Credito su pegno e composizione della crisi da sovraindebitamento
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Emanuele Caimi
Si assiste negli ultimi anni ad un crescente interesse per le sovvenzioni accordate nella forma del credito su pegno. La più antica operazione bancaria si pone come un unicum sia nelle operazioni bancarie per l´impiego degli attivi, sia con riferimento al giudizio di meritevolezza in sede di erogazione sia con riguardo all´insolvenza del portatore della polizza emessa dall´ente- banca o intermediario e rilasciata all´anonimo presentatore della cosa consegnata al momento della conclusione dell´operazione. Sorge dunque la necessità di analizzare la compatibilità della disciplina dell´esdebitazione dell´insolvente con le caratteristiche proprie del credito su pegno, quale operazione bancaria eseguita incertam personam sulla base di una stima di un bene mobile dotato di intrinseco valore.
Credit on pledge and composition of the over-indebtedness crisis
In the last few years, we have been witnessing a growing interest towards subsidies granted through the paw loan institute; the most antique financia operation represents an unicum both in the field of bank operations concerning the disposition of assets, the worthiness analysis of the client and the holder of the policy´s insolvency, which is emitted by a bank or a financia operator and given anonymous person who handed the asset in exchange for the funding. Given these premises, it´s necessary to analyze the compatibility of the discharge discipline involving the insolvent with the innate characteristics of the pawn loan istitute, seen as a bank operation perfomed incertam personam of the evaluation of movable goods possensig intrinsic value.Indice: 1) Considerazioni introduttive; 2) Una prima pronuncia; 3) Caratteristiche dell’operazione bancaria di credito su pegno; 4) Sulla natura della polizza emessa da un ente attivo nel credito su pegno di cosa mobile; 5) Credito su pegno e procedure concorsuali; 6) Conclusioni.
1) Considerazioni introduttive
Con la legge 27 gennaio 2012 n. 3 “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento” si è inteso disciplinare il fenomeno dell’eccessivo indebitamento - sovraindebitamento - di chi non risultasse assoggettabile alle procedure concorsuali di cui al r.d. 26 aprile 1942 n. 267.
La legge contemplava tre differenti procedure: (i) l’accordo di ristrutturazione; (ii) il piano del consumatore; (iii) la liquidazione del patrimonio.
Con il Codice della Crisi si è dato un nuovo assetto organico al fenomeno del dissesto genericamente definito crisi e, al di là dell’utilizzo di espressioni neutre, nella sostanza si disciplina l’incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni da parte di imprese, individuali o collettive, di enti non necessariamente commerciali o da parte di persone fisiche.
Statisticamente, sarà più probabile che vi siano situazioni d’interesse per il credito su pegno, dal momento che i principali fruitori di questa forma di finanziamento restano le persone fisiche, al di fuori dell’eventuale attività d’impresa esercitata.
L’epilogo delle procedure, a prescindere se le stesse si possano definire concorsuali o meno, è l’ottenimento per l’insolvente dell’esdebitazione da parte del Tribunale ovvero, in via autonoma, anche ai sensi dell’art. 283 codice della crisi e dell’insolvenza.
La norma in questione introduce poi una novità, nel senso che è possibile per il debitore insolvente e sovraindebitato ottenere la liberazione dai debiti anche se impossibilitato a concedere, anche in prospettiva futura, un’utilità ai creditori.
La ratio della norma è da individuarsi nella scelta di voler assicurare al debitore una chance, la possibilità di una nuova ripartenza.
La medesima ratio era rinvenibile in quanto previsto nell’art. 142 L.F., così come modificato dall’art. 128 del D. Lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, che accordava l’ammissione del fallito al beneficio dell’esdebitazione, purché cooperasse con gli organi della procedura, non ritardasse o contribuisse ad arrecare ritardi alla procedura, non avesse violato l’art. 48 l.f., non avesse beneficiato di altra esdebitazione nei 10 anni precedenti; non avesse compiuto atti di distrazione, ovvero di aggravamento del dissesto, e non fosse stato condannato con sentenza passata in giudicato per i reati fallimentari, per i delitti contro l’economia pubblica, l’industria il commercio o nell’esercizio dell’attività d’impresa[1] e sempre che vi fosse stata una soddisfazione almeno parziale dei creditori, risultando preclusa l’esdebitazione nel caso di insoddisfazione totale degli stessi[2].
L’istituto in questione contempla la possibilità per il debitore incapiente di essere liberato dal debito, per una sola volta, qualora non sia in grado di assicurare ai creditori alcuna utilità diretta od indiretta (comma 1), salvo l’impegno a destinare, per il periodo di anni 4 a decorrere dall’esdebitazione, alla soddisfazione dei creditori delle utilità sopravvenute (attività lavorativa, lasciti et similia), utilità sopravvenute che assolvono ad una evidente funzione di temperamento del favor debitoris a vantaggio dei creditori.
Sicuramente nelle utilità sopravvenute potranno annoverarsi eredità e legati.
La richiesta avanzata dal debitore al giudice competente tramite l’Organismo di Composizione della Crisi, unitamente all’elenco dei creditori e all’indicazione delle somme dovute, si compone di un dettaglio degli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi cinque anni, delle ultime tre dichiarazioni dei redditi e dell’indicazione delle entrate (salari, stipendi, pensioni, altre entrate).
Il terzo comma dell’art. 283 c.c.i.i.. prevede che alla domanda sia allegata una relazione redatta dall’Organismo di Composizione della Crisi.
Nella relazione in questione l’Organismo è chiamato a valutare compiutamente la documentazione allegata e, in particolare, a rendere un giudizio di attendibilità e di completezza di quanto prodotto dal debitore unitamente al proprio ricorso.
Il procedimento è disciplinato nel comma 7 dell’art. 283 c.c.i.i. e prevede che il giudice assuma le opportune informazioni, all’esito delle quali è chiamato ad esprimere un giudizio di meritevolezza.
