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Pubbl. Mar, 6 Feb 2024
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservatorio Notarile - Ottobre/Dicembre 2023

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autori Giulia Fadda , Giorgianni Marco Filippo , Scatena Salerno Mauro



Osservatorio trimestrale su temi di interesse notarile. A cura del Notaio dottor Marco Filippo Giorgianni, del Notaio dottor Mauro Scatena Salerno e della dott.ssa Giulia Fadda. In questo numero è presente un contributo del dottor Davide Ianni sulla tematica della legittimità della clausola di roussian roulette.


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Notarial Observatory-October/December 2023

Quarterly observatory on issues related to the notarial profession. January-March 2023. Edited by the public Notary dott. Marco Filippo Giorgianni, the public Notary dott. Mauro Scatena Salerno and the dott.ssa Giulia Fadda. In this issue there is a contribution by Dr Davide Ianni on the issue of roussian roulette cluase´s legitimacy.

NOTA A SENTENZA

LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SULLA VALIDITÀ E LICEITÀ DELLA RUSSIAN ROULETTE CLAUSE NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO: UN GIUDIZIO DI COMPATIBILITÀ E BILANCIAMENTO TRA PRINCÌPI DI DIRITTO SOCIETARIO E PRASSI NEGOZIALE[1]

Tutti gli articoli pubblicati nell'Osservatorio Notarile sono stati sottoposti a revisione a doppio cieco e approvati da almeno un membro del Comitato scientifico della Rivista competente per il settore disciplinare di riferimento.

Indice: 1. Premessa; 2. Le clausole di «way-out»: collocazione sistematica e natura giuridica; 3. Le clausole c.d. «anti-stallo»: la clausola della «roulette russa»; 4. L’analisi giuridica comparata nel panorama internazionale; 5. Lo stato dell’arte nell’ordinamento giuridico italiano; 6. La Cassazione n.22375 del 25 luglio 2023; 7. Conclusioni.

(Cass., Sez. I, 10 marzo 2023, dep. 25 luglio 2023 - Pres. De Chiara - Rel. Fraulini - A.A. c. B.B.)

Ove la clausola roussian roulette sia contenuta in un patto parasociale, l'avvenuta pattuizione a opera delle parti esclude in radice che si possa parlare di abusività genetica della previsione, in quanto avente precipua funzione organizzativa all'interno della società.

1. Premessa

La realtà sempre più frenetica dei traffici giuridici ha portato l’ordinamento giuridico a predisporre risposte sempre più rapide verso le emergenti ed urgenti esigenze che, nel corso del tempo, hanno investito la vita societaria.

Gli operatori giuridico-economici, come appunto le società – specialmente quelle di capitali – si trovano a dover conciliare esigenze di tipo economico o c.d. di mercato, insieme ad altre intricate ed elaborate questioni inerenti ai meccanismi giuridici che regolamentano il loro funzionamento interno.

Concentrando la presente analisi esclusivamente sulle società di capitali, si può facilmente affermare che il legislatore, nel predisporre e disciplinare tale fenomeno associativo, ha operato un cruciale bilanciamento di interessi: se da un lato viene riconosciuto alle società di capitali un importante ruolo di autonomia, attribuendo alle stesse personalità giuridica ed autonomia patrimoniale perfetta, dall’altro la società deve munirsi di un sistema di organizzazione c.d. corporativo, ossia dotarsi di un sistema interno tale da garantire il rispetto degli specifici ruoli decisionali, di governance, di gestione e di controllo.

Tale valutazione è fondamentale al fine di garantire serietà ed affidabilità agli operatori del mercato.

Tuttavia, spesso può accadere che la scalpitante celerità richiesta nelle operazioni economiche di mercato si scontri con le lungaggini delle procedure giuridiche organizzative interne alle società.

Tra le norme che regolamentano la vita della società, ve ne sono alcune che disciplinano il funzionamento dell’organo assembleare o amministrativo, prevedendo dei quorum specifici al fine dell’adozione delle delibere proposte.

Ciò posto, si potrebbe dunque verificare che, a fronte di differenti criticità, risulti difficoltoso raggiungere i consensi necessari al fine dell’adozione della decisione, cagionando così una situazione di c.d. stallo decisionale.

In simili ipotesi, la prassi negoziale societaria, attingendo dall’esperienza anglosassone, ha predisposto dei meccanismi giuridici idonei a prevenire o a risolvere un pericolo di tal genere, introducendo specifiche clausole statutarie denominate clausole di deadlock-breaking provisions.

Oggetto del presente contributo sarà pertanto la recentissima pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n.22375 del 25 luglio 2023.

Tale decisione infatti assume, nel panorama giuridico odierno, un’importanza peculiare poiché per la prima volta i giudici di legittimità affrontano la tematica delle clausole c.d. «antistallo», offrendo così una significativa occasione per l’approfondimento e l’analisi del quadro giuridico in cui tale istituto è immerso e conoscerne le origini, i meccanismi di funzionamento, i pregi, i pericoli e gli antidoti legali per favorirne l’ingresso stabile e pacifico all’interno dell’ordinamento italiano, compatibilmente con i princìpi che lo governano.

2. Le clausole di «way-out»: collocazione sistematica e natura giuridica[2]

Prima di procedere all’analisi delle clausole statutarie che prevedono metodi di risoluzione alla c.d. paralisi decisionale societaria, è opportuno comprendere la loro collocazione sistematica all’interno dell’ordinamento giuridico.

La legge infatti riconosce all’autonomia statutaria la possibilità di creare delle specifiche clausole per disciplinare le vicende riguardanti determinati eventi della vita sociale.

Tali previsioni possono essere ricomprese direttamente nello statuto oppure possono formare oggetto di appositi patti parasociali.

I primi avranno efficacia «reale», vincolando tutti i soci, compresi quelli futuri.

Diversamente, i secondi hanno una efficacia meramente obbligatoria limitata esclusivamente nei confronti dei soci che hanno sottoscritto l’accordo e la loro violazione potrà comportare soltanto l’obbligo di risarcimento del danno in favore degli altri soci che fanno parte del patto.

Ciò posto, la società può dunque prevedere dei limiti convenzionali alla circolazione delle partecipazioni societarie.

In tale categoria, vi rientrano a pieno le c.d. clausole di «way-out»[3].

Esse consistono in previsioni, di matrice statutaria o parasociale, con cui la società vuole garantire ai soci la diretta ed immediata fuoriuscita dalla società, senza dover ricorrere agli ordinari metodi legali, tutelando la parità di trattamento tra i soci e disciplinandone le relative modalità.

Nello specifico, al fine di garantire il rispetto dei canoni giuridici previsti dalla legge e dallo statuto, dovranno essere ben individuati sia l’evento che attiverà il meccanismo di way-out (c.d. triggering event) che le modalità temporali con cui lo stesso dovrà essere attivato (c.d. timeframe) ed il relativo corrispettivo che dovrà essere ancorato a dei parametri prestabiliti e ben determinati (c.d. market value).

Nell’alveo di tale tipologia di clausole, vi rientra a pieno la c.d. russian roulette clause.

3. Le clausole c.d. «anti-stallo»: la clausola della «roulette russa»[4]

La russian roulette clause si caratterizza in primo luogo per una spiccata vocazione anti-stallo, che la distingue rispetto alle altre clausole di way-out.

Essa rientra nel genus delle clausole c.d. buy-sell provision, rivolte a evitare o superare, senza giungere alla liquidazione della società, situazioni di immobilismo o di impasse che porterebbero la società allo scioglimento.

Nella vita societaria è infatti possibile che si verifichino diverse situazioni di stasi decisionale: si parla di semplice «stalemate» (ossia «stallo») qualora esso risulti essere la fisiologica conseguenza di una previsione statutaria (ad esempio laddove lo statuto riconosca il potere di veto al gruppo di minoranza), mentre si parla di «deadlock» (ossia letteralmente «punto morto»  o «vicolo cieco») se lo stallo rappresenta l’estrema ed esasperata conseguenza di una situazione patologica in cui la società potrà incappare in via del tutto eventuale (ad esempio nel caso di compagine societaria paritaria formata da due gruppi di soci che votano in senso opposto creando un voto fifty-fifty che cagionerà uno stallo decisionale potenzialmente idoneo a perdurare per molto tempo finché uno dei due gruppi non muterà indirizzo decisionale).

La ratio che ispira la previsione di tali tipologie di clausole si annida nella necessità di evitare che il protrarsi dello stallo decisionale possa pregiudicare la vita della società stessa: in tema di società di capitali, l’art. l’art. 2484 c.c. menziona come causa di scioglimento della società - al n. 3) del primo comma - la circostanza della «impossibilità di funzionamento» o «la continuata inattività dell’assemblea».

Sebbene l’orientamento oramai prevalente abbia fornito una lettura restrittiva della norma, riconoscendo come idonea causa di scioglimento soltanto l’impossibilità «oggettiva, assoluta ed irreversibile» dell’organo assembleare, si comprende - tuttavia - come una simile situazione di stallo possa cagionare parimenti ingenti danni alla società, specialmente economici, che potrà condurre - soltanto in limine temporis - allo scioglimento della società.

Allo scopo di evitare tali conseguenze, l’autonomia statutaria ha introdotto apposite clausole chiamate, giustappunto, clausole «anti-stallo».

