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Pubbl. Ven, 20 Mag 2022

La Cassazione si pronuncia sul peculato dell´albergatore dopo la norma di interpretazione autentica

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Maria Rita Maiolo



L’articolo si pone come obiettivo la disamina delle motivazioni della recente pronuncia della Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, n. 9213/2022, in relazione alla possibilità di ricondurre nell’alveo della fattispecie criminosa di cui all’art. 314 c.p. la condotta di omesso, ritardato o parziale versamento, da parte dei gestori di strutte ricettive, dell’imposta di soggiorno incassata, dopo l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5-quinquies della Legge 215/2021.


ENG This paper aims to examine the reasons of a recent ruling by the Sixth Criminal Section of the Supreme Court, n. 9213/2022, in relation to the possibility of attribute to the crime of the art. 314 c.p., the conduct of omitted, delayed or partial payment, by the host, of the tourist tax collected, after the come into effect of the authentic interpretation rule referred to in art. 5-quinquies of Law 215/2021.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il reato di peculato: analisi della fattispecie incriminatrice; 3. L’ammissibilità del delitto di peculato dell’albergatore dopo l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica; 4. L’orientamento della Corte di Cassazione; 5. Conclusioni.

1. Introduzione

Il presente contributo si prefigge lo scopo di analizzare la recente pronuncia della Sesta Sezione della Corte di Cassazione in merito alla configurabilità del delitto di cui all’art. 314 c.p., nel caso di omesso versamento, da parte dei gestori di strutture ricettive, dell’imposta di soggiorno incassata. 

Nello specifico, verranno disaminate le motivazioni offerte dagli Ermellini, in primo luogo, in merito alla volontà del legislatore di procedere ad una abolitio criminis con l’entrata in vigore dell’art. 180 del c.d. Decreto Rilancio e, successivamente, circa la configurabilità del reato di peculato a seguito dell’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5-quinquies della L. 215/2021.

2. Il reato di peculato: analisi della fattispecie incriminatrice

Il reato di peculato, previsto all’art. 314 c.p., punisce con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi “il pubblico ufficiale o l’incaricato in un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria”. 

La fattispecie in esame si atteggia come reato plurioffensivo e, infatti, la norma viene posta a tutela non solo della legalità, efficienza e imparzialità della pubblica amministrazione, ma anche del patrimonio della stessa, nonché di quello di soggetti terzi. 

Si tratta di un reato proprio, in quanto il soggetto attivo viene identificato nel pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, sicché è necessario che l’agente rivesta tale particolare qualifica per dirsi integrata la fattispecie delittuosa.

Appare opportuno ricordare, in virtù della pronuncia che il presente contributo si prefigge di analizzare, che il pubblico ufficiale, a norma dell’art. 357 c.p., è colui il quale esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa; mentre, l’incaricato di pubblico servizio, la cui definizione è contenuta nell’art. 358 c.p., è colui il quale presta, a vario titolo, un pubblico servizio, ossia un’attività che viene disciplinata nelle medesime forme di una pubblica funzione, ma che se differenzia perché caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipi attribuiti a quest’ultima. 

Per quanto concerne l’oggetto materiale del reato, viene identificato dalla norma stessa in denaro o altra cosa mobile altrui, suscettibile di valutazione economica. 

Nella categoria dei beni mobili rientrano, in questo caso, anche i beni immateriali che abbiano un intrinseco valore economico[1].

Il reato si intende integrato anche nel caso in cui il danno patrimoniale sia di lieve entità, dal momento che la condotta tipica è costituita dall’appropriazione stessa[2].

Presupposto necessario, per l’integrazione della fattispecie delittuosa, è il possesso della cosa per ragione del proprio ufficio o servizio.

Con riferimento al concetto di possesso, questo deve essere inteso in senso più ampio rispetto a quello civilistico, comprendente la detenzione della cosa, nonché la sua disponibilità giuridica.

Il legislatore, poi, richiede che la cosa sia in possesso dell’agente in ragione del proprio ufficio o servizio. Sul punto vi sono due indirizzi giurisprudenziali. 

Il primo, più restrittivo ritiene che sia necessaria una dipendenza funzionale tra il possesso della cosa e la funzione svolta dal soggetto agente; il secondo orientamento, invece, ormai consolidato in giurisprudenza, afferma che possa ritenersi configurata la fattispecie ex art. 314 c.p. anche nel caso in cui il rapporto “consenta al soggetto si inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento[3]”.

In relazione alla condotta, il momento consumativo del reato coincide con l’interversio possessionis, ovvero il momento in cui il pubblico ufficiale si comporta nei confronti della cosa di cui è in possesso, uti dominus, come se fosse il proprietario.

Infine, il delitto è punibile a titolo di dolo generico, essendo necessario e sufficiente che l’agente si agisca con l’intenzione di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui. 