Tale giudizio presuppone, ma non si risolve, nell’accertamento dell’inesistenza di atti in frode, ovvero di un comportamento informato a dolo o a colpa grave nella formazione della situazione di indebitamento.
Compiuto positivamente l’accertamento di cui sopra il Giudice accoglie la domanda con decreto motivato, stabilendo il termine entro il quale il debitore debba presentare la dichiarazione sulle utilità ripartibili ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 283 codice della crisi e dell’insolvenza.
L’Organismo di Composizione della Crisi vigila sulla tempestività dell’adempimento da parte del debitore a quanto prescritto nel decreto che concede l’esdebitazione.
Il decreto d’esdebitazione deve essere comunicato ai creditori che hanno un termine perentorio di giorni dieci per proporre opposizione ai sensi dell’art. 283 comma 8 c.c.i.i..
Dopo aver inquadrato l'istituto dell'esdebitazione, è necessario interrogarsi se sia possibile definire conclusa un'operazione bancaria di prestito a fronte della costituzione in pegno di un bene mobile con il rilascio della polizza ai sensi dell'art. 10 l. 10 maggio 1938 n. 745 mediante il pagamento non già dell’intera somma dovuta per capitale ed interessi, ma di un importo minore, con conseguente restituzione di quanto costituito in pegno; il tutto previsto dalla procedura di esdebitazione attivata dal soggetto sovraindebitato nel cui attivo è presente tale polizza.
I diritti o i compensi di istruttoria ed emissione della polizza possono essere richiesti dal Monte (ente attivo nel credito su pegno di cui alla legge 745/38) all’emissione della polizza, quindi alla conclusione del negozio (ex art. 40 comma 2 r.d. 1279/39).
2) Una prima pronuncia in tema
Sul punto si registra una prima pronuncia resa dal Tribunale di Rimini in data 23 gennaio 2024.
La vicenda trae origine da un’opposizione svolta ai sensi dell’art. 283 comma 8 c.c.i.i. da un istituto finanziario (iscritto nell’albo 106 tub) ed attivo nel credito su pegno avverso il provvedimento di esdebitazione accordato dal Tribunale.
Dopo aver ricostruito la peculiarità della disciplina del credito su pegno il Tribunale di Rimini ha riconosciuto la natura di titolo alla polizza (sebbene non qualificandolo espressamene quale titolo di credito) ed ha evidenziato la stretta correlazione esistente tra la res e la sovvenzione erogata ed in particolare la portata dell’art. 11 L. 745/38 e dell’art. 47 del regolamento adottato r.d. 25 maggio 1939 n. 1279 giungendo ad affermare: «il confronto della normativa appena illustrata con la disciplina dell’esdebitazione rende evidente la incompatibilità della prima con la seconda una volta che sia il debito, sia il diritto alla restituzione dei beni dati in pegno sono incorporati nella Polizza di Pegno e che la restituzione dei beni stessi è sempre comunque condizionata alla presentazione della Polizza ed al pagamento contestuale dell’importo del debito con interessi ed accessori, la cancellazione del debito stesso in dipendenza dell’esdebitazione non sarebbe idonea ad eliminare l’obbligo di pagamento del riscatto».
Riconoscendo il carattere speciale della normativa, così conclude il Tribunale di Rimini rispetto all’esdebitazione di chi abbia in origine presentato il bene, quand’anche indicato nella polizza e comunque annotato nel libro di cui all’art. 1 legge 4 febbraio 77 n. 20[3]: «in definitiva, la specialità della disciplina del Monte dei Pegni, non derogata da apposita normativa speciale, comporta la insensibilità del debito portato dalla polizza di pegno alla esdebitazione del debitore originario».
Per il Tribunale di Rimini, dunque, in presenza di un debito connesso ad una polizza indicata da un privato escluso dall’area della liquidazione giudiziale si potrebbe giungere all’esdebitazione senza che a ciò consegua il diritto alla restituzione della res descritta nella polizza, con conseguente possibilità di ottenerne la restituzione solo previo pagamento di quanto dovuto, ovvero a fronte del pagamento di quanto eventualmente proposto in seno alla procedura.
Il Tribunale sembra tacciare di incompatibilità l’esdebitazione non tanto al credito, quanto piuttosto al diritto alla restituzione della cosa che è contenuto nella polizza se non con il pagamento di quanto previsto originariamente nella cartula di cui all’art. 10 L. 745/38.
La conclusione del Tribunale, pur rispondendo ad esigenze pratiche, non convince pienamente, poiché si focalizza sul solo effetto restitutorio e ciò non risulta coerente con la speciale natura del credito su pegno di cose mobili di cui alla legge 745/38.
3) Caratteristiche dell’operazione bancaria di credito su pegno
L’operazione bancaria del credito su pegno vede la consegna[4] all’ente (banca o intermediario finanziario autorizzato ed iscritto nell’albo tenuto ai sensi dell’art. 106 tub) di un bene (o meglio di una cosa[5]) di intrinseco valore[6] ed oggetto di stima da parte di un esperto (stimatore) con ricezione in cambio di una somma di denaro, entro un limite normativamente definito in relazione al valore di stima ed alla peculiarità della cosa offerta in garanzia[7], con obbligo di restituzione della somma entro una certa data (3, 6 o 12 mesi) e ricevendo, contestualmente allo spossessamento, una polizza, con possibilità di rinnovarla alla scadenza versando gli interessi, i diritti e gli accessori previsti in sede di stipula.
Nell’operazione di credito su pegno difetta una valutazione sul merito creditizio del presentatore del bene (noto all’ente in forza dell’art. 1 comma 1 legge 20/77), anche se non manca chi ritiene che in ogni caso un giudizio di meritevolezza debba essere compiuto da tutti gli operatori e a prescindere dalla tipologia dell’operazione svolta[8].
Tuttavia non si può ignorare la peculiarità dell’operazione di prestito su pegno, che può dirsi eseguita verso incertam personam[9], ragionevolmente ritenendo che anche l’ente attivo nel credito su pegno compia una valutazione di merito, sia pure in termini particolari e limitati alle caratteristiche proprie del bene ricevuto in garanzia[10].