Ancorché esse siano caratterizzate dal medesimo fine (rimuovere o prevenire la creazione dello stallo decisionale), le clausole anti-stallo possono raggiungere tale obiettivo mediante due mezzi principali: da un lato, mantenendo in vita il rapporto associativo e al contempo permettere il superamento dell’impasse, dall’altro lato, invece, consentire la fuoriuscita di uno o più soci dalla società, eliminando così alla radice il conflitto che genera lo stallo e determinando in tal guisa lo scioglimento del rapporto societario limitatamente alla partecipazione societaria di uno o più soci.

Nella prima categoria vi rientrano le clausole di cooling off, del casting vote, del chairman e del c.d. arbitro fiduciario mentre nella seconda categoria vengono annoverate le clausole di prelazione, di divergenza e, precisamente, la clausola della roulette russa.

Chiarito l’habitat normativo in cui tale istituto si snoda, è interessante soffermarsi sull’etimologia del nome attribuito a tale clausola: «roulette russa».

Tale denominazione infatti deriva dall’omonimo gioco d’azzardo, potenzialmente letale, che consiste nel posizionare un solo proiettile in un revolver, ruotare velocemente il tamburo, puntarla verso la propria testa e premere il grilletto[5].

La clausola della roulette russa è anche nota come clausola del cow-boy (o con la variante della Texas shoot-out clause), enfatizzando il carattere di «stasi» decisionale, come nell’immaginario mondo Western in cui si contrappongono due pistoleri, i quali – posti uno di fronte all’altro - si sfidano a duello.

Nonostante le numerose e suggestive espressioni adottate per identificare tale clausola, il dato comune si rinviene nel carattere pressocché aleatorio connesso all’esito del suo funzionamento, il quale svela e dischiude i pericoli intrinseci all’utilizzo di tale clausola.

Proprio per tali ragioni, la dottrina in un primo momento ha mostrato un forte attrito verso l’ingresso di tale clausola nel nostro ordinamento, trascinando con sé rischi di difficile previsione e di cui si parlerà in seguito in maniera più approfondita.

Passando all’analisi giuridica di tale fenomeno, stante l’assenza di una specifica regolamentazione normativa in merito, il legislatore non fornisce una definizione di russian roulette clause, lasciando pertanto tale onere alla prassi negoziale.

La dottrina definisce la previsione in esame come la clausola con cui, in presenza di conflitti o stalli decisionali irreversibili (situazione di deadlock o trigger events), a ciascun socio è attribuita la facoltà di proporre un’offerta di acquisto della partecipazione sociale dell’altro socio, indicando il valore che assegna alle partecipazioni dell’intero capitale sociale e, in percentuale, il prezzo a cui è disposto ad acquistare quella dell’altro socio; il socio oblato si trova dinanzi due alternative: accettare l’offerta, vendendo la propria partecipazione all’altro socio al prezzo indicato dalla controparte oppure ribaltare radicalmente la situazione, acquistando egli stesso la partecipazione dell’altro socio al medesimo prezzo che l’altro socio aveva stabilito.

È d’uopo precisare che il potere di «azionare» la clausola in esame può essere riconosciuto ad entrambe la parti contrapposte (ed in tal caso si parlerà di clausola c.d. simmetrica) oppure può essere attribuito soltanto ad una delle parti (in quest’ultimo caso si parlerà di clausola c.d. asimmetrica).

La prassi ha tuttavia portato in superficie una potenziale complicanza che potrebbe insorgere in caso di clausola c.d. simmetrica: stante il potere riconosciuto in maniera identica ad entrambe le parti contrapposte, potrebbe emergere una ulteriore situazione di stallo già nella medesima fase di attivazione del meccanismo della roulette russa.

Lo stesso ricorso alla clausola, qualora sia effettuato da entrambe le parti in maniera pressocché simultanea, potrebbe infatti ingenerare un ennesimo conflitto circa l’individuazione di chi, tra i soci, debba prevalere rispetto all’altro.

Per ovviare a tale pericolo, che frustrerebbe la funzione medesima della clausola, è stata approntata una vera e propria procedimentalizzazione della formulazione dell’offerta, mediante ad esempio un canone di priorità cronologica, volta a stabilire ex ante chi prevarrà tra i soci onde evitare la creazione di un ulteriore stallo.

La caratteristica principale ed immanente della clausola della roulette russa è rappresentata, ad ogni modo, dalla fissità del prezzo dell’offerta.

Tale elemento la distingue invece dalla sua variante denominata Texas shoot-out clause, con cui invece viene riconosciuta la facoltà alle parti di eseguire dei «rilanci» sul prezzo.

Inoltre, nelle società del Nord America, è invalsa la prassi della variante «inversa» della roulette russa, denominata sale shoot-out clause, con cui al socio è attribuito il potere di «gettare la spugna», indicando un prezzo al quale è disposto a vendere la propria partecipazione all’altro socio, il quale, se non ritiene di accettare tale «proposta», diviene a sua volta obbligato a cedere la propria partecipazione al medesimo prezzo ma diminuito di una percentuale contrattualmente prestabilita.

Vi è altresì una sub-variante di tale tipologia di clausola in cui la determinazione del prezzo viene effettuata in base al fair value per share da parte di un soggetto estraneo mentre a uno dei due soci si attribuisce una duplice facoltà: il potere di acquistare la partecipazione dell’altro socio con un pre-agreed discount (con uno sconto prestabilito) oppure di vendere la propria partecipazione con un pre-agreed premium (con un aumento percentuale prestabilito).

Tornando alla clausola della roulette russa, stante la sua matrice quasi consuetudinaria o comunque nascente dalla mera prassi societaria, non si rinviene una disciplina legale specifica.

Tuttavia, essa può trovare un campo d’analisi basandosi sul quadro normativo in cui si inserisce.

Come già accennato in precedenza, spesso le clausole in esame sono inserite direttamente all’interno dei patti parasociali e sarà pertanto necessario comprendere a pieno il funzionamento ed i limiti che la legge riconosce a tali strumenti negoziali, al fine di comprendere al meglio le prerogative ed i confini legali entro cui la clausola della roulette russa potrà agire.

La riforma del diritto societario del 2003[6] ha introdotto la sezione III-bis del capo V del titolo V del libro V del codice civile, introducendo altresì l’art. 2341bis c.c., denominato «Patti parasociali».

Essi possono essere definiti come accordi tra soci, aventi natura meramente obbligatoria e stipulati al di fuori dell’atto costitutivo, con il quale i medesimi si obbligano a tenere un determinato comportamento nella società e verso la società medesima.

La figura dei patti parasociali[7] viene ricondotta nell’alveo dei contratti plurilaterali con comunione di scopo e collegati unilateralmente al contratto sociale.

Essi possono avere una durata massima di cinque anni, salvo rinnovo.

Ciò posto, è importante in questa sede soffermarsi su tale istituto poiché la stessa Cassazione in commento rileva come l’aver normato positivamente tale istituto giuridico implica, indirettamente e per via mediata, il riconoscimento da parte del Legislatore nazionale della meritevolezza e tutelabilità degli accordi contenuti all’interno dei patti parasociali, ritenendoli così sempre validi, purché non si pongano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento in materia societaria[8].

Come si avrà modo di esporre a breve, sarà dunque cruciale - al fine di individuare i confini di liceità della clausola di russian roulette, il positivo esito del giudizio di bilanciamento tra meritevolezza degli interessi in giuoco e principi fondamentali in materia societaria.

I giudici di legittimità inoltre operano una netta distinzione, ai fini del giudizio di compatibilità, tra clausole contenute nello statuto e clausole contenute in patti parasociali[9].

4. L’analisi giuridica comparata nel panorama internazionale[10]

Al fine di addivenire ad una risoluzione completa della questione, i giudici di piazza Cavour ritengono imprescindibile lanciare uno sguardo oltre i confini nazionali, verso altri ordinamenti giuridici che hanno dato vita ad esperienze societarie diverse al fine di risolvere la questione inerente alla clausola della roulette russa.

La disamina investe in primo luogo il continente americano, laddove le Corti statunitensi, collocando la clausola in esame nell’alveo delle shoot-out clauses, hanno giudicato la stessa come presumptively fair, ossia valida in linea di principio, salvo evidenti formule di abuso del diritto[11].

Negli ordinamenti di common law inoltre si fa riferimento alla tecnica del cake-cutting rule mediante l’espressione idiomatica del «I cut, you choose» (letteralmente: «Io taglio, tu scegli») secondo cui il processo di determinazione del prezzo unilaterale trova il suo riequilibrio fondamentale nella possibilità di scelta di cui gode il soggetto oblato.

Egli infatti potrà decidere se vendere a quel prezzo le proprie partecipazioni (cioè la propria «fetta di torta», nella metafora anglosassone) oppure per lo stesso prezzo acquistare quelle dell’altro socio che per primo ha fissato il prezzo.

Questo insieme di check and balances, per cui chi attiva la clausola russian roulette decide il prezzo (e quindi taglia la fetta di torta nella dimensione voluta) lascia in realtà tutta la scelta se vendere o acquistare all’altro socio.

Ciò che funge da meccanismo riequilibrante, inducendo - secondo l’id quod plerumque accidit - il soggetto che indica il prezzo a non sopravvalutare o sottovalutare la partecipazione, perché in entrambi i casi la controparte potrebbe approfittarne, con un surplus sul prezzo delle partecipazioni vendute nel primo caso o con un considerevole sconto nell’acquisto nell’altro caso.

