Pubbl. Lun, 25 Lug 2022
La Cassazione ribadisce il perimetro del delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina
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Dalila Mara Schirò
Lo scritto si sofferma sulla sentenza del 3 marzo 2022, n. 13145, con la quale la Corte di cassazione torna nuovamente a delineare il perimetro applicativo del delitto di abuso dei mezzi di disciplina.
The Supreme Court reiterates the scope of the crime of abuse of the means of correction or discipline
The paper focuses on the judgement no. 13145 of 2022, with which the Court of Cassation once again delineates the application area of the crime of abuse of the means of discipline.Sommario: 1. Il caso; 2. La ricostruzione del fatto; 3. La diversa qualificazione giuridica del fatto; 4. Brevi note conclusive.
1. Il caso
Con la sentenza del 3 marzo 2022, n. 13145, la sezione VI della Corte di cassazione torna a delineare il perimetro applicativo del delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, previsto dall’art. 571 c.p.[1]
L’occasione è offerta dal ricorso presentato da una imputata, per mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza del 12 giugno 2020 con la quale la Corte di appello di Bologna aveva confermato la pronuncia emessa dal giudice di primo grado, ritenendola colpevole del delitto di cui all’art. 571 c.p., per avere abusato, in qualità di insegnante di sostegno presso una scuola elementare, dei mezzi di disciplina nei confronti di un minore, e, conseguentemente, condannandola alla pena di un mese di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Con il primo motivo di ricorso, l’imputata deduceva l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale per avere la Corte di appello ritenuto integrato l’elemento oggettivo del delitto di abuso dei mezzi di disciplina: ad avviso della ricorrente, infatti, le modalità di estrinsecazione della condotta avrebbero dovuto ritenersi estranee alla incriminazione di cui all’art. 571 c.p., potendo, semmai, integrare altra fattispecie di reato. Con il secondo motivo di ricorso, invece, l’imputata prospettava una diversa ricostruzione del fatto.
2. La ricostruzione del fatto
Ad avviso della Corte di cassazione, il ricorso è fondato e va accolto, ma nei limiti e per gli effetti da essa stessa precisati. Per comprendere pienamente le ragioni di tale esito, conviene, allora, richiamare alcuni passaggi dell’iter seguito dai giudici di legittimità.
Deve, anzitutto, osservarsi che la Cassazione, in prima battuta, ripercorre la vicenda storico-fattuale, così come ricostruita nel giudizio di primo grado e poi confermata in sede di appello.
Ricorda, infatti, che, il 25 marzo del 2013, il minore aveva avuto un diverbio con l’insegnante di sostegno che lo stava accompagnando in bagno, come riferito dalla madre del minore il giorno successivo, per mezzo di una comunicazione inviata al dirigente scolastico dell’istituto frequentato dal figlio. Durante la discussione l’insegnante aveva stretto le mani sul collo del bambino, tentando di spingerne la testa in uno dei lavandini e nel water del bagno. E, nel corso di un colloquio, avvenuto nei giorni seguenti, l’imputata aveva minimizzato quanto accaduto dinanzi ad un’altra insegnante e alla madre del bambino.
Ma, sottolinea la Cassazione, la versione dei fatti narrata dalla madre del bambino nella immediatezza dei fatti veniva confermata dal minore stesso un anno dopo. E quest’ultima ricostruzione veniva considerata attendibile poiché trovava riscontro nelle dichiarazioni rese da un testimone, il quale dichiarava che il minore si era allontanato dall’aula con l’imputata e al rientro in aula «sembrava spaventato», aveva «gli occhi lucidi» e presentava una parte del collo arrossata. Ed inoltre, veniva ulteriormente confermata dall’esito della consulenza tecnica del pubblico ministero, dalla quale si ricavava che il minore, pur essendo iperattivo e affetto da un grave deficit di attenzione, doveva considerarsi pienamente capace di percepire la realtà e di riferirla correttamente.
