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Pubbl. Sab, 29 Apr 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

Compenso a favore dell´esecutore testamentario

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Davide Ianni
Praticante NotaioUniversità degli Studi dell´Aquila



Il presente elaborato si pone l´obiettivo di analizzare la portata innovativa della recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione emessa dalla seconda sezione in data 12 agosto 2022 n. 24798. Tale statuizione ha proceduto a chiarire la corretta visione ermeneutica imposta dal legislatore relativamente a quanto disposto dall´art. 711 c.c. in materia di compenso dell´esecutore testamentario in caso di mancata espressa previsione del testatore, individuandone i suoi limiti invalicabili nonché interrogandosi sulla possibilità e liceità da parte dell´autonomia privata (in particolare degli eredi del de cuius) di poter stipulare un autonomo negozio in favore dell´esecutore testamentario e comprendere quali siano gli eventuali vincoli scaturenti dallo stesso.


ENG This paper aims to analyze the innovative scope of the Supreme Court´s recent decision issued on the 12nd of August 2022 n. 24798, which proceeded to clarify the correct hermeneutic vision imposed by the legislator with regard to the provisions of art. 711 of the Civil code in matter of compensation of the testamentary executor when the testator didn´t mention it. It also identified its limits and questioned the possibility and the lawfulness of private autonomy to be able to conclude an autonomous legal transaction in favor of the testamentary executor, at the same time understanding what are the possible constraints arising from it.

Indice: 1. Premessa; 2. Lo sviluppo della figura dell’esecutore testamentario; 3. I tratti caratterizzanti l’esecutore testamentario; 4. La retribuzione dell’esecutore testamentario; 5. Lo scrutinio della Cassazione; 6. Conclusioni.

1. Premessa

Con la pronuncia n. 24798 del 12 agosto 2022, la Cassazione si è espressa con un nuovo principio di diritto in materia di compenso dell’esecutore testamentario.

Prima di analizzare ed esaminare dettagliatamente l’ordinanza adottata dalla Suprema Corte, è opportuno ripercorrere le tappe logico-giuridiche attraverso le quali i giudici di legittimità sono giunti alla statuizione oggetto del presente articolo, ponendo particolare attenzione agli istituti giuridici sottesi al caso di specie.

2. Lo sviluppo della figura dell’esecutore testamentario

In materia successoria, l’ordinamento italiano dimostra una peculiare attenzione alla tutela della volontà del testatore mediante l’adozione di una serie di disposizioni aventi il comune scopo di garantire l’esatta realizzazione del programma dettato dal de cuius nel suo testamento.

Innanzitutto, è possibile rinvenire all’interno della normativa in materia successoria il riconoscimento dell’autonomia e della libertà testamentaria attraverso la previsione della revocabilità del testamento e della segretezza di quest’ultimo.

Inoltre, il favor testamenti si concretizza non solo nella fase genetica della volontà testamentaria, ma anche nella fase dell’esecuzione del testamento.

In particolare, tra i diversi meccanismi normativi che perseguono un simile obiettivo, è presente la figura dell’esecutore testamentario[1].

Normalmente, l’esecuzione delle ultime volontà del de cuius è demandata agli eredi stessi.

Tuttavia, al fine di rendere più agevole e sicuro l’effettivo compimento delle sue ultime volontà, il testatore può individuare un soggetto, al quale è affidato ed attribuito un compito specifico, volto a curare e vigilare sull’esatta esecuzione delle disposizioni di ultima volontà del defunto.

Quanto alle origini di tale istituto, la dottrina appare concorde nel ritenere che esso non fosse così diffuso nel diritto romano, dato che era presente un forte sentimento morale e religioso che caratterizzava i soggetti legati tra loro da un vincolo di sangue.

Infatti, la previsione di un soggetto terzo ed estraneo che si occupasse dell’esecuzione delle ultime volontà del de cuius era ritenuto incompatibile con il sentimento di solidarietà familiare, dato che gli unici legittimati ad eseguire la volontà del testatore erano i suoi eredi.

Diversamente, nel diritto germanico, la previsione di un soggetto ad hoc per l’esecuzione delle disposizioni testamentarie era ritenuta legittima, in quanto quest’ultime si riducevano alla previsione di alcuni legati, essendo l’eredità confinata alla mera legittima

Infine, tale figura ha avuto un effettivo impulso soprattutto nell’era del diritto canonico, laddove vi era l’opportunità di garantire una corretta esecuzione dei lasciti effettuati a favore delle istituzioni religiose.