Tale approccio molto «confident» verso la clausola in commento è in realtà giustificata dal fatto che essa, nella letteratura nordamericana, è considerata quasi di routine (virtually boilerplate clause) nel settore delle real estate joint ventures ed è stata oggetto di formulazione mediante un modello tipo elaborato dall’American Bar Association nel vigore del Delaware Limited Liability Company Act.

Nello specifico, in tale «prototipo di tipizzazione» della clausola della roulette russa, si suggerisce una maggiore accortezza a livello informativo-preliminare laddove il socio che invoca il meccanismo di buy-sell provision sia un soggetto professionale.

In tale ipotesi infatti si parla di un obbligo di disclosure (ossia di trasparenza e di informazione), verso l’altro socio in ordine a quelle informazioni materiali che esso potrebbe non possedere. Il profilo della disclosure, ossia della effettiva simmetria informativa concessa all’oblato, si pone come preoccupazione maggiore, volta a reprimere eventuali abusi nell’utilizzo di una clausola che, come generalmente si rileva, è in linea di principio valida[12].

Il fenomeno di spreading della russian roulette clause nel mondo anglosassone ha portato una crescente influenza di tale meccanismo anche negli ordinamenti di civil law.

In Francia si è affrontata la tematica delle clausole di buy-sell provisions quando la Corte d’appello di Parigi nel 2006 (CA Paris, 15 dicembre 2006) ha rigettato la richiesta di uno dei soci che mirava a far dichiarare l’invalidità del patto in quanto stipulato privatamente fra i soci e non inserito nello statuto della società.

La Corte francese infatti ha ritenuto che la russian roulette clause non possa essere considerata una clausola sanzionatoria ma si tratti di una procedura di uscita volontariamente contrattata fra le parti di cui deve affermarsi la perfetta validità.

La questione ha tenuto banco anche in Austria laddove la Corte d’appello di Vienna, nella decisione del 20 aprile 2009 (in GesRZ, 2009, 376), ha affermato la validità dell’inclusione di una «deadlock clause» nella regolamentazione statutaria di una società chiusa, compresa la possibilità di iscrizione della stessa nei registri commerciali delle imprese, in quanto, secondo la Corte, i meccanismi di «checks and balances» insiti nelle modalità operative della clausola fanno sì che la parte che ricorre alla clausola non possa avvantaggiarsi eccessivamente sulla parte che quella richiesta riceve, potendo quest’ultima scegliere il da farsi liberamente.

In Germania l’indirizzo dottrinario maggioritario si è concentrato maggiormente sui meccanismi di equilibrio rispetto ai limiti riguardanti i diritti inalienabili collegati all’exit societario.

Specificamente, è stato sostenuto come non si realizzerebbe una violazione del p. 723 BGB in tema di recesso convenzionale, poiché ciascun socio sarebbe libero di iniziare la shoot-out procedure, ma il soggetto che riceve la proposta di vendita potrebbe capovolgerla in suo favore per il medesimo prezzo e il socio superstite potrebbe a tal punto decidere se continuare l’operatività della società, ovvero liquidarla.

Al tempo stesso, si è ritenuto che la clausola non determini una violazione dell’ordine pubblico, in quanto il meccanismo di determinazione del prezzo, pur unilaterale, in forza della possibilità di scelta concessa all’altro socio, consente in linea di principio di proteggere i partners e gli azionisti dal subire svantaggi irragionevoli, non violando perciò la previsione dell’ordine pubblico, di cui al p. 138 BGB.

Anche in ambito giurisprudenziale la questione è stata oggetto di attento scrutinio da parte dell’Alta Corte di Norimberga (OLG Nueremburg, 20/12/2013), la quale ha affermato la validità di questo tipo di clausola, ritenendo che la stessa non possa considerarsi di per sé nulla in quanto essa (o la sua applicazione) non è irragionevolmente favorevole ad una delle parti, stante la possibilità di scelta che è concessa all’altra, sì che proprio questa possibilità di scelta non crea un vantaggio di per sé ingiusto alla prima delle parti che fa ricorso alla clausola.

La Corte, peraltro, ha aggiunto che in singoli casi concreti occorrerà prestare particolare attenzione quando le parti siano fra di esse in una posizione di evidente disequilibrio finanziario, ovvero quando la situazione di paralisi sia, in realtà, insussistente e uno dei soci abusi della clausola per forzare l’altro a lasciare la società.

Alla luce di questa breve disamina comparata, si evidenzia un quadro ermeneutico alquanto lineare, nel quale il fulcro delle decisioni si concentrano sul giuoco di equilibri tra interessi contrapposti, dimostrando come la clausola della russian roulette contenga intrinsecamente una vocazione di check and balances, idonea ad escludere possibili pericoli di abuso da parte della compagine societaria.

5. Lo stato dell’arte nell’ordinamento giuridico italiano[13]

Illustrato dunque il panorama internazionale nel suo continuo divenire, è opportuno tornare all’interno dei confini nazionali per comprendere quale sia l’attuale stato dell’arte nell’ordinamento italiano.

Negli ultimi anni, si è avvertito un sempre maggiore interesse verso la creazione di meccanismi idonei ad evitare o risolvere situazioni di contrasto insanabile o di paralisi gestoria, specialmente nelle join venture paritarie o nelle società c.d. chiuse con soli due soci titolari di partecipazioni societarie paritarie.

Nell’operazione di districamento della dottrina italiana, un ruolo decisivo va riconosciuto senza dubbi alla classe notarile. Il Consiglio Nazionale del Notariato[14] già da tempo propende per la tesi della ammissibilità e liceità della clausola russian roulette, in quanto finalizzata ad evitare il disfacimento dell’assetto societario, senza sfociare nelle lungaggini della liquidazione ma, anzi, salvaguardando la sopravvivenza della società stessa nel mercato.

Altrettanto importante è stato il contributo fornito da alcuni Consigli notarili distrettuali, i quali hanno, nel corso del tempo, analizzato le vicende societarie italiane, al fine di fornire delle risposte operative per una celere risoluzione alle problematiche che si susseguivano nella prassi quotidiana.

In primo luogo, assume una peculiare rilevanza la massima n. 181 del Consiglio Notarile di Milano[15] con cui si afferma la legittimità della clausola della russian roulette.

Il primo punto che è scalfito nella massima è il presunto contrasto con il divieto di patto leonino ai sensi dell’art. 2265 c.c.: la clausola in oggetto infatti non porrebbe nessun pericolo di poiché la sua concreta modalità di funzionamento non appare idonea alla realizzazione del risultato che tale norma intende impedire, ossia l’esclusione di uno o più soci «da ogni partecipazione agli utili o alle perdite».

Diversamente, il punto su cui giova porre l’attenzione, sul piano del vaglio di legittimità della clausola in parola, sta invero nella necessità o meno che essa rispetti il principio di equa valorizzazione[16] delle azioni o quote in caso di exit «forzato», rinvenibile sia nelle norme in tema di recesso legale (artt. 2437-ter e 2473 c.c.) sia in quelle di riscatto convenzionale (art. 2437-sexies c.c.) e di esclusione (art. 2473-bis c.c.).

Tuttavia, tale questione si pone in questa sede con esclusivo riferimento all’ipotesi nella quale la clausola sia contenuta, non già in un patto parasociale – là dove non sussistono limiti normativi espressi alla libertà negoziale delle parti di programmare le condizioni economiche di un contratto di scambio che vincola solo le parti stesse – bensì in uno statuto di s.p.a. o di s.r.l.

Il problema si incentra quindi sulla applicabilità, diretta o analogica, del precetto contenuto nell’art. 2437-sexies c.c., il quale rinvia «in quanto compatibili» alle disposizioni degli articoli 2437-ter e 2437-quater c.c. allorché lo statuto preveda un potere dei soci o della società di riscattare le azioni o alcune categorie di azioni.

Il Consiglio notarile di Milano inoltre sostiene che il meccanismo della facoltà alternativa concessa al socio che «subisce» il primo «attacco» in forza della clausola della «roulette russa» – in base al quale può scegliere se comprare o vendere, allo stesso prezzo – sia ragione sufficiente per disattivare la citata regola di tutela dell’equa valorizzazione. Neppure coglierebbe nel segno, infine, l’ulteriore possibile argomentazione volta a negare l’applicabilità del principio di equa valorizzazione[17], basata sulla inadeguatezza del criterio legale di valorizzazione delle azioni previsto in caso di recesso (art. 2437-ter c.c.) qualora si tratti di partecipazioni sociali interessate da una situazione di stallo decisionale.

Dopo aver richiamato i precedenti contributi ermeneutici e giurisprudenziali succedutisi nel corso degli ultimi anni in merito alla questioni in esame[18], il Consiglio notarile di Milano sostiene come l’autonomia statutaria incontra certamente il limite del principio di equa valorizzazione ma mantiene un ampio spettro di possibili varianti nel configurare il contenuto concreto della clausola della «roulette russa», anche sotto il profilo della valorizzazione delle azioni oggetto di trasferimento coattivo.

A questo punto, dopo aver affrontato le analogie strutturali che la clausola della russian roulette condivide con le diverse clausole di drag along e di tag along[19], la disamina si concentra invece sulle differenze fondamentali che ne evidenziano il diverso funzionamento e la distinta funzione, fermo restando il rispetto del principio di equa valorizzazione[20].

Accanto a tale ricostruzione, si pone anche il contributo del Consiglio notarile di Firenze[21]. I notai fiorentini infatti riconoscono la piena legittimità tout court della clausola statutaria c.d. «roulette russa», in quanto finalizzata a risolvere una situazione di stallo decisionale e ciò indipendentemente dalla previsione o meno di un meccanismo di predeterminazione del prezzo della partecipazione oggetto del trasferimento.

