica[109]. Condivisibile è, poi, la conclusione per cui la finalità agevolatrice non deve necessariamente essere caratterizzata da esclusività e che la finalità perseguita dall’agente deve estrinsecarsi oggettivamente, concretizzandosi in atti idonei a raggiungere quello scopo[110]. Di converso, desta qualche perplessità l’accostamento, sullo stesso piano, del dolo specifico e del dolo intenzionale, in quanto inquadrare l’aggravante nell’uno o nell’altro, non è indifferente. Qualora la finalità si facesse rientrare nel dolo intenzionale, si dovrebbe ritenere che lo scopo che l’agente aveva di mira dovesse necessariamente realizzarsi; qualora, invece, venisse qualificata come dolo specifico, sarebbe sufficiente che l’agente abbia tenuto la condotta tipica orientando la stessa alla finalità agevolatrice, rimanendo irrilevante che l’associazione abbia poi tratto vantaggio dal reato commesso[111].

Un altro profilo opinabile risiede nel criterio di imputazione soggettiva della circostanza in capo al concorrente nel reato. In capo al concorrente è richiesto un dolo diretto e non è facile comprendere come possa essere esteso al dolo eventuale; alla luce di ciò sarebbe, forse, più opportuno riferirsi ad un “dolo generico”, di cui dolo diretto ed eventuale sono forme attraverso le quali può manifestarsi. Il coefficiente soggettivo necessario è, quindi, rinvenuto nella consapevolezza dell’altrui finalità.

Dall’impostazione della Corte appare che il dolo del concorrente in una fattispecie di reato a dolo specifico può essere generico, purché connotato dalla consapevolezza dell’altrui fine specifico[112]. La soluzione, secondo la dottrina, è apprezzabile ma fa sorgere alcuni dubbi. Apprezzabile in quanto non è sufficiente l’imputazione colposa; critica in quanto prevede la “mera conoscenza”[113]. Dalla disamina operata dalle Sezioni Unite rileva l’applicabilità degli artt. 59 e 118 c.p., se, però, non si fa riferimento solo alla conoscibilità ma anche alla mera conoscenza, sembra che l’art. 59 c.p. non possa operare, in quanto norma generale cui implicitamente deroga la norma speciale che descrive la circostanza a coefficiente soggettivo “rafforzato”[114]. Si rischierebbe di trattare una circostanza definita soggettiva, come oggettiva.

In conclusione, l’interpretazione proposta dalle Sezioni Unite sembra velatamente ispirata alla precedente formulazione della disposizione. Prima della riforma attuata dall’art. 3 l. 7 febbraio 1990 n. 19, infatti, il 2° comma dell’art. 118 c.p. estendeva ai concorrenti nel reato non solo la disciplina delle circostanze oggettive, ma anche quella delle circostanze soggettive che avessero contribuito «ad agevolare l’esecuzione del reato», ad eccezione di quelle inerenti alla persona del colpevole.

Dopo la riforma, tuttavia, la ricostruzione della Cassazione sembra audace e, addirittura, contra legem, in quanto tende a parificare quasi[115] del tutto, in caso di concorso di persone nel reato, la disciplina dell’aggravante in questione, che rientra tra quelle cui si riferisce l’art. 118 c.p., a quella delle circostanze che l’art. 118 c.p. non menziona affatto, cioè quelle oggettive e quelle meramente soggettive.

Si rileva, ad ogni modo, che questa autorevole impostazione è stata di recente seguita da un’altra importante sentenza della Suprema Corte, che ha confermato, da un lato, la natura soggettiva dell’aggravante in esame, ritenendola relativa ai motivi a delinquere, e, dall’altro, la sua applicazione anche al concorrente «non animato da tale scopo, laddove questi risulti però consapevole dell’altrui finalità»[116].


Note e riferimenti bibliografici

[1] M. RONCO, L’art. 416-bis nella sua origine e nella sua attuale portata applicativa, in Il diritto penale della criminalità organizzata, (a cura di) B. Rotiano, Tinebra, 32.

[2] G. CARUSO, Struttura e portata applicativa dell’associazione di tipo mafioso, in Le associazioni di tipo mafioso, (a cura di) R. BARTOLOMEO, 2015, Collana di diritto e procedura penale, 51.

[3] «Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, colore che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori. Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più. Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600.601.601 bis e 602, nonché all’articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché agli articoli 22, commi 3 e 4, e 22 bis, comma 1, della legge 1 aprile 1999, n. 91, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma. Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater 1, 600 quinquies, 609 bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609 undices, si applica la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma»

[4] G. DE FRANCESCO, Societas sceleris, Tecniche repressive delle associazioni criminali, 120.

[5] G. CARUSO, Struttura e portata applicativa dell’associazione di tipo mafioso, in Le associazioni di tipo mafioso, (a cura di) R. BARTOLOMEO, 2015, Collana di diritto e procedura penale, 61.

