Pubbl. Mer, 2 Feb 2022
La mediazione penale minorile: uno strumento di risoluzione dei conflitti attraverso un percorso relazionale tra la vittima e l’autore del reato
Modifica paginaLa mediazione penale minorile è uno strumento di giustizia riparativa, volto alla risoluzione dei conflitti attraverso un percorso relazionale tra l’autore del reato e la vittima. All’interno del processo penale minorile, l’accesso ad una pretesa risarcitoria da parte della vittima è ostacolato da specifiche disposizioni normative ma, attraverso la mediazione penale, anche la persona offesa può trovare ristoro per l’aggressione subita.
Sommario: 1. Introduzione; 2. La mediazione penale minorile quale strumento di giustizia riparativa; 3. Gli apporti positivi della mediazione penale minorile; 4. Le criticità della mediazione penale minorile; 4.1. L’assenza di “legge”; 4.2. Sistema reo-centrico e fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria; 5. Conclusioni.
1. Introduzione
Il D.P.R. del 22 settembre 1988 n. 448 introduce, nel nostro ordinamento giuridico, disposizioni volte a disciplinare il processo penale minorile.
Prima di giungere ad un intervento normativo di così importante spessore, il panorama giuridico italiano ha vissuto, per molto tempo, una scarsa sensibilità per i diritti e le esigenze di soggetti in giovane età, impedendone l’istituzione di un sistema di giustizia penale differenziata[1].
La centralità della finalità rieducativa della pena[2] nei confronti del minorenne, in luogo di esigenze di “retribuzione” e difesa sociale, hanno permesso di forgiare gli istituti necessari a conseguire tale scopo[3].
Orbene, il D.P.R. n. 448/88 impone di perseguire una serie di finalità, tra le quali si annoverano: la finalità rieducativa, la minima offensività del processo penale minorile, nonché la tutela della personalità del minore e della sua riservatezza.
La finalità rieducativa trova la sua base normativa all’interno dell’art. 27 co. 3 della Carta Costituzionale, ove è espressamente enucleato il principio secondo cui “le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato” [4].
Il principio di rieducazione del condannato assume un carattere ancor più pregnante qualora l’autore di un fatto costituente reato sia un minorenne.
Infatti, per lo Stato il recupero del minorenne assume carattere di preminenza[5] senza rinunciare, però, all’accertamento della penale responsabilità del minore stesso.
Finalità rieducative sono espressamente previste, inoltre, dal codice di procedura penale minorile (c.p.p.m.), che all’art. 1 dispone la prevalenza delle norme del c.p.p.m. rispetto a quelle contenute nel codice di rito previsto per gli adulti, valorizzando l’obbligo per il giudice di illustrare “il significato delle attività processuali”, mentre all’art. 10 esclude (sempre in ottica rieducativa) l’esercizio dell’azione civile “per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato” [6].
L’importanza della rieducazione del minore è rimarcata anche nell’art. 19 co.2 c.p.p.m. che, in punto di applicazione di una misura cautelare, impone al giudice il particolare onere di salvaguardare “l’esigenza di non interrompere i processi educativi in atto”, per non ostacolare l’evoluzione della personalità eventualmente in atto, quali possono essere le attività di studio o di lavoro[7].
Ulteriore manifestazione normativa della finalità rieducativa del minore è sancita dal combinato disposto degli artt. 27 comma 3 e 31 Cost. che, nell’ottica di protezione dell’infanzia e della gioventù, hanno ispirato la Corte costituzionale[8] ad escludere l’applicazione della pena dell’ergastolo nei confronti dei condannati minorenni.
Proseguendo l’analisi degli obiettivi perseguiti dal d.P.R. n. 448/88, e riprendendo il precedente accenno sul punto, si può sottolineare come l’importanza del principio della salvaguardia dei processi educativi in atto abbia fatto emergere l’esigenza di tutela del minorenne, in un’ottica sia della minima offensività del processo penale minorile, sia della personalità e della riservatezza del minorenne.
Sulla scorta di queste due finalità, infatti, da un lato è importante che il minore fuoriesca dal circuito penal-processuale nel minor tempo possibile (minima offensività), mentre dall’altro si vuol evitare la c.d. destigmatizzazione, ossia la svalutazione dell’immagine del minore agli occhi della collettività (tutela della personalità e della riservatezza) [9].