In particolare, viene sostenuta la validità della clausola, la quale non soggiace alla condizione che siano indicati criteri da seguire per la determinazione del prezzo né che quest’ultimo sia almeno pari al valore di liquidazione della partecipazione spettante al socio receduto ai sensi degli artt. 2437-ter c.c. e 2473 c.c.

Dopo aver distinto le diverse ipotesi di russian roulette clause (simmetrica o pura, asimmetrica o selettiva, intermedie), la massima rimarca il carattere strutturalmente equilibrato della clausola in quanto dall’angolo prospettico del socio oblato l’effetto immediato dell’attivazione della clausola è rappresentato dal riconoscimento di un diritto di riscatto delle azioni o quote del primo offerente; mentre è il mancato esercizio di tale diritto a rendere, a sua volta, riscattabile la partecipazione dell’oblato.

La clausola antistallo in esame ha dunque un duplice effetto: un primo per il socio offerente che, attivando la clausola, si sottopone al diritto di riscatto dell’altro socio; un secondo per il socio oblato, che si verifica soltanto in caso di mancato riscatto della partecipazione dell’offerente, rovesciandosi la situazione ed esponendosi lo stesso oblato all’altrui diritto di riscatto.

La massima infine prosegue ritenendo che non si giustifica in alcun modo, per il caso della roulette russa, l’applicazione della regola dell’equa valorizzazione della partecipazione di cui agli artt. 2437-sexies c.c. e 2473-bis c.c. ma, al contrario, la subordinazione della legittimità della clausola alla previsione di soglie minime di prezzo finirebbe incongruamente per determinare un effetto dissuasivo rispetto all’attivazione del relativo meccanismo, lasciando così la società esposta al protrarsi dello stallo, e condannandola al probabile esito liquidatorio, tutte le volte che il prezzo indicato dai soci legittimati all’offerta - il socio più tempestivo nella russian roulette «simmetrica», ovvero quello selettivamente indicato come titolare del diritto di prima offerta nella variante «asimmetrica» - sia inferiore al valore determinabile in base agli artt. 2437-ter c.c. e 2473 c.c.. In tal senso, il Consiglio notarile di Firenze riconosce alla clausola statutaria della russian roulette una validità intrinseca, senza la necessità di prevedere un tetto minimo di prezzo.

Se questo è l’orientamento dei Consigli notarili, non è mancata un’attenta analisi da parte della dottrina civilistica. Innanzitutto, i dubbi ermeneutici su cui si è maggiormente dibattuto in ordine alla liceità o meno della clausola in esame riguardano la sua compatibilità, da un lato, con il disposto dell’art. 1355 c.c. (in tema di condizione meramente potestativa) e, dall’altro, con l’art. 1349 c.c. (in tema di determinazione o determinabilità dell’oggetto del contratto).

Per quanto concerne la prima questione, alla luce dell’interpretazione restrittiva adottata in giurisprudenza[22], nel caso della russian roulette clause, la dottrina appare chiaramente rivolta a ritenere che non operi alcuna condizione meramente potestativa.

Il meccanismo strutturale della clausola in esame, in base al quale la determinazione di una parte trova un riequilibrio nei poteri contrattuali riconosciuti alla controparte, impedisce di concludere che la fissazione del prezzo corrisponda al «mero arbitrio» del primo dichiarante, il quale dovrà invece tenere conto di una serie di considerazioni di carattere oggettivo e, soprattutto, si espone al rischio della decisione finale della controparte.

Si aggiunge inoltre che, nel caso di specie, il meccanismo di attivazione della clausola non riposa per definizione sulla mera volontà di chi vi fa ricorso, ma è a sua volta collegato al c.d. trigger event, ossia al verificarsi di una situazione di stallo societario che la stessa clausola deve predeterminare e che, per definizione, non dipende dal solo comportamento della parte che vi fa ricorso.

Per quanto riguarda la seconda questione, invece, la circostanza che l’oblato possa sia vendere la propria partecipazione che acquistare quella dell’altro allo stesso prezzo, impedendo ontologicamente che la parte per prima dichiarante possa operare una determinazione qualsiasi del prezzo, ha dato il via al sorgere dei medesimi interrogativi in merito alla determinabilità dell’oggetto contrattuale.

Si è ritenuto che tale meccanismo di funzionamento, che deve fondarsi su un evento (lo stallo) indicato in contratto e non dovuto al mero comportamento della parte che invoca la russian roulette, determini, in realtà, il sorgere di un’obbligazione alternativa in capo all’oblato che, ex art. 1285 c.c., può liberarsi vendendo la propria partecipazione o acquistando quella del dichiarante.

Vi è poi una diversa ricostruzione – preferita dalla Cassazione – secondo cui si deve ricondurre tale maccanismo al riconoscimento negoziale di due opzioni put/call statiche (cioè senza possibilità di rilanci), ugualmente esercitabili da parte del socio oblato.

Si inserisce, infine, una terza ricostruzione secondo il quale una parte è libera di determinare unilateralmente l’oggetto del contratto a condizione che ciò avvenga secondo parametri obiettivi di riferimento o, quantomeno, a condizione che il risultato ponga al riparo una parte dalle finalità meramente speculative dell’altra, giungendo a ritenere che sia lo stesso meccanismo di funzionamento della clausola di russian roulette a porre le parti in una situazione di reciproco equilibrio negoziale non in forza di criteri normativi che escludono l’arbitrarietà del prezzo, bensì mediante l’attribuzione di un diritto potestativo all’oblato, costituito dalla facoltà di esercizio di un’opzione put o call che, a valle dell’offerta, fa da contraltare alla determinazione unilaterale del prezzo. Un altro elemento che è stato individuato come potenziale punto di frizione tra la russian roulette clause e l’ordinamento interno è il già noto divieto di patto leonino.

Già oggetto di scrutinio da parte della menzionata massima n. 181 di Milano, l’art. 2265 c.c. si pone come norma di principio generale che investe l’intero sistema societario, sebbene essa sia contenuta nell’ambito della disciplina della società di persone, nello specifico della società semplice.

Il divieto presuppone la previsione della esclusione totale e costante del socio dalla partecipazione al rischio d’impresa o dagli utili, ovvero da entrambi.

Al riguardo, la stessa Cassazione in commento ritiene diverso il profilo strutturale e funzionale della clausola di russian roulette rispetto alle clausole, anche parasociali, valutate come lesive dell'art. 2265 c.c.

Ciò infatti è ritenuto valido sia con riguardo al fatto che l’operatività della clausola non è immediata, ma rimessa alla circostanza che si verifichi uno stallo degli organi gestori o assembleari della società, predeterminato contrattualmente ma del tutto eventuale e sia, dall’altro, al già più volte citato meccanismo di funzionamento del procedimento di exit, che può «ritorcersi» nei confronti dello stesso soggetto che per primo abbia fatto ricorso alla clausola[23].  

I soci la stipulano al fine di pervenire ad una risoluzione, per quanto drastica, di uno stallo gestionale, di un altrimenti irresolubile contrasto nella determinazione e prosecuzione dell'attività imprenditoriale.

Si giunge così, anche in merito alla presente questione, ad una rimozione in radice di qualunque possibile contrasto tra la russian roulette clause ed il divieto di patto leonino, risultando al contrario evidente come i soci - lungi dall’essere, in virtù della clausola, deresponsabilizzati nell’esercizio dei diritti sociali – appaiano invece, mediante le medesime modalità di funzionamento della clausola stessa, pienamente coinvolti nella gestione societaria, sia sotto il profilo del rischio economico che del potere di gestione.

Quanto inoltre al problema inerente alla necessità o meno di un floor minimo di valutazione della partecipazione, si rinvia a quanto già affermato precedentemente.

La dottrina maggioritaria, infatti, sul punto respinge tale argomentazione, adeguandosi all’interpretazione fornita dalla citata massima n. 181 ed operando la netta distinzione a seconda se la clausola sia contenuta nello statuto sociale o solo in un patto parasociale.

Infine, la Cassazione, al fine di predisporre un’analisi completa dell’istituto in esame, fa propri gli interrogativi sorti in dottrina circa il pericolo di utilizzo abusivo del meccanismo della clausola, in violazione con i generali principi di correttezza e buona fede.

Come si è già avuto modo di esporre, l’esperienza nord-americana ha dato un dirimente rilievo al fenomeno della disclosure.

Specialmente nei casi di forte divergenza economico-finanziaria tra le parti, l’esigenza di informazione si percepisce in maniera sempre più pressante e persistente.

In tali ipotesi, si ritiene che l’oblato possa fruire di tutela risarcitoria per i danni che abbia subito dalla estromissione iniqua dalla società e che lo stesso possa anche impedire il meccanismo attivato dall’altro socio attraverso l’opposizione dell’exceptio doli generalis, con la quale paralizzare, anche in via cautelare, l’altrui attivazione della clausola di russian roulette.

La dottrina più attenta inoltre ha osservato che, qualora anche la situazione di “stallo” fosse stata artatamente creata dal soggetto intenzionato a esercitare in mala fede la buy/sell provision, il rimedio potrebbe anche consistere nell’annullamento della delibera negativa oppure, secondo altra prospettazione, nella stessa rideterminazione giudiziale dell’esito della votazione.