Con l’era della codificazione, ed in particolare con il Codice Civile del Regno d’Italia del 1865[2], la figura dell’esecutore testamentario ha trovato una sua collocazione all’interno delle norme in materia di successione.

Tuttavia, il compito riservato a tale figura era confinato ad un’attività di mero ausilio degli eredi, senza prevedere veri e propri poteri di gestione.

In particolare, l’art. 906 del suddetto codice civile statuiva che il testatore poteva attribuire all’esecutore il possesso immediato dei suoi beni ma che gli eredi, aperta la successione, avrebbero potuto far cessare tale possesso offrendo una somma di denaro o altre garanzie.

Ancora, l’art. 908 del citato codice prevedeva la possibilità per l’esecutore testamentario di procedere all’apposizione dei sigilli, di redigere l’inventario, di fare istanza di vendita se l’eredità fosse stata incapiente, di vigilare sull’esecuzione del testamento e di poter intervenire nei giudizi aventi ad oggetto lo stesso.

E’ possibile, quindi, osservare che i poteri attribuiti all’esecutore testamentario riguardavano un piano più superficiale, dato che tale figura si configurava come semplice ausiliario degli eredi.

Di conseguenza, tale concezione relativa all’esecutore testamentario ha comportato lo scarso utilizzo di tale figura nella prassi.

L’attuale disciplina contenuta nel codice civile vigente[3] ha ridisegnato la figura dell’esecutore testamentario, conferendo allo stesso una nuova e più moderna funzione - a metà tra la visione romanista e quella germanica - da un lato, ampliandone i poteri e, dall’altro, riconoscendo anche una maggiore responsabilità nei confronti dei beneficiari del testamento (eredi e legatari).

3. I tratti caratterizzanti l’esecutore testamentario

Innanzitutto, nell’attuale disciplina la nomina dell’esecutore testamentario è configurata come mera facoltà e non come obbligo del testatore.

Più in particolare, laddove il testatore decida di affidare l’esecuzione delle proprie disposizioni di ultima volontà ad un esecutore testamentario, l’atto di nomina è qualificabile come un atto di volontà unilaterale, personale, intuitu personae, solenne e revocabile, avente carattere accessorio rispetto alle ulteriori disposizioni testamentarie contenute nel negozio mortis causa.

Al fine di essere nominato esecutore testamentario, il legislatore richiede la capacità di obbligarsi ovvero la capacità d’agire del soggetto.

Come avviene per ogni incarico, anche in tal caso è necessario che l’esecutore designato accetti mediante un atto espresso, nel rispetto delle formalità previste dall’art. 702 c.c.

Infine, le funzioni dell’esecutore testamentario sono state implementate, rispetto alla disciplina previgente, mediante l’inserimento della possibilità di amministrare i beni ereditari con il potere di procedere alla vendita degli stessi, previo rilascio dell’autorizzazione giudiziale.

Lungamente dibattuta è la questione concernente la natura giuridica dell’istituto dell’esecutore testamentario.

In primo luogo, infatti, vi è una parte della dottrina che, specialmente in passato, riconduceva tale figura a quella del c.d. mandato post mortem, ritenendo che costituisse un’ipotesi legittima di quest’ultimo perché prevista dal legislatore espressamente.

Tale tesi è stata criticata in base alla circostanza che il mandato è un negozio bilaterale, mentre l’atto di nomina e quello di accettazione dell’esecutore testamentario sono entrambi unilaterali ed autonomi tra loro.

Alla luce di tale critica, si è allora supposto in dottrina che si trattasse di una particolare forma di procura.

Anche tale teoria è stata criticata sulla base della circostanza che l’esecutore testamentario non agisce in nome e per conto del defunto, bensì agisce per l’espletamento di una propria funzione.

Infine, parte della dottrina ha affermato che il compito assegnato all’esecutore testamentario si configuri come un ufficio di diritto privato, vale a dire come un’amministrazione pubblica di interessi prevalentemente privati[4].

Di conseguenza, secondo quest’ultima teoria, l’esecutore testamentario agisce in nome proprio e senza alcun potere di rappresentanza né verso il defunto né verso gli eredi, bensì nell’ambito dei poteri riconosciuti in suo favore dall’atto di autonomia privata (la nomina del testatore) con cui il de cuius ha costituito l’ufficio di diritto privato di esecutore testamentario.

Come affermato precedentemente, nel diritto romano la figura di esecutore testamentario è stata spesso considerata come una promanazione di un rapporto affettivo che legava il soggetto designato al de cuius.