L’art. 1 della legge 4 febbraio 1977 n. 20 non ha modificato il contenuto dell’art. 10 legge 745/38 e continua, nel testo tuttora vigente[11], a non prevedere il nominativo del soggetto che dà il bene in pegno tra gli elementi essenziali della polizza: l’identificazione è prevista non già per la peculiarità dell’operazione di credito, ma in ossequio a ragioni di vigilanza o di contrasto al riciclaggio, tant’è vero che interessa un registro istituito all’uopo ed in forza della legge 20/77.
Ciò conferma nuovamente, e con riferimento all’operazione di credito su pegno, la centralità della cosa ed un sostanziale anonimato dell’operazione[12].
È stato correttamente osservato che le condizioni patrimoniali del cliente (bisogno impellente di liquidità) non sono rilevanti al fine della stipulazione del contratto, ma tutt’al più ne rappresentano un mero presupposto di fatto, è anch'esso un dato che contribuisce a distinguere la figura del credito su pegno ed a farne una realtà giuridica autonoma e particolare[13].
D’altro canto, ancor prima dell’entrata in vigore della legge 4 febbraio 1977 n. 20, l’art. 119 r.d. 16 giugno 1931 n. 773 prevedeva – e prevede tutt’ora – che «le persone che compiono operazioni di pegno… sono tenute a dimostrare la propria identità, mediante la esibizione della carta di identità o di altro documento, fornito di fotografia, proveniente dall’amministrazione dello stato»[14].
E' evidente che la norma si applichi a coloro i quali richiedano ad un ente (banca o intermediario finanziario) l’erogazione di una sovvenzione di denaro a fronte della consegna di una cosa.
L’art. 2786 c.c. esordisce «il pegno si costituisce con la consegna al creditore della cosa» e quindi si limita a presupporre la consegna della cosa da parte del debitore all’ente; nel passaggio relativo alla sua descrizione nella polizza, da emettersi contestualmente all’erogazione, non v’è alcuna menzione diretta allo spossessamento[15]; eppure la consegna della cosa e quindi lo spossessamento inteso quale perdita della disponibilità del bene è centrale e caratterizzante l’operazione di credito su pegno di cose mobili.
La neutralità della consegna tuttavia non priva di rilievo la traditio poiché il legislatore, nel configurare diversi schemi contrattuali (dal pegno oggetto d’indagine sino all’opposto pegno senza spossamento, passando per il pegno di crediti, ovvero per il pegno costituito presso un terzo) rimette alla singola fattispecie la modalità concreta di attuazione della traditio[16].
Partendo da questa adattabilità della consegna all’interno dello schema contrattuale di riferimento non si può che rilevare la centralità e l’imprescindibilità della consegna della res e, quindi, lo spossessamento affinché si possa validamente realizzare il rapporto di garanzia accessorio alla sovvenzione monetaria erogata nella forma del credito su pegno.
Dunque la traditio non può che essere brevi manu[17] e non potrà essere ficta o realizzata con la costituto possessoria, poiché è evidente che i terzi dovranno essere edotti della creazione del vincolo e soltanto con l’indisponibilità della res e con l’attribuzione di un potere immediato e diretto sulla cosa al creditore ciò si può realizzare[18] e si può valutare nella particolare indagine sul merito creditizio sotteso all’erogazione.
Del resto per i beni mobili, in assenza di pubblici registri nei quali iscrivere la garanzia concessa e quindi tutelare il terzo acquirente in buona fede oltre che il creditore, è soltanto la materiale ed effettiva consegna della cosa a realizzare sia il vincolo reale che l’insorgenza del diritto di ritenzione, di espropriazione anche alternativa a quella pubblica disciplinata nel codice di procedura civile, il diritto di soddisfarsi con prelazione sul ricavato dalla vendita[19].
Anonimato del prenditore, stima, custodia, consegna e rilascio della polizza sono, dunque, gli elementi essenziali dell’operazione di credito su pegno.
L’art. 10 della Legge 745/38 prevede che contestualmente alla conclusione dell’operazione di prestito su pegno, all’impossessamento della res, la banca o l’intermediario debba rilasciare una polizza (sottoscritta dal perito, dal rappresentante dell’istituto o funzionario all’uopo delegato) al presentatore del bene che contenga:
- la denominazione della banca ovvero dell’intermediario finanziario, da coordinarsi con quanto previsto dall’art. 2250 del codice civile;
- una descrizione sommaria della cosa costituita in pegno (mentre nel registro istituito ai sensi dell’art. 1 comma 1 della legge 4 febbraio 1977 n. 20 la descrizione dovrà essere dettagliata);
- il valore di stima attribuito (in conformità dell’art. 40 del r.d. 1279/39)
- la data di concessione della sovvenzione e la data di scadenza;
- l’indicazione dei corrispettivi dovuti (interessi, diritti, spese);
Oltre a quanto previsto dall’art. 37 del regolamento adottato con il r.d.25 maggio 1939 n. 1279: (i) orario di servizio; (ii) sedi del Monte in cui possono essere compiute le operazioni di prestito, rinnovo, riscatto.
Il secondo comma dell’art. 37 del r.d. 25 maggio 1939 n. 1279 prevede che la polizza contenga la trascrizione delle norme statutarie relative allo smarrimento delle polizze, loro sottrazione e distruzione.
Non v’è la necessità di indicare il nome del sovvenzionato, dato che la polizza è al portatore e la natura non è mutata nemmeno a seguito dell’introduzione della legge 20 del 4 febbraio 1977.
Il secondo comma dell’art. 10 L. 10 maggio 1938 n. 745 precisa che quand’anche vi sia l’indicazione del nominativo del prenditore la polizza resta al portatore.
Al termine dell’operazione di prestito l’intermediario dovrà annotare a margine della polizza i dati identificativi del presentatore (ex art. 1 comma 3 legge 4 febbraio 1977 n. 20).