Le suddette finalità vengono salvaguardate attraverso la predisposizione di una serie di strumenti, tra i quali figura anche la mediazione penale minorile.
2. La mediazione penale minorile quale strumento di giustizia riparativa
La mediazione penale minorile è uno degli strumenti idonei ad evitare gli effetti negativi del processo penale, quali possono essere, come detto, la permanenza all’interno del circuito penale di un imputato minorenne, l’identificazione negativa che la società nutre nei confronti dei minori “devianti”, la possibile distanza da un effettivo recupero del minore in un’ottica rieducativa.
La funzione della pena si è, quindi, posta al centro di accesi dibattiti, che hanno indotto gli studiosi del diritto e gli esperti del settore minorile a "cercare" di elaborare nuove forme di giustizia, volte a dare una differente risposta ad un’azione criminosa.
Storicamente, oltre all’idea retributiva della pena secondo la quale la sanzione penale serve a compensare la colpa per il male commesso, la funzione della pena assume il carattere special- preventivo, attraverso il quale l’autore del reato viene punito per la commissione di un fatto socialmente dannoso distogliendolo, al contempo, dalla realizzazione di futuri reati, mentre si veste di carattere general-preventivo laddove si ponga da deterrente alla commissione di nuovi reati da parte della generalità dei consociati[10].
Accanto a queste funzioni “classiche” svolte dalla pena, processi volti all’effettiva rieducazione del reo hanno sollecitato gli studiosi ad introdurre una nuova visione del reato, all’interno della quale l’azione criminosa meriterebbe di trovare una richiesta di riparazione dell’offesa al bene giuridico tutelato; la giustizia riparativa può essere vista come un nuovo modello di composizione dei conflitti, affiancandosi al modello retributivo ed al modello riabilitativo[11].
La diversità di questi tre modelli è evidente già dal nomen utilizzato, in quanto il modello retributivo focalizza l’attenzione sul reato e sulla pena come giusta punizione; il modello riabilitativo si concentra, invece, sull’autore del reato e sulle possibilità di recupero dello stesso[12]; infine, il modello riparativo guarda alle azioni che l’autore del reato può compiere al fine di ristorare la vittima dall’offesa patita.
3. Gli apporti positivi della mediazione penale minorile
È di tutta evidenza che la mediazione penale minorile fornisca, all’interno della geografia ordinamentale, un apporto positivo in termini di riparazione delle conseguenze dannose direttamente ricollegabili al reato, rieducazione del minore, coinvolgimento attivo della vittima.
Su quest’ultimo punto è importante rammentare che, ai sensi dell’art. 10 co. 1 e 2 del D.P.R. n. 448/88, la persona offesa dal reato posto in essere da un soggetto minorenne non può né esercitare l’azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato, né tantomeno ricevere l’efficacia di giudicato, all’interno dell’eventuale giudizio civile, per la sentenza di condanna emessa in sede penale.
La mediazione penale minorile risolve questo vulnus procedimentale attraverso l’inclusione, all’interno del sistema penal-processuale, della vittima, la quale è chiamata a svolgere un ruolo attivo, esprimendo i propri sentimenti per il male sofferto, nonché la sua rabbia, le sue paure e le sue aspettative.
Ulteriore profilo positivo dello strumento riparativo in argomento, è rappresentato dalla sua possibile estensione applicativa anche ai minorenni non imputabili perché minori di anni 14, i quali, essendo ritenuti troppo piccoli per essere consapevoli delle proprie azioni, spesso non sono raggiunti da strumenti alternativi ed adeguati al raggiungimento di una certa e proficua risposta (ri)educativa; in quest’ottica la mediazione penale minorile, rappresentando uno strumento di giustizia riparativa, fornisce utili risorse per dirottare il minore al di fuori dei binari della giustizia “punitiva” e di gestirlo, invece, con strumenti di carattere non punitivo[13].
Si voglia ancora considerare che la mediazione si appalesa come un percorso relazionale[14] tra due o più soggetti, affinché questi risolvano i loro conflitti.
Infatti, la mediazione si svolge all’interno di un contesto “protetto”, nell’ambito del quale le parti possono esprimere i loro sentimenti contrapposti[15] in modo confidenziale; per raggiungere questo scopo è fondamentale che l’incontro sia riservato e separato dal procedimento penale.