Nell’epoca moderna, tuttavia, la nomina dell’esecutore testamentario si è oramai affrancata quasi del tutto da legami amicali o di stima e si è invece concentrata maggiormente intorno ad una specifica previsione volta a sopperire ad un’esigenza crescente nella fase esecutiva delle volontà testamentarie.

In particolar modo, il complesso mondo del diritto e la moltitudine di cavilli burocratici conduce spesso alla redazione di disposizioni testamentarie molto complesse, la cui esecuzione richiede pertanto l’opera di soggetti qualificati ed aventi competenze professionali.

Di conseguenza, il testatore si trova costretto ad individuare la figura dell’esecutore testamentario in un professionista e molto spesso si tratta di un notaio.

Tale precisazione fornisce l’occasione per affrontare un’altra questione, ancora oggi molto dibattuta, relativa alla liceità della nomina del notaio quale esecutore testamentario.

Specificamente, la dottrina notarile si è infatti a lungo interrogata se il notaio che riceve il testamento possa essere nominato dal testatore esecutore testamentario.

L’interrogativo sorge dalla circostanza che l’art. 28, comma 1, n. 3 della legge 16 febbraio 1913 n.89 prevede il divieto per il notaio di ricevere o autenticare atti qualora essi contengano disposizioni che interessino lui o i propri congiunti (coniuge, parenti o affini in linea retta in qualunque grado), salvo che si tratti di testamento segreto non scritto dal notaio (o dai suoi congiunti sopra citati).

Tale norma deve essere sempre bilanciata con il disposto dell’art. 27 della medesima legge notarile, il quale invece prescrive l’obbligo per il notaio di prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto.

Al riguardo, il Consiglio Nazionale del Notariato[5] ha espresso non pochi dubbi e perplessità laddove la nomina del notaio ad esecutore testamentario sia contenuta in un testamento olografo.

Nel caso in esame, infatti, il notaio è chiamato alla c.d. pubblicazione della scheda testamentaria olografa, senza aver partecipato alla formazione della volontà testamentaria.

Alla luce di tale atteggiamento prudenziale - sostenuto in un’ipotesi (come quella di pubblicazione del testamento olografo) in cui il notaio si limita ad una mera ricezione successiva della scheda testamentaria - la dottrina ha pertanto ritenuto altresì illegittima la clausola di nomina del notaio rogante ad esecutore testamentario contenuta in un testamento pubblico dal momento che in tal caso, nonostante il compito del notaio sia quello di ridurre per iscritto le volontà del testatore, il notaio partecipa comunque direttamente ed in prima persona alla redazione dell’atto e al ricevimento delle volontà del de cuius.

Inoltre, si pone un ulteriore problema laddove il testatore abbia previsto espressamente un compenso a favore del notaio per l’esecuzione dell’ufficio di esecutore testamentario ai sensi dell’art. 711 c.c.

In tal caso, infatti, la previsione prevista all’art. 28 della legge notarile sarebbe pienamente integrata in maniera ancor più palese, emergendo dunque una evidente necessità di astensione del notaio dal ricevimento dell’atto.

La dottrina si è spinta oltre, avanzando poi perplessità anche laddove il compenso non sia stato previsto e dunque nei casi in cui l’ufficio di esecutore testamentario sia caratterizzato da gratuità.

Si è infatti ritenuto che, anche in assenza di compenso, il notaio-esecutore testamentario abbia comunque un interesse personale che esula dalla mera ricezione dell’atto e, pertanto, rientrerebbe anche in questo caso nell’ambito applicativo del divieto posto dal citato art. 28.   

4. La retribuzione dell'esecutore testamentario

Dopo aver analizzato le peculiarità giuridiche riguardanti la figura dell’esecutore testamentario - dalla ratio ispiratrice alla natura giuridica fino alla continua evoluzione delle sue funzioni - è necessario soffermarsi ed interrogarsi su un altro aspetto centrale che assume particolare rilievo nella pronuncia in commento: la retribuzione dell’esecutore testamentario[6].

Il codice civile del 1865 taceva sul punto, disponendo esclusivamente all’art. 911 che le spese sostenute dall’esecutore per l’esercizio delle sue funzioni fossero a carico dell’eredità.

Diversamente, il codice civile vigente affronta direttamente la questione all’art. 711 disponendo che, di norma, l’ufficio dell’esecutore testamentario è gratuito ma è sempre fatta salva la possibilità di stabilire una retribuzione a carico dell’eredità da parte del testatore.