Un’ulteriore possibilità di tutela ipotizzata è rappresentata, poi, secondo diversa opzione interpretativa, dalla sanzione dell’inefficacia dell’atto realizzato attraverso l’abuso (così, nella fattispecie ipotizzata, nell’inefficacia dell’atto traslativo della partecipazione societaria), considerando tale opzione come più tutelante rispetto a quella puramente risarcitoria.

6. La Cassazione n. 22375 del 25 luglio 2023

La vicenda fattuale da cui si dipana l’intera vicenda giudiziaria si snoda da una sentenza del Tribunale di Roma[24] che aveva dichiarato la validità delle clausole antistallo contenute nel patto parasociale stipulato in data 27 giugno 2006 tra due società di capitali - una S.r.l. e una S.p.a., di cui la prima partecipata da altre due S.p.A. - respingendo la connessa domanda di risarcimento del danno per la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esercizio delle prerogative da tali clausole derivanti o per l’abusiva attività di direzione e coordinamento relativamente alla società partecipata.

Impugnata la decisione di primo grado, la Corte d’Appello di Roma[25] confermava la sentenza emessa dal giudice di prime cure, statuendo che: «a) che le clausole antistallo contenute nel patto parasociale non erano affatto unilaterali, giacché facoltizzavano entrambe le parti a farne uso; b) che sfornita di alcuna verosimiglianza era la tesi secondo cui la società […] sarebbe stata l’unica a poter fare uso delle clausole, quale socio «forte» che sin dall'inizio sapeva della condizione di debolezza dell’altra società […]; c) che la previsione oggetto delle clausole era valida, siccome puntualmente circostanziata rispetto a precise condizioni, sicché doveva ritenersi meritevole di tutela; d) che andava esclusa la nullità della clausola per vizio dell’oggetto, atteso che il prezzo di rivendita era identificato in base a condizioni oggettive e non già rimesso all’arbitrio di una delle parti, potendo del resto la società […], quale socio al 50% della società veicolo […], ben conoscere la situazione finanziaria della partecipata ai fini della valutazione delle congruità del prezzo fissato dalla prima società […]; e) ha escluso che la clausola fosse nulla per assenza di un meccanismo di equa valorizzazione delle partecipazioni, perché la clausola antistallo non si presta a tale tipo di rischio, essendo espressione della libertà negoziale dei soci aderenti; f) ha escluso che la clausola in questione ricadesse nel divieto del patto leonino; g) ha escluso che la clausola integrasse la violazione dell'art. 2341-bis c.c.; h) ha escluso che la società […], nell’azionare la clausola, avesse abusato del proprio diritto, circostanza valutata come non provata, dovendo ascriversi all’immobilismo della società partecipata la ragione del mancato interesse dell’altra società […] a permanere nella compagine sociale e non già al comportamento asseritamente scorretto di quest’ultima, nei vari aspetti puntualmente esaminati in fatto ed esclusi nella loro esistenza o rilevanza; i) ha dichiarato inammissibile per genericità il motivo di censura relativo all’attività di direzione e coordinamento svolta da dalla prima società […] nella seconda società […]; l) ha dichiarato inammissibile la richiesta di c.t.u. formulata dalla società […]».

Avverso la suddetta sentenza, è stato proposto ricorso in Cassazione, affidando il medesimo a quattro motivi: a) «Violazione rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 3., degli artt. 1346-1349 c.c., in relazione all'art. 1325, n. 3, e 1418,2 co., c.c., nonché di principi consolidati nella nostra giurisprudenza, per aver ritenuto che la determinazione dell’oggetto del contratto possa essere rimessa al mero arbitrio di una delle due parti, assumendo l’esistenza di un meccanismo interno della clausola (incentrato sulla facoltà della parte oblata di scegliere se vendere o comprare), tale da escludere - in astratto ed a prescindere dalle peculiarità della fattispecie concreta (che escludevano, in concreto, la possibilità di comprare e consentivano la sola vendita) - la determinazione di un prezzo arbitrario»; b) «Violazione rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 3, di consolidati principi nella nostra giurisprudenza in tema di disciplina applicabile ai contratti atipici (ed applicazione analogica a questi ultimi della disciplina dettata per i contratti tipici) e, segnatamente, del principio di equa valorizzazione della partecipazione sociale, dettato in tema di società per azioni dagli artt. 2437 ter c.c. e 2437 sexies c.c., da estendere necessariamente al caso della Russian Roulette Clause a prescindere dal fatto che quest’ultima sia contenuta nello Statuto ovvero in un separato Patto Parasociale, in specie quando si tratti di una società tra due soci e di un patto parasociale tra quei due stessi soci»; c) «Violazione rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1375 c.c. e 2 Cost., nonché di principi consolidati nella giurisprudenza in materia, per avere ritenuto che la contrarietà a buona fede e/o l’abuso del diritto, intesi anche in ragione del generale dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., presuppongono l’esistenza e la prova di un fine ultimo dell’azione fin dall’inizio dell’operare perseguito, nonché la prova di un danno, con il risultato ultimo di ritenere che, in difetto di tali prove e a prescindere dalla presenza di una situazione di dipendenza economica e di altri indici sintomatici di violazione della buona fede o di abuso, la fattispecie non possa dirsi configurata»; d) «Violazione rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 3, dei principi consolidati della materia, di vicinanza della prova e di consulenza percipiente, nonché degli artt. 2697 c.c., 115, 116 c.p.c. e 24 Cost., per avere ritenuto - in presenza di una fattispecie caratterizzata dalla determinazione del prezzo rimessa ad una delle due parti - che l’onere della prova di dimostrare la natura non equa della valorizzazione così effettuata gravasse sulla parte esclusa dalla valutazione e che, peraltro, non fosse ammissibile la consulenza percipiente richiesta da quest'ultima proprio affinché venisse acquisita la natura non equa della valutazione in questione».

Con ordinanza interlocutoria n. 13545, depositata in data 29 aprile 2022, resa in esito all’udienza del 3 febbraio 2022, la Suprema Corte ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo, richiedendo all'Ufficio del Massimario e del Ruolo presso un approfondimento tematico sulla russian roulette clause - con riferimento anche all’esperienza giuridica statunitense e canadese, oggetto di diffusi riferimenti delle difese delle parti - del quale il Collegio si è avvalso nell’inquadramento dei temi di diritto rilevanti ai fini della decisione in commento.

Ricostruito pertanto in tal guisa il percorso processuale ed ermeneutico sostenuto dai giudici di Legittimità, la Cassazione – con sentenza n. 22375 emessa il 25 luglio 2023 – ha riconosciuto la piena liceità e validità della clausola della russian roulette, adottando - in primo luogo - la seguente massima:

«Alla clausola cd. «russian roulette», contenuta in un patto parasociale, non è applicabile analogicamente il principio di equa valorizzazione delle azioni, previsto, in caso di recesso del socio, dall’art. 2437-ter c.c., e in caso di riscatto delle azioni, dall’art. 2437-sexies c.c., in quanto detta clausola non costituisce in stato di soggezione il socio oblato rispetto a quello che la attiva, ma lascia al primo la facoltà di acquistare, allo stesso prezzo, la partecipazione del socio proponente».

In secondo luogo, si ribadisce la validità della russian roulette clause, affermando che:

«La clausola cd. «russian roulette», contenuta in un patto parasociale, è valida, in quanto soddisfa l’interesse dei soci paciscenti ad evitare la possibile paralisi del funzionamento dell’assemblea derivante dalla contrapposizione del loro paritetico peso nell’esercizio del diritto di voto, sicché deve negarsi che la determinazione del suo contenuto sia rimessa all’unilaterale arbitrio di un socio a danno dell’altro».

7. Conclusioni

La pronuncia in commento riveste un ruolo di peculiare pregio nel moderno panorama giuridico italiano.

Per la prima volta, infatti, la Corte Suprema di Cassazione si è pronunciata su un tema che da troppi anni è stato oggetto di ampi dibattiti, sia a livello dottrinario che giurisprudenziale, sollevando ingenti problematiche e ricadute nella prassi operativa.

In primo luogo, il clima di sospetto e diffidenza che aleggiava - specialmente agli albori della controversia – intorno al tema della russian roulette clause originava dall’assenza di qualsiasi ancoraggio normativo interno.

Così come avvenuto in passato - e come tuttora avviene – per altri istituti giuridici[26], l’ordinamento italiano guarda con sfavore all’ingresso indiscriminato di prassi sorte in altre realtà normative. La preoccupazione primaria riguarda infatti la compatibilità di tali strumenti giuridici con i princìpi generali vigenti nel nostro sistema legislativo interno.

Spesso infatti il meccanismo di funzionamento di alcuni istituti di matrice straniera si ritrova, nei fatti, frustrato dal confronto col panorama giuridico nazionale con cui deve convivere.

Sorgono infatti problemi di compatibilità e conseguenti necessità di bilanciamento di interessi che non sempre risultano di facile risoluzione, incappando, al contrario, in orientamenti e tesi spesso contrapposte e di difficile conciliazione.

Nel corso del presente contributo, si è avuto modo di analizzare profusamente i numerosi dubbi che la dottrina ha riscontrato durante questi anni di riflessione.

La giurisprudenza di merito[27] invece non si è fatta cogliere di sorpresa, riconoscendo - già nel 2017 – la validità di una simile clausola atipica, affermando come la stessa in realtà persegua altresì interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico interno, in quanto diretta a risolvere la situazione di stallo decisionale in una società, non violando né il divieto di patto leonino né richiedendo specifici criteri di determinazione del prezzo, nei limiti anzidetti.