[6] Cass. Sez, VI, 30.05.2001: ha riconosciuto l'associazione mafiosa nei confronti di un piccolo gruppo di cittadini cinesi, che gestiva un traffico di clandestini verso l'Italia, avvalendosi di metodi tipicamente mafiosi nei confronti degli stranieri immigrati o fatti immigrare clandestinamente.

[7] G. CARUSO, Struttura e portata applicativa dell’associazione di tipo mafioso, in Le associazioni di tipo mafioso, (a cura di) R. BARTOLOMEO, 2015, Collana di diritto e procedura penale, 66.

[8] www.brocardi.it.

[9] G. CARUSO, Struttura e portata applicativa dell’associazione di tipo mafioso, in Le associazioni di tipo mafioso, (a cura di) R. BARTOLOMEO, 2015, Collana di diritto e procedura penale, 66.

[10] «omissione volontaria della verità, taciuta al fine di tutelare se stessi o una società di cui si fa parte»

[11] G. CARUSO, Struttura e portata applicativa dell’associazione di tipo mafioso, in Le associazioni di tipo mafioso, (a cura di) R. BARTOLOMEO, 2015, Collana di diritto e procedura penale, 67.

[12] G. CARUSO, Struttura e portata applicativa dell’associazione di tipo mafioso, in Le associazioni di tipo mafioso, (a cura di) R. BARTOLOMEO, 2015, Collana di diritto e procedura penale, 72.

[13] U. SANTINO, G. LA FURIA, L’impresa mafiosa. Dall’Italia agli Stati Uniti, Milano, Franco Angeli, 1990, 21.

[14] «imprese nate e costituite per iniziativa diretta dell’organizzazione mafiosa, controllate e gestite sul mercato da uomini intranei alla cosca, autofinanziate con i proventi dell’impresa o con i proventi dei delitti compiuti dall’associazione. Sono queste le ipotesi in cui le decisioni e le scelte imprenditoriali vengono assunte direttamente ed in prima persona dagli stessi soggetti che “partecipano” all’associazione. Sono questi i casi in cui vi è un’assoluta e completa identificazione del sodalizio criminale con l’azienda.».

[15] «un’organizzazione imprenditoriale il cui titolare è un imprenditore esterno al sodalizio mafioso ma che instaura con l’associazione un patto: assume il personale su richiesta del capo mafia, accetta i finanziamenti, le commesse, gli appalti e tutti i “servizi” che può offrire la mafia (scoraggiare la concorrenza e incidere nelle scelte della pubblica amministrazione). In questa ipotesi si instaura un rapporto di mutua assistenza, una relazione sinallagmatica tra l’imprenditore contiguo e l’organizzazione il sodalizio mafioso, con il suo appoggio, incrementa la forza economica dell’azienda nel territorio e nel proprio settore commerciale; l’impresa, in cambio dell’apporto mafioso, corrisponde denaro o altri servizi alla consorteria criminale. Il tutto avviene attraverso una compartecipazione in un’impresa legale già esistente, il più delle volte in crisi, che viene rafforzata e consolidata con nuovi investimenti di denaro e con l’aggiudicazione di appalti, realizzandosi una vera e propria cointeressenza tra capitale legale e capitale criminale. In questo caso l’azionista di riferimento dell’impresa viene individuato nell’associazione mafiosa e l’azienda da questa controllata diventa un’impresa a “partecipazione mafiosa”».

[16] “Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti”.

[17] G. SPERA, Il concorso di persone nel reato, 2020.

[18] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata DA E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 485.

[19] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata DA E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 486.

[20] Nel nostro ordinamento manca una previsione espressa all’esecuzione frazionata di un fatto tipico, tale ipotesi viene ricondotta alla disciplina generale del concorso di persone nel reato; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata DA E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 488-489.

[22] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 491.

[23] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 493-496.

[24] A. BALSAMO, A. LO PIPARO, La contiguità all’associazione mafiosa e il problema del concorso eventuale, in Le associazioni di tipo mafioso, (a cura di) R. BARTOLOMEO, 2015, collana di diritto e procedura penale, 94.

[25] A. BALSAMO, A. LO PIPARO, La contiguità all’associazione mafiosa e il problema del concorso eventuale, in Le associazioni di tipo mafioso, (a cura di) R. BARTOLOMEO, 2015, collana di diritto e procedura penale, 107.

[26] G. TRIGALI, Il concorso esterno in associazione di tipo mafioso: il delitto imperfetto, 2016.

[27] G. TRIGALI, Il concorso esterno in associazione di tipo mafioso: il delitto imperfetto, 2016.

[28] G. TRIGALI, Il concorso esterno in associazione di tipo mafioso: il delitto imperfetto, 2016.

[29] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 493-496.G. Marinucci, 330.

[30] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017,. 334.

[31] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 335.

[32] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 335-336.

[33] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 336.

[34] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 337.

[35] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 345-347.