In particolare, si è diffusamente sostenuto che la gratuità dell’incarico è insita nella possibilità per l’esecutore di poter rinunciare allo stesso, senza pericolo di subire gli oneri della gestione ereditaria.

Tuttavia, la gratuità non è obbligatoria poiché il testatore potrà liberamente, qualora lo vorrà, disporre un compenso in favore dell’esecutore ed a carico dell’eredità.

Sul punto giova precisare che il testatore dovrà predisporre un compenso che sia proporzionato all’attività propria dell’esecutore, altrimenti la disposizione andrà a configurare una attribuzione a titolo di legato.

Tale ultima precisazione ha un rilevante impatto pratico poiché, in tal caso, l’esecutore testamentario - divenendo al contempo legatario in relazione alle somme ricevute dal testatore a titolo di compenso non proporzionato - non potrà essere incaricato della divisione dei beni ereditari ai sensi del disposto normativo di cui all’art. 706, comma 1 c.c.

Chiariti tali aspetti preliminari, il legislatore ha espressamente disciplinato soltanto la previsione da parte del testatore di una retribuzione proporzionata alle incombenze che l’esecutore testamentario dovrà eseguire.

In assenza, invece, di una previsione specifica da parte del testatore e nel silenzio della legge, l’ufficio dovrà essere adempiuto gratuitamente.

A questo punto si pone dunque l’interrogativo che è alla base del caso oggetto dell’odierna disamina, vale a dire quale sia la sorte della retribuzione dell’esecutore testamentario nel caso in cui il testatore non abbia previsto nulla all’interno del negozio testamentario, ma laddove invece i suoi eredi si siano obbligati, mediante un’autonoma dichiarazione successiva all’apertura della successione del de cuius, a corrispondente il compenso dell’esecutore, specificando che tale pagamento verrà effettuato a carico dell’eredità.

La risposta è stata fornita dalla stessa Cassazione, come si avrà modo di esporre nel paragrafo che segue.

5. Lo scrutinio della Cassazione

In primo luogo, la Cassazione aderisce pienamente a quanto già affermato in precedenza, ossia al dibattito circa la natura giuridica dell’istituto dell’esecutore testamentario, riconoscendo lo stesso quale ufficio di diritto privato.

La Suprema Corte, infatti, precisa che all'esecutore testamentario è attribuito direttamente dal testatore un incarico intuitu personae in forza del quale egli è investito del potere di compiere, in nome proprio, determinati atti, i cui effetti ricadono direttamente sul patrimonio ereditario, come se li avessero compiuti gli eredi.

L’analisi prosegue poi affrontando il tema della retribuzione dell’esecutore testamentario.

In particolare, i giudici di legittimità, ripercorrendo l’evoluzione della normativa dal codice previgente del 1865 ad oggi, osservano che l’art. 711 del vigente codice civile, letto in combinato disposto con l’art. 712 c.c., riconosce all’esecutore, anche in assenza di una espressa previsione di compenso da parte del testatore, la possibilità di ottenere la ripetizione delle spese sostenute per l’esecuzione del suo ufficio a carico dell’eredità, così come già ribadito da un precedente giurisprudenziale della Corte medesima[7].

Citando un altro proprio precedente[8], inoltre, la Cassazione ribadisce che la gratuità dell’ufficio di esecutore trova la sua ratio nella possibilità dello stesso di poter lecitamente rifiutare l’incarico, senza dover sopportare gli oneri della gestione dei beni ereditari.

Fino ad ora dunque la Cassazione ripercorre pedissequamente l’orientamento ad oggi cristallizzato nelle sue precedenti pronunce, senza innovarne la portata.

Si aggiunge inoltre che, laddove vi sia stata espressa previsione testamentaria, la retribuzione dell’esecutore grava esclusivamente sulla massa ereditaria con la conseguenza che, in caso di accettazione con beneficio d’inventario, gli eredi non saranno tenuti al pagamento dello stesso oltre i limiti di valore dei beni relitti.

Tale credito, inoltre, è assistito da privilegio ai sensi dell’art. 2755 c.c. e dell’art. 2756 c.c.

Il Supremo Collegio afferma che anche in assenza di una espressa previsione da parte del testatore, l’art. 711 c.c. non impedisce che la previsione di un compenso sia pattuita autonomamente in forza di un negozio di autonomia privata direttamente tra eredi ed esecutore testamentario.