La riservatezza e la separazione rispetto al procedimento penale, principi ispiratori della mediazione penale e dell’opera che il mediatore è chiamato a svolgere[16], impone di ritenere che le dichiarazioni rese in sede di mediazione non possano trovare mai ingresso in sede processuale, e quindi, l’esito dell’attività di mediazione verrà comunicato attraverso c.d. formule sintetiche (“esito positivo”, “esito negativo”, “esito incerto”, “mediazione non effettuata”), lasciando così una traccia unicamente all’interno del fascicolo dell’Ufficio di mediazione, il quale dovrà conservarli per almeno 3 anni dalla chiusura dell’attività di mediazione[17].
Altro presupposto della mediazione penale minorile è rappresentato dalla volontarietà, gratuità e consensualità delle parti[18], profili questi che permettono agli attori del percorso conciliativo di potersi “ritirare” e quindi interrompere la mediazione in qualsiasi fase della stessa.
Inoltre, nel settore della giustizia penale minorile, possiamo sottolineare che non vi sono limiti con riguardo ai c.d. reati “mediabili”; pertanto, anche i reati più gravi possono essere oggetto di mediazione[19].
4. Le criticità della mediazione penale minorile
Esaurita la trattazione relativa agli aspetti positivi che lo strumento riparativo della mediazione minorile ha apportato all’intero sistema della giustizia italiana, possiamo al contempo sollevare alcune criticità.
La lacuna più importante è sicuramente la mancanza di una compiuta regolamentazione da parte del legislatore italiano, circostanza che, però, non ha di certo impedito il nascere ed il diffondersi sul territorio nazionale di sperimentazioni e progettualità, pur se a livello locale.
Questo aspetto di criticità produce infausti esiti in merito all’utilizzo dell'istituto in disamina, in quanto non si è ancora riusciti a dare maggiore attenzione alla sofferenza della vittima e ad impedire il c.d. fenomeno della vittimizzazione secondaria; vi è da segnalare anche l’eccessivo reo-centrismo dello strumento della mediazione e che, inoltre, il ricorso al paradigma riparativo avviene, nella prassi, solo per alcune tipologie di reati c.d. meno gravi.
4.1. L’assenza di “legge”
Evidenziando, sin da subito, che la conformazione dell’attuale procedimento penale minorile ben si presterebbe ad essere integrata da strumenti di giustizia riparativa, possiamo rilevare che ad oggi non è ancora prevista alcuna norma specifica che regoli compiutamente l’ingresso di tali strumenti nel panorama della giustizia minorile, a differenza di quanto accade in altri ordinamenti, anche europei.
In Italia, è certamente il varo del D.P.R. n. 448/88 ad aver introdotto un approccio penale più riparativo e mano sanzionatorio, almeno sul piano formale[20], dal quale poter indirettamente ricavare da un lato l’utilità della mediazione, mentre dall’altro possiamo rinvenire una via di accesso più ‘esplicita’ e legittimante da cui ricavare la previsione dello strumento di mediazione quale mezzo di risoluzione, alternativo, dei conflitti, in un’ottica relazionale anziché sanzionatoria.
Sulla scorta di queste osservazioni, è sicuramente l’art. 28 del D.P.R. n. 448/88 “il canale” d’accesso diretto della mediazione all’interno del sistema giuridico italiano.
Ed invero, l’art. 28 consente al giudice minorile di sospendere, con ordinanza, il processo penale al fine di valutare la personalità del minorenne all’esito di un percorso di messa alla prova; l’imputato viene affidato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, affinché vengano svolte le attività di osservazione, trattamento e sostegno.
Detta norma, nel secondo comma, espressamente dispone che “con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato” [21].
A ben vedere, questa disposizione non fa altro che inserire, implicitamente, la mediazione all’interno del sistema della giustizia penale minorile.
Ciò posto, è importante rammentare che se per un verso l’art. 28 presenta il vantaggio di permettere l’accesso a percorsi di giustizia riparativa, per altro verso la sua collocazione avverrebbe in una fase avanzata del rito, e quindi non anteriore all’udienza preliminare, implicando che, nella maggior parte dei casi, l’opportunità di adire il percorso alternativo raggiungerebbe le persone coinvolte solo in un lasso temporale relativamente dilatato rispetto ai fatti per cui si procede.