Poco dopo, sarà invece la stessa classe notarile[28] – in quanto operatore giuridico interessato più da vicino al fenomeno negoziale societario – ad aprire un ulteriore varco verso la strada dell’ammissibilità della clausola della roulette russa.

Il passaggio dalla prassi alla normazione del fenomeno in esame si fa sempre più veloce. Sorge infatti la necessità e la concreta esigenza di risolvere un problema avvertito come urgente nelle quotidiane realtà societarie.

Nello specifico, il fattore temporale ha assolto un ruolo cruciale nel dibattito sia dottrinario che giurisprudenziale.

La situazione di congelamento decisionale porta infatti le società ad uno stallo che potenzialmente potrebbe cagionare ingenti danni economici, specialmente alla luce delle nuove dinamiche di mercato, mirate ad un funzionamento sempre più rapido e veloce.

Gli intermediati finanziari infatti richiedono alti livelli di performance che possono essere garantiti soltanto se, all’interno delle strutture organizzative sociali, vi sia un elevato grado di efficienza.

È interessante dunque ricollegarsi a quanto detto all’incipit del presente contributo: affinché il mercato possa funzionare è necessario che gli operatori che vi agiscono, tra cui le società di capitali, funzionino a pieno regime e - affinché ciò possa avvenire - è necessario ed imprescindibile che gli ingranaggi interni che li governano siano capaci di adeguarsi ad ogni evenienza e risolvere anche situazioni di stallo decisionale.

In questo districato incastro di congegni, si erge la clausola della roulette russa, la quale non nasce dalla mente di uno scriba del diritto bensì sorge direttamente da una esigenza pratica, dal basso, dalla necessità di risolvere un problema tangibile e concreto del quotidiano.

Tuttavia, come già ribadito, affinché uno strumento possa funzionare efficacemente deve armonizzarsi e convivere pacificamente con gli altri elementi già presenti.

L’architrave del diritto societario è un pullulare di norme in continua evoluzione, mai stabile e mai autosufficiente.

Nel caso di specie, infatti, è stato necessario attingere, dagli ordinamenti di common law, delle possibili soluzioni da poter importare e rendere adeguate all’habitat interno.

Dopo un periglioso cammino, la Cassazione – con la sua autorevolezza – pone in maniera definitiva e globale la parola fine sull’annoso dibattito, riconoscendo la validità della russian roulette clause e, pertanto, ritenendo la stessa meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Al centro della decisione si pone un bilanciamento di interessi: la continuità imprenditoriale da un lato e la tutela del sistema organizzativo societario dall’altro.

In tale ultimo concetto vi rientra infatti il complesso delle questioni riguardanti gli affari societari interni di cui il nostro ordinamento si fa promotore, come baluardo dei princìpi[29] in esso contenuti.

Giunti a questo punto, è dunque necessario procedere a delle considerazioni finali sul percorso ermeneutico seguito dal Supremo Consesso.

Come già rimarcato in più punti nel corso della presente disamina, l’approdo giuridico a cui si è giunti è certamente degno di essere condiviso.

I giudici infatti hanno colto la necessità di dover risolvere un conflitto che, prima ancora che interno alle società, attingeva le sue radici da esigenze sociali ed economiche.

Si badi bene: non si fa riferimento al «mero» problema della «russian roulette» bensì al meccanismo che essa sottende.

Laddove sorgano delle prassi negoziali che, nel corso del tempo, prendono piede in maniera sempre più ingombrante, vi è sempre al di sotto un’esigenza stringente di far fronte ad un bisogno, ad una necessità.

Nel caso di specie si tratta di dover far fronte ad esigenze di contemperamento tra due fulcri: da un lato, il rispetto delle norme previste in ordine alla struttura corporativa propria delle società di capitali e, dall’altro, garantire la possibilità di far funzionare tali sistemi anche di fronte a stasi decisionali.

All’interno di tale ultima categoria, vi è poi un’ulteriore specificazione di rilievo che deve essere presa in considerazione.

Dinanzi alla necessità di soddisfare la speditezza delle operazioni economiche proprie degli operatori commerciali, vi è inoltre anche la inderogabile esigenza di tutelare le posizioni dei soci ed i relativi diritti, scongiurando qualsiasi abuso.

La clausola della russian roulette si inserisce in questo meccanismo creando un anello di congiunzione tra queste due esigenze.

È dunque possibile ravvisare in questo nuovo prodotto della prassi negoziale, un ingenuo e genuino tentativo di bilanciamento tra le molteplici esigenze.

Continuando in tale ottica, è dunque possibile riconoscere in capo ad una siffatta clausola un ulteriore ruolo all’interno del panorama giuridico, ossia quello di aver introdotto, all’interno della società, un nuovo sistema di allocazione dei poteri e dei contrappesi nell’ambito dell’amministrazione della società.

Per meglio dire: se dall’esterno si può facilmente ritenere come l’inserimento di una clausola di cotal guisa possa raffigurare un mero strumento di compensazioni tra diversi interessi, agendo solo ed esclusivamente a livello ristretto nell’ambito delle clausole di covendita, in realtà, analizzando il fenomeno più da vicino, è possibile scorgere ben altro.

L’aver riconosciuto la validità della clausola di roulette russa significa aver ammesso che le stesse vicende interne alla società possano in qualche modo influenzare anche l’azione economica delle stesse, consentendo infatti - mediante il connaturato ed insito meccanismo “a sorpresa” - di mutare sic et simpliciter, senza alcuna lungaggine burocratica né passando attraverso i normali canali societari, non solo la composizione sociale ma anche il bilanciamento decisionale della società, ossia la politica di governance della stessa.

Pertanto, in tal modo, la società – cambiando al suo interno la matrice decisionale – potrà, con ogni probabilità, mutare altresì l’indirizzo economico-gestionale della stessa, influendo così a cascata sulle scelte della società come operatore del mercato.

Ed infatti è proprio qui che si giunge.

Certamente, questa teoria potrà essere ritenuta dai più paradossale o eccessivamente esorbitante.

Tuttavia, essa si basa su un ragionamento giuridico che vede alle dirette conseguenze ed agli effetti della società. Partendo infatti da un meccanismo di evento-effetto-conseguenze, senza dover scomodare il principio della condicio sine qua non[30], si giunge a tali conclusioni.

Non a caso, è importante sottolineare come tale meccanismo, se analizzato dal versante delle sue conseguenze c.d. «aggregate» ed ulteriori, è suscettibile di essere soggetto ad usi fraudolenti.

Tuttavia, in tal caso, il consilium fraudis non si anniderà più soltanto nella fase interna al meccanismo della clausola di covendita bensì nel creare il suo presupposto, ossia la situazione di stallo.

Una volta che tale situazione verrà ad esistenza, l’operatività della clausola – ora ufficialmente entrata nella legalità nel sistema giuridico italiano – porterà con sé le ulteriori conseguenze.

Il discorso si sposta pertanto sul tema della tutela del mercato in cui gli operatori giuridici si troveranno a doversi confrontare.

Una repentina modifica dell’indirizzo gestorio degli enti commerciali - come appunto le società - potrebbe, infatti, portare a sua volta ad un’incertezza dei mercati e ad una carenza maggiore di affidabilità e affidamento su di essi.

Sebbene questa sia una realtà con cui le società ed il mercato dovranno fare i conti, tuttavia, a cotale prospettiva si potrebbe obiettare affermando come, in realtà, un pericolo di tal genere è insito nella mutevolezza di qualsiasi compagine sociale e pertanto non può essere attribuita ad una sola clausola.

La clausola della russian roulette è infatti stata predisposta al fine di superare situazioni di stallo talmente gravi da comportare l’impossibilità di «convivenza» all’interno di un medesimo asset societario di diverse compagini o gruppi societari tra loro confliggenti.

La conseguenza, come si è più volte ribadito, è l’impossibilità di funzionamento della società stessa che può persino essere fatale, cagionando l’esclusione della stessa dal mercato.

Ed allora il giudizio che deve essere fatto è un altro: il fine giustifica i mezzi, forse.

Lo «spauracchio» della congestione societaria ed il pericolo concreto che la stessa società non superi lo stallo con esito positivo, giustificherebbero l’adozione di una clausola di cotal guisa, idonea a consentire ai soci di azionare un meccanismo che, potenzialmente, possa portare ai rischi analizzati.

Tale pericolo però viene ritenuto minore rispetto alla più grave insidia rappresentata dalla eliminazione in radice della società stessa dal mercato.

Pertanto, in un giudizio di contemperamento di interessi, si ritiene preferibile consentire alle società di inglobare al proprio interno una sorta di «bomba ad orologeria» che viene creata, in prima battuta, dal sorgere dello stallo decisionale, e successivamente, azionata direttamente dai soci.

In tal modo, il rischio è limitato ad un cambio della compagine sociale e del relativo indirizzo gestionale-economico ma si mette al riparo, almeno in relazione al blocco decisionale, il pericolo di una paralisi fatale della società.

Essa continuerà ad operare nel mercato e avrà, nel caso di ulteriori stasi decisionali, una sempre nuova modalità di superamento degli stessi grazie alla clausola in oggetto.

Il dibattito dunque si concentra, come spesso avviene, sulla sottile necessità di bilanciamento di interessi tra i differenti interessi in gioco.