La polizza assume un'ulteriore importanza, poiché l’art. 2787, comma 3, c.c. subordina l’operatività della garanzia prelatizia per sovvenzioni di importo superiore alle 5000 lire (2,58 euro) a scrittura munita di data certa.
Il successivo quarto comma specifica «se però il pegno risulta da polizza o da altra scrittura a di enti, debitamente autorizzati, compiono professionalmente operazioni di credito su pegno, la data della scrittura può essere accertata con ogni mezzo di prova» .
Dunque, l’operatore professionale ed autorizzato – banca o intermediario finanziario - che compie credito su pegno, in deroga all’art. 2787 comma 3 c.c., può provare con ogni mezzo la data di compimento dell’operazione.
Si ritiene che la facoltà di provare con ogni mezzo la data della sovvenzione da parte dell’ente autorizzato resti una prerogativa limitata alle «sole operazioni di “credito su pegno”, previste dall’art. 48 T.u.b. e disciplinate dalla l n. 745 del 1938, oltre che dal r.d. n. 127 del 1939» [20].
4) Sulla natura della polizza emessa da un ente attivo nel credito su pegno di cosa mobile
Occorre interrogarsi sulla natura che assume la polizza nei confronti dell’intermediario nelle fasi di erogazione, di riscatto ovvero di rinnovazione.
Argomentando dall’art. 16 della L. 10 maggio 1938 n. 745 che accordava, in caso di furto, distruzione o smarrimento della polizza, la possibilità di ricorrere alla procedura di ammortamento, se ne è affermata la natura di titolo di credito[21], con tutte le conseguenti implicazioni in punto di circolazione, di eccezioni estranee al contenuto della cartula.
Altri hanno ritenuto che la polizza di pegno disciplinata dalla legge 745/38 abbia una natura giuridica mista, titolo di legittimazione (poiché il suo possesso e la sua esibizione sono presupposti per l’esercizio dei diritti derivanti dal rapporto di credito e titolo di credito improprio) e titolo di credito improprio (con riferimento al sopravanzo di vendita all’asta che spetta al possessore della polizza in caso di maggior realizzo rispetto al debito)[22].
Tuttavia, i titoli di credito sono per loro natura e funzione destinati alla circolazione.
Nel caso di specie non vi è un divieto esplicito ed assoluto alla circolazione della polizza ma viene fatto divieto di acquistarle abitualmente, e al cessionario della polizza non compete un diritto diverso da quello spettante all’originario titolare: ciò induce a ricondurre la polizza emessa da un Monte di credito su pegno ai titoli di legittimazione[23].
E, in particolare, si è osservato che «il pegno si costituisce con la consegna al creditore della cosa» la caratteristica “al portatore” riconosciuta dalla legge alla polizza deve riferirsi, pertanto, non al regime di circolazione quanto piuttosto alla forma di legittimazione, nel senso che legittimato ad esigere la prestazione è colui che è nelle condizioni, in quanto possessore, di esibire il documento» [24].
Anche la giurisprudenza esclude la natura di titolo di credito alla polizza ex art. 10 L. 10 maggio 1938 n. 745 considerandola mero documento di legittimazione[25].
Dalla legittimazione cartolare discendono indubbi vantaggi per l’operatore che si libererà dai propri obblighi, di custodia e di restituzione, sia mediante la riconsegna del bene accettando il pagamento del dovuto per capitale, interessi e altri accessori da colui il quale gli esibirà la polizza, sia in ipotesi di trasferimento della polizza a terzi, la facoltà per quest’ultimo di ottenere, con l’adempimento di cui sopra, la restituzione della cosa.
Di recente si è messa in dubbio la natura di titolo di legittimazione per la polizza emessa da un ente attivo nel credito su pegno che non sarebbe «in definitiva, né titolo di credito improprio, né documento di legittimazione. La polizza, per contro, è espressione di una legge che disciplina, in modo separato ed autonomo, il prodotto bancario definito credito su pegno, in tutte le sue caratteristiche causali: la sua industria e le sue relative modalità operative» [26].
Sicuramente, la polizza emessa da un ente attivo nel credito su pegno è un unicum, non è assimilabile alla ricevuta rilasciata da un deposito ad ore di bagagli, ovvero ad un parcheggiatore ad ore (ricevuta che certamente prova il rapporto, che legittima alla richiesta di restituzione, ovvero che contiene elementi per l’utile determinazione del corrispettivo dovuto per il servizio reso).
Né può dirsi che il richiamo alla normativa pubblicistica di cui al d.Lgs. 231/07 (art. 1 comma 2 lettera s)) influisca sulla sua peculiarità.
D’altro canto, è evidente che la polizza rilasciata in un’operazione di credito su pegno difficilmente possa essere concepita come mezzo di pagamento.
Un altro tema che merita di essere affrontato è quello della digitalizzazione della polizza di pegno[27], tema di sicuro interesse dal momento che i rapporti bancari in generale vengono sempre più definiti con modalità digitali, mediante l’accesso con app o direttamente tramite siti internet, con la trasmissione in formato elettronico degli estratti conto o di altri documenti relativi al rapporto e con la sottoscrizione digitale dei principali documenti per l’instaurazione e gestione del rapporto.
Tuttavia, la dimensione del credito su pegno è fisica.
Fisica è la consegna della res a cui consegue la consegna fisica della polizza, lo scambio tra la cosa e la cartula difficilmente può avvenire con modalità digitali, quanto meno all’avvio del rapporto.
Altro discorso è il rinnovo della polizza: al più potrà essere chiesto anche da remoto; d’altro canto, la stima del bene, necessaria in caso di rinnovo, non necessariamente dovrà avvenire nel contraddittorio tra cliente ed istituto, sia perché la trasmissione digitale del documento contenente il rinnovo può far richiamo all’originaria polizza resa, sia perché la cosa è custodita presso l’ente erogante che è tenuto a dotarsi di locali adeguati allo scopo (art. 48 comma 2 tub) ed assume uno specifico obbligo di custodia nei confronti del prestatario.