3. L’ammissibilità del delitto di peculato dell’albergatore dopo l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica 

La questione che ha suscitato notevole interesse in giurisprudenza riguarda l’art. 180 del cosiddetto “Decreto Rilancio”, il quale ha introdotto all’art. 4 del d.lgs 23/2011 il comma 1-ter, che attribuisce al gestore della struttura ricettiva, la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno, con conseguente diritto di rivalsa sui soggetti passivi[4].

Appare, dunque, radicalmente mutata la posizione dell’albergatore, il quale, non riveste più la qualifica di incaricato di pubblico servizio, bensì quella di soggetto obbligato in solido al versamento dell’imposta di soggiorno. 

Da tale modifica, ne è derivata la configurazione come illecito tributario, dell’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno, facendo venir meno la possibilità di configurare il reato di cui all’art. 314 c.p. per i fatti avvenuti dopo l’entrata in vigore della norma.

Un primo interrogativo riguarda, quindi, la volontà del legislatore di operare una abolitio criminis con l’entrata in vigore del succitato art. 180, con conseguente applicazione retroattiva della lex mitior.

A tale interrogativo, però, la Suprema Corte ha, in diverse pronunce, affermato che nel caso di omesso versamento dell’imposta di soggiorno ad opera del gestore della struttura ricettiva, permane la configurazione del delitto di cui all’art. 314 c.p., poiché l’art. 180 del d.l. 34/2020 non ha inciso sulla struttura del delitto di peculato ma si è limitata a far venir meno la qualifica soggettiva pubblicistica del gestore[5].

In tale scenario si introduce, però, l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 5-quinquies d.l. n.146/2021. 

Tale norma, infatti, estende l’applicabilità del comma 1-ter dell’art. 4 del d.lgs. 23/2011 anche ai casi verificatisi prima del 19/05/2020[6].

4. L’orientamento della Corte di Cassazione

Venendo all’analisi della pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha proceduto ad una puntuale disamina degli aspetti di maggiore interesse sin qui accennati. 

Ripercorrendo la sentenza 9213/2022, la VI Sezione della Cassazione si pronuncia, in primo luogo, sulla succitata questione riguardante l’abolitio criminis

Quest’ultima, infatti, ribadendo quanto già affermato in precedenza, nega che l’introduzione dell’art. 180 del d.l. 34/2020 abbia comportato una parziale abolitio criminis. 

Viene precisato che, a seguito della novella, il gestore assume la qualifica di soggetto passivo dell’obbligazione tributaria e non più quella di “incaricato o, quanto meno, custode del denaro pubblico incassato per conto del Comune[7]”.

Ciò che muta è il rapporto intercorrente tra l’albergatore e l’Ente, il quale, prima veniva qualificato come rapporto di servizio mentre, dopo l’entrata in vigore del decreto, è diventato di natura tributaria.

Premesso ciò, la Corte esclude che sia stata modificata, da peculato in illecito amministrativo tributario, con effetto retroattivo, la condotta del gestore che abbia omesso, ritardato o versato solo parzialmente l’imposta di soggiorno riscossa, perchè nell’alveo della fattispecie prevista dalla nuova norma non vi è più un agente che si appropria del denaro che è incaricato di riscuotere a titolo di imposta, ma si è in presenza di un soggetto privato che, in solido con il cliente, omette di effettuare il versamento dovuto. 

Dunque, essendo stata modificata soltanto la qualifica soggettiva del gestore, la novità introdotta nella disciplina extrapenale, non è intervenuta sulla fattispecie astratta del delitto di cui all’art. 314 c.p., posto che le norme regolatrici sia dell’imposta di soggiorno che del rapporto tra l’Ente e l’albergatore non ne integrano il precetto[8].

A diverse conclusioni giunge, invece, la Corte con riferimento all’entrata in vigore della disposizione di interpretazione autentica di cui all’art. 5-quinquies d.l. n. 146/2021. Quest’ultima, infatti, stabilisce che “il comma 1-ter dell’art. 4 del d.lgs 14 marzo 2011, n. 23, ai sensi del quale si attribuisce la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e si definisce la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020[9]”.

In via preliminare, ciò su cui si sofferma la Corte è la definizione del responsabile d’imposta[10], operando una distinzione con il sostituto d’imposta; quest’ultimo, infatti, è obbligato al pagamento in luogo del contribuente, mentre il responsabile d’imposta è solidalmente obbligato ma vanta il diritto di rivalsa nei confronti del contribuente. 

Il responsabile d’imposta, dunque, viene affiancato al soggetto passivo in virtù della circostanza di aver posto in essere fatti diversi dal presupposto d’imposta, ai quali la legge, però, ricollega l’obbligo del pagamento del medesimo tributo[11].