[36] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 351-352.

[37] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 559-560.

[38] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 561.

[39] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 563.

[40] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 565-566.

[41] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 566.

[42] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 569.

[43] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Settima edizione aggiornata da E. DOLCINI E G.L. GATTA, Giuffrè editore, Milano, 2017, 582-590.

[44] Trib. sorv. Perugia, 15 aprile 2003, ord. n. 600, Mariano, nella quale si afferma "è appena il caso di evidenziare che gli altri reati per i quali è intervenuta la predetta condanna non risultano essere stati contestati al reclamante con l'aggravante di cui all'art. 7 l. n. 203/91". Sullo stesso argomento è singolare poi Trib. sorv. Torino, 13 giugno 2003, ord. n. 3390, Pillera, avente ad oggetto la applicabilità del regime ad un soggetto condannato per omicidio durante una guerra di mafia antecedente al 1991 - circostanze evidenziate in sentenza allegata e richiamata nel provvedimento di applicazione. Nella decisione si parte dall'assunto, da noi condiviso, che grava sull'amministrazione la prova della riconducibilità a finalità mafiosa della commissione dei delitti non espressamente indicati nella prima parte del comma 1 dell'art. 4-bis, laddove essa non emerga dalla indicazione della contestazione dell'aggravante speciale prevista dall'art. 7. Poi con nella motivazione, dopo essersi dato atto della particolare pericolosità del soggetto ricavabile dal testo della sentenza, si finisce con il sostenere "l'opportunità che il provvedimento impugnato evidenziasse le ragioni dalle quali far discendere da ciò l'attualità ...del pericolo concreto di contatti del Pillera con esponenti del crimine organizzato". E dunque la pronuncia esordisce riconoscendo l'aspetto funzionale della disposizione, ma finisce comunque col richiedere che tale finalità di agevolazione mafiosa del delitto abbia una influenza sull'attualità del pericolo di contatti con l'esterno, così disconoscendo gli effetti della nuova disposizione legislativa sulla proroga.

[45] Tra esse è degno di rilievo l'annullamento del regime 41-bis nei confronti di un detenuto, punito con l'ergastolo confermato in appello, perché riconosciuto autore della strage di via D'Amelio: nonostante fosse detenuto per un fatto costituente uno dei più gravi attacchi mafiosi alle istituzioni dello Stato, la mancata contestazione formale dell'aggravante dell'art. 7 nel giudizio, ha indotto il tribunale a revocare nei suoi confronti il regime detentivo speciale; Trib. sorv. Perugia, 18 giugno 2003, ord. n. 977/03, Tagliavia, ove si legge in punto di motivazione: " Rilevato come il reclamante risulta essere attualmente detenuto in custodia cautelare per reati diversi da quelli di cui all'art. 4-bis comma 1 1 periodo ord. penit. (fatto 006 e 010 della posizione giuridica)...". Nel corpo della decisione non viene nemmeno presa in considerazione la natura del fatto reato, né il contenuto della sentenza, né la funzionalità del commesso reato alle strategie dell'associazione mafiosa, facendosi riferimento alla mera circostanza di forma della mancata contestazione dell'aggravante dell'art. 7 l. n. 203/91.Una analoga situazione - originata dalla interpretazione formalistica della finalità di agevolazione mafiosa tra i presupposti di applicazione del regime speciale - è data dall'annullamento del regime nei confronti di un detenuto condannato all'ergastolo per l'omicidio del presidente del magistrato Antonino Saetta e del figlio Stefano, senza la contestazione dell'art. 7 l. n. 203/91. Cfr. Trib. sorv. Perugia, 18 giugno 2003, ord. n. 978/03, Ribisi.

[46] S. FINOCCHIARO, Le sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte, in www.sistemapenale.it , 16 marzo 2020, 4.

[47] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[48] Sentenza n. 10 del 28/03/2001, in www.dejure.it.

[49] Sentenza n. 337 del 18/12/2008, in www.dejure.it.

[50] Sez. 6, n. 24883 del 15/05/2019, Crocitta, Rv. 275988; Sez. 6, n. 52910 del 24/10/2018, Vitale, non mass; Sez. 2, n. 53142 del 18/10/2018, Inzillo, Rv. 274685; Sez. 6, n. 46007 del 06/07/2018, D'Ambrosca, Rv. 274280; Sez. 1, n. 52505 del 20/12/2017, dep. 2018, Lamanna, Rv. 276150; Sez. 6, n. 8891 del 19/12/2017, dep. 2018, Castiglione, Rv. 272335; Sez. 2, n. 6021 del 29/11/2017, dep. 2018, Lombardo, Rv. 272007; Sez. 1, n. 54085 del 15/11/2017, Quaranta, Rv. 271641; Sez. 6, n. 11356 del 08/11/2017, dep. 2018, Ardente, Rv. 272525; Sez. 6, n. 54481 del 06/11/2017, Madaffari, Rv. 271652; Sez. 6, n.28212 del 12/10/2017, dep. 2018, Barallo, Rv. 273538; Sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017, Aruta, Rv. 271098. Alcune di esse precisano di non ritenere che la direzione della volontà nel senso agevolativo debba essere esclusiva: Sez. 2, n. 53142 del 18/10/2018, Inzillo, Rv. 274685; Sez. 3, n. 9142 del 13/01/2016, Basile, Rv. 266464; Sez. 3, n. 36364 del 20/05/2015, Mancuso, non mass.; Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015, Platania, Rv. 262713; Sez. 1, n. 49086 del 24/05/2012, Acanfora, Rv. 253962.