3. La diversa qualificazione giuridica del fatto
Proprio dalle emergenze probatorie sinteticamente richiamate, secondo la Cassazione, i giudici di merito avrebbero correttamente colto che «qualcosa di traumatico, lungo l’arco temporale dell’allontanamento dall’aula, doveva in effetti essere accaduto in danno del minore, con il logico corollario che l’arrossamento sul collo si era verificato proprio nella fase temporale in cui egli era uscito dall’aula accompagnato dall’insegnante, avuto altresì riguardo alla circostanza che la stessa imputata aveva ammesso di aver seguito il minore nel bagno e di avere avuto con lui una discussione per motivi disciplinari».
E tuttavia, gli stessi giudici di appello avrebbero errato nella qualificazione giuridica del fatto. Poiché, invero, dalla istruzione probatoria è emersa la realizzazione, da parte dell’imputata, di un comportamento caratterizzato da forme di aggressione fisica, la Corte di appello - al pari del giudice di primo grado - non avrebbe dovuto sussumere tale condotta nella fattispecie incriminatrice di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, di cui all’art. 571 c.p.
Ed infatti, condivisibilmente, la Cassazione sottolinea che il delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina presuppone un uso immoderato di mezzi di correzione o di disciplina leciti; e leciti non possono certamente considerarsi, per esempio, i comportamenti violenti, le percosse, le limitazioni della libertà personale. Dunque, prosegue la Cassazione, sulla scia di un indirizzo dominante[2], occorre escludere dal perimetro applicativo della incriminazione di cui all’art. 571 c.p. qualsiasi forma di violenza, sia essa fisica o psichica, tenuto conto del primato della dignità della persona. Il termine «correzione» deve, infatti, intendersi quale sinonimo del termine “educazione”[3]. Del resto, già decenni addietro, con specifico riferimento al rapporto che si instaura tra l’insegnante e l’allievo, era stato affermato il principio secondo il quale, poiché l’ordinamento scolastico vieta agli insegnanti il ricorso a qualsiasi mezzo di violenza fisica, non può ricondursi nell’ambito applicativo dell’art. 571 c.p. il comportamento dell’insegnante che percuota lo scolaro, non potendo, infatti, concepirsi l’abuso di mezzi dei quali non sia consentito l’uso[4].
Per le ragioni sopra sintetizzate, nel caso di specie, il comportamento dell’imputata integra, allora, il delitto di percosse, di cui all’art. 581 c.p. E - preme sottolinearlo - nonostante il disvalore del delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina e del delitto di percosse possa considerarsi tendenzialmente analogo, quest’ultimo delitto presenta due peculiarità che lo rendono singolare e al contempo disarmonico rispetto all’abuso richiamato. Il primo elemento è rappresentato dalla cornice edittale: mentre il delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, nella sua ipotesi base (art. 571, comma 1, c.p.), prevede la pena della reclusione sino a sei mesi, il delitto di percosse è punito con la pena della reclusione sino a sei mesi o con la pena della multa sino a euro 309. Il secondo tratto caratteristico, invece, è dato dal regime di procedibilità: mentre, infatti, il delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è procedibile d’ufficio, il delitto di percosse è procedibile a querela di parte. Insomma, una qualificazione giuridica che nella vicenda qui in esame determina l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata poiché l’azione penale non avrebbe potuto essere avviata, appunto, per mancanza di querela.
4. Brevi note conclusive
Come emerso da alcuni passaggi richiamati nel paragrafo precedente, la soluzione cui perviene la Corte di cassazione può considerarsi forse scontata se la si pone in rapporto con l’orientamento giurisprudenziale prevalente[5]. Essa, però, acquista una diversa rilevanza se la si considera quale ulteriore “tassello” nel cammino teso ad arginare, ad isolare, alcuni indirizzi i quali periodicamente riemergono non solo nella giurisprudenza di merito[6] ma persino nella giurisprudenza di legittimità.
Può, ad esempio, richiamarsi una pronuncia del 2016 della stessa sezione VI della Cassazione (citata nella sentenza che qui si annota) per mezzo della quale è stato ritenuto integrato il delitto di abuso dei mezzi di correzione dal comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, purché minima ed orientata a scopi educativi[7].