5) Credito su pegno e procedure concorsuali
Proprio la presenza nella legge fallimentare di una norma finalizzata a disciplinare la vicenda dei beni costituiti in pegno dall’imprenditore fallito contribuisce a confermare che l’operazione di credito non sia riservata soltanto alle persone fisiche consumatrici.
Potrebbe accadere che dopo la conclusione del contratto su credito su pegno - magari proprio per esigenze legate al funzionamento dell’impresa - il soggetto che ha consegnato la cosa fallisca/venga liquidato giudizialmente e la procedura rinvenga nell’attivo una polizza che legittimi il possessore ad esercitare i diritti connessi.
Sia la Legge Fallimentare che il nuovo Codice della Crisi contengono il principio dell’esclusione delle forme di esecuzione individuali, prevedono il concorso dei creditori che devono far accertare il proprio credito nella procedura concorsuale e partecipare al riparto del ricavato tra gli aventi diritto secondo le regole proprie del concorso.
Un primo interrogativo riguarda l’attualità o meglio l’utilità concreta di una domanda di partecipazione al passivo da parte dell’intermediario attivo nel credito su pegno.
Come detto l’operazione rimane sostanzialmente ad incertam personam, nonostante l'emanazione della legge 20/77 che in ogni caso non ha variato minimamente il contenuto della polizza, non modificando il testo dell’art. 10 L. 745/38.
Anche a voler confrontare il numero di polizza con il registro istituito a mente dell’art. 1 della legge 20/77 non è detto che il possessore della polizza appresa dal curatore sia poi l’effettivo ed originario presentatore della cosa.
Fatte queste premesse non si può che concludere per l’inapplicabilità della norma della legge fallimentare ed ora del codice della crisi alle operazioni di credito su pegno.
Al più si potrebbe riconoscere all’eventuale insinuazione proposta una valenza meramente formale, priva di effetti concreti in capo all’ente[28].
E' quindi necessario chiedersi come possa conciliarsi la lettera dell’art. 11 della legge 745/38 con i principi che reggono le procedure concorsuali.
Al primo comma la norma stabilisce che il proprietario delle cose o rubate o smarrite, a cui è equiparato «chiunque, per qualsiasi titolo, abbia diritti su cose costituite in pegno», deve rimborsare al Monte il capitale, gli interessi e le spese se vuole ottenere la restituzione della cosa.
L’utilizzo del termine «chiunque» consente di annoverare tra i destinatari della norma anche il curatore.
Nell’ipotesi in cui il curatore fallimentare abbia rinvenuto nell’attivo del fallito delle polizze emesse da un istituto attivo nel credito su pegno non può prendere il bene concesso in garanzia e richiedere all’istituto di partecipare al concorso secondo le regole proprie del fallimento.
Nella legge fallimentare il tema era affrontato nell’art. 53, comma 3 L.F. che prevedeva la facoltà per il curatore, munitosi delle autorizzazioni di legge, di riscattare il bene costituito in pegno, previo rimborso del capitale prestito e pagamento degli interessi dovuti, con ciò confermando ancora una volta la specialità della norma.
Potrebbe succedere che il bene descritto nella polizza rivenuta dal curatore ed inventariata abbia un intrinseco valore rispetto al debito ivi iscritto, si pensi all’ipotesi in cui un bene venga impegnato, per libera scelta del presentatore, per un importo inferiore rispetto al limite normativo.
Con la riforma del 2007 l’art. 53 comma 2 è stato modificato prevedendo che il creditore assistito da pegno «fa istanza al giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalità a norma dell’art. 107».
L’art. 53, così come riformato dal D. Lgs. 169/07, è stato trascritto integralmente nell’art. 152 del Codice delle Crisi che dopo aver ribadito la necessità di far accertare il credito, stabilisce che l’esecuzione privata possa avvenire soltanto a seguito di previa richiesta e con le modalità stabilite dal decreto del giudice, mentre nel terzo comma conferma la possibilità per il curatore, munito dell’autorizzazione del giudice delegato acquisito il parere del comitato dei creditori, di prendere il bene nell’attivo fallimentare sempre rimborsando il capitale e gli interessi maturati all’operatore finanziario.
Occorre chiedersi se la previsione di cui all’art. 53 comma 2 della legge fallimentare (ora art. 152 comma 2 del Codice della Crisi) abbia derogato la norma speciale, prevista nella legge 745/38, che disciplina la vendita satisfattiva organizzata dall’ente.
La modifica del 2007 appare finalizzata ad affermare la necessità della vendita competitiva, quale strumento per la realizzazione degli attivi fallimentari e concorsuali in genere, sanzionando con la nullità qualsiasi violazione.
Di per sé il principio affermato non è per nulla incompatibile con le regole poste a garanzia della vendita competitiva da parte dell’ente.
Anche in questo caso l’attività espropriativa è da considerarsi a tutti gli effetti pubblica, nel senso che la vendita espropriativa e realizzativa del pegno avviene con modalità competitive che favoriscono la partecipazione di un insieme indefinito di interessati.
Ne discende che il decreto richiamato nel secondo comma dell’art. 152 del c.c.i.i. non potrà incIdere in alcun modo con le norme stabilite nel regolamento trasmesso alla Banca d’Italia ed adottato in conformità alla legge 745/38.
D’altro canto la possibilità per l’intermediario operante nel credito su pegno è norma speciale che non può dirsi abrogata o modificata dalla legge fallimentare prima e dal Codice della crisi attualmente vigente.
L’ente potrà in ogni caso dar corso alla vendita qualora, decorso il termine di 30 giorni dall’originaria scadenza, il curatore non riscatti il bene corrispondendo il dovuto così come concordato all’atto della conclusione dell’operazione.
Un ulteriore elemento che conduce all’inapplicabilità dell’art. 152 comma 2 del Codice della Crisi agli istituti di credito su pegno lo si ricava proprio dalla particolare disciplina della vendita all’asta.