[51] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[52] «La circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, conv. nella l. n. 203 del 1991, ha natura oggettiva, riguardando una modalità dell'azione rivolta ad agevolare un'associazione di tipo mafioso, e si trasmette a tutti i concorrenti nel reato, ivi compreso il soggetto affiliato all'organizzazione criminale, che risulti essere stato favorito dalla condotta agevolatrice. (Fattispecie relativa alla sistematica falsificazione di certificati medici da parte di sanitari addetti ad istituti penitenziari, al fine di procurare la scarcerazione di persone affiliate ad organizzazioni camorristiche).»

[53] «La circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. nella l. n. 203 del 1991 - integrata dalla finalità di agevolare l'associazione di tipo mafioso - ha natura oggettiva e si trasmette, pertanto, a tutti i concorrenti nel reato, di guisa che è sufficiente che l'aspetto volitivo - espresso nella norma con il riferimento al "fine di agevolare" l'associazione mafiosa - sussista in capo ad alcuni, o anche ad uno soltanto, dei predetti concorrenti nel medesimo reato.»

[54] «In tema di estorsione, la circostanza aggravante della commissione del fatto ad opera di un partecipe all'associazione di tipo mafioso, non richiede che tutti gli agenti rivestano tale qualità e si estende anche ai concorrenti nel reato, trattandosi di circostanza che, ancorché soggettiva, attiene alla qualità personale del colpevole.»

[55] «La circostanza aggravante dell'agevolazione di un'associazione mafiosa, prevista dall'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991, ha natura oggettiva, riguardando una modalità dell'azione, e si trasmette, pertanto, a tutti i concorrenti nel reato.»

[56] «La circostanza aggravante dell'agevolazione di un'associazione mafiosa, prevista dall'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991, ha natura oggettiva, riguardando una modalità dell'azione, e si trasmette, pertanto, a tutti i concorrenti nel reato.»

[57] Sentenza n. 337 del 18/12/2008, in www.dejure.it.

[58] Sentenza n. 337 del 18/12/2008: “La circostanza aggravante di aver agito con il “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 d.l. n. 152/91, conv. in l. n. 203/91, è applicabile ai delitti astrattamente punibili con la pena edittale dell’ergastolo, quando venga inflitta, in concreto, una pena detentiva diversa dall’ergastolo. Occorre inoltre precisare che anche nel caso in cui venga inflitta in concreto la pena dell’ergastolo, l’aggravante prevista dall’art. 7, pur rimanendo “inerte” nella determinazione della pena, va tuttavia contestata e presa in considerazione dal giudice nel suo significato di disvalore del fatto, sì da esplicare la sua efficacia ai fini diversi dalla determinazione della pena.”

[59] “La circostanza aggravante prevista dall'art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella l. 12 luglio 1991, n. 203, sotto il profilo dell'agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso, in quanto incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta a favorire il sodalizio, ha natura soggettiva, con la conseguenza che ad essa, nel caso di concorso di persone nel reato, è applicabile la disciplina dell'art. 118 c.p., che circoscrive la valutazione delle aggravanti concernenti i motivi a delinquere e l'intensità del dolo al solo partecipe cui esse si riferiscono. (In motivazione la Corte ha evidenziato che, nel caso di uso del cd. metodo mafioso, invece, l'aggravante presenta carattere oggettivo, derivando dalle modalità di realizzazione dell'azione criminosa, ed opera nei confronti di tutti i concorrenti) .”

[60] “In tema di agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso, la circostanza aggravante prevista dall'art.7 d.l. 13 maggio 1991, n.152, ha natura soggettiva e, pertanto, è applicabile al concorrente nel reato a condizione che questi abbia conosciuto e fatta propria la finalità di agevolare l'associazione.”

[61] Sentenza n. 28212 del 12/10/2017, in www.dejure.it.

[62] “La circostanza aggravante dell'agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso, prevista dall'art.7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, ha natura soggettiva, essendo incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta a favorire il sodalizio; ne consegue che, nel caso di concorso di persone nel reato, detta circostanza è applicabile, ai sensi dell'art. 118 cod. pen., solo ai concorrenti che abbiano agito in base a tale finalità. (In motivazione la Corte ha precisato che la disciplina prevista dall'art. 118 cod. pen. ha carattere speciale rispetto a quella prevista dall'art. 59, comma secondo, cod. pen. e non è, pertanto, applicabile a titolo di colpa).”