E, fuoriuscendo dai confini segnati dalla sentenza oggetto di centrale attenzione in tale sede, è possibile ricordare pure una ulteriore, non condivisibile, pronuncia tramite la quale - ancora una volta - la sezione VI della Cassazione, nel 2016, ha affermato che costituisce abuso dei mezzi di correzione o di disciplina aggravato dall’evento, ai sensi dell’art. 571, comma 2, c.p., la condotta dell’imputata che percuota un minorenne, colpendolo ripetutamente con un battipanni sulla schiena, le gambe ed il capo, cagionandogli ecchimosi in varie parti del corpo[8]. Una diversa lettura, secondo la Cassazione, «renderebbe priva di significato la previsione normativa, in contrasto con l’elementare principio ermeneutico secondo cui ad ogni disposizione normativa deve assicurarsi un significato di qualche utilità applicativa»[9].
Non resta, allora, che accogliere con favore la recente soluzione della Cassazione, cogliendo magari l’occasione per tornare a riflettere circa un possibile intervento del legislatore in materia[10].
[1] Il testo della sentenza che si annota è consultabile nel pdf allegato.
[2] Cass. pen., sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 11777, in C.E.D. Cass., rv. 278744; Cass. pen., sez. III, 6 novembre 2018, n. 17810, ivi, rv. 275701; Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11956, ivi, rv. 269654; Cass. pen., sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 53425, ivi, rv. 262336.
[3] Cass. pen., sez. VI, 18 marzo 1996, n. 4904, in Cass. pen., 1997, 29, con nota di S. Larizza, La difficile sopravvivenza del reato di abuso dei mezzi di correzione, ivi, 33, ed in Giust. pen., 1997, II, 1, con nota di S. Monari, Sulla violenza a fini educativi tra abuso dei mezzi di correzione e maltrattamenti in famiglia, ivi, 549.
[4] Cass. pen., sez. II, 25 maggio 1965, n. 958, in C.E.D. Cass., rv. 099842. Più di recente, con riferimento all’ambito scolastico, cfr. Cass. pen., sez. VI, 14 giugno 2012, n. 34492, in C.E.D. Cass., rv. 253654.
[5] Sul punto, v., supra, la nota 2.
[6] Qui il pensiero corre immediatamente alla sentenza oggetto di impugnazione da parte dell’imputata: App. Bologna, 12 giugno 2020, inedita.
[7] Cass. pen., sez. VI, 3 febbraio 2016, n. 9954, in C.E.D. Cass., rv. 266434.
[8] Cass. pen., sez. VI, 21 settembre 2016, n. 2669, in Cass. pen., 2017, 1886, con osservazioni di F. Lombardi, ivi, 1887
[9] Cass. pen., sez. VI, 21 settembre 2016, n. 2669, cit.
[10] In una prospettiva de iure condendo, per esempio, lo Schema di delega legislativa per l’emanazione di un codice penale del 1992 (c.d. Progetto Pagliaro), nel Capo II, «Dei reati contro la solidarietà familiare», del Titolo III, «Dei delitti contro la famiglia», del Libro II, «Dei reati contro i rapporti civili, sociali ed economici», non aveva inserito alcuna disposizione corrispondente al vigente articolo 571 c.p. Il testo del progetto di legge è consultabile in: Documenti Giustizia, 1992, n. 3, 303 ss.; Indice pen., 1992, 579 ss.; Per un nuovo codice penale. Schema di disegno di legge-delega al Governo, a cura di M. Pisani, Cedam, Padova, 1993 (nella collana Quaderni de “L’Indice penale”, n. 9); in Giust. pen., 1994, II, 88; in www.giustizia.it. Per un commento in ordine ai reati in danno di minori di cui al progetto di legge, A. Pagliaro, Disposizioni intorno ai reati in danno di minori contenute nel progetto di legge delega per un nuovo codice penale, in Cass. pen., 1994, 1111.