Infatti, la norma prevede che l’intermediario, decorso il termine di grazia di giorni 30 dalla scadenza del termine indicato nella polizza, può porre in vendita competitiva per due volte una cosa non riscattata e successivamente procedere con l’assegnazione in danno dello stimatore per il prezzo di stima, oltre agli interessi e ai compensi dovuti al Monte (art. 15 L. 745/38).
La norma in questione di natura speciale contiene un’ipotesi di assegnazione diretta allo stimatore al di fuori di procedure competitive e si pone chiaramente in contrasto rispetto alla previsione generale contenuta nel codice della crisi circa le vendite competitive per il trasferimento del diritto di proprietà su di un bene.
Ma la peculiarità della norma – che risulta compatibile con l’art. 3 della Costituzione – riguarda l’esperienza storica di assicurare la tenuta patrimoniale dell’operatore attivo nel credito su pegno, fine che certamente l’assetto costituzionale tutela.
Ne discende che il decreto del giudice delegato, ove si volesse conservare una qualche utilità concreta alla norma in questione e la si volesse ritenere applicabile in via astratta e teorica al credito su pegno mobiliare con spossessamento, non potrà che richiamare pedissequamente le norme contenute nel regolamento per la vendita competitiva adottato dall’intermediario e contemplare, espressamente, l’assegnazione allo stimatore, nel rispetto dell’art. 15 della Legge 745/38 sia per quanto concerne l’importo da corrispondere che il termine stringente di due giorni per il versamento del saldo prezzo nelle casse dell’intermediario, termine che è chiaramente in deroga rispetto a quanto previsto in caso di vendita all’asta individuale e generalmente in caso di vendita in sede concorsuale.
In argomento è intervenuta la Corte di Cassazione, con una pronuncia non recente ma che conserva ancora la sua attualità, concludendo per la non applicabilità al credito su pegno dell’art. 53 l.f.[29].
L’argomentazione svolta muove proprio dalla specialità della disciplina del credito su pegno delineato dalla legge 745/38 poiché «la disciplina del pegno delineata dalla legge speciale successiva, non comprende la materia del pegno speciale accordato ai monti di pegno, per il quale sono previste particolarità di natura sostanziale, intimamente connesse alle modalità di esecuzione e non attuabili con le modalità liquidative del fallimento»[30].
6) Considerazioni conclusive
Ciò considerato, una prima osservazione pone un dubbio di compatibilità dell’istituto disciplinato dall’art. 283 c.c.i.i. poiché, al comma 1, si richiede che il debitore non sia in grado di assicurare nessuna utilità, direttamente o indirettamente, ai propri creditori, mentre nel caso di specie la mera disponibilità della polizza ex art. 10 L. 745/38 è una evidente contraddizione in termini poiché un’utilità, la res costituita in pegno, esiste nel patrimonio del portatore, o meglio esiste nel patrimonio di quest’ultimo il diritto – contenuto nella polizza - ad ottenerne la restituzione.
Ed il bene costituito in pegno ha certamente un valore superiore al debito ivi previsto stante il limite d’erogazione contemplato nell’art. 39 del regolamento adottato con il r.d. 1279/39.
Non è poi da escludersi – e nella pratica non è infrequente – che colui che costituisce il bene in pegno richieda espressamente una sovvenzione di importo inferiore rispetto al valore del bene consegnato in sede di stima ed al limite d’erogazione previsto.
Dunque, in termini assoluti esiste un’utilità, resta da chiedersi se la lettera di cui all’art. 283 comma 1 c.c.i.i. si riferisca a qualunque valore oppure se l’utilità sia piuttosto da misurarsi in ragione dell’effettiva idoneità di quanto presente nell’attivo del debitore ad assicurare una sia pur minima ripartizione ai creditori, ovverosia se il bene riscattabile con la presentazione della polizza abbia un maggior valore.
Non resterà che valutare caso per caso la rilevanza del valore del bene descritto nella polizza in rapporto alla sovvenzione erogata, che non necessariamente avviene per modesti importi (essendo venuto meno il riferimento normativo ad opera del testo unico bancario).
Infatti l’art. 1 della legge 10 maggio 1938 n. 745 recitava «gli enti che propongono come attività fondamentale di concedere prestiti di importo anche minimo, a miti condizioni, con garanzie di pegno su cose mobili per loro natura, assumono la denominazione di “Monti di credito su pegno».
In ipotesi di valori modesti delle cose consegnate in pegno – in quanto inidonei a giustificare un riparto ai creditori – si dovrà concludere per l’esclusione dell’esistenza di attivi rilevanti nel patrimonio del debitore incapiente.
Viceversa, nell’ipotesi in cui vi sia un bene dotato di intrinseco valore oppure qualora vi sia una situazione di erogazione d’importo notevolmente inferiore rispetto al valore commerciale della res, si dovrà valutare l’effettiva convenienza del riscatto del bene e la sua idoneità ad assicurare una qualche utilità; conseguentemente escludere l’accesso alla procedura di cui all’art. 283 c.c.i.i.
In secondo luogo, è proprio il diritto alla restituzione della cosa, rappresentato dalla polizza, a prevedere il pagamento di quanto concordato come condizione per la restituzione.
Si tratta dunque di un diritto condizionato al pagamento di quanto convenuto (per capitale, interessi ed altri accessori), esercitabile in ogni momento e quindi anche prima del termine (che è soltanto a favore del debitore – portatore della polizza), importo che non può essere modificato in sede di procedura concorsuale (ovverosia estinto con falcidia) proprio stante l’assoluta specificità riservata alla sola operazione di finanziamento di credito su pegno di cose mobili, con spossessamento, di cui alla legge 745/38.
Ma alla stessa conclusione si può giungere argomentando proprio dalla natura in incertam personam del prestito su pegno.