[63] Sentenza n. 52505 del 20/12/2017, in www.dejure.it: “La circostanza aggravante dell'agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso, prevista dall'art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, ha natura soggettiva, essendo incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta a favorire il sodalizio; ne consegue che, nel caso di concorso di persone nel reato, detta circostanza è applicabile, ai sensi dell'art. 118 cod. pen., solo ai concorrenti che abbiano agito in base a tale finalità o che comunque l'abbiano condivisa e fatta propria. (In motivazione, la Corte ha precisato che la disciplina prevista dall'art. 118 c.p. ha carattere speciale rispetto a quella prevista dall'art. 59 c.p.).”

[64] Sentenza del 15/11/2017, n. 54085 in www.dejure.it: “La circostanza aggravante dell'agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso prevista dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella l. 12 luglio 1991, n. 203, in quanto connotata dal profilo del dolo specifico, assorbente rispetto a quello attinente alle modalità di esecuzione dell'azione che denota la diversa fattispecie aggravatrice correlata all'utilizzo del metodo mafioso, ha natura soggettiva, con la conseguenza che è applicabile a ciascun concorrente nel delitto, anche a partecipazione necessaria, solo previo accertamento che il medesimo abbia agito con lo scopo di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, o, comunque, abbia fatto propria tale finalità.”

Sentenza n. 8891 del 19/12/2017, in www.dejure.it: “La circostanza aggravante prevista dall'art.7, d.l. 13 maggio 1991, n.152, convertito in l. 12 luglio 1991, n. 203, sotto il profilo della finalità di agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso, ha natura soggettiva, essendo incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta; ne consegue che, nel caso di concorso di persone nel reato, non è applicabile ai concorrenti che non abbiano agito in base a tale finalità (In motivazione la Corte ha, inoltre, escluso che detta circostanza sia imputabile ai concorrenti a titolo di colpa in quanto, riferendosi ai motivi a delinquere, la disciplina speciale prevista dall'art. 118 cod. pen. prevale su quella generale prevista dall'art. 59, comma secondo, cod. pen.).”

[65] Sentenza n. 11356 del 08/11/2017, in www.dejure.it: “La circostanza aggravante dell'agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso, prevista dall'art.7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, ha natura soggettiva, essendo incentrata su una particolare motivazione a delinquere e sulla specifica direzione finalistica del dolo e della condotta; ne consegue che, nel caso di concorso di persone nel reato, detta circostanza è applicabile solo ai concorrenti che abbiano agito in base a tale finalità ovvero l'abbiano, comunque, condivisa e fatta propria.”

Sentenza n. 54085 del 15/11/2017, in www.dejure.it: “La circostanza aggravante dell'agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso prevista dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella l. 12 luglio 1991, n. 203, in quanto connotata dal profilo del dolo specifico, assorbente rispetto a quello attinente alle modalità di esecuzione dell'azione che denota la diversa fattispecie aggravatrice correlata all'utilizzo del metodo mafioso, ha natura soggettiva, con la conseguenza che è applicabile a ciascun concorrente nel delitto, anche a partecipazione necessaria, solo previo accertamento che il medesimo abbia agito con lo scopo di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, o, comunque, abbia fatto propria tale finalità.”

Sentenza n. 6021 del 29/11/2017, in www.dejure.it: “In tema di agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso, la circostanza aggravante prevista dall'art.7 del d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203, ha natura soggettiva e, pertanto, è applicabile al concorrente nel reato a condizione che questi abbia conosciuto e fatta propria la finalità di agevolare l'associazione”

[66] Sentenza n. 24883 del 15/05/2019, in www.dejure.it: “In tema di favoreggiamento personale, è configurabile l'aggravante dell'agevolazione mafiosa solo qualora risulti provato che la condotta sia caratterizzata dalla coscienza e volontà di favorire, unitamente ai singoli indagati, anche le rispettive cosche di appartenenza. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione con cui era stata ritenuta la sussistenza dell'aggravante della finalità di agevolazione mafiosa nei confronti di un consulente trascrittore, autore dell'alterazione del contenuto di taluni dialoghi intercettati, considerando insufficiente l'affermazione secondo cui il favore reso ai favoreggiati si sarebbe tradotto in un aiuto all'intera organizzazione, in quanto un tale ausilio non poteva derivare ex se dalle mere connotazioni soggettive dei favoriti, in assenza di un effettivo contributo a vantaggio del gruppo).”