L’esigenza di collocare un percorso di giustizia riparativa ad una fase antecedente all’udienza preliminare ha portato gli operatori del diritto a compiere sforzi interpretativi di ampia portata, che hanno permesso di ricavare dall’art. 9 D.P.R. 448/1988 un ulteriore collegamento verso la mediazione penale.
L’art. 9, infatti, impone al giudice ed al pubblico ministero l’obbligo di compiere accertamenti sulla personalità del minore, ma permette a questi ultimi di rivolgersi anche agli operatori degli uffici di mediazione, chiedendo l’assunzione di informazioni utili per valutare l'opportunità di iniziare un percorso di mediazione tra l'autore del reato e la vittima[22].
Pertanto, l’ampiezza della clausola generale contenuta nell’art. 9 ha permesso l’utilizzo della mediazione anche in fasi successive alle indagini preliminari, consentendo l’intrapresa di un percorso relazionale anche dopo l’esercizio dell’azione penale, ma prescindendo comunque dalla sospensione del processo per la messa alla prova, e dunque al di fuori del dettato normativo di cui all’art. 28 D.P.R. 448/88.
Un ulteriore spazio per ricorrere alla restorative justice potrebbe aprirsi anche nel corso dell’esecuzione di misure cautelari personali, ai sensi dell’art. 20 D.P.R. 448/88.
In base a tale norma - la cui formula è volutamente ampia e generica e quindi può riferirsi escludersi anche ad attività di riparazione del danno in favore della vittima oppure la partecipazione ad un percorso di mediazione - il giudice può impartire al minore specifiche prescrizioni di studio o di lavoro, ovvero “altre prescrizioni utili per la sua educazione” [23].
Altri due ambiti in cui possono essere previste pratiche di mediazione e/o riparazione sono previsti dagli artt. 27 D.P.R. 448/88 e 47 dell’ordinamento penitenziario.
Ed invero, il primo istituto permette l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, già nella fase delle indagini preliminari, nel particolare caso in cui vi sia stato un confronto tra autore e vittima del reato già in tale sede, soprattutto se l’esito di tale confronto sia di tipo conciliativo o riparativo; il secondo ambito normativo, disponendo che “l’affidato si adoperi in favore della vittima”, prevede che la mediazione possa assumere un ruolo decisivo anche ai fini della concessione di misure alternative alla detenzione[24].
4.2. Sistema reo-centrico e fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria
Tra gli obiettivi che la giustizia riparativa si prefigge di raggiungere, possiamo senza ombra di dubbio annoverare la volontà di superare il c.d. sistema reocentrico ed evitare, al contempo, la riproduzione del fenomeno della vittimizzazione secondaria.
Queste due tematiche vengono affrontate dal c.d. Tavolo 13, il quale si occupa di “Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato”, consentendo sia alla vittima di recuperare una posizione di centralità nel procedimento penale, sia al reo di accettare la responsabilità delle proprie azioni, operando così una sorta di “sanatoria” per la lesione al tessuto sociale che la commissione del reato ha determinato in concreto.
Il Tavolo 13 s’inserisce all’interno di un progetto di riflessione ed approfondimento di più ampio respiro, organizzato dal Ministero della Giustizia nel 2016 nell’ambito degli Stati generali dell’esecuzione penale, formati da un Comitato di esperti, i quali si ponevano l’obiettivo di predisporre delle linee di azione.
All’interno di questo progetto, venivano costituiti 18 tavoli tematici composti da operatori penitenziari, magistrati, avvocati, docenti, esperti, rappresentanti della cultura e dell'associazionismo civile.
Un aspetto di particolare pregio del Tavolo 13 è sicuramente quello di voler superare la definizione reocentrica della riparazione, ossia quella per cui il reo viene posto al centro dell’attenzione dell’intervento mediatorio, come responsabile del danno prodotto dal reato, che è chiamato responsabilmente a riparare nei confronti della vittima allargando, altresì, la propria portata non solo ad una maggiore attenzione alla vittima, ma anche a quelle reti (sia esse parentali, che socio-territoriali e di comunità), che costituiscono l’intorno dell’evento criminoso[25].
Orbene, l’esigenza di superare il c.d. reocentrismo ha portato, come detto, ad una maggiore attenzione alla vittima, cercando di tutelarla anche dal crescente fenomeno denominato vittimizzazione secondaria.