Tale apertura è di fondamentale importanza perché prima d’ora la Cassazione non aveva mai preso posizione sul punto.

Non a caso, sia nel giudizio di primo grado che nella successiva fase di appello, i giudici hanno al contrario espresso un orientamento opaco e differente, riconoscendo indirettamente nella sola volontà testamentaria l’unica ed esclusiva fonte negoziale legittima per la statuizione del compenso dell’esecutore.

A sostegno di tale visione vi è sicuramente la circostanza, pacifica ed incontestata, dell’idoneità dello strumento testamentario quale fonte negoziale.

Tuttavia, con l’odierna pronuncia, si è voluto precisare che in tema di retribuzione dell’esecutore testamentario il testamento non esaurisce, bensì completa l’elenco delle fonti negoziali dell’obbligazione.

Accanto alla previsione testamentaria, infatti, può esistere anche un autonomo accordo negoziale con cui gli eredi, in prima persona, si obbligano nei confronti dell’esecutore al pagamento del relativo compenso.

Ciò posto, la Corte chiarisce però un altro aspetto cruciale: nel caso di specie infatti gli eredi si erano obbligati in proprio ma avevano altresì stabilito che la retribuzione sarebbe stata a carico dell’eredità.

Proprio su questo ultimo aspetto si concentra la maggior portata innovativa della presente ordinanza.

I giudici di legittimità, infatti, precisano che la natura della retribuzione è differente a seconda se la stessa sia prevista direttamente dal testatore nel negozio mortis causa oppure sia stata pattuita autonomamente in via successiva dagli eredi mediante un atto inter vivos.

Nel dettaglio, si precisa che in presenza di una manifestazione di volontà del testatore che stabilisca un compenso a vantaggio dell'esecutore costui, in forza del testamento, vede riconoscersi un credito verso la massa, dotato di azione ed assistito da privilegio

Al contrario, quando in assenza di disposizione testamentaria in merito l'obbligazione di corrispondere un compenso sia stata assunta dagli eredi, l'esecutore testamentario maturerà il diritto al compenso in virtù di un impegno che vincola soltanto gli eredi che l'abbiano stretto, dal momento che la prestazione non trova fondamento nella volontà del testatore.

L'impegno assunto dai successori, sebbene non idoneo a diminuire l'attivo ereditario in pregiudizio dei creditori ereditari e dei legatari, è però sorretto da una causa lecita, facendo pertanto sorgere in capo all'esecutore un diritto azionabile per ottenere quanto promessogli.

La Suprema Corte inoltre, riprendendo il precedente citato[9] dalla Corte d’Appello di Genova, ne offre una lettura autentica, contestando l’interpretazione fornita dal Giudice del gravame a sostegno della propria decisione.

Segnatamente, viene precisato che - nella fattispecie oggetto di quel giudizio - il giudice di merito aveva riconosciuto in favore dell’esecutore un compenso per l’attività svolta in forza del mandato attribuito direttamente e congiuntamente dagli eredi.

Tra i motivi di ricorso inoltre vi era la non assoluta incompatibilità della retribuibilità dell’esecutore testamentario, soprattutto laddove nell’espletamento delle proprie funzioni egli si fosse servito di competenze squisitamente tecniche, le quali andrebbero liquidate secondo i parametri dell’ordine professionale di appartenenza.

Alla luce di ciò, la Corte di Cassazione del 2004[10] tuttavia affermava che la ratio della disposizione in esame (l’art. 711 c.c.) si poneva apparentemente non in linea con altre analoghe, relative ad istituti affini, che prevedono viceversa la retribuibilità dell'incarico come ad esempio per il curatore dell'eredità giacente, l'art. 508 c.c., per il mandatario, l'art. 1709 c.c., per il sequestratario, l'art. 1802 c.c., per gli amministratori e i sindaci di società, gli artt. 2389 e 2402 c.c.

Si precisa però che, se per un verso, la gratuità dell'ufficio di esecutore testamentario appare difficilmente conciliabile con la più che probabile e verosimile onerosità e gravosità dell'espletamento delle attività, a volte non semplici, ad esso connesse (cfr. artt. 703 -709 c.c.), e se, per altro verso, ed evidentemente proprio per questo, è data la possibilità a chi è stato investito di un compito basato, oltre che sull'intuitu personae, sulla stima e sulla fiducia che il testatore ha avuto per il designato, di rinunciarvi (art. 702 c.c.), deve ritenersi che proprio siffatta alternativa, offerta dalla legge all'esecutore nominato dal testatore (art.700 c.c.), consente di interpretare univocamente e ragionevolmente la disposizione de qua: la gratuità dell'ufficio prevista dal codice si giustifica con la possibilità per il soggetto che ne è investito di non accettare l'incarico, sottraendosi, in tal modo, agli oneri derivanti dall'espletamento dello stesso, ovvero di espletarlo e di sobbarcarsi viceversa a tutte le incombenze che vi sono connesse, senza poter reclamare alcun compenso, salvo che questo non sia stato stabilito dal testatore e salvo, comunque, il suo diritto a ripetere le spese sostenute per l'esercizio dell'ufficio (art. 712 c.c.).