Nonostante il lungo dibattito, la presente tematica è riuscita a mettere d’accordo la parte maggioritaria sia della dottrina che della giurisprudenza verso un unico obiettivo: fornire agli operatori economico-giuridici, come le società di capitali, uno strumento di salvaguardia idoneo a tutelarsi sia verso l’esterno (evitando stasi decisionali che possano comportare perdite di chances favorevoli di mercato) sia verso l’interno (tutelando i soci da eventuali abusi, nel rispetto dei princìpi propri dell’organizzazione corporativa prevista a livello societario).


Note e riferimenti bibliografici

[1] Il presente articolo è stato redatto dal dottor Ianni Davide.

[2] Sul punto, per una panoramica generale: C. A. BUSI, Tecniche di soluzione delle situazioni di stallo decisionale nelle compagini societarie, in Società e contratti, bilanci e revisione, Torino, 2015, 5 ss; si veda anche: P. SIMONETTI, G. DINACCI, Criteri per la determinazione del prezzo nella Russian roulette clause: un possibile punto di equilibrio tra continuità d’impresa ed «equa»  valorizzazione della partecipazione sociale, in Società e contratti, bilanci e revisione, Torino, 2021, pag. 20 e seguenti; L. GENGHINI, P. SIMONETTI, Le società di capitali e le cooperative, in Manuali notarili, a cura di L. Genghini, terza edizione, Milano, 2022, 505 ss.

[3] Tra le principale clausole di way-out, è possibile elencare anche la clausola di listing, la clausola di lock up, la clausola tag-along, la clausola drag-along, la clausola di riscatto, la clausola di change of control, le clausole di put and call e la clausola di squeeze out;

[4] L. GENGHINI, P. SIMONETTI, Le società di capitali e le cooperative, in Manuali notarili, a cura di L. Genghini, terza edizione, Milano, 2022, 508 ss; E. MAZZOLETTI, Valida la “russian roulette clause”, in Notariato, Milano, 2018, 301 ss; M. TABELLINI, La clausola parasociale della roulette russa al vaglio della giurisprudenza, in Giurisprudenza Italiana, Torino, 2018, 1136 ss; in giurisprudenza, si veda anche: Trib. Roma, 19 ottobre 2017 n.19708.

[5] Esso, a sua volta, si ispirerebbe per similitudine al gioco d’azzardo della roulette, in cui si fa girare una ruota e si scommette su quello che saranno le sorti del giuoco;

[6] D. Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, a decorrere dal 1° gennaio 2004.

[7] Per una maggiore analisi della problematica inerente ai patti parasociali ed al dibattito intorno alla loro natura giuridica nonché alle differenze rispetto ai patti contenuti nello statuto o nell’atto costitutivo, V. DONATIVI, Patti Parasociali, in Trattato di Diritto Commerciale, fondato da  V. Buonocore e diretto da R. Costi, sez. VII, tomo XXII, Torino, 5 ss: “Fin dai primi studi sul tema, del resto, gli elementi qualificanti dei patti parasociali sono stati ravvisati – pur con qualche importante eccezione – proprio nel rapporto al contempo di estraneità e di collegamento con i patti sociali. Non altrettanto pacifico è se il rapporto con il sociale si configuri in termini di collegamento in senso proprio o se l’espressione non sia meramente descrittiva di una connessione puramente economica e fattuale. E tuttavia pare difficile escluderne una valenza quantomeno monodirezionale – alla quale peraltro si affiancano, in direzione in-versa, profili di incidenza (su base normativa) del parasociale sul sociale, dei quali si darà conto nel corso dell’esposizione – e una correlativa, almeno parziale, rilevanza, in ragione del rapporto di collegamento funzionale unilaterale (o di “accessorietà”) che lega il parasociale al sociale per l’evidente ragione che il primo non avrebbe alcuna ragion d’essere in assenza o alla cessazione del rapporto societario “sottostante”. Del pari tutt’altro che pacifica è la ricognizione dei presupposti essenziali in presenza dei quali sarebbe ravvisabile il nesso di prossimità al sociale e, dunque, la “parasocialità” del negozio, essendo incerti i confini dell’area fenomenologica cui la nozione di patto parasociale (a raffronto con altri patti lato sensu extra-sociali) sarebbe riferibile nonché dei connotati sistematici essenziali e caratteristici delle fattispecie raggruppabili sotto tale comune nomenclatura. Per di più, come si potrà osservare nel corso dell’esposizione, la categoria in questione appare molto ampia e variegata, connotata da un marcato polimorfismo sia sul piano dell’oggetto e della causa concreta, sia sul piano delle possibili configurazioni strutturali, tanto da comprendere accordi che, quand’anche (come quasi sempre) di natura contrattuale, restano contratti atipici, seppur legalmente nominati, che si articolano in una fenomenologia corrispondente a schemi spesso socialmente tipici, ma in ogni caso a contenuto aperto. Il che, come del pari si vedrà, non impedisce affatto – ed anzi, semmai impone senz’altro – di isolare gli elementi che consentano di riportare ad unità sistematica la categoria, così costruendone una nozione generale 16, a sua volta corrispondente alla fattispecie generale di patto parasociale. Ma occorrerà, a tal fine, procedere in ordine progressivo, prendendo le mosse da una preliminare ricognizione delle origini della categoria e delle principali classificazioni, per poi tentare di delinearne una definizione che sia capace di racchiudere le pur multiformi manifestazioni del fenomeno”.

[8] La Cassazione in esame inoltre menziona altri precedenti sul punto: Cass., n. 36092 del 2021 in tema di patti di sindacato, Cass., n. 27227 del 2021, in tema di opzioni put e call, e Cass., n. 12956 del 2016 in tema di prelazione di acquisto di quote sociali, nel cui ambito rientrano le buy-sell previsions, fra le quali, per quanto qui rileva, proprio la clausola russian roulette.

[9] In particolare, in merito all’equa valutazione della partecipazione, il problema si porrebbe esclusivamente laddove la clausole sia prevista nello statuto e non anche in un patto parasociale, stante la sua natura meramente obbligatoria;

[10] CNN (Consiglio Nazionale del Notariato) - Studio n.123-2022, “Lo stallo decisionale assembleare” di Carlo Alberto Busi, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 26 gennaio 2023.

[11] Si fa riferimento all’argomentazione sostenuta dal giudice Easterbrook riguardo alla decisione adottata dalla United States Court of Appeals il 21 novembre 2002 con cui veniva rigettato l’appello secondo cui veniva affermato che «la possibilità che la persona che stabilisce il prezzo possa essere costretta a comprare o a vendere mantiene onesto il «first mover» ossia colui che fa la prima mossa».

[12] La Cassazione in commento ricorda, come esempio di stigmatizzazione di tale pericolosa condotta abusiva, il caso Blue Chip Emerald LLC v. Allied Partners Inc., del 26 novembre 2002, nel quale uno dei due partner di una società proprietaria di un edificio commerciale a New York aveva acquistato, attraverso il ricorso alla buy-sell provision, il 50% del capitale dell'altro socio e due settimane più tardi aveva proceduto alla vendita dell’immobile per un prezzo più alto del 250% rispetto a quello che aveva comunicato nel determinare il valore della partecipazione, azionando la russian roulette clause, ritenendo che l’assenza di informazioni circa il reale valore dell’immobile e le trattative già in corso per la sua vendita - rivelate dal brevissimo stacco temporale cui aveva seguito la vendita - avessero impedito al socio che aveva ceduto la partecipazione una «informed decision» (c.d. lack od choice); vi è poi un altro caso menzionato dalla Cassazione: decisione della Corte d’Appello del Texas nel lontano 1976, nel caso Johnson v. Buck, 540 S.W.2d 393, 411 (Texas App. 1976), ove si è dato particolare rilievo alla situazione di difficoltà finanziaria in cui si trovava il socio che aveva ricevuto la proposta di vendita/acquisto della quota; deve, tuttavia, essere evidenziato come in tale fattispecie si era in presenza, più che di una russian roulette clause vera e propria, di una clausola di «diluizione» della partecipazione, posto che i soci erano obbligati - in ragione dell’avanzamento dei lavori di realizzazione di immobili - a versamenti finanziari, in mancanza dei quali era prevista la possibilità di acquisto di una parte proporzionale della partecipazione del partner inadempiente da parte degli altri soci, sì che il caso non riguarda - propriamente - una clausola volta a dirimere una paralisi gestoria, e quindi una shoot out clause in senso stretto.