Con il succitato art. 5-quinquies, il legislatore ha modificato sia la componente precettiva che quella sanzionatoria della disciplina, emanando una norma assolutamente innovativa, con effetto retroattivo, sia in relazione alla qualifica soggettiva del gestore, che rispetto all’applicazione della disciplina sanzionatoria. 

Nella pronuncia in esame, inoltre, viene richiamata la Corte Costituzionale per due aspetti di particolare rilevanza

In primo luogo, con riferimento all’introduzione, ad opera della novella disposizione, di una nuova regola di diritto intertemporale, in deroga alla regola generale dell’irretroattività.

In merito, infatti, la Corte Costituzionale sulla natura interpretativa delle disposizioni ha affermato che debba essere riconosciuta “a quella disposizione che si riferisca e si saldi con quella da interpretare ed intervenga esclusivamente sul significato normativo senza intaccare e integrare il dato testuale[12]”; il carattere interpretativo ora richiamato, chiaramente non è ravvisabile nel caso di specie. 

In secondo luogo, la Corte Costituzionale viene richiamata per analizzare eventuali profili di irragionevolezza della disposizione normativa in esame. 

Sul punto, infatti, la Corte ha affermato che non risulta di particolare rilevanza verificare il carattere interpretativo della norma e, quindi, la natura retroattiva ma, ciò che assume maggior spessore è acclarare che la retroattività della norma “trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti[13]”.

Sulla scorta di tale impostazione, si ritiene necessario che eventuali interventi retroattivi siano adeguatamente giustificati sul piano della ragionevolezza, in virtù dell’esigenza di tutelare principi e diritti costituzionalmente garantiti. Sicché, per tali ragioni, la Corte Costituzionale ha enucleato dei limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, tra cui la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico, il rispetto del principio generale di ragionevolezza e, il rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario dalla Carta Costituzionale[14].

Ebbene, con l’entrata in vigore dell’art. 5-quinquies d.l. n. 146/2021, la condotta del mancato, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno per i fatti antecedenti al 19 maggio 2020, non è più sussumibile nell’alveo della fattispecie di reato di cui all’art. 314 c.p. poiché, attesa la nuova qualifica soggettiva di responsabile d’imposta attribuita al gestore della struttura ricettiva, viene meno il presupposto necessario della vesta di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

5. Conclusioni 

L’orientamento sin ora esposto della Suprema Corte ha, a parere di chi scrive, ripercorso in maniera chiara e puntuale i tratti caratterizzanti e gli interrogativi che nel tempo sono stati sollevati sull’argomento trattato.

La Corte, ben chiarisce l’obiettivo dell’intervento normativo attraverso il quale, il legislatore, ha voluto porre rimedio ad una situazione che, dal 2020, risultava incoerente.

Il gestore di una struttura ricettiva, infatti, prima della disposizione di interpretazione autentica, nel caso in cui avesse omesso, ritardato o versato solo in parte l’imposta di soggiorno dopo il 19 maggio 2020, avrebbe risposto solo in sede amministrativo-tributaria, mentre nel caso in cui il fatto si fosse verificato prima di quella data, avrebbe potuto risponderne in sede penale, a titolo di peculato. 

Sicché, la disposizione di cui all’art. 5-quinquies, altro non fa che equiparare, con efficacia retroattiva le medesime condotte poste in essere dai gestori delle strutture ricettive.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass. Pen. Sez. VI n. 33031 del 17/07/2018.

[2] Cass. Pen. Sez. VI n. 23824 del 29/05/2019.

[3] Cass Pen. Sez. VI n. 33254 del 19/05/2016.

[4] D.lgs. 4 marzo 2011, n. 23, comma 1-ter “Il gestore della struttura ricettiva e' responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno di cui al comma 1 e del contributo di soggiorno di cui all'articolo 14, comma 16, lettera e), del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonche' degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale”.

[5] Cass. Pen. Sez. VI n. 36317 del 28/10/2020; Cass. Pen. Sez. VI n. 30227 del 28/09/2020. 

[6] L. 215/2021, art. 5-quinquies: “Il comma 1-ter dell'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ai sensi del quale si attribuisce la qualifica di responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e si definisce la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020.”

[7] Cass. Pen. Sez. VI n. 9213 del 15/02/2022.

[8] Cass. Pen. Sez. VI n. 9213 del 15/02/2022.

[9] d.l. n. 146/2021, art. 5-quinquies.

[10] D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3 definisce responsabile d’imposta colui il quale “è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, attribuendogli diritto di rivalsa”.

[11] Cass. Pen. Sez. I n. 12066 del 27/10/1999.

[12] Corte. Cost. n. 39 del 10 febbraio 1993.

[13] Corte. Cost. n. 78 del 5 aprile 2012.

[14] Corte. Cost. n. 78 del 5 aprile 2012 e n. 209 del 2010.