In tal senso si esclude che la retribuzione dell’esecutore abbia fonte nella legge, la quale invece ne prescrive la gratuità, e si conferma quanto già disposto dal legislatore, ovvero la possibilità di fare salva una diversa volontà del testatore.

Dunque l’autonomia testamentaria diventa unica fonte di retribuzione dell’esecutore.

Da tale assunto parrebbe che la Corte avesse inteso la norma in maniera estremamente letterale, prevedendo un doppio binario: gratuità dell’incarico e possibilità di rifiuto oppure previsione espressa del testatore del compenso; diversamente, nel silenzio del testamento, l’incarico sarebbe gratuito, salvo il diritto alla ripetizione delle spese sostenute.

D’altronde, la Suprema Corte evidenzia l’esistenza di un’altra ratio decidendi, che si aggiunge a quella appena esplicata, vale a dire che nel caso di specie non si rinviene alcuna attività che possa essere ricompresa nelle attività di esecutore testamentario e pertanto, in assenza di qualunque indicazione sul punto, neppure l’atto di autonomia privata intercorso tra eredi ed esecutore costituirebbe titolo valido ed idoneo al riconoscimento della retribuzione.

La Cassazione aggiunge che la pretesa retributiva non potrebbe essere neppure sollevata in forza del generale potere di mandato conferito all’esecutore testamentario  ai sensi dell’art. 1709 c.c. poiché neppure tali attività sono state precisate.

La Corte d’Appello non avrebbe dato debito conto delle ragioni per cui, a suo giudizio, l’esecutore - al quale non spetta, come si è detto, la retribuzione per l'attività svolta per il suo ufficio - avrebbe diritto, in ogni caso, al compenso in virtù del mandato conferitogli dagli eredi e, quindi, per gli atti o le attività compiuti in esecuzione del mandato medesimo.

Pertanto, la Corte interpreta la pronuncia in parola nel senso che, nel caso in cui il testatore non abbia contemplato alcuna retribuzione in favore dell'esecutore testamentario, l'ufficio di esecutore testamentario - circoscritto all'attuazione della volontà del de cuius - rimane gratuito, quando anche fosse stato stipulato un contratto di mandato dagli eredi.

Spetterà poi al giudice del merito valutare se, oltre agli atti che rientrano nella normale competenza dell'esecutore testamentario (e, come tali, non retribuibili ove sia assente la volontà mortis causa in favore della retribuzione), questi abbia effettivamente compiuto atti diversi, che debbano essere compensati ad altro titolo.

Chiarito ciò, la Corte si concentra nell’esame della fattispecie oggetto del proprio scrutinio affermando come la stessa ponga invece questioni del tutto diverse e peculiari.

Diversa ed impregiudicata rimane la questione circa la validità dell'impegno, autonomamente assunto dagli eredi in assenza di disposizione testamentaria ad hoc, di corrispondere un compenso all'esecutore testamentario designato dal testatore.

Nel caso di specie vi è uno sdoppiamento.

L’ufficio di esecutore nasce dalla disposizione testamentaria senza previsione di alcun compenso e pertanto gratuitamente, mentre il diritto alla retribuzione dell’esecutore trova la sua fonte in un atto di autonomia privata degli eredi, separato e successivo al testamento.

Sul punto, la Cassazione apre ad una terza via, riconoscendo l’integrale liceità dell’accordo intercorso tra eredi ed esecutore, ma ponendo tuttavia delle precisazioni.

Mediante un’analisi ermeneutica, i giudici di legittimità giungono a sostenere che l’art. 711 c.c. non vieta che, in assenza di una espressa previsione del testatore circa la retribuzione, gli eredi possano autonomamente obbligarsi con un atto di autonomia negoziale successivo.