[67] Sentenza n. 6764 del 13/11/2019, in www.dejure.it: “L'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p., nella forma "soggettiva" dell'aver commesso il fatto al fine specifico di agevolare l'attività di una associazione mafiosa, implica necessariamente la prova dell'esistenza reale e non semplicemente supposta di essa. Al contrario, ove l'aggravante sia commessa nella forma "oggettiva" dell'utilizzazione del metodo mafioso ("avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p.), non presuppone necessariamente l'esistenza di un'associazione ex art. 416-bis c.p., essendo sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso: essa è pertanto configurabile finanche con riferimento ai reati-fine commessi nell'ambito di un'associazione criminale comune, nonché nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo, essendo necessario e sufficiente che l'associazione appaia sullo sfondo, perché evocata dall'agente, sicché la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell'aggressore o ad abbandonare ogni velleità di difesa per timore di più gravi conseguenze (nella specie, relativa ai reati di lesioni e di violenza privata, commessi dall'imputato nei confronti di un giornalista che tentava di intervistarlo, l'aggravante del metodo mafioso è stata ritenuta correttamente ravvisata in sede di merito, a prescindere dalla riscontrata esistenza di una associazione mafiosa - in quel momento non ancora accertata giudizialmente, almeno in via definitiva-, valorizzando l'effettivo avvalimento da parte dell'imputato delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p., in tal senso essendosi individuati gli indici fattuali del metodo mafioso: nella presenza, durante l'intera intervista, di un "guardaspalle", nella simultanea aggressione al giornalista ed al suo operatore, nella perpetrazione dell'aggressione in pieno giorno dinanzi ad una palestra, rivendicando la potestà di controllare il territorio e dunque di "cacciare" chi non fosse gradito, nell'evocazione dell'intervento di soggetti terzi, che avrebbero danneggiato o fatto sparire l'auto dei giornalisti, e nel contesto omertoso della vicenda).”

[69] S. FINOCCHIARO, Le sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte, in www.sistemapenale.it , 16 marzo 2020, 5 .

[70] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[71] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[72] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[73] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[74] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[75] S. FINOCCHIARO, Le sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte, in www.sistemapenale.it , 16 marzo 2020, 8.

[76] A. BAIGUERA ALTIERI, L’art. 416-bis 1 c.p. nella giurisprudenza di legittimità, 3.

[77] Sentenza n. 8545 del 19 dicembre 2019, in www.dejure.it.

[78] P. BARTOLO, L'aggravante della agevolazione mafiosa si “applica” anche al concorrente che ha agito con dolo eventuale? - Does the aggravating circumstance of the mafia facilitation also ‘apply' to the accomplices who acted with eventual intent?, Cassazione Penale, fasc.3, 2021, p. 0933B, in dejure.it, 3.

[79] V. PICOTTI, Il dolo specifico: un'indagine sugli elementi finalistici delle fattispecie penali, Giuffrè, 1993, 620 ss.

[80] MELCHIONDA, Sulla complessa struttura delle c.d. “fattispecie di reato circostanziato in Le circostanze del reato, Cedam, 2000, 718 ss.

[81] P. BARTOLO, L'aggravante della agevolazione mafiosa si “applica” anche al concorrente che ha agito con dolo eventuale? - Does the aggravating circumstance of the mafia facilitation also ‘apply' to the accomplices who acted with eventual intent?, Cassazione Penale, fasc.3, 2021, p. 0933B, in dejure.it, 7.

[82] A. BAIGUERA ALTIERI, L’art. 416-bis 1 c.p. nella giurisprudenza di legittimità, 4.

[83] Cass., sez. pen. II, 17 gennaio 2017, n. 24046, in www.dejure.it: “La circostanza aggravante dell'agevolazione di un'associazione mafiosa, prevista dall'art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991, ha natura oggettiva, riguardando una modalità dell'azione, e si trasmette, pertanto, a tutti i concorrenti nel reato.”

[84]«La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.
Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore.
La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge [c.p.p. 606]. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.
Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso in cassazione [c.p.c. 360, c. p.p. 606] è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione.»

[85] A. BAIGUERA ALTIERI, L’art. 416-bis 1 c.p. nella giurisprudenza di legittimità, 7.

[86] Sentenza 8545/2020, in www.dejure.it.

[87] «Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.»

[88]  Per quanto riguarda le circostanze attenuanti, mentre identica è la prima fase di accertamento, il giudice deve prescindere dalla seconda: ai sensi dell’art. 59, comma 1°, c.p., infatti, le circostanze attenuanti, così come le cause di giustificazione, rilevano semplicemente per la loro presenza, a prescindere dalla relativa rappresentazione da parte del soggetto agente. L’affermazione che le circostanze attenuanti e le cause di giustificazione rileverebbero oggettivamente non sembra condivisibile: alcune di esse, infatti, hanno un contenuto almeno parzialmente soggettivo, e non possono rilevare, in assenza di un particolare legame psicologico con il soggetto agente. Per questo motivo, sembra più corretto sostenere semplicemente che le circostanze attenuanti e le cause di giustificazione rilevano per la loro presenza: ove esse non abbiano contenuto soggettivo, la loro presenza sarà effettivamente squisitamente oggettiva. Cfr. ROMANO, Commentario sistematico, 648. L’Autore afferma il principio dell’applicazione oggettiva delle attenuanti, pur ridimensionandolo poco dopo, in quanto «talvolta è la legge stessa a porre tra i fattori o dati che costituiscono la circostanza […] uno o più elementi di natura psicologico-soggettiva; in tali casi, la (o una) rappresentazione da parte del soggetto agente è indispensabile».