Infatti, questa particolare forma di operazione bancaria si risolve in ciò: a fronte della cosa suscettibile di valutazione autonoma e dotata di intrinseco valore risulta irrilevante nel procedimento di concessione del prestito ogni valutazione sulla persona del presentatore ed ogni indagine sulla capacità di rimborso del denaro ricevuto, e se vogliamo è pure irrilevante per l’ente erogante la valutazione circa la capacità del presentatore del bene di restituire quanto ricevuto e pagare gli accessori previsti.
Proprio l’impossibilità di individuare il debitore e l’irrilevanza del nominativo del debitore nell’economia del negozio, quand’anche riportato sulla polizza rilasciata al momento della conclusione del negozio e quindi a fronte della consegna della cosa, conduce ad affermare l’impossibilità che un valido provvedimento di esdebitazione possa essere reso, per il semplice fatto che la persona che abbia svolto ricorso per l’esdebitazione ex art. 283 c.c.i.i., in quanto incapiente, non può dirsi in sé debitrice, ma al più titolare del diritto alla restituzione della cosa (che prevede il pagamento di una somma).
Né si potrebbe obiettare che il titolare sia debitore per il semplice fatto che abbia la disponibilità materiale della polizza; si tratta, come noto, di un documento di legittimazione che circola al portatore e che potrebbe risultare nella disponibilità dell’istante per ragioni estranee alla consegna della cosa in sede di conclusione del prestito.
D’altro canto, è la cosa che risolve il prestito ed al creditore non compete alcuna azione nei confronti del presentatore – per quanto ne conosca il nome – per ottenerne il pagamento.
[1] Elencazione tassativa, si veda sul punto Cass. I Sez. Civ. 31 maggio 2023 n. 15.359.
[2] Ancora da ultimo Cass. I. Sez. Civ. 5 giugno 2023 n. 15.694 che pur tuttavia impone di analizzare la condizione della soddisfazione in caso di soci illimitatamente responsabili distinguendo tra creditori sociali e creditori particolari del singolo socio.
[3] La norma in questione al primo comma impone che chiunque voglia accedere ad un’operazione di credito su pegno debba presentarsi mediante l’esibizione dei propri documenti di identità, ciò in conformità a quanto previsto nell’art. 119 del tulps (in questi termini il primo comma dell’art. l). Il secondo comma dell’art. 1 prevede l’istituzione di un registro a cura dell’ente nel quale annotare i dati anagrafici di colui che presenta il pegno con l’indicazione “del documento di identificazione, la data dell’operazione, il numero della polizza di pegno, nonché la descrizione dettagliata degli oggetti ricevuti in pegno”. Si noti che la norma in questione contiene una evoluzione rispetto al contenuto previsto dall’art. 10 della legge 745/38 che prevede soltanto la “sommaria descrizione” delle cose ricevute in pegno. Il terzo comma, con funzione di chiusura e di controllo, prevede che all’atto dell’estinzione del pegno siano indicate “le generalità dell’esibitore della polizza di pegno con la indicazione del documento di identificazione personale”.
[4] S. Ciccarello Voce Pegno, in Enc dir. Vol. XXXXII, Milano, 1982, 685 n. 27.
[5] P. De Gioia Carabellese, Il contratto di credito su pegno. Contributo allo studio del digital banking, Bari, 2023, 156 e ss. in particolare pagina 158: “la tematica diventa ancor più criptica, ove si pensi che anche il codice civile del 1865… non prende in considerazione la cosa, quanto il bene. Ai sensi dell’art. 406, “le cose che possono formare oggetto di proprietà pubblica o privata, sono beni immobili o mobili. L’att. 416, nel riferirsi ai beni mobili, stabilisce che gli stessi sono tali “o per loro natura o per destinazione della legge”.
[6]Contribuisce alla delimitazione delle cose che possono costituire oggetto del pegno l’art. 43 del regolamento del 1939 che esclude alcune tipologie di beni, ora perché fragili o deperibili, commestibili, esplosivi o infiammabili ovvero, richiamando l’esclusione dal pignoramento, gli arredi e l’equipaggiamento dei militari ed equiparati, gli abiti dei religiosi ed i paramenti sacri. Art. 43 r.d. 1239/39: “non possono essere costituiti in pegno gli oggetti fragili, corruttibili, facilmente infiammabili o esplodenti, i commestibili, i liquidi, gli arredi di vestiario od equipaggiamento militari ed equiparati, gli abiti religiosi, i paramenti sacri e gli oggetti di culto”.
Negli stessi termini l’art. 215 del r.d. 6 maggio 1940 n. 635 “Regolamento per il testo unico 18 giugno 1931 n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza” che ripropone il medesimo testo nel primo comma.
[7] I quattro quinti per i beni ritenuti preziosi e i due terzi del valore commerciale per tutti gli altri beni.
[8] G. Falcone, Controlli di conformità e Reg. tech, nella concessione del credito, in Dir. Banc. Merc Fin. 2002, I, 112 secondo cui “essa viene realizzata qualunque sia la tipologia del credito… ed indipendentemente dalla tipologia del richiedente”.
[9] S. Gatti, Il credito su pegno, Milano, 2020 35, diversamente Pipitone, Il credito su pegno nella legge fallimentare e nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in Dir. Banc., 1994, I, 378.
[10] Anche se non è da escludersi, soprattutto in ipotesi di sovvenzioni di importo significativo, il compimento di una valutazione circa la possibilità del presentatore della cosa di rimborsare il denaro ricevuto, magari valutando le finalità dell’impiego della somma ricevuta.
[11] Art. 10 comma 1 L. 745/38: “le operazioni di prestito su pegno debbono essere effettuate mediante rilascio, al prestatario, di una polizza, la quale deve contenere la denominazione del monte, la descrizione sommaria della cosa costituita in pegno, il valore di stima attribuito, la data di concessione e quella della scadenza del prestito, la indicazione dei corrispettivi dovuti al monte e quelle altre indicazioni che siano stabilite nelle norme di cui all’art. 35” , l’art. 35 risulta abrogato.