La vittimizzazione secondaria consiste nel rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la persona offesa da un reato, che spesso è riconducibile alle procedure delle Istituzioni susseguenti ad una denuncia o dai pregiudizi psichici dei soggetti che entrano in contatto – non adeguatamente protetto e rispettoso del loro status – con le istituzioni, gli operatori del sistema giustizia o derivante dall’esposizione mediatica non voluta[26].
In questo panorama s’inserisce il ruolo del mediatore, il quale assume il compito di facilitare lo scambio dialogico indiretto, il quale deve sempre avvenire su base consensuale, e pertanto nel rispetto delle volontà, degli obiettivi e dei vissuti di entrambe le parti, respingendo così tutte le iniziative unilaterali[27].
5. Conclusioni
Sebbene il sistema penale sia principalmente incentrato sui modelli retributivi e riabilitativi, è importante ribadire che una nuova forma di giustizia, negli anni, si è andata affermando in maniera sempre più incisiva: la giustizia riparativa.
Come detto, la mediazione penale ha una particolare attitudine a costituire, nel nostro sistema penale minorile, un utile strumento volto a scongiurare i c.d. effetti stigmatizzanti derivanti dall’inflizione di una pena “classica”.
Ed invero, l’opportunità di scusarsi con la vittima e riparare il danno procuratole, consente al minore di interrompere i processi d’identificazione negativa ad opera della comunità.
Inoltre, di particolare rilevanza è il principio della consensualità, il quale permette agli attori della mediazione di partecipare al dialogo in maniera del tutto volontaria.
Uno strumento innovativo e di una straordinaria utilità nella società odierna, che però fatica a trovare una ampia diffusione a causa del vuoto normativo che regoli compiutamente l’ingresso di tale strumento nel panorama della giustizia minorile, a differenza di quanto accade in altri ordinamenti, anche europei.
[1] P. TONINI, Manuale di procedura penale, ed. XVI, Giuffrè Editore, 2014, 864.
[2] Art. 27 co. 3 Cost.
[3] G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale – Parte generale -, ed. VI, Zanichelli Editore, 2009, 696 ss.
[4] Art. 27 comma 3° Cost.
[5] Tra le tante: C. cost., 9 aprile 1997, n. 109, in Foro.it, 1998, I, 983; C. cost., 16 aprile 1973, n. 49, in Giur. Cost., 1973, 1, 425; C. cost., 27 aprile 1994, n. 168, in Giur. it., 1994, I, 357.
[6] P. MARTUCCI, La conciliazione con la vittima nel processo minorile, in G. Ponti a cura di, Tutela della vittima e mediazione penale, Milano, Giuffrè editore, 1995, 159; P. TONINI, Manuale di procedura penale, op. cit., 868 ss.
[7] L. RUSSO, Il Giudice e le misure cautelari nel processo penale minorile, Il Foro Italiano, vol. 113, 1990, 187 ss.
[8] C. cost., n. 168/1994, op. cit., 357.
[9] F. PALOMBA, Il sistema del nuovo processo penale minorile, Giuffrè, Milano, 2002; C. SCIVOLETTO, Sistema penale e minori, Carocci, Roma, 2012; P. TONINI, Manuale di procedura penale, op. cit., 868 ss.
[10] E. DOLCINI, La commisurazione della pena, Padova, 1979, 72 ss.; MILITELLO, Prevenzione dei reati, in AA. VV., Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatrica forense, a cura di Ferracuti e altri, ed. V, Milano, 1987, 173 ss.; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale – Parte generale -, op. cit, 696 ss.
[11] G. MANNOZZI, La giustizia senza spada, Giuffrè, Milano, 2003, 44; V. PATANÈ, Percorsi di giustizia riparativa nell’ordinamento italiano, in M. Bargis – H. Belluta a cura di, Vittime di reato e sistema penale. La ricerca di nuovi equilibri, Torino, 2017, 545 ss.
[12] G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale – Parte generale -, op. cit., 696 ss.
[13] L. CHIDICHIMO, La mediazione penale minorile, 40 ss.
[14] M. GIALUZ, Mediazione e conciliazione, in F. Peroni, M. Gialuz, La giustizia penale consensuale. Concordati, mediazione e conciliazione, Torino, 2004, 107.
[15] F. DI CIÒ, Un modello 'mite' di giustizia: la mediazione penale minorile, in Prospettive Sociali e Sanitarie, A. 28, n. 4, 1998, 7.
[16] P. LATTARI, La giustizia