Al contrario, ciò che il legislatore ha voluto impedire concerne un’altra circostanza, vale a dire che solo la volontà testamentaria può porre a carico dell’eredità la retribuzione dell’esecutore, mentre agli eredi non è concessa tale facoltà poiché andrebbero a ledere i diritti dei creditori ereditari e dei legatari.

Pertanto, nel caso di specie, l’impegno assunto autonomamente dagli eredi del testatore assurge a fonte di obbligazione idonea e lecita con la conseguenza che gli stessi (e solo coloro che si sono espressamente impegnati) saranno tenuti al pagamento del compenso dell’esecutore testamentario in proprio, e non anche ponendo lo stesso a carico dell’eredità.

6. Conclusioni

Alla luce di tale pronuncia, la Cassazione afferma pertanto due principi: da un lato, riconosce piena liceità all’autonomo negozio con cui gli eredi del testatore, in assenza di espressa previsione testamentaria, si impegnano alla retribuzione dell’esecutore testamentario; dall’altro, pone un limite a tale accordo a tutela dei creditori ereditari e dei legatari affermando tuttavia che l’adempimento di tale obbligazione, proprio per il suo carattere autonomo ed avulso dalla volontà testamentaria, non potrà gravare sull’asse ereditario, bensì costituirà una autonoma fonte negoziale per coloro che lo hanno stipulato e come tale graverà sulle rispettive posizioni giuridiche patrimoniali.

La portata innovativa è data dunque dall’aver chiarito, per la prima volta, l’effettiva ratio sottesa all’art. 711 c.c.

In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto che l’articolo in commento, nell’affermare la gratuità dell’ufficio di esecutore testamentario e nel riconoscere la volontà derogatoria del testatore nel prevedere una retribuzione, non esclude la possibilità circa l’esistenza di un patto intercorrente tra eredi ed esecutore testamentario, avente anzi una causa lecita e valida, proprio ai sensi della medesima normativa codicistica.

In tal senso dunque, nell’ambito dell’autonomia privata, gli eredi potranno derogare sia al silenzio del testatore circa la mancata previsione di compenso, sia alla presunzione di gratuità disposta espressamente dalla legge.

L’unico limite che il legislatore ha posto come invalicabile è, tuttavia, costituito dalla tutela dei creditori ereditari e dei legatari, i quali - nell’ipotesi in cui la retribuzione autonomamente prevista dagli eredi fosse posta a carico dell’eredità - potrebbero subire un pregiudizio per le loro ragioni e per i loro diritti facenti capo alla massa relitta dal de cuius.

La Corte non si esprime circa un’ulteriore questione, vale a dire la possibilità di convalidare il negozio nullo posto in essere dagli eredi in esecuzione della previsione testamentaria di nomina dell’esecutore testamentario.

Sul punto giova precisare che il legislatore ha previsto, per gli atti inter vivos il divieto di convalida degli atti negoziali affetti da nullità, ai sensi dell’art. 1423 c.c.

Tuttavia, in materia successoria ed in ossequio al principio generale del favor testamenti, la stessa norma prevede la possibilità di eccezioni espressamente ammesse dalla legge.

Non a caso, l’art. 590 c.c. delinea la c.d. conferma delle disposizioni testamentarie nulle.

E’ dunque dirimente capire la natura giuridica dell’accordo intercorso tra eredi e esecutore testamentario.

Sul punto, si osserva che, a prescindere dal dibattito circa il carattere unilaterale o bilaterale del negozio, il patto stipulato tra eredi ed esecutore testamentario sia pacificamente un atto avente natura giudica di negozio inter vivos, sebbene sia collegato o si atteggi come esecuzione di una volontà espressa all’interno del negozio testamentario da parte del de cuius.

Saranno infatti gli eredi che autonomamente porranno in essere il negozio con l’esecutore testamentario.

Tuttavia, è opportuno rilevare che tale fattispecie non risulta isolata nel nostro ordinamento dal momento che al testatore è pacificamente riconosciuta la possibilità di prevedere nel proprio testamento disposizioni di ultima volontà aventi ad oggetto la stipulazione di un contratto o di posizioni a contenuto contrattuale.

Il testatore può infatti prevedere, attraverso l’attribuzione di un legato obbligatorio, la possibilità di porre a carico dell’onerato l’obbligo di stipulare un contratto a favore di determinati soggetti.

Il limite è, tuttavia, riconosciuto in tutti quei contratti che richiedono il c.d. intuitu personae (quali ed esempio il mandato, il contratto d’opera o il contratto in materia di società di persone).