[12] In questi termini S. Gatti, op. cit p. 59 “fra i tratti caratteristici del contratto in esame non si può dimenticare il fatto che si tratta sostanzialmente di un prestito in incertam persona… la legge n. 20 del 1977 non sembra, tuttavia, aver stravolto la peculiare natura della polizza e del credito su pegno. La polizza resta al portatore e continua ad attribuire la legittimazione al riscatto o al rinnovo a chiunque la esibisca”; diversamente G. Falcone, op. cit. 2012 p. 231 il quale dalla legge 20 del 1977 individua dei limiti all’anonimato sostanziale dell’operazione di credito.
[13] S. Gatti, op. cit., p. 65.
[14] Corte Cost. 31 luglio 2000 n. 408 ha affermato, nel confermare la compatibilità della norma speciale dettata per il credito su pegno che la legge 20/1977 ha determinato “l’abolizione dell’anonimato del prestito”, quando in verità già nel TULPS vi era una previsione in tal senso.
[15] Gabrielli, Commento sub art. 2786 c.c., in Gabrielli, Commentario del Codice Civile, Torino, 2016, 130: “se si riflette sulla formulazione letterale della norma appare evidente che il legislatore non ha menzionato lo spossessamento del debitore –o l’impossessamento del creditore- per definire la disciplina del momento costitutivo del diritto di garanzia, ma ha fatto leva sulla consegna della cosa, alla quale, come dato neutro, va riconosciuto un valore meramente strumentale rispetto alla situazione finale che mira a produrre”.
[16] Gabrielli, Op. cit., 127.
[17] R. Sacco, Il contratto, Rescino, Trattato di diritto privato, Torino, 2004 887.
[18] Sebbene si ponga il problema dell’idoneità, in generale, della concezione storica del pegno quale potere immediato e diretto sulla res, soprattutto in relazione a forme, per esempio quelle disciplinate nell’art. 2786 comma 2 c.c., si veda in particolare Conforti, Diritti reali in generale, in Cicu – Messineo- Mengoni, Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, Giuffrè, 1980 p. 240.
[19] Corte d’Appello di Firenze 10 gennaio 1953 in Giur. Toscana, 1953, p. 38 che afferma la natura reale del contratto di pegno ed il suo perfezionamento in uno con la consegna della cosa, poiché solo attraverso la consegna della cosa è possibile attribuire pubblicità all’operazione e tutelare i creditori. In particolare sulla consegna come forma di pubblicità si veda Corte d’Appello di Palermo, 3 settembre 1966 in Dir. Fall. 1967, II, 117.
[20] In questi termini Cass. I Sez. Civ. 6 giugno 2019 n. 15.421, in questi termini anche Cass. I Sez. Civ. 19 novembre 2008 n. 23.839 che ha escluso la rilevanza ai fini probatori dell’annotazione nel libro dei pegni, anche se regolarmente vidimato, che non contenga la riproduzione della scrittura relativa al credito garantito.
[21] P. De Gioia Carabellese, op. cit., 173 ss: dopo aver richiamato la lettera dell’art. 16 della legge 745/38, ed aver confutato la previsione di cui all’art. 1 comma 2 lettera s) del d. Lgs. 231/07, assimila la polizza al “pawn agreement” anglosassone sussumendo la polizza di pegno nell’alveo dei “documenti probatori” che “rappresentano un autonomo genus, in cui, accanto alla funzione principale, quella di prova della titolarità del rapporto, si accompagnano funzioni accessorie, fra cui, come nel caso della polizza del credito su pegno, quella di pagamento, e per certi versi di circolazione”.
[22] Gasperini, La natura giuridica della polizza di pegno nell’ordinamento italiano, in Il credito pignoratizio, 1982, 61.
[23] S. Gatti, op. cit, 74.
[24] S. Gatti, op. cit., 74.
[25] In questi termini Tribunale di Genova, 22 marzo 1989, in Banca Borsa e Titoli di Credito, 1991, II, 268: “la polizza di pegno non ha natura di titolo di credito, essendo mero documento di legittimazione. Conseguentemente al portatore possono opporsi anche eccezioni a lui non personali non risultanti dal tenore letterale del documento”, in particolare nel caso trattato dal Tribunale di Genova è stato consentito l’opposizione al portatore della polizza dell’esistenza di un maggior credito rispetto al dato indicato sulla polizza medesima.
[26] P. De Gioia Carabellese, op. cit., 178 per il quale la polizza sarebbe assimilabile ad una ricevuta, ricevuta che non muta la propria natura nel “richiamo alla disciplina dell’ammortamento è per mere finalità pratiche”.
[27] P. De Gioia Carbellese, op. cit., 180 e in particolare pagina 181: “la digitalizzazione della polizza non sembra impedita dal comma 2 dell’art. 10 L. 745 del 1938”.
[28] S. Gatti, op. cit., 97 - 98. In senso contrario Alfieri, Il prestito su pegno, 32 - 33. Si osserva che in giurisprudenza, sia pure con riferimento a situazioni differenti e non rientranti nell’ambito della previsione di cui alla legge 745/38, ma genericamente riferibili “ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione la possibilità di procedere, pendente la procedura concausale, alla vendita del bene, non la configura come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avviene al di fuori del fallimento, perché richieste l’accertamento del credito nelle forme dell’insinuazione allo stato passivo e perché assoggetta la vendita del bene gravato dal privilegio all’autorizzazione ed ai criteri direttivi del giudice delegato, a fronte della concorrente legittimazione del curatore”.
[29] Cass. 25 luglio 1992 n. 8975 in Dir. Fall. 1993, II, 834. Interessante è la pronuncia Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, 3 maggio 2000, in Dir. Fall., 2000, II, 1297 che esclude l’operatività dell’esenzione di cui all’art. 53 l.f. per i beni costituiti in pegno successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento – ed ora di liquidazione – in favore di un ente debitamente autorizzato alla concessione del credito nella forma del credito su pegno.
[30] Cass. 25 luglio 1992 n. 8975 cit.