[89] «l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ovvero dei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità».

[90] F. CAPOROTUNDO, La c.d. aggravante dell’agevolazione mafiosa ha natura soggettiva, ma può estendersi ai concorrenti nel reato: le Sezioni Unite riscrivono l’art. 118 c.p., 113.

[91] La disciplina ordinaria per l’imputazione soggettiva delle circostanze, prevista dall’art. 59 c.p., subisce una deroga, in caso di «errore sulla persona dell’offeso», da parte dell’art. 60 c.p., che, al 1° comma, per l’addebito delle aggravanti «che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole», richiede l’effettiva rappresentazione; il 2° comma della stessa disposizione, invece, invece, permette eccezionalmente l’applicazione delle attenuanti putative concernenti «le condizioni, le qualità o i rapporti predetti». Infine, l’art. 60, comma 3°, c.p. sancisce il ritorno al regime ordinario di cui all’art. 59 c.p. qualora si tratti di circostanze «che riguardano l’età o altre condizioni o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa». Una parte della dottrina (per tutti, TRAPANI, La divergenza tra il “voluto” e il “realizzato”, Giappichelli, Torino 2006 - ristampa, 119 ss.; GALLO, Diritto penale italiano, vol. I, 510 ss.) sostiene che l’art. 60 c.p. disciplini ipotesi di errore in vicende a due soggetti (c.d. error in qualitate), ad esempio quella di Tizio che uccide Caio, ignorando di essere suo figlio (art. 575, senza l’applicazione dell’aggravante dell’art. 577 c.p. In questo senso anche Relazione Rocco al Progetto definitivo, in Lavori preparatori, vol. v, parte i, p. 108); ai casi di errore «di persona» e non «sulla persona», invece, cioè a situazioni a tre soggetti, si applicherebbe l’art. 82 c.p., laddove esso si riferisce non solo all’errore «nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato», ma anche all’errore dovuto ad «un’altra causa», potendo tale altra causa essere integrata anche dall’errore – scambio, cioè proprio l’errore di persona. Si pensi, ad esempio, a Tizio che ferisca a morte Caio, avendolo scambiato per Sempronio a causa dello stesso colore di capelli. Contra, per tutti, Romano, Commentario sistematico del Codice penale, cit., pp. 658 s. L’Autore sostiene che l’art. 60 c.p. preveda una vicenda «non a due soli», ma a tre soggetti, mentre riconduce la vicenda a due soggetti, e, ad esempio, l’ipotesi di errore sulla qualità di padre alla disciplina ordinaria dell’art. 59 c.p., «con addebito dell’aggravante […] se ignorata con concreta colpa»; T. PADOVANI, voce Circostanze del reato, in Dig. disc. pen., vol. II, Torino, UTET, 1988, 187 ss.

[92] Trattando la lettera dell’art. 59, comma 2°, c.p. di «errore determinato da colpa», sembra che il parametro da prendere in considerazione per l’accertamento della rappresentabilità della presenza degli elementi costitutivi dell’aggravante debba essere proprio quello della colpa, vale a dire il modello di agente che svolga quella stessa attività: è il parametro del c.d. homo eiusdem condicionis, su cui vd. GALLO, Diritto penale italiano, vol. I, 489 ss., 510 ss.; MARINUCCI – DOLCINI – GATTA, Manuale di diritto penale,  p. 385 s. Sulla c.d. doppia misura o doppia funzione della colpa, vd. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, 333 ss., MASSARO, Principio di affidamento e responsabilità per colpa nell’attività medico-chirurgica in équipe, in Temi penali, a cura di TRAPANI e MASSARO, Giappichelli, Torino 2013, 220 (nota 101); cfr. anche ROMANO, Commentario sistematico del Codice penale,  457 ss.

[93] Prima della riforma le circostanze aggravanti erano addebitate al soggetto agente a prescindere dall’effettiva rappresentazione o rappresentabilità di esse da parte del reo17, dopo la legge n. 19 del 199018, per l’imputazione delle circostanze aggravanti, è richiesto in capo al colpevole anche un collegamento soggettivo con esse19, in linea con il principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.), così come interpretato dalla sentenza della Corte Costituzionale 24 marzo 1988 n. 364.

[94] S. FINOCCHIARO, Le sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte, in www.sistemapenale.it , 16 marzo 2020.