In tal caso, il negozio giuridico che gli eredi porranno in essere in esecuzione del suddetto legato avrà comunque natura giuridica di autonomo atto inter vivos.

Sebbene la fattispecie descritta sia differente rispetto al caso in oggetto (ovvero del patto stipulato autonomamente tra eredi ed esecutore testamentario), tale precisazione è opportuna al fine di chiarire come, anche se il testatore abbia nominato un esecutore testamentario nel proprio testamento senza prevederne la retribuzione, il successivo patto tra eredi ed esecutore assurge ad autonoma fonte di obbligazione avente carattere di negozio inter vivos, il quale obbliga direttamente coloro che vi hanno preso parte e si pone esclusivamente a carico dei loro rispettivi patrimoni.

Alla luce di tale statuizione sarà dunque opportuno prestare attenzione ad eventuali accordi intercorsi tra eredi ed esecutori testamentari, potendo gli stessi integrare un’autonoma fonte di obbligazione per i successori, anche se il testatore non abbia disposto nulla a riguardo ed in presenza di una presunzione legale di gratuità dell’ufficio.


Note e riferimenti bibliografici

[1] G. TRIMARCHI, L’esecutore testamentario (diritto privato), in Enc. Dir., XV, Milano, 1966, 390 ss; G. CAPOZZI, Successioni e Donazioni, quarta edizione, Milano, 2015, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, 1057 ss; V. CUFFARO, Gli esecutori testamentari, in Tratt. Dir. Priv., a cura di Rescigno, seconda edizione, Torino, 1997, 320 ss; C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, seconda edizione, 1964, Milano, 537 ss; G. BONILINI, Degli esecutori testamentari, in Codice Civile Commentario fondato da P. Schlesinger, Milano, 2005, 606 ss; R. BRAMA, Manuale dell’esecutore testamentario, Milano, 1997; M. TALAMANCA, Successioni testamentarie, art. 679-712, in Comm. Cod. civ., a cura di Scajola e Branca, Bologna-Roma, 1976, 472 ss.

[2] Libro III, Titolo II, capo II, sezione VII: artt. 903 - 911.

[3] Libro II, Titolo III, capo VII: artt. 700 - 712.

[4] Cass., 23 aprile 1965 n.719; Cass., 05 luglio 1996 n.6143.

[5] CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Pubblicazione di testamento olografo e nomina del notaio ad esecutore testamentario, Risposta a Quesito n. 5283/C, in data 14 settembre 2004, a cura di M. LEO.

[6] G. BONILINI, La remunerazione dell’esecutore testamentario, in Famiglia Persona e Successioni, 2005, 441 ss; G. MANCA, Degli esecutori testamentari, in Comm. Cod. civ., diretto da D’Amelio e Finzi, Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, Firenze, 620 ss; VICARI, L’esecutore testamentario, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, prima edizione, Padova; L. GENGHINI e C. CARBONE, Le successioni per causa di morte, II edizione, in Manuali notarili a cura di L. Genghini, Milano, CEDAM, 2023; A. DEL GIUDICE, L’esecutore testamentario, in M.C. Bianca, Le successioni testamentarie, in Giur. Sist. Dir. Civ. e comm., Torino, 1983, 446 ss.

[7] Cass., 26 novembre 2015 n.24147.

[8] Cass., 30 agosto 2004 n.17382.

[9] Cass., 30 agosto 2004 n.17382.

[10] In particolare, la Cassazione ha affermato che «una volta escluso, sulla base delle considerazioni più sopra svolte, che il diritto alla retribuzione, per l'attività svolta quale esecutore testamentario, trovi fondamento nella legge, deve parimenti escludersi che il menzionato mandato possa costituire esso stesso, comunque, titolo idoneo a sorreggere la pretesa di pagamento del compenso da lui avanzata (omissis), non rinvenendosi, nella sentenza impugnata, alcuna indicazione circa gli effettivi atti che, diversi da quelli già rientranti nella normale competenza dell'esecutore testamentario (cfr. artt. 703-709 c.c.) e come tali non retribuibili, egli avrebbe dovuto compiere (e, in effetti, avrebbe compiuti), in esecuzione del mandato e per i quali avrebbe dovuto essere, invece, normalmente retribuito ai sensi dell'art. 1709 c.c. In altri termini, la corte non ha dato debito conto delle ragioni per cui, a suo giudizio (omissis) avrebbe diritto, in ogni caso, al compenso in virtù del mandato conferitogli dagli eredi e, quindi, per gli atti o le attività compiuti in esecuzione del mandato medesimo».