[13] Il tema della validità ed ammissibilità della russian roulette clause ha suscitato un acceso e vivo dibattito in dottrina per cui si citano solo una parte degli autori che hanno trattato la tematica: A. BERNARDI, La validità della clausola antistallo del tipo “roulette russa”, in Rivista di diritto societario, Torino, 2018 – fasc. 3, 615 ss; G. F. CAMPOBASSO, Diritto delle società, in Diritto commerciale, nona edizione, 2015, Milano, 239; P. DIVIZIA, Patto parasociale di russian roulette, in Le Società, Milano-Firenze, 2018, 434 ss; L. GENGHINI, P. SIMONETTI, Le società di capitali e le cooperative, in Manuali notarili, a cura di L. Genghini, terza edizione, Milano, 2022, 508 ss; V. PROVERA, Clausola “Russian roulette” per superare lo stallo societario, in Il Sole 24 Ore (Diritto 24), 22 maggio 2018, disponibile su www.diritto24.ilsole24ore.com; M. TABELLINI,  La clausola parasociale della roulette russa al vaglio della giurisprudenza, in Giurisprudenza Italiana, Torino, 2018, 1136 ss;  E. MAZZOLETTI, Valida la “russian roulette clause”, in Notariato, Milano, 2018, 301 ss; in giurisprudenza, si veda anche: Trib. Roma, 19 ottobre 2017 n.19708; C. PASQUARIELLO, La clausola di roulette russa tra meritevolezza e validità, in Società, Milano, 2021, 144 ss; L.A. STABILE, La validità della c.d. russian roulette clause nei patti parasociali, in Corriere Giur., Milano, 2021, 1413 ss; E. CICATELLI, Partecipazioni paritetiche e stalli decisionali: atipicità e meritevolezza della russian roulette clause, in Banca, borsa, tit. cred., Milano, 2020, pag. 912 e seguenti; F. PERRECA, La clausola di russian roulette e il superamento dello stallo decisionale (deadlock), in Banca, borsa, tit. cred., Milano, 2020, 939 ss; si vedano anche i contributo del notariato: G. QUATRARO, Lo stallo decisionale in ambito societario e la “Russian Roulette Clause”, pubblicata in data 4 settembre 2018 su Federnotizie, in www.federnotizie.it; A. ALBERTI, La Cassazione si pronuncia per la prima volta sulla clausola della roulette russa, pubblicata in data 22 settembre 2023 su Federnotizie, www.federnotizie.it.

[14] CNN Notizie (Consiglio Nazionale del Notariato) Studio 21 febbraio 2018, Patto parasociale contenente una russian roulette clause (Tribunale di Roma 13 giugno 2017) di A. Ruotolo e D. Boggiali.

[15] Consiglio notarile di Milano, Massima n.181- 9 Luglio 2019 - Clausola «anti-stallo» di riscatto o di acquisto forzato di partecipazioni sociali (c.d. clausola della «roulette russa» o clausola del «cowboy») (artt. 2437-sexies, 2473-bis c.c.) consultabile integralmente sul sito www.consiglionotarilemilano.it.

[16] In giurisprudenza si segnala: Trib. Milano, Ord. 31 marzo 2008 (in sede cautelare);  nel notariato, si tenga presente di due orientamenti: n. 7 in materia societaria del Consiglio Notarile di Roma, Clausole di co-vendita e di trascinamento: tipologia e limiti di validità nonché l’orientamento H.I.19 e I.I.25 del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, in Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, Wolters Kluwer, 2017;

[17] In tal senso: C.F. GIAMPAOLINO, Clausola di co-vendita (drag-along) ed “equa” valorizzazione dell’azione, in Banca, borsa e tit. cred., Milano, 2009, 523 ss; N. DE LUCA, Validità delle clausole di trascinamento (“Drag-along”), in Banca, borsa e tit. cred., 2009, Milano, pag. 174 e seguenti; L. ROSSANO, La natura e la validità della clausola di drag along, in Riv. dir. comm., Padova, 2010, pag. 124 e seguenti; E. MALIMPENSA, L’obbligo di co-vendita statutario (drag-along): il socio obbligato ha davvero bisogno di tutela? in RDS, Torino, 2010, 375 ss.

[18] «Può essere utile riepilogare come si siano succeduti, da questo punto di vista, alcuni contributi interpretativi e giurisprudenziali. Si può anzitutto ricordare che con la massima n. 88 di questa commissione, in data 22 novembre 2005, si affermava genericamente che «queste clausole, … ove prevedano l’obbligo di vendita, devono essere compatibili con il principio di una equa valorizzazione della partecipazione obbligatoriamente dismessa», senza ritenere necessario, ai fini della legittimità della clausola, l’espresso richiamo al criterio di valutazione legale stabilito per il caso di recesso (artt. 2437-ter e 2473 c.c.).

In seguito, una ben nota ordinanza del Tribunale di Milano, in sede cautelare, in data 31 marzo 2008, espressamente riferendosi al principio sostenuto dalla citata massima n. 88, compiva un passo ulteriore, in quanto, oltre ad affermare la sussistenza di siffatta regola, sanciva la nullità delle clausole di drag along che non imponessero espressamente il rispetto dei criteri di valutazione stabiliti dalla legge per il caso di recesso.

In via prudenziale, la prassi societaria successiva ha seguito nella gran parte dei casi questa indicazione, sebbene un importante lodo arbitrale, a conclusione proprio della medesima controversia (in data 29 luglio 2008), avesse accolto una soluzione diversa, che per un verso sottolineava la differenza tra la clausola di drag along e quella di riscatto, e per altro verso limitava l’eventuale invalidità della clausola di drag along ai casi in cui essa conducesse, quasi necessariamente, a una valorizzazione iniqua del socio uscente».

[19] Il Consiglio Notarile di Milano ha trattato in maniera approfondita le problematiche inerenti alle clausole di drag along e di tag along nella Massima n. 88 - 22 Novembre 2005 - Clausole statutarie disciplinanti il diritto e l'obbligo di «covendita» delle partecipazioni (artt. 2355-bis e 2469 c.c.), reperibile integralmente al sito web www.consiglionotarilemilano.it.

In ogni caso, a scopo tuzioristico, basti in questa sede ricordare che la clausola di drag along prevede che, se il socio di maggioranza decide di vendere l’intero capitale sociale a un terzo a determinate condizioni, gravi sui soci di minoranza l’obbligo di vendere la loro quota al medesimo terzo ed alle stesse condizioni; in altri termini, il socio di maggioranza ha il diritto di «trascinare» nella sua cessione di quota anche i soci di minoranza, mentre il terzo ha il grosso vantaggio di poter acquistare l’intero capitale sociale; questo comporta, di regola, una maggiore remunerazione per i soci uscenti ed una migliore appetibilità delle loro quote, rispetto al caso in cui le stesse dovessero essere acquistate o vendute singolarmente; diversamente, la clausola di tag along, invece, prevede che, al verificarsi di una vendita a determinate condizioni delle quote sociali da parte del socio di maggioranza a favore di un terzo, spetti ai soci di minoranza il diritto di vendere la loro quota al medesimo terzo e alle stesse condizioni; in altre parole, il socio di minoranza ha in questo caso il diritto di «accodarsi» alla cessione di quota fatta dal socio di maggioranza, mentre quest’ultimo, se intende vendere, deve procurare al socio di minoranza un’offerta d’acquisto a suo favore alle stesse condizioni da lui concordate con il terzo acquirente.

Anche in questo caso è solitamente possibile «spuntare», da parte del terzo che intende acquistare l’intero capitale sociale, un prezzo più conveniente rispetto al caso di vendita della sola singola quota, poiché il cessionario ottiene il pieno controllo della società, senza doverlo condividere con una minoranza che potrebbe risultare «ostile».

[20] Il Consiglio notarile di Milano riconosce tale limite esclusivamente nei confronti della clausola contenuta a livello statutario mentre tale preoccupazione non è avvertita, per i motivi su esposti, nel caso in cui essa sia contenuta in un patto parasociale, stante la sua natura meramente obbligatoria;

[21] Consiglio notarile di Firenze, Pistoia e Prato, Massima n. 73/2020 – “La clausola “russian roulette”: rilevanza organizzativa e autonomia statutaria”, consultabile integralmente sul sito web www.consiglionotarilefirenze.it.

[22] Sul punto, Cass. civ., n. 30143 del 2019, la quale ha affermato che: «la condizione è «meramente potestativa» quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica «potestativa» quando l’evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato»; sulla medesima tematica, si veda anche: Cass. civ., n.18239 del 2014, Cass. civ., n.17770 del 2016, Cass. civ., n.9879 del 2018 e, da ultimo, Cass. civ., n.11774 del 2007.

[23] La Cassazione in esame menziona un precedente caso (Cass. civ., n. 17498 del 2018 secondo cui «è lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. “put”) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell'acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società») al fine di operare una netta distinzione tra clausola di put option e quella di russian roulette, dal momento che quest’ultima non opera alcuna alterazione della causa societatis».

[24] Trib. Roma, sentenza n.19708 del 19 ottobre 2017.

[25] Corte App. Roma, sentenza n.782 del 3 febbraio 2020.

[26] Si pensi, ad esempio, all’istituto del Trust di matrice anglosassone che ha trovato e trova ancora oggi forti ostacoli alla sua applicazione nell’ordinamento italiano.

[27] Il riferimento è alla menzionata sentenza del Tribunale di Roma n.19708/2017.

[28] Il rinvio è alla massima n.181/2019 del Consiglio Notarile di Milano e alla massima n.73/2020 del Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato.

[29] Tra tutti quelli menzionati nel corso della presente disamina, il più rilevante - ai fini della presente analisi - è il problema dell’«equa valorizzazione» delle partecipazioni sociali.

[30] Il riferimento è al meccanismo del c.d. “nesso causale” secondo cui una condizione risulta indispensabile – divenendo presupposto indefettibile - affinché possa sorgere un determinato evento o raggiungere un determinato fine; certamente, nel caso di specie, il rimando è improprio ma viene usato solo ed esclusivamente al fine di rendere chiaro che la conclusione a cui si vuole giungere è frutto di un percorso logico-ermeneutico secondo il quale l’insieme dei presupposti creano un terreno fertile affinché possa sorgere la sua diretta conseguenza. Per restare in tema di nesso di causalità, si potrà far riferimento alla diversa teoria del “più probabile che non”; anche in tal caso, questo paragone serve per spiegare come la presenza di una clausola di russian roulette all’interno di una società può, in linea di massima, portare a dei possibili «colpi di scena» laddove venga azionata, creando così le conseguenze a catena sul mercato economico.