[95] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[96] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[97] «In tema di valutazione delle circostanze nell'ipotesi di concorso di persone nel reato - anche dopo la modifica dell'art. 118 c.p., introdotta con la l. 7 febbraio 1990 n. 19 - deve ritenersi che, pur se non è sufficiente, perché l'aggravante della premeditazione possa comunicarsi al concorrente nel reato, la mera conoscibilità da parte di costui, la conoscenza effettiva legittimi l'estensione dell'aggravante stessa: ed invero, se il concorrente, pur non avendo direttamente premeditato l'omicidio, tuttavia ad esso partecipa nella piena consapevolezza, maturata prima dell'esaurirsi del proprio volontario apporto alla realizzazione dell'evento criminoso, dell'altrui premeditazione, la sua volontà adesiva al progetto investe e fa propria la particolare intensità dell'altrui dolo, talché la relativa aggravante non può non essere riferita anche a lui».

[98] Sez. 1, n. 7205 del 17/05/1994, in www.dejure.it.

[99] Sez. 1, n. 50405 del 10/07/2018, Gjergji Kastriot Rv. 274538; Sez. 1, n. 13596 del 28/09/2011, dep. 2012, Corodda, Rv. 252348; Sez. 1, n. 6775 del 28/01/2005, Erra, Rv. 230147.

[100] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[101] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[102] Sentenza Sez. Un. n. 8545/2020, in www.dejure.it.

[103] Sentenza 8545/2020, in www.dejure.it.

[104] come la premeditazione ed i motivi abietti e futili.

[105] Sez. 6, n. 56956 del 21/09/2017, Argentieri, Rv. 271952; Sez. 5, n. 29202 del 11/03/2014, C., Rv. 262383; Sez. 1, n. 40237 del 10/10/2007, Cacisi, Rv. 237866, che concludono tutte nel senso che la circostanza aggravante della premeditazione può essere estesa al concorrente, che non abbia partecipato all’originaria deliberazione volitiva, qualora questi ne abbia acquisito piena consapevolezza precedentemente al suo contributo all’evento.

[106] “l’aggravante dell’agevolazione mafiosa ha natura soggettiva e, più precisamente, rientra fra le circostanze concernenti i “motivi a delinquere”, ex art. 118 c.p.; - lo scopo agevolatore non deve essere, necessariamente, l’unico perseguito dall’autore, potendosi accompagnare ad altri fini egoistici; - la finalità agevolatrice deve trovare un riscontro concreto e oggettivo necessario a fini probatori e nel rispetto del principio di offensività; - nonostante la circostanza richieda il dolo specifico (proprio della fattispecie costitutiva del reato), ciò non contrasta con il vigente sistema legislativo”

[107] “l’applicazione dell’aggravante richiede la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi; - nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un concorso di persone nel reato è sufficiente che la finalità agevolatrice sia riscontrabile in capo ad uno dei soggetti e che gli altri siano a conoscenza di tale finalità (dolo diretto che comprende le forme di dolo eventuale)”

[108] La locuzione “intensità del dolo”, che richiama la formula impiegata all’art. 133 c.p., sembra maggiormente confacente a quelle circostanze che incidono sul grado di probabilità con cui il soggetto si è rappresentato la realizzazione del reato. Il dolo specifico, alla cui stregua si atteggia la circostanza in esame, non è cioè una forma particolarmente intensa del dolo del fatto tipico, bensì un’entità distintiva, con un oggetto distinto. S. Finocchiaro, op.cit., p. 9

[109] S. FINOCCHIARO, Le sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte, in www.sistemapenale.it , 16 marzo 2020,9.

[111] S. FINOCCHIARO, Le sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte, in www.sistemapenale.it , 16 marzo 2020,16.

[112] ALBERICO, Alle sezioni unite la questione sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, 2019, 138.

[114] S. FINOCCHIARO, Le sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte, in www.sistemapenale.it , 16 marzo 2020,17 ss.

[115] L’equiparazione non sarebbe comunque totale, in quanto le circostanze oggettive e quelle soggettive ex art. 70 c.p., ma non strettamente personali ex art. 118 c.p., si estendono ai concorrenti nel reato anche qualora non siano rappresentate, ma siano ignorate o reputate inesistenti per errore determinato da colpa, in base a quanto affermato dall’art. 59, comma 2°, c.p.: le Sezioni Unite, al contrario, negano l’estensione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis 1, comma 1°, parte 2ª, c.p. ai concorrenti in caso di ignoranza colpevole, affermando l’inesistenza di un dovere di diligenza sui concorrenti nel reato avente ad oggetto l’accertamento della finalità degli altri (n. 12). Vd. Cass., Sez. Un. pen., 3 marzo 2020, n. 8545, in www.dejure.it, 74: «in tal caso si porrebbe a carico dell’agente un onere informativo di difficile praticabilità concreta».

[116] Cass., Sez. VI pen., 29 luglio 2020, n. 23158, in «Guida al Diritto», n. 38, 2020, 80.