• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 17 Lug 2024
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservatorio Notarile - Gennaio/Giugno 2024

Modifica pagina

autori Giulia Fadda , Marco Filippo Giorgianni



Osservatorio semestrale su temi di interesse notarile a cura del Notaio Marco Filippo Giorgianni e della dott.ssa Giulia Fadda. In questo numero è presente un contributo del Notaio Gabriele Mercanti riguardante le liberalità diverse dalle donazioni e un articolo dell´Avvocato Caimi Emanuele sulla tematica del credito su pegno nell´ambito della crisi da sovraindebitamento.


ENG

Notarial Observatory - January/June 2024

Half-hearly observatory on issues related to the notarial profession edited by the public Notary dott. Marco Filippo Giorgianni and the dott.ssa Giulia Fadda. In this issue there is a contribution by the public Notary dott. Gabriele Mercanti concerning the indirect donations and an article by the lawyer Caimi Emanuele concerning the pledge credit in the context of the over indebtedness crisis.

NOTA A SENTENZA

LE LIBERALITA’ DIVERSE DALLE DONAZIONI TRA PROFILI APPLICATIVI E RILEVANZA FISCALE[1]

Tutti gli articoli pubblicati nell'Osservatorio Notarile sono stati sottoposti a revisione a doppio cieco e approvati da almeno un membro del Comitato scientifico della Rivista competente per il settore disciplinare di riferimento.

Indice: 1. Il caso; 2. La nozione di liberalità non donativa; 3. Il trattamento ai fini dell’imposta di donazione; 4.  La decisione; 5. Conclusioni.

(Cass., Sez. V, 13 marzo 2024, dep. 20 marzo 2024, n. 7442 - Pres. Sorrentino - Rel. Lo Sardo)

In tema di imposta sulle donazioni, l'art. 56-bis, comma 1, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, deve essere interpretato nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni, ossia tutti quegli atti di disposizione mediante i quali è realizzato un arricchimento (del donatario) correlato ad un impoverimento (del donante) senza l'adozione della forma solenne del contratto di donazione tipizzato dall'art. 769 cod. civ., e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, sono accertate e sottoposte ad imposta (con l'aliquota dell'8%) - pur essendo esenti dall'obbligo della registrazione - in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall'interessato nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti (Euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, Euro 100.000 per fratelli e sorelle, Euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap).

1. Il caso

Lo zio - mediante apposito ordine alla propria banca - trasferiva alla nipote denaro e strumenti finanziari, dal medesimo detenuti presso Istituto di Credito Elvetico, accreditandoli presso il di lei conto corrente nella medesima banca (per cui si trattava di un’operazione estero su estero, ma con destinatario dell’attribuzione residente in Italia); pochi mesi dopo la beneficiaria depositava presso un Notaio di Lugano una dichiarazione con la quale aveva rifiutato tale liberalità per lasciarne l’oggetto nella piena ed assoluta disponibilità dello zio paterno[2].

Nell’ambito della prima voluntary disclosure[3] l’A.E. qualificava il precitato trasferimento come liberalità indiretta e, per l’effetto, emetteva verso la nipote avviso di liquidazione per omesso pagamento dell’imposta sulle donazioni avverso il quale la contribuente promuoveva impugnazione presso la C.T.P. di Bergamo che, però, la rigettava.

Successivamente la C.T.R. della Lombardia confermava la decisione di primo grado sul presupposto che il trasferimento delle attività finanziarie in questione, ancorché sprovvisto dei requisiti formali dell’atto pubblico, integrasse una «liberalità» (senza ulteriore specificazione sulla relativa natura) e che, quindi, fosse soggetto ad imposta sulle donazioni.

Ecco che, allora, parte soccombente promuoveva ricorso per Cassazione affidandolo a quattro motivi: con il primo, denunciava l’erronea valutazione per cui il trasferimento di strumenti finanziari privo di forma pubblica fosse valido, dato che dalla sua nullità (per difetto di forma) ne sarebbe scaturita l’assenza del presupposto tributario; con il secondo, denunciava l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla dichiarazione di rifiuto resa avanti al Notaio di Lugano; con il terzo, denunciava l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla lacunosità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata; con il quarto, denunciava l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dal travisamento della prova circa il rifiuto della liberalità in questione.

La pronuncia in commento, seppur scaturita da una pretesa squisitamente tributaria, suggerisce una riflessione sulla natura delle liberalità indirette (rectius, non donative)[4] per poi vagliarne gli esiti sul versante impositivo, senza tuttavia scordare la dovuta cautela metodologica scaturente dalla discutibile tendenza giurisprudenziale volta a rendere il diritto tributario sempre più avulso dai principi sistemici[5].

2. La nozione di liberalità non donativa

La demarcazione ideologica tra la donazione e gli altri atti di liberalità è una piana conseguenza dell’art. 809 c.c. che estende ai secondi un gruppo di norme valevoli per la prima[6], così sancendo che la donazione non sia l’unico strumento utilizzabile per realizzare l’endiadi tra arricchimento di una parte ed impoverimento dell’altra[7].

La casistica in materia di liberalità è, per intrinseca connotazione, del tutto eterogenea[8] potendosi - limitandosi in questa sede alle ipotesi di maggiore frequenza giurisprudenziale - citare: gli atti rinunziativi[9]; il pagamento del debito altrui[10]; l’intestazione di beni a nome altrui[11]; il mandato irrevocabile alla vendita con obbligo di versarne le rendite ad un terzo[12]; il contratto a favore di terzo in generale[13] e, quale sua sottospecie, il contratto di assicurazione[14]; la delegazione in assenza di rapporto di provvista e/o di valuta[15]; l’accollo[16]; il negotium mixtum cum donatione[17]; le convenzioni matrimoniali lato sensu ampliative di quello che ne costituirebbe l’oggetto legale[18]; l’atto di dotazione di beni in trust[19]; la cointestazione di buoni postali del padre a favore dei figli[20]; la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito[21]; la nomina di un terzo da parte del promissario acquirente che già abbia pagato tutto o parte del prezzo[22].

Ma ci si è spinti oltre rinvenendo la sussistenza della liberalità indiretta anche nel compimento di atti meramente materiali come la costruzione sul suolo altrui ovvero in attività omissive come la mancata eccezione di estinzione per prescrizione estintiva, da parte del nudo proprietario, del diritto reale di godimento altrui o, ancora, la mancata interruzione dell’usucapione: è, però, pienamente condivisibile l’assunto per cui qualsivoglia condotta, materiale o omissiva che sia, non possa mai essere di per sé sufficiente per la realizzazione dell’effetto liberale a favore di altro soggetto ove non sia abbinata ad un intento negoziale in capo al donante che, per essere tale, deve rinunciare a far valere pretese restitutorie e/o indennitarie[23].

Sovente é evocato l’ambito del negozio indiretto in seno alla quale spicca la divergenza tra lo strumento (anomalo) utilizzato e lo scopo (effettivamente) perseguito, di modo che si possa realizzare il collegamento tra i cosiddetti negozio-mezzo e negozio-fine[24]; ma occorre dire che l’autonomia concettuale del negozio indiretto è tutt’altro che incontestata[25].

Ma su un punto, almeno, esiste concordia assoluta: la liberalità indiretta non è soggetta a vincoli di forma[26].

3. Il trattamento ai fini dell’imposta di donazione

Passando al versante tributario, la liberalità indiretta non sfugge di per sé alla debenza dell’imposta di donazione[27]: l’art. 1 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni di cui al d.lg. 31 ottobre 1990, n. 346 (per brevità, in seguito, t.u.i.s.) stabilisce, infatti, al comma 1 che l’imposta si applichi ai trasferimenti determinati da donazione o «altra liberalità tra vivi», mentre al comma 4-bis, pur prevedendo alcune esimenti, ribadisce nel suo incipit come resti comunque ferma l'applicazione dell'imposta «anche alle liberalità indirette risultanti da atti  soggetti  a  registrazione».

La scelta di fondo del legislatore è, perciò, chiara: dato che attraverso la liberalità indiretta le parti ottengono - seppur con un meccanismo tecnico negoziale differente dal contratto di donazione - il medesimo risultato che avrebbero raggiunto se, invece, avessero concluso un formale contratto, il carico fiscale non può che essere omogeneo.

Tuttavia, dato che - come detto - la liberalità de quo sfugge ad un criterio formale, vi è l’imprescindibile necessità di stabilirne il momento impositivo che l’art. 56-bis del t.u.i.s. colloca - salvo il caso della registrazione volontaria – «quando l'esistenza delle stesse risulti da dichiarazioni rese dall'interessato nell'ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi».

In sostanza, dato che non sarebbe realisticamente immaginabile un’attività ispettiva dell’A.E. a trecentosessanta gradi su qualsivoglia attività del contribuente[28] e che sarebbe inaccertabile, in condotte del tutto atipiche, la sussistenza dello spirito di liberalità[29], il fisco si “arrende” ed accetta che il prelievo sia dovuto solo quando la liberalità emerga aliunde: o perché vi è stata una registrazione volontaria da parte dell’interessato o perché vi è stata una di lui incontrovertibile ammissione.

Si noti, però, che quanto sopra detto deve essere distinto rispetto alla donazione (diretta) nulla per difetto di forma: ivi, infatti, l’imposta resterebbe dovuta in base agli ordinari dettami del T.U.I.S. essendo il presidio civilistico della forma vincolata irrilevante ai fini tributari[30] e senza che, quindi, possa operare il presidio procedimentale di cui all’art. 56-bis del t.u.i.s.

Altra questione, poi, attiene alla quantificazione dell’imposta dovuta dato che la lettera b) del comma 1 del citato 56-bis del t.u.i.s. fa riferimento ad un parametro patrimoniale, cioè l’incremento superiore a trecentocinquanta milioni di lire, non più operante nell’attuale impianto normativo e, quindi, totalmente avulso dallo stesso[31]: infatti, senza poter qui ripercorrere le contorsioni legislative in materia[32], attualmente esiste un differente sistema di aliquote e franchigie calibrate a seconda del rapporto che lega donante e donatario.

Ebbene, mentre l’Amministrazione finanziaria ha accolto la ragionevole tesi in base alla quale sia doverosa un’armonizzazione normativa tale per cui alla tassazione della liberalità non donativa non possa che applicarsi il binomio aliquota/franchigia attualmente vigente[33], la giurisprudenza si è divisa affermando: a) che si debba applicare indiscriminatamente la massima aliquota vigente dell’8%, essendo irrilevante l’esistenza di un’astratta franchigia[34]; b) che si debba applicare l’aliquota dell’8%, ma solo superata la franchigia di legge in base al rapporto tra donante e donatario[35]; c) che, in un singolare connubio normativo, si debba applicare la previgente aliquota del 7%, ma solo sull’importo eccedente l’attuale franchigia in base al rapporto tra donante e donatario[36].

4.  La decisione

La corposa pronuncia è prioritariamente articolata sul rigetto del primo motivo di gravame: partendo da un punto condiviso - dato dalla nullità del trasferimento di strumenti finanziari effettuato in assenza della forma pubblica[37] - niente viene innovato asserendosi che, da detta nullità, stante l’esasperata autonomia del diritto tributario, non è preclusa la rilevanza impositiva: in sintesi, non è immaginabile sottrarsi al pagamento dell’imposta di donazione esclusivamente adducendo la nullità (per vizio di forma) del trasferimento della ricchezza[38].

Ma a prescindere da questa valutazione preliminare, resta il fatto che la liberalità non donativa - seppur nel perimetro di cui all’art. 56-bis del T.U.I.S.  - non è immune dal prelievo fiscale ancorché la Corte, a sostegno dell’assunto, si addentri in una speciosa tripartizione tra donazioni dirette, indirette e informali: le prime costituite dal contratto di cui all’art. 769 c.c.; le seconde da atti giuridici diversi dal formale contratto, ma produttivi di identico effetto; le terze dal compimento di qualsivoglia atto materiale idoneo a realizzare l’endiadi tra arricchimento di un soggetto e correlato impoverimento di un altro.

A parere di chi scrive è, però, difficilmente enucleabile un’effettiva demarcazione ontologica tra la seconda e la terza categoria, essendo il loro comune denominatore - dato dalla mancanza di contratto di donazione - più che sufficiente ad omologarne l’esistenza in un unico comparto. Toccando, poi, il vivo della questione la Corte (ri)afferma una regola evincibile dall’art. 56-bis del T.U.I.S.: se l’Amministrazione finanziaria può accertare la sussistenza delle donazioni indirette esclusivamente nell’ambito di procedimenti diretti all'accertamento di tributi e su dichiarazione confessoria del contribuente, deve fatalmente ritenersi «che non vi sia un generalizzato obbligo di sottoporre a tassazione tutte le donazioni indirette», chiarendosi – quindi – che il contribuente potrà provvedere ad una registrazione volontaria ovvero valutare se nel contesto dell’accertamento tributario cui fosse sottoposto sia maggiormente conveniente dichiarare l’avvenuta liberalità piuttosto che subire le conseguenze scaturenti dall’accertamento medesimo[39].

Passando al tema della quantificazione del prelievo, la Corte avalla il concetto di armonizzazione delle fonti e, in particolare, una sorta di (un implicito) rinvio mobile effettuato dall’art. 56-bis del t.u.i.s. alle regole impositive vigenti non al momento dell’emanazione del T.U.I.S. (quali il prelievo nella misura del 7% ed una franchigia di lire 350.000.000), bensì al momento in cui la capacità contributiva si è estrinsecata.

Si deve, allora, tenere conto delle franchigie attualmente previste dalla legge sul base del rapporto intercorrente tra donante e donatario: ma, ove non sia prevista franchigia ovvero per l’importo eccedente il suo ammontare, la Corte (afferma la debenza – indiscriminata – della maggiore aliquota in essere (id est, 8%) «così da mantenere la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal legislatore». Su quest’ultimo assunto, tuttavia, si conceda un certo scettiscismo: nel momento in cui si adotta il principio del rinvio mobile, tale per cui il regime fiscale di una determinata fattispecie (vale a dire la diversa liberalità) è ancorato a quello di un'altra (vale a dire la donazione), appare opinabile – ancorchè nel frattempo sia intervenuto un mutamento normativo - non applicarlo in toto invocando la necessità di un’interpretazione sanzionatoria della legge[40]. Il ricorso è stato quindi rigettato.

5. Conclusioni

La vicenda giudiziaria in commento impone qualche minima riflessione metodologica sull’impatto fiscale scaturente dalla circolazione della ricchezza: il ruolo cardine dello strumento donativo è stato, infatti, progressivamente eroso dalle forme sempre più eterogenee con il quale il denaro può essere allocato[41].

Al giorno d’oggi potrebbe apparire anacronistico immaginare che allorquando un genitore intenda aiutare economicamente un figlio elargendoli del denaro si debba recare dal Notaio al fine di formalizzare la corrispondente donazione, dato che grazie alla strumentazione tecnologica lo stesso obiettivo potrebbe essere perseguito senza alzarsi dal divano del proprio salotto: criptovalute e monete virtuali in genere, carte di credito prepagate e/o ricaricabili, borsellini virtuali, account di pagamento, money transfer sono strumenti attualmente alla portata di fasce sempre più ampie della popolazione.

E ancora: come conciliare queste metodologie finanziarie con il principio di territorialità che permea la legislazione fiscale?[42]

Di recente l’A.E.[43] ha analizzato il caso di un cittadino svizzero residente all’estero che intendeva effettuare un bonifico a favore di cittadino italiano con accredito sul di lui conto corrente in Italia ed ha affermato che il denaro donato non potesse considerarsi esistente sul territorio italiano, proprio perché in Italia è pervenuto solo in un momento successivo[44].

Ecco che, allora, la liberalità indiretta che nell’impianto codicistico rimaneva sullo sfondo rispetto alla donazione, gradatamente ha sempre più occupato (rectius, invaso?) il campo della circolazione patrimoniale con la necessità per l’interprete di adattare delle regole “statiche” (quelle pensate per il solenne contratto di donazione la cui portata si cristallizza il giorno del rogito) ad una fenomenologia, invece, fortemente fluida (dove lo spostamento della ricchezza è spesso in itinere).

E ancora: nella donazione indiretta frequentemente non vi è coincidenza di valore tra il depauperamento patrimoniale subito dal donante e quello dell’incremento arrecato al beneficiario[45], derivandone l’intrinseca “ingiustizia” di una valutazione tributaria che, arbitrariamente, tenga conto dell’uno anziché dell’altro.

Ecco che la scelta normativa adottata dal più volte citato art. 56-bis del T.U.I.S. rappresenta, forse, una malcelata rassegnazione: dato che è opera inestricabile accertare l’esistenza di una condotta tale da ingenerare una liberalità non donativa (pensiamo al caso paradigmatico di un bonifico “muto”, cioè - volutamente o meno - privo di elementi ultronei atti a connotare causalmente il rapporto tra ordinante e beneficiario), tanto vale rimetterne l’imponibilità al solo caso in cui sia il contribuente a disvelare spontaneamente la natura dell’operazione. Ca va sans dire, vedremo quali saranno le prossime mosse della macchina erariale.

SAGGIO

CREDITO SU PEGNO E COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO[46]

Indice: 1. Considerazioni introduttive; 2. Una prima pronuncia; 3. Caratteristiche dell’operazione bancaria di credito su pegno; 4. Sulla natura della polizza emessa da un ente attivo nel credito su pegno di cosa mobile; 5. Credito su pegno e procedure concorsuali; 6. Conclusioni.

1. Considerazioni introduttive

Con la legge 27 gennaio 2012 n. 3 “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento” si è inteso disciplinare il fenomeno dell’eccessivo indebitamento – sovraindebitamento – di chi non risultasse assoggettabile alle procedure concorsuali di cui al R.d. 26 aprile 1942 n. 267.

La legge contemplava tre differenti procedure: (i) l’accordo di ristrutturazione; (ii) il piano del consumatore; (iii) la liquidazione del patrimonio.

Con il Codice della Crisi si è dato un nuovo assetto organico al fenomeno del dissesto genericamente definito crisi e, al di là dell’utilizzo di espressioni neutre, nella sostanza si disciplina l’incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni da parte di imprese, individuali o collettive, di enti non necessariamente commerciali o da parte di persone fisiche.

Statisticamente, sarà più probabile che vi siano situazioni d’interesse per il credito su pegno, dal momento che i principali fruitori di questa forma di finanziamento restano le persone fisiche, al di fuori dell’eventuale attività d’impresa esercitata.

L’epilogo delle procedure, a prescindere se le stesse si possano definire concorsuali o meno, è l’ottenimento per l’insolvente dell’esdebitazione da parte del Tribunale ovvero, in via autonoma, anche ai sensi dell’art. 283 codice della crisi e dell’insolvenza.

La norma in questione introduce poi una novità, nel senso che è possibile per il debitore insolvente e sovraindebitato ottenere la liberazione dai debiti anche se impossibilitato a concedere, anche in prospettiva futura, un’utilità ai creditori.

La ratio della norma è da individuarsi nella scelta di voler assicurare al debitore una  chance, la possibilità di una nuova ripartenza.

La medesima ratio era rinvenibile in quanto previsto nell’art. 142 L.F., così come modificato dall’art. 128 del D. Lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, che accordava l’ammissione del fallito al beneficio dell’esdebitazione, purché  cooperasse con gli organi della procedura, non  ritardasse o contribuisse ad arrecare ritardi alla procedura, non avesse violato l’art. 48 l.f., non avesse beneficiato di altra esdebitazione nei 10 anni precedenti; non avesse compiuto atti di distrazione, ovvero di aggravamento del dissesto, e non fosse stato condannato con sentenza passata in giudicato per i reati fallimentari, per i delitti contro l’economia pubblica, l’industria il commercio o nell’esercizio dell’attività d’impresa[47] e sempre che vi fosse stata una soddisfazione almeno parziale dei creditori, risultando preclusa l’esdebitazione nel caso di insoddisfazione totale degli stessi[48].

L’istituto in questione contempla la possibilità per il debitore incapiente di essere liberato dal debito, per una sola volta, qualora non sia in grado di assicurare ai creditori alcuna utilità diretta od indiretta (comma 1), salvo l’impegno a destinare, per il periodo di anni 4 a decorrere dall’esdebitazione, alla soddisfazione dei creditori delle utilità sopravvenute (attività lavorativa, lasciti et similia), utilità sopravvenute che assolvono ad una evidente funzione di temperamento del favor debitoris a vantaggio dei creditori.

Sicuramente nelle utilità sopravvenute potranno annoverarsi eredità e legati. 

La richiesta avanzata dal debitore, tramite l’Organismo di Composizione della Crisi, al Giudice competente unitamente all’elenco dei creditori e all’indicazione delle somme dovute, si compone di un dettaglio degli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi cinque anni, delle ultime tre dichiarazioni dei redditi e dell’indicazione delle entrate (salari, stipendi, pensioni, altre entrate).

Il terzo comma dell’art. 283 c.c.i.i.. prevede che alla domanda sia allegata una relazione redatta dall’Organismo di Composizione della Crisi.

Nella relazione in questione l’Organismo è chiamato a valutare compiutamente la documentazione allegata e, in particolare, a rendere un giudizio di attendibilità e di completezza di quanto prodotto dal debitore unitamente al proprio ricorso. 

Il procedimento è disciplinato nel comma 7 dell’art. 283 c.c.i.i. e prevede che il giudice assuma le opportune informazioni, all’esito delle quali è chiamato ad esprimere un giudizio di meritevolezza.

Tale giudizio presuppone, ma non si risolve, nell’accertamento dell’inesistenza di atti in frode, ovvero di un comportamento informato a dolo o a colpa grave nella formazione della situazione di indebitamento.

Compiuto positivamente l’accertamento di cui sopra il Giudice accoglie la domanda con decreto motivato, stabilendo il termine entro il quale il debitore debba presentare la dichiarazione sulle utilità ripartibili ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 283 codice della crisi e dell’insolvenza.

L’Organismo di Composizione della Crisi vigila sulla tempestività dell’adempimento da parte del debitore a quanto prescritto nel decreto che concede l’esdebitazione.

Il decreto d’esdebitazione deve essere comunicato ai creditori che hanno un termine perentorio di giorni dieci per proporre opposizione ai sensi dell’art. 283 comma 8 c.c.i.i..

Dopo aver inquadrato l'istituto dell'esdebitazione, è necessario interrogarsi se sia possibile definire conclusa un'operazione bancaria di prestito a fronte della costituzione in pegno di un bene mobile con il rilascio della polizza ai sensi dell'art. 10 l. 10 maggio 1938 n. 745 mediante il pagamento non già dell’intera somma dovuta per capitale ed interessi, ma di un importo minore, con conseguente restituzione di quanto costituito in pegno; il tutto previsto dalla procedura di esdebitazione attivata dal soggetto sovraindebitato nel cui attivo è presente tale polizza.

I diritti o i compensi di istruttoria ed emissione della polizza possono essere richiesti dal Monte (ente attivo nel credito su pegno di cui alla legge 745/38) all’emissione della polizza, quindi alla conclusione del negozio (ex art. 40 comma 2 r.d. 1279/39).

2. Una prima pronuncia in tema

Sul punto si registra una prima pronuncia resa dal Tribunale di Rimini in data 23 gennaio 2024.

La vicenda trae origine da un’opposizione svolta ai sensi dell’art. 283 comma 8 c.c.i.i. da un istituto finanziario (iscritto nell’albo 106 tub) ed attivo nel credito su pegno avverso il provvedimento di esdebitazione accordato dal Tribunale.

Dopo aver ricostruito la peculiarità della disciplina del credito su pegno il Tribunale di Rimini ha riconosciuto la natura di titolo alla polizza (sebbene non qualificandolo espressamene quale titolo di credito) ed ha evidenziato la stretta correlazione esistente tra la res e la sovvenzione erogata ed in particolare la portata dell’art. 11 L. 745/38 e dell’art. 47 del regolamento adottato r.d. 25 maggio 1939 n. 1279 giungendo ad affermare: «il confronto della normativa appena illustrata con la disciplina dell’esdebitazione rende evidente la incompatibilità della prima con la seconda una volta che sia il debito, sia il diritto alla restituzione dei beni dati in pegno sono incorporati nella Polizza di Pegno e che la restituzione dei beni stessi è sempre comunque condizionata alla presentazione della Polizza ed al pagamento contestuale dell’importo del debito con interessi ed accessori, la cancellazione del debito stesso in dipendenza dell’esdebitazione non sarebbe idonea ad eliminare l’obbligo di pagamento del riscatto».

Riconoscendo il carattere speciale della normativa, così conclude il Tribunale di Rimini rispetto all’esdebitazione di chi abbia in origine presentato il bene, quand’anche indicato nella polizza e comunque annotato nel libro di cui all’art. 1 legge 4 febbraio 77 n. 20[49]: «in definitiva, la specialità della disciplina del Monte dei Pegni, non derogata da apposita normativa speciale, comporta la insensibilità del debito portato dalla polizza di pegno alla esdebitazione del debitore originario».

Per il Tribunale di Rimini, dunque, in presenza di un debito connesso ad una polizza indicata da un privato escluso dall’area della liquidazione giudiziale si potrebbe giungere all’esdebitazione senza che a ciò consegua il diritto alla restituzione della res descritta nella polizza, con conseguente possibilità di ottenerne la restituzione solo previo pagamento di quanto dovuto, ovvero a fronte del pagamento di quanto eventualmente proposto in seno alla procedura..

Il Tribunale sembra tacciare di incompatibilità l’esdebitazione non tanto al credito, quanto piuttosto al diritto alla restituzione della cosa che è contenuto nella polizza se non con il pagamento di quanto previsto originariamente nella cartula di cui all’art. 10 L. 745/38.

La conclusione del Tribunale, pur rispondendo ad esigenze pratiche, non convince pienamente, poiché si focalizza sul solo effetto restitutorio e ciò non risulta coerente con la speciale natura del credito su pegno di cose mobili di cui alla legge 745/38. 

3. Caratteristiche dell’operazione bancaria di credito su pegno

L’operazione bancaria del credito su pegno vede la consegna[50] all’ente (banca o intermediario finanziario autorizzato ed iscritto nell’albo tenuto ai sensi dell’art. 106 tub) di un bene (o meglio di una cosa[51]) di intrinseco valore[52] ed oggetto di stima da parte di un esperto (stimatore) con ricezione in cambio di una somma di denaro, entro un limite normativamente definito in relazione al valore di stima ed alla peculiarità della cosa offerta in garanzia[53], con obbligo di restituzione della somma entro una certa data (3, 6 o 12 mesi) e ricevendo, contestualmente allo spossessamento, una polizza, con possibilità di rinnovarla alla scadenza versando gli interessi, i diritti e gli accessori previsti in sede di stipula.

Nell’operazione di credito su pegno difetta una valutazione sul merito creditizio del presentatore del bene (noto all’ente in forza dell’art. 1 comma 1 legge 20/77), anche se non manca chi ritiene che in ogni caso un giudizio di meritevolezza debba essere compiuto da tutti gli operatori e a prescindere dalla tipologia dell’operazione svolta[54].

Tuttavia non si può ignorare la peculiarità dell’operazione di prestito su pegno, che può dirsi eseguita verso incertam personam[55], ragionevolmente ritenendo che anche l’ente attivo nel credito su pegno compia una valutazione di merito, sia pure in termini particolari e limitati alle caratteristiche proprie del bene ricevuto in garanzia[56].

L’art. 1 della legge 4 febbraio 1977 n. 20 non ha modificato il contenuto dell’art. 10 legge 745/38 e continua, nel testo tuttora vigente[57], a non prevedere il nominativo del soggetto che dà il bene in pegno tra gli elementi essenziali della polizza: l’ identificazione è prevista non già per la peculiarità dell’operazione di credito, ma in ossequio a ragioni di vigilanza o di contrasto al riciclaggio, tant’è vero che  interessa un registro istituito all’uopo ed in forza della legge 20/77.

Ciò conferma nuovamente, e con riferimento all’operazione di credito su pegno, la centralità della cosa ed un sostanziale anonimato dell’operazione[58].

È stato correttamente osservato che le condizioni patrimoniali del cliente (bisogno impellente di liquidità) non sono rilevanti al fine della stipulazione del contratto, ma tutt’al più ne rappresentano un mero presupposto di fatto, è anch’esso un dato che contribuisce a distinguere la figura del credito su pegno ed a farne una realtà giuridica autonoma e particolare[59].

D’altro canto, ancor prima dell’entrata in vigore della legge 4 febbraio 1977 n.  20, l’art. 119 r.d. 16 giugno 1931 n. 773 prevedeva – e prevede tutt’ora – che «le persone che compiono operazioni di pegno… sono tenute a dimostrare la propria identità, mediante la esibizione della carta di identità o di altro documento, fornito di fotografia, proveniente dall’amministrazione dello stato»[60]

E' evidente che la norma si applichi a coloro i quali richiedano ad un ente (banca o intermediario finanziario) l’erogazione di una sovvenzione di denaro a fronte della consegna di una cosa.

L’art. 2786 c.c. esordisce «il pegno si costituisce con la consegna al creditore della cosa» e quindi si limita a presupporre la consegna della cosa da parte del debitore all’ente; nel passaggio relativo alla sua descrizione nella polizza, da emettersi contestualmente all’erogazione, non v’è alcuna menzione diretta allo spossessamento[61]; eppure la consegna della cosa e quindi lo spossessamento inteso quale perdita della disponibilità del bene è centrale e caratterizzante l’operazione di credito su pegno di cose mobili.

La neutralità della consegna tuttavia non priva di rilievo la traditio poiché il legislatore, nel configurare diversi schemi contrattuali (dal pegno oggetto d’indagine sino all’opposto pegno senza spossamento, passando per il pegno di crediti, ovvero per il pegno costituito presso un terzo) rimette alla singola fattispecie la modalità concreta di attuazione della traditio[62].

Partendo da questa adattabilità della consegna all’interno dello schema contrattuale di riferimento non si può che rilevare la centralità e l’imprescindibilità della consegna della res e, quindi, lo spossessamento affinché si possa validamente realizzare il rapporto di garanzia accessorio alla sovvenzione monetaria erogata nella forma del credito su pegno.

Dunque la traditio non può che essere brevi manu[63] e non potrà essere ficta o realizzata con la costituto possessoria, poiché è evidente che i terzi dovranno essere edotti della creazione del vincolo e soltanto con l’indisponibilità della res e con l’attribuzione di un potere immediato e diretto sulla cosa al creditore ciò si può realizzare[64] e si può valutare nella particolare indagine sul merito creditizio sotteso all’erogazione.

Del resto per i beni mobili, in assenza di pubblici registri nei quali iscrivere la garanzia concessa e quindi tutelare il terzo acquirente in buona fede oltre che il creditore, è soltanto la materiale ed effettiva consegna della cosa a realizzare sia il vincolo reale che l’insorgenza del diritto di ritenzione, di espropriazione anche alternativa a quella pubblica disciplinata nel codice di procedura civile, il diritto di soddisfarsi con prelazione sul ricavato dalla vendita[65].

Anonimato del prenditore, stima, custodia, consegna e rilascio della polizza sono, dunque, gli elementi essenziali dell’operazione di credito su pegno.

L’art. 10 della Legge 745/38 prevede che contestualmente alla conclusione dell’operazione di prestito su pegno, all’impossessamento della res, la banca o l’intermediario debba rilasciare una polizza (sottoscritta dal perito, dal rappresentante dell’istituto o funzionario all’uopo delegato) al presentatore del bene che contenga:

  • la denominazione della banca ovvero dell’intermediario finanziario, da coordinarsi con quanto previsto dall’art. 2250 del codice civile;
  • una descrizione sommaria della cosa costituita in pegno (mentre nel registro istituito ai sensi dell’art. 1 comma 1 della legge 4 febbraio 1977 n. 20 la descrizione dovrà essere dettagliata);
  • il valore di stima attribuito (in conformità dell’art. 40 del r.d. 1279/39)
  • la data di concessione della sovvenzione e la data di scadenza;
  • l’indicazione dei corrispettivi dovuti (interessi, diritti, spese);

Oltre a quanto previsto dall’art. 37 del regolamento adottato con il r.d.25 maggio 1939 n.  1279: (i) orario di servizio; (ii) sedi del Monte in cui possono essere compiute le operazioni di prestito, rinnovo, riscatto.

Il secondo comma dell’art. 37 del r.d. 25 maggio 1939 n. 1279 prevede che la polizza contenga la trascrizione delle norme statutarie relative allo smarrimento delle polizze, loro sottrazione e distruzione.

Non v’è la necessità di indicare il nome del sovvenzionato, dato che la polizza è al portatore e la natura non è mutata nemmeno a seguito dell’introduzione della legge 20 del  4 febbraio 1977.

Il secondo comma dell’art. 10 L. 10 maggio 1938 n. 745 precisa che quand’anche vi sia l’indicazione del nominativo del prenditore la polizza resta al portatore.

Al termine dell’operazione di prestito l’intermediario dovrà annotare a margine della polizza i dati identificativi del presentatore (ex art. 1 comma 3 legge 4 febbraio 1977 n. 20).

La polizza assume un'ulteriore importanza, poiché l’art. 2787, comma 3, c.c. subordina l’operatività della garanzia prelatizia per sovvenzioni di importo superiore alle 5000 lire (2,58 euro) a scrittura munita di data certa.

Il successivo quarto comma specifica «se però il pegno risulta da polizza o da altra scrittura a di enti, debitamente autorizzati, compiono professionalmente operazioni di credito su pegno, la data della scrittura può essere accertata con ogni mezzo di prova» .

Dunque, l’operatore professionale ed autorizzato – banca o intermediario finanziario -  che compie credito su pegno, in deroga all’art. 2787 comma 3 c.c., può provare con ogni mezzo la data di compimento dell’operazione.

Si ritiene che la facoltà di provare con ogni mezzo la data della sovvenzione da parte dell’ente autorizzato resti una prerogativa limitata alle «sole operazioni di “credito su pegno”, previste dall’art. 48 T.u.b. e disciplinate dalla l n. 745 del 1938, oltre che dal r.d. n. 127 del 1939»[66].

4. Sulla natura della polizza emessa da un ente attivo nel credito su pegno di cosa mobile

Occorre interrogarsi sulla natura che assume la polizza nei confronti dell’intermediario nelle fasi di erogazione, di riscatto ovvero di rinnovazione.

Argomentando dall’art. 16 della L. 10 maggio 1938 n. 745 che accordava, in caso di furto, distruzione o smarrimento della polizza, la possibilità di ricorrere alla procedura di ammortamento, se ne è affermata la natura di titolo di credito[67], con tutte le conseguenti implicazioni in punto di circolazione, di eccezioni estranee al contenuto della cartula.

Altri hanno ritenuto che la polizza di pegno disciplinata dalla legge 745/38 abbia una natura giuridica mista, titolo di legittimazione (poiché il suo possesso e la sua esibizione sono presupposti per l’esercizio dei diritti derivanti dal rapporto di credito e titolo di credito improprio) e titolo di credito improprio (con riferimento al sopravanzo di vendita all’asta che spetta al possessore della polizza in caso di maggior realizzo rispetto al debito)[68].

Tuttavia, i titoli di credito sono per loro natura e funzione destinati alla circolazione.

Nel caso di specie non vi è un divieto esplicito ed assoluto alla circolazione della polizza ma viene fatto divieto di acquistarle abitualmente, e al cessionario della polizza non compete un diritto diverso da quello spettante all’originario titolare: ciò induce a ricondurre la polizza emessa da un Monte di credito su pegno ai titoli di legittimazione[69].

E, in particolare, si è osservato che «il pegno si costituisce con la consegna al creditore della cosa» la caratteristica “al portatore” riconosciuta dalla legge alla polizza deve riferirsi, pertanto, non al regime di circolazione quanto piuttosto alla forma di legittimazione, nel senso che legittimato ad esigere la prestazione è colui che è nelle condizioni, in quanto possessore, di esibire il documento»[70].

Anche la giurisprudenza esclude la natura di titolo di credito alla polizza ex art. 10 L. 10 maggio 1938 n. 745 considerandola mero documento di legittimazione[71].

Dalla legittimazione cartolare discendono indubbi vantaggi per l’operatore che si libererà dai propri obblighi, di custodia e di restituzione, sia mediante la riconsegna del bene accettando il pagamento del dovuto per capitale, interessi e altri accessori da colui il quale gli esibirà la polizza, sia in ipotesi di trasferimento della polizza a terzi, la facoltà per quest’ultimo di ottenere, con l’adempimento di cui sopra, la restituzione della cosa.

Di recente si è messa in dubbio la natura di titolo di legittimazione per la polizza emessa da un ente attivo nel credito su pegno che non sarebbe «in definitiva, né titolo di credito improprio, né documento di legittimazione. La polizza, per contro, è espressione di una legge che disciplina, in modo separato ed autonomo, il prodotto bancario definito credito su pegno, in tutte le sue caratteristiche causali: la sua industria e le sue relative modalità operative»[72].

Sicuramente, la polizza emessa da un ente attivo nel credito su pegno è un unicum, non è assimilabile alla ricevuta rilasciata da un deposito ad ore di bagagli, ovvero ad un parcheggiatore ad ore (ricevuta che certamente prova il rapporto, che legittima alla richiesta di restituzione, ovvero che contiene elementi per l’utile determinazione del corrispettivo dovuto per il servizio reso).

Né può dirsi che il richiamo alla normativa pubblicistica di cui al d.Lgs. 231/07 (art. 1 comma 2 lettera s)) influisca sulla sua peculiarità.

D’altro canto, è evidente che la polizza rilasciata in un’operazione di credito su pegno difficilmente possa essere concepita come mezzo di pagamento.

Un altro tema che merita di essere affrontato è quello della digitalizzazione della polizza di pegno[73], tema di sicuro interesse dal momento che i rapporti bancari in generale vengono sempre più definiti con modalità digitali, mediante l’accesso con app o direttamente tramite siti internet, con la trasmissione in formato elettronico degli estratti conto o di altri documenti relativi al rapporto e con la sottoscrizione digitale dei principali documenti per l’instaurazione e gestione del rapporto. Tuttavia, la dimensione del credito su pegno è fisica.

Fisica è la consegna della res a cui consegue la consegna fisica della polizza, lo scambio tra la cosa e la cartula difficilmente può avvenire con modalità digitali, quanto meno all’avvio del rapporto.

Altro discorso è il rinnovo della polizza: al più  potrà essere chiesto anche da remoto; d’altro canto, la stima del bene, necessaria in caso di rinnovo, non necessariamente dovrà avvenire nel contraddittorio tra cliente ed istituto, sia perché la trasmissione digitale del documento contenente il rinnovo può far richiamo all’originaria polizza resa, sia perché la cosa è custodita presso l’ente erogante che è tenuto a dotarsi di locali adeguati allo scopo (art. 48 comma 2 tub) ed assume uno specifico obbligo di custodia nei confronti del prestatario.

5. Credito su pegno e procedure concorsuali

Proprio la presenza nella legge fallimentare di una norma finalizzata a disciplinare la vicenda dei beni costituiti in pegno dall’imprenditore fallito contribuisce a confermare che l’operazione di credito non sia riservata soltanto alle persone fisiche consumatrici. 

Potrebbe accadere che dopo la conclusione del contratto su credito su pegno - magari proprio per esigenze legate al funzionamento dell’impresa - il soggetto che ha consegnato la cosa fallisca/venga liquidato giudizialmente e la procedura rinvenga nell’attivo una polizza che legittimi il possessore ad esercitare i diritti connessi.

Sia la Legge Fallimentare che il nuovo Codice della Crisi contengono il principio dell’esclusione delle forme di esecuzione individuali, prevedono il concorso dei creditori che devono far accertare il proprio credito nella procedura concorsuale e partecipare al riparto del ricavato tra gli aventi diritto secondo le regole proprie del concorso.

Un primo interrogativo riguarda l’attualità o meglio l’utilità concreta di una domanda di partecipazione al passivo da parte dell’intermediario attivo nel credito su pegno.

Come detto l’operazione rimane sostanzialmente ad incertam personam, nonostante l'emanazione della legge 20/77 che in ogni caso non ha variato minimamente il contenuto della polizza, non modificando il testo dell’art. 10 L. 745/38.

Anche a voler confrontare il numero di polizza con il registro istituito a mente dell’art. 1 della legge 20/77 non è detto che il possessore della polizza appresa dal curatore sia poi l’effettivo ed originario presentatore della cosa.

Fatte queste premesse non si può che concludere per l’inapplicabilità della norma della legge fallimentare ed ora del codice della crisi alle operazioni di credito su pegno.

Al più si potrebbe riconoscere all’eventuale insinuazione proposta una valenza meramente formale, priva di effetti concreti in capo all’ente[74].

E' quindi necessario chiedersi come possa conciliarsi la lettera dell’art. 11 della legge 745/38 con i principi che reggono le procedure concorsuali.

Al primo comma la norma stabilisce che il proprietario delle cose o rubate o smarrite, a cui è equiparato «chiunque, per qualsiasi titolo, abbia diritti su cose costituite in pegno», deve rimborsare al Monte il capitale, gli interessi e le spese se vuole ottenere la restituzione della cosa. 

L’utilizzo del termine «chiunque» consente di annoverare tra i destinatari della norma anche il curatore.

Nell’ipotesi in cui il curatore fallimentare abbia rinvenuto nell’attivo del fallito delle polizze emesse da un istituto attivo nel credito su pegno non può prendere il bene concesso in garanzia e richiedere all’istituto di partecipare al concorso secondo le regole proprie del fallimento.

Nella legge fallimentare il tema era affrontato nell’art. 53, comma 3 L.F. che prevedeva la facoltà per il curatore, munitosi delle autorizzazioni di legge, di riscattare il bene costituito in pegno, previo rimborso del capitale prestito e pagamento degli interessi dovuti, con ciò confermando ancora una volta la specialità della norma. 

Potrebbe succedere che il bene descritto nella polizza rivenuta dal curatore ed inventariata abbia un intrinseco valore rispetto al debito ivi iscritto, si pensi all’ipotesi in cui un bene venga impegnato, per libera scelta del presentatore, per un importo inferiore rispetto al limite normativo.

Con la riforma del 2007 l’art. 53 comma 2 è stato modificato prevedendo che il creditore assistito da pegno «fa istanza al giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalità a norma dell’art. 107».   

L’art. 53, così come riformato dal D. Lgs. 169/07, è stato trascritto integralmente nell’art. 152 del Codice delle Crisi che dopo aver ribadito la necessità di far accertare il credito, stabilisce che l’esecuzione privata possa avvenire soltanto a seguito di previa richiesta e con le modalità stabilite dal decreto del giudice, mentre nel terzo comma conferma la possibilità per il curatore, munito dell’autorizzazione del giudice delegato acquisito il parere del comitato dei creditori, di prendere il bene nell’attivo fallimentare sempre rimborsando il capitale e gli interessi maturati all’operatore finanziario.

Occorre chiedersi se la previsione di cui all’art. 53 comma 2 della legge fallimentare (ora art. 152 comma 2 del Codice della Crisi) abbia derogato la norma speciale, prevista nella legge 745/38, che disciplina la vendita satisfattiva organizzata dall’ente.

La modifica del 2007 appare finalizzata ad affermare la necessità della vendita competitiva, quale strumento per la realizzazione degli attivi fallimentari e concorsuali in genere, sanzionando con la nullità qualsiasi violazione.

Di per sé il principio affermato non è per nulla incompatibile con le regole poste a garanzia della vendita competitiva da parte dell’ente.

Anche in questo caso l’attività espropriativa è da considerarsi a tutti gli effetti pubblica, nel senso che la vendita espropriativa e realizzativa del pegno avviene con modalità competitive che favoriscono la partecipazione di un insieme indefinito di interessati.

Ne discende che il decreto richiamato nel secondo comma dell’art. 152 del c.c.i.i. non potrà incIdere in alcun modo con le norme stabilite nel regolamento trasmesso alla Banca d’Italia ed adottato in conformità alla legge 745/38.

D’altro canto la possibilità per l’intermediario operante nel credito su pegno è norma speciale che non può dirsi abrogata o modificata dalla legge fallimentare prima e dal Codice della crisi attualmente vigente.

L’ente potrà in ogni caso dar corso alla vendita qualora, decorso il termine di 30 giorni dall’originaria scadenza, il curatore non riscatti il bene corrispondendo il dovuto così come concordato all’atto della conclusione dell’operazione.

Un ulteriore elemento che conduce all’inapplicabilità dell’art. 152 comma 2 del Codice della Crisi agli istituti di credito su pegno lo si ricava proprio dalla particolare disciplina della vendita all’asta.

Infatti, la norma prevede che l’intermediario, decorso il termine di grazia di giorni 30 dalla scadenza del termine indicato nella polizza, può porre in vendita competitiva per due volte una cosa non riscattata e successivamente procedere con l’assegnazione in danno dello stimatore per il prezzo di stima, oltre agli interessi e ai compensi dovuti al Monte (art. 15 L. 745/38).

La norma in questione di natura speciale contiene un’ipotesi di assegnazione diretta allo stimatore al di fuori di procedure competitive e si pone chiaramente in contrasto rispetto alla previsione generale contenuta nel codice della crisi circa le vendite competitive per il trasferimento del diritto di proprietà su di un bene.

Ma la peculiarità della norma – che risulta compatibile con l’art. 3 della Costituzione – riguarda l’esperienza storica di assicurare la tenuta patrimoniale dell’operatore attivo nel credito su pegno, fine che certamente l’assetto costituzionale tutela.

Ne discende che il decreto del giudice delegato, ove si volesse conservare una qualche utilità concreta alla norma in questione e la si volesse ritenere applicabile in via astratta e teorica al credito su pegno mobiliare con spossessamento, non potrà che richiamare pedissequamente le norme contenute nel regolamento per la vendita competitiva adottato dall’intermediario e contemplare, espressamente, l’assegnazione allo stimatore, nel rispetto dell’art. 15 della Legge 745/38 sia per quanto concerne l’importo da corrispondere che il termine stringente di due giorni per il versamento del saldo prezzo nelle casse dell’intermediario, termine che è chiaramente in deroga rispetto a quanto previsto in caso di vendita all’asta individuale e generalmente in caso di vendita in sede concorsuale.

In argomento è intervenuta la Corte di Cassazione, con una pronuncia non recente ma che conserva ancora la sua attualità, concludendo per la non applicabilità al credito su pegno dell’art. 53 l.f.[75].

L’argomentazione svolta muove proprio dalla specialità della disciplina del credito su pegno delineato dalla legge 745/38 poiché «la disciplina del pegno delineata dalla legge speciale successiva, non comprende la materia del pegno speciale accordato ai monti di pegno, per il quale sono previste particolarità di natura sostanziale, intimamente connesse alle modalità di esecuzione e non attuabili con le modalità liquidative del fallimento»[76].

6. Considerazioni conclusive

Ciò considerato, una prima osservazione pone un dubbio di compatibilità dell’istituto disciplinato dall’art. 283 c.c.i.i. poiché, al comma 1, si richiede che il debitore non sia in grado di assicurare nessuna utilità, direttamente o indirettamente, ai propri creditori, mentre nel caso di specie la mera disponibilità della polizza ex art. 10 L. 745/38 è una evidente contraddizione in termini poiché un’utilità, la res costituita in pegno, esiste nel patrimonio del portatore, o meglio esiste nel patrimonio di quest’ultimo il diritto – contenuto nella polizza -  ad ottenerne la restituzione.

Ed il bene costituito in pegno ha certamente un valore superiore al debito ivi previsto stante il limite d’erogazione contemplato nell’art. 39 del regolamento adottato con il r.d. 1279/39.

Non è poi da escludersi – e nella pratica non è infrequente – che colui che costituisce il bene in pegno richieda espressamente una sovvenzione di importo inferiore rispetto al valore del bene consegnato in sede di stima ed al limite d’erogazione previsto.

Dunque, in termini assoluti esiste un’utilità, resta da chiedersi se la lettera di cui all’art. 283 comma 1 c.c.i.i. si riferisca a qualunque valore oppure se l’utilità sia piuttosto da misurarsi in ragione dell’effettiva idoneità di quanto presente nell’attivo del debitore ad assicurare una sia pur minima ripartizione ai creditori, ovverosia se il bene riscattabile con la presentazione della polizza abbia un maggior valore.

Non resterà che valutare caso per caso la rilevanza del valore del bene descritto nella polizza in rapporto alla sovvenzione erogata, che non necessariamente avviene per modesti importi (essendo venuto meno il riferimento normativo ad opera del testo unico bancario).

Infatti, l’art. 1 della legge 10 maggio 1938 n. 745 recitava «gli enti che propongono come attività fondamentale di concedere prestiti di importo anche minimo, a miti condizioni, con garanzie di pegno su cose mobili per loro natura, assumono la denominazione di “Monti di credito su pegno».

In ipotesi di valori modesti delle cose consegnate in pegno – in quanto inidonei a giustificare un riparto ai creditori – si dovrà concludere per l’esclusione dell’esistenza di attivi rilevanti nel patrimonio del debitore incapiente.

Viceversa, nell’ipotesi in cui vi sia un bene dotato di intrinseco valore oppure qualora vi sia una situazione di erogazione d’importo notevolmente inferiore rispetto al valore commerciale della res, si dovrà valutare l’effettiva convenienza del riscatto del bene e la sua idoneità ad assicurare una qualche utilità; conseguentemente escludere l’accesso alla procedura di cui all’art. 283 c.c.i.i.

In secondo luogo, è proprio il diritto alla restituzione della cosa, rappresentato dalla polizza, a prevedere il pagamento di quanto concordato come condizione per la restituzione. 

Si tratta dunque di un diritto condizionato al pagamento di quanto convenuto (per capitale, interessi ed altri accessori), esercitabile in ogni momento e quindi anche prima del termine  (che è soltanto a favore del debitore – portatore della polizza), importo che non può essere modificato in sede di procedura concorsuale (ovverosia estinto con falcidia) proprio stante l’assoluta specificità riservata alla sola operazione di finanziamento di credito su pegno di cose mobili, con spossessamento, di cui alla legge 745/38.

Ma alla stessa conclusione si può giungere argomentando proprio dalla natura in incertam personam del prestito su pegno.

Infatti, questa particolare forma di operazione bancaria si risolve in ciò: a fronte della cosa suscettibile di valutazione autonoma e dotata di intrinseco valore risulta irrilevante nel procedimento di concessione del prestito ogni valutazione sulla persona del presentatore ed ogni indagine sulla capacità di rimborso del denaro ricevuto, e se vogliamo è pure irrilevante  per l’ente erogante la valutazione circa la capacità del presentatore del bene di restituire quanto ricevuto e pagare gli accessori previsti.

Proprio l’impossibilità di individuare il debitore e l’irrilevanza del nominativo del debitore nell’economia del negozio, quand’anche riportato sulla polizza rilasciata al momento della conclusione del negozio e quindi a fronte della consegna della cosa, conduce ad affermare l’impossibilità che un valido provvedimento di esdebitazione possa essere reso,  per il semplice fatto che la persona che abbia svolto ricorso per l’esdebitazione ex art. 283 c.c.i.i., in quanto incapiente, non può dirsi in sé debitrice, ma al più titolare del diritto alla restituzione della cosa (che  prevede il pagamento di una somma).

Né si potrebbe obiettare che il titolare sia debitore per il semplice fatto che abbia la disponibilità materiale della polizza; si tratta, come noto, di un documento di legittimazione che circola al portatore e che potrebbe risultare nella disponibilità dell’istante per ragioni estranee alla consegna della cosa in sede di conclusione del prestito.

D’altro canto, è la cosa che risolve il prestito ed al creditore non compete alcuna azione nei confronti del presentatore – per quanto ne conosca il nome – per ottenerne il pagamento.


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’autore della nota a sentenza è il Notaio Gabriele Mercanti, con sede in San Benedetto Po.

[2] Sui contorni di tale figura non si ha modo di potersi esprimere non fornendo la sentenza sufficienti elementi ricostruttivi; ad ogni modo, è inevitabile la sua irrilevanza tributaria trattandosi di una vicenda successiva alla traslazione della ricchezza in contestazione (sbrigativa sul punto, del resto, è stata anche la sentenza in commento per cui tale circostanza «era già stata espressamente apprezzata dal giudice di appello, che ne aveva tenuto conto per escluderne l’incidenza sulla formazione dell’accordo tra le parti per la conclusione della liberalità»).

[3] Il riferimento è alla l. 15 dicembre 2014, n. 186 che – con il dichiarato scopo di determinare l’emersione e il rientro di capitali  detenuti  all'estero – consentiva ai detentori di illeciti patrimoni all'estero di regolarizzare la propria posizione denunciando spontaneamente all'Amministrazione finanziaria le proprie infedeltà dichiarative.

[4] Si reputa preferibile l’utilizzo della dicitura liberalità non donativa rispetto a quella – ancorché di diffuso utilizzo – di donazione indiretta, in quanto quest’ultima risentirebbe di un’aprioristica influenza della sua sussunzione nel novero della categoria del negozio indiretto che – seppur consolidata – è frutto di interpretazione concettuale e non certo di scelta di campo legislativa. Sul punto, si rinvia alla successiva nota n. 23. Ad ogni modo, ai fini della presente trattazione, le due terminologie saranno usate promiscuamente.

[5] Sul punto, F. Paparella, L'autonomia del diritto tributario ed i rapporti con gli altri settori dell'ordinamento tra ponderazione dei valori, crisi del diritto e tendenze alla semplificazione dei saperi giuridici, in Riv. dir. trib., 2019, 6, 587. Esemplificativa della tendenza è la posizione di Cass., Sez. Un., 24 maggio 2023, n. 14432, in CED Cassazione, 2023, che – chiamata, tra l’altro, a valutare la nozione di identità delle parti posta alla base dell’imposizione dei contratti enunciati ex art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 – ha sancito che il dato normativo letterale «parti intervenute nell'atto che contiene l'enunciazione» debba essere interpretato nel senso, appunto, lato e non "contrattualistico", di soggetti rispetto ai quali si realizzano gli effetti degli atti contenuti nell'atto di "emersione": in sintesi  … nel diritto tributario i principi giuridici non sono poi così vincolanti!

[6] Trattasi di quelle che regolano la revocazione delle donazioni per causa d'ingratitudine e per sopravvenienza di figli nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari. In giurisprudenza si è sostenuta la tassatività delle ipotesi richiamate dall’art. 809 c.c.: Cass., Sez. II, 16 giugno 2014, n. 13684, in CED Cassazione, 2014; Cass., Sez. II, 12 novembre 1992, n. 12181, in Mass. giur. it., 1992 (in entrambi i casi al fine di escludere per un negotium mixtum cum donatione l’estensione del divieto del mandato a donare ex art. 778 c.c.).

[7] Ancorchè la definizione di donazione di cui all’art. 769 c.c. faccia riferimento esclusivamente all’arricchimento del donatario, è sostenuta l’indispensabilità anche dell’impoverimento del donante al fine di poter tracciare una visibile linea di demarcazione tra la donazione ed il negozio gratuito che è, invece, caratterizzato dalla sola omissio adquirendi: in tal senso, Cass., Sez. II, 26 maggio 2000, n. 6994, in Giur. it., 2001, 243.

[8] C. Castronovo, Sulla disciplina nuova degli artt. 561 e 563 c.c, in Vita notar., 2007, 1006, per il quale le liberalità indirette «sono il frutto di una qualificazione a posteriori risultante da una valutazione funzionale di un negozio».

[9] Cass., Sez. II, 25 febbraio 2015, n. 3819, in CED Cassazione, 2015, che ha reputato tale «la rinuncia abdicativa della quota di comproprietà di un bene, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comunisti»; Cass., Sez. II, 10 gennaio 2013, n. 482, in CED Cassazione, 2013, che ha escluso la natura di donazione soggetta al regime formale di cui all’art. 782 c.c. per «la rinuncia all'usufrutto, quale negozio unilaterale meramente abdicativo». Sulle problematiche concettuali della figura della rinuncia ai diritti reali, si rimanda all’elaborazione del Consiglio Nazionale del Notariato: M. Bellinvia, Studio CNN n. 216-2014/C, La rinunzia alla proprietà e ai diritti reali di godimento.

[10] Trib. Padova 19 settembre 2014, in Banca dati plurisonline e Trib. Roma 23 giugno 1999, in Banca dati plurisonline, ambedue in relazione al pagamento dei premi assicurativi altrui; Trib. Milano 31 Maggio 2006, in Fallimento, 2007, 1, 65, in relazione alla liberazione della quota sociale altrui.

[11] Questa particolare fenomenologia ha fatto sorgere il dubbio di cosa dovesse l’acquirente imputare ex art. 737 c.c. ai fini della collazione, ma a partire dal celeberrimo leading case deciso da Cass., Sez. Un., 5 agosto 1992, n. 9282, in Giust. civ., 1992,1, 2991, la giurisprudenza si è stabilmente assestata sul principio per cui – reputando rilevante non l’impoverimento del donante bensì l’arricchimento del donatario – l’erede sia tenuto ad imputare il valore del bene e non del denaro (Cass., Sez. II, 30 maggio 2017, n. 13619, in CED Cassazione, 2017; Cass., Sez. II, 4 settembre 2015, n. 17604, in CED Cassazione, 2015; Cass., Sez. VI, 2 settembre 2014, n. 18541, in CED Cassazione, 2014; Cass., Sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3642, in Notariato, 2004, 237; Cass., Sez. II, 29 maggio 1998, n. 5310, in Mass. Giur. it., 1998; Cass., Sez. III, 14 maggio 1997, n. 4231, in Mass. Giur. it., 1997).

[12] Cass. 6 giugno 1969, n. 1987, in Mass. giur. it., 1969.

[13] Per una riconduzione alla disciplina della liberalità indiretta del contratto di rendita vitalizia a favore di un terzo ex art. 1875 c.c. (norma nella quale – peraltro – la potenziale natura liberale dell’attribuzione è già esplicitamente riconosciuta), si veda, Cass., Sez. II, 12 agosto 1996, n. 7492, in Contratti, 1997, 1, 76.

[14] Cass., Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3263, in Famiglia e dir., 2018, 1, 19.

[15] Trib. Bologna 6 giugno 2006, in Obbl. e contr., 2006, 12, 1037; Cass., Sez. I, 29 maggio 2003, n. 8590, in Guida al diritto, 2003, 32, 58.

[16] Cass., Sez. III, 21 febbraio 2020, n. 4589, in CED Cassazione, 2020; Cass. 8 luglio 1983, n. 4618, in Mass. giur. it., 1983; contra, Cass., Sez. II, 30 marzo 2006, n. 7507, in CED Cassazione, 2006 nonché App. Venezia, 26 luglio 2019, in Banca dati plurisonline seppur con specifico riferimento al solo accollo interno.

[17] Cass., Sez. II, 3 novembre 2009, n. 23297, in Contratti, 2010, 3, 276; Cass., Sez. II, 30 gennaio 2007, n. 1955, in CED Cassazione, 2007; Cass., Sez. II, 7 giugno 2006, n. 13337, in Notariato, 2006, 6, 667; Cass., Sez. III,15 maggio 2001, n. 6711, in Mass. giur. it., 2001; Cass., Sez. II, 21 gennaio 2000, n. 642, in Notariato, 2000, 6, 514. Decisamente minoritaria la ricostruzione in termini di contratto misto rinvenibile in Cass., Sez. II, 13 luglio 1995, n. 7666, in Mass. giur. it., 1995.

[18] Sull’effetto liberale (indiretto) derivante dalla dichiarazione ex art. 179 secondo comma c.c., Cass., Sez. II, 9 novembre 2012, n. 19513, in CED Cassazione, 2012.

[19] Cass., Sez. Un., 12 luglio 2019, n. 18831, in Studium iuris, 2020, 3, 318; Cass., 26 ottobre 2016, n. 21614, in CED Cassazione, 2016.

[20] Cass., Sez. II, 9 maggio 2013, n. 10991, in CED Cassazione, 2013.

[21] Cass., Sez. II, 4 maggio 2012, n. 6784, in CED Cassazione, 2012; Cass., Sez. II. 12 novembre 2008, n. 26983, in Notariato, 2009, 2, 132; Cass., Sez. I, 22 settembre 2000, n. 12552, in Giur. it., 2001, 757; Cass., Sez. II, 10 aprile 1999, n. 3499, in Contratti, 1999, 7, 708.

[22] Cass., Sez. II, 16 marzo 2004, n. 5333, in Guida al diritto, 2004, 15, 60.

[23] Su tutti, A. Torrente, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schelisinger (a cura) di U. Carnevali e A. Mora, Milano, Giuffrè, 2006, 36, per il quale «se non v’è accordo, se non v’è negozio, vi è soltanto un atteggiamento di inerzia del soggetto, del titolare del diritto a cui si possono collegare gli effetti della prescrizione o dell’usucapione (concorrendo gli ulteriori presupposti di tali istituti), ma non le conseguenze che la legge riconnette alle liberalità indirette».

[24] A. Cataudella, Successioni e donazioni. La donazione, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, Torino, Giappichelli, 2005, 5, 58; M. Di Paolo, Negozio indiretto, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, Utet, 1995, XII, 124); U. Carnevali, Successioni, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Torino, Utet, 2005, 6, II, 601; M. Moretti, Delle donazioni, in Commentario al Codice Civile diretto da E. Gabrielli (a cura) di G. Bonilini, Torino, Utet, 2014, 591; M. Piemontese, Donazione e liberalità indirette, in Giur. it., 2017, 6,1312; A. Torrente, op. cit., 37. Esplicitamente sull’assimilazione con il negozio indiretto: Cass. 9 giugno 1982, n. 6723, in Mass. giur. it., 1982; Cass. 22 giugno 1963, n. 1685, in Mass. giur. it., 1963.

[25] Tradizionalmente ostile, F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, Jovene, 1971, 183.

[26] Tra le molte: Cass. 5 giugno 2013, n. 14197, in CED Cassazione, 2013; Cass. 16 marzo 2004, n. 5333, in Guida al diritto, 2004, 15, 60; Cass. 29 marzo 2001, n. 4623, in Mass. giur. it., 2001; Cass. 21 gennaio 2000, n. 642, in Notariato, 2000, 6, 514; Cass. 3 novembre 1999, n. 3499, in Contratti, 1999, 7, 708; Cass. 14 maggio 1997, n. 4231, in Mass. giur. it., 1997; Cass. 10 febbraio 1997, n. 1214, in Contratti, 1997, 3, 297; Cass. 28 novembre 1988, n. 6416, in Mass. giur. it., 1988; Cass. 19 febbraio 1985, n. 1446, in Mass. giur. it., 1985; Cass. 16 ottobre 1976, n. 3526, in Mass. giur. it., 1976; contra, del tutto isolatamente, Trib. Genova 2 agosto 2006, in Banca dati plurisonline.

[27] In tal senso anche l’Amministrazione finanziaria: circ. n. 30/E in data 11 agosto 2015 (par. 1.2); circ. n. 3/E in data 22 gennaio 2008 (par. 2).

[28] La prospettiva di un’attività di controllo totalizzante è, in realtà, tutt’altro che archiviata: si veda, F. Ruffini, Alberghi, B&B e affitti brevi: arriva il «grande fratello» del turismo, in Sole 24 ore in data 5 luglio 2019.

[29] Nell’ottica di una verifica in concreto, si veda la Risposta n. 205/2020 fornita dall’Agenzia delle Entrate – Divisione Contribuenti in data 9 luglio 2020 secondo la quale l’apertura di un conto corrente cointestato tra due coniugi al fine di adempiere agli obblighi di mantenimento statuiti dalla sentenza di divorzio «non costituisce una forma di donazione indiretta in favore della cointestataria e, quindi, non integra il presupposto impositivo dell'imposta di donazione».

[30] Cass., Sez. VI, 19 giugno 2017, n. 15144, in CED Cassazione, 2017; C.T.R. Lombardia, 11 gennaio 2016, in One Legale; Cass., Sez. V, 18 gennaio 2012, n. 634, in Fisco, 2012, 9, 1323; Cass., Sez. V, 29 ottobre 2010, n. 22118, in CED Cassazione, 2010; contra, Cass., Sez. V, 17 giugno 2008, n. 16348, in One Legale.

[31] Non a caso è stata anche paventata la tesi dell’abrogazione implicita dell’art. 56-bis del t.u.i.s. per effetto del novellato impianto dell’imposta di donazione: U. Friedmann, S. Ghinassi, V. Mastroiacovo, A. Pischetola, Studio CNN n. 168 in data 15 dicembre 2006, Prime note a commento delle nuove imposte sulle donazioni e successioni, 16.

[32] Per un breve exursus, si consenta, G. Mercanti, La donazione immobiliare, Milano, Giuffrè, 2023, 169.

[33] Circ. A.E. n. 30/E in data 11 agosto 2015 (par. 1.2).

[34] C.T.R. Toscana, 10 febbraio 2021, in One Legale; Cass., Sez. V, 3 dicembre 2020, n. 27665, in Dir. e prat. trib., 2022, 1, 197; Cass., Sez. V., 9 dicembre 2020, n. 28047, in Dir. e prat. trib., 2022, 1, 203.

[35] Cass., Sez. V, 24 febbraio 2023, n. 5802, in CED Cassazione, 2023.

[36] Cass., Sez. V, 12 gennaio 2022, n. 735, in CED Cassazione, 2022.

[37] Esplicito è il richiamo all’importante arresto costituito da Cass., Sez. Un., 17 luglio 2017, n. 18725, in Notariato, 2017, 5, 569. Conforme anche la giurisprudenza successiva: Cass. civ., Sez. II, 19 agosto 2021, n. 23127, in CED Cassazione, 2021; Cass., Sez. V, 12 gennaio 2022, n. 735, in CED Cassazione, 2022; Cass. civ., Sez. II, 24 ottobre 2022, n. 31272, in One Legale; Cass., Sez. II, 10 gennaio 2024, n. 982, in Dejure; contra, Cass. Sez. V, 12 aprile 2023, n. 9780 che definito «donazione informale» il trasferimento mediante bonifico bancario di attività finanziarie detenute all'estero.

[38] Al riguardo si rinvia alla giurisprudenza citata alla precedente nota n. 29.

[39] Sul punto, F. Pinto, L’imposizione indiretta delle liberalità diverse dalle donazioni non risultanti da atto scritto soggetto a registrazione, in Dir. e prat. trib., 2022, 1, 218, il quale ricorda che, proprio per il beneficio che deriva dall’ammettere la presenza di liberalità rispetto che subire un accertamento reddituale, ben potrebbe l’A.E. disconoscere gli effetti della dichiarazione resa dal contribuente.

[40] Anche se non perfettamente sovrapponibile al caso in esame, si deve ricordare che pure nell’ambito tributario opera, con gli adattamenti del caso, il principio del favor rei grazie all’art. 3 dello Statuto del Contribuente ed all’art. 3 del d.lg. 18 dicembre 1997, n. 472. Disapplicare le franchigie successivamente introdotte dalla legge, sulla base di un non meglio precisato intento sanzionatorio insito nella norma, non è – di fatto – come non tenere conto di una legge successiva più favorevole al contribuente?

[41] Più diffusamente su tale evoluzione, si consenta, G. Mercanti, La donazione di denaro esiste ancora? Spunti di riflessione tra teoria e prassi, in Vita notar., 2020, 3, 1597.

[42] Il riferimento ai primi due commi dell’art. 2 del t.u.i.s. in base ai quali: 1) l'imposta è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché esistenti all'estero (comma 1); 2) se alla data della donazione il donante non era residente nello Stato, l'imposta è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti ivi esistenti.

[43] Risposta n. 7/2024 fornita dall’Agenzia delle Entrate – Divisione Contribuenti in data 12 gennaio 2024.

[44] Conforme la giurisprudenza: Cass., Sez. V, 12 aprile 2023, n. 9780, in CED Cassazione, 2023; Cass., Sez. V, 30 marzo 2021, n. 8720, in CED Cassazione, 2021; Cass., Sez. V, 24 marzo 2021, n. 8175, in Notariato, 2022, 1, 90; Cass., Sez. V, 17 marzo  2021, n. 7428, in IUS Famiglie in data 6 maggio 2021, con nota, si consenta, di G. Mercanti, Bonifico effettuato all'estero e imposta di donazione.

[45] Si veda quanto detto alla precedente nota n. 10 in tema di collazione.

[46] L’autore del saggio è l’Avvocato Caimi Emanuele.

[47] Elencazione tassativa, si veda sul punto Cass. I Sez. Civ. 31 maggio 2023, n. 15359.

[48] Ancora da ultimo Cass. I. Sez. Civ. 5 giugno 2023 n. 15694 che pur tuttavia impone di analizzare la condizione della soddisfazione in caso di soci illimitatamente responsabili distinguendo tra creditori sociali e creditori particolari del singolo socio.

[49] La norma in questione al primo comma impone che chiunque voglia accedere ad un’operazione di credito su pegno debba presentarsi mediante l’esibizione dei propri documenti di identità, ciò in conformità a quanto previsto nell’art. 119 del tulps (in questi termini il primo comma dell’art. l). Il secondo comma dell’art. 1 prevede l’istituzione di un registro a cura dell’ente nel quale annotare i dati anagrafici di colui che presenta il pegno con l’indicazione “del documento di identificazione, la data dell’operazione, il numero della polizza di pegno, nonché la descrizione dettagliata degli oggetti ricevuti in pegno”.

Si noti che la norma in questione contiene una evoluzione rispetto al contenuto previsto dall’art. 10 della legge 745/38 che prevede soltanto la “sommaria descrizione” delle cose ricevute in pegno.

Il terzo comma, con funzione di chiusura e di controllo, prevede che all’atto dell’estinzione del pegno  siano indicate “le generalità dell’esibitore della polizza di pegno con la indicazione del documento di identificazione personale”.

[50] S. Ciccarello Voce Pegno, in Enc  dir. Vol. XXXXII, Milano, 1982, 685 n. 27. 

[51] P. De Gioia Carabellese, Il contratto di credito su pegno. Contributo allo studio del digital banking, Bari,  2023, 156 e ss. in particolare pagina 158: “la tematica diventa ancor più criptica, ove si pensi che anche il codice civile del 1865… non prende in considerazione la cosa, quanto il bene. Ai sensi dell’art. 406, “le cose che possono formare oggetto di proprietà pubblica o privata, sono beni immobili o mobili. L’att. 416, nel riferirsi ai beni mobili, stabilisce che gli stessi sono tali “o per loro natura o per destinazione della legge”.

[52] Contribuisce alla delimitazione delle cose che possono costituire oggetto del pegno l’art. 43 del regolamento del 1939 che esclude alcune tipologie di beni, ora perché fragili o deperibili, commestibili, esplosivi o infiammabili ovvero, richiamando l’esclusione dal pignoramento, gli arredi e l’equipaggiamento dei militari ed equiparati, gli abiti dei religiosi ed i paramenti sacri. Art. 43 r.d. 1239/39: “non possono essere costituiti in pegno gli oggetti fragili, corruttibili, facilmente infiammabili o esplodenti, i commestibili, i liquidi, gli arredi di vestiario od equipaggiamento militari ed equiparati, gli abiti religiosi, i paramenti sacri e gli oggetti di culto”.

Negli stessi termini l’art. 215 del r.d. 6 maggio 1940 n. 635 “Regolamento per il testo unico 18 giugno 1931 n. 773 delle leggi di pubblica sicurezza” che ripropone il medesimo testo nel primo comma.

 

[53] I quattro quinti per i beni ritenuti preziosi e i due terzi del valore commerciale per tutti gli altri beni.

[54] G. Falcone, Controlli di conformità e Reg. tech, nella concessione del credito, in Dir. Banc.  Merc Fin. 2002, I, 112 secondo cui “essa viene realizzata qualunque sia la tipologia del credito… ed indipendentemente dalla tipologia del richiedente”.

[55] S. Gatti, Il credito su pegno, Milano, 2020  35, diversamente Pipitone, Il credito su pegno nella legge fallimentare e nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in Dir. Banc., 1994, I, 378.

[56] Anche se non è da escludersi, soprattutto in ipotesi di sovvenzioni di importo significativo, il compimento di una valutazione circa la possibilità del presentatore della cosa di rimborsare il denaro ricevuto, magari valutando le finalità dell’impiego della somma ricevuta.

[57] Art. 10 comma 1 L. 745/38: “le operazioni di prestito su pegno debbono essere effettuate mediante rilascio, al prestatario, di una polizza, la quale deve contenere la denominazione del monte, la descrizione sommaria della cosa costituita in pegno, il valore di stima attribuito, la data di concessione e quella della scadenza del prestito, la indicazione dei corrispettivi dovuti al monte e quelle altre indicazioni che siano stabilite nelle norme di cui all’art. 35” , l’art. 35 risulta abrogato.

[58] In questi termini S. Gatti, op. cit p. 59 “fra i tratti caratteristici del contratto in esame non si può dimenticare il fatto che si tratta sostanzialmente di un prestito in incertam persona… la legge n. 20 del 1977 non sembra, tuttavia, aver stravolto la peculiare natura della polizza e del credito su pegno. La polizza resta al portatore e continua ad attribuire la legittimazione al riscatto o al rinnovo a chiunque la esibisca”; diversamente G. Falcone, op. cit. 2012 p. 231 il quale dalla legge 20 del 1977 individua dei limiti all’anonimato sostanziale dell’operazione di credito.

[59] S. Gatti, op. cit., p. 65.

[60] Corte Cost. 31 luglio 2000 n. 408 ha affermato, nel confermare la compatibilità della norma speciale dettata per il credito su pegno che la legge 20/1977 ha determinato “l’abolizione dell’anonimato del prestito”, quando in verità già nel TULPS vi era una previsione in tal senso.

[61] Gabrielli, Commento sub art. 2786 c.c., in Gabrielli, Commentario del Codice Civile, Torino, 2016, 130: “se si riflette sulla formulazione letterale della norma appare evidente che il legislatore non ha menzionato lo spossessamento del debitore –o l’impossessamento del creditore- per definire la disciplina del momento costitutivo del diritto di garanzia, ma ha fatto leva sulla consegna della cosa, alla quale, come dato neutro, va riconosciuto un valore meramente strumentale rispetto alla situazione finale che mira a produrre”.

[62] Gabrielli, Op. cit., 127.

[63] R. Sacco, Il contratto, Rescino, Trattato di diritto privato, Torino, 2004, 887.

[64] Sebbene si ponga il problema dell’idoneità, in generale, della concezione storica del pegno quale potere immediato e diretto sulla res, soprattutto in relazione a forme, per esempio quelle disciplinate nell’art. 2786 comma 2 c.c., si veda in particolare Conforti, Diritti reali in generale, in Cicu – Messineo- Mengoni, Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, Giuffrè, 1980 p. 240.

[65] Corte d’Appello di Firenze 10 gennaio 1953 in Giur. Toscana, 1953, p. 38 che afferma la natura reale del contratto di pegno ed il suo perfezionamento in uno con la consegna della cosa, poiché solo attraverso la consegna della cosa è possibile attribuire pubblicità all’operazione e tutelare i creditori. In particolare sulla consegna come forma di pubblicità si veda Corte d’Appello di Palermo, 3 settembre 1966 in Dir. Fall. 1967, II, 117.

[66] In questi termini Cass. I Sez. Civ. 6 giugno 2019 n. 15.421, in questi termini anche Cass. I Sez. Civ. 19 novembre 2008 n. 23.839 che ha escluso la rilevanza ai fini probatori dell’annotazione nel libro dei pegni, anche se regolarmente vidimato, che non contenga la riproduzione della scrittura relativa al credito garantito.

[67] P. De Gioia Carabellese, op. cit., 173 ss: dopo aver richiamato la lettera dell’art. 16 della legge 745/38, ed aver confutato la previsione di cui all’art. 1 comma 2 lettera s) del d. Lgs. 231/07, assimila la polizza al “pawn agreement” anglosassone sussumendo la polizza di pegno nell’alveo dei “documenti probatori” che “rappresentano un autonomo genus, in cui, accanto alla funzione principale, quella di prova della titolarità del rapporto, si accompagnano funzioni accessorie, fra cui, come nel caso della polizza del credito su pegno, quella di pagamento, e per certi versi di circolazione”.

[68] Gasperini, La natura giuridica della polizza di pegno nell’ordinamento italiano, in Il credito pignoratizio, 1982, 61.

[69] S. Gatti, op. cit, 74.

[70] S. Gatti, op. cit, 74.

[71] In questi termini Tribunale di Genova, 22 marzo 1989, in Banca Borsa e Titoli di Credito, 1991, II, 268: “la polizza di pegno non ha natura di titolo di credito, essendo mero documento di legittimazione. Conseguentemente al portatore possono opporsi anche eccezioni a lui non personali non risultanti dal tenore letterale del documento”, in particolare nel caso trattato dal Tribunale di Genova è stato consentito l’opposizione al portatore della polizza dell’esistenza di un maggior credito rispetto al dato indicato sulla polizza medesima.

[72] P. De Gioia Carabellese, op. cit., 178 per il quale la polizza sarebbe assimilabile ad una ricevuta, ricevuta che non muta la propria natura nel “richiamo alla disciplina dell’ammortamento è per mere finalità pratiche”.

[73] P. De Gioia Carbellese, op. cit., 180 e in particolare pagina 181: “la digitalizzazione della polizza non sembra impedita dal comma 2 dell’art. 10 L. 745 del 1938”.

 

[74] S. Gatti, op. cit., 97 - 98. In senso contrario Alfieri, Il prestito su pegno, 32 - 33. Si osserva che in giurisprudenza, sia pure con riferimento a situazioni differenti e non rientranti nell’ambito della previsione di cui alla legge 745/38, ma genericamente riferibili “ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione la possibilità di procedere, pendente la procedura concausale, alla vendita del bene, non la configura come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avviene al di fuori del fallimento, perché richieste l’accertamento del credito nelle forme dell’insinuazione allo stato passivo e perché assoggetta la vendita del bene gravato dal privilegio all’autorizzazione ed ai criteri direttivi del giudice delegato, a fronte della concorrente legittimazione del curatore”.

[75] Cass., 25 luglio 1992 n.8975 in Dir. Fall. 1993, II, 834.

Interessante è la pronuncia Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, 3 maggio 2000, in Dir. Fall., 2000, II, 1297 che esclude l’operatività dell’esenzione di cui all’art. 53 l.f. per i beni costituiti in pegno successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento – ed ora di liquidazione – in favore di un ente debitamente autorizzato alla concessione del credito nella forma del credito su pegno.

[76] Cass. 25 luglio 1992 n. 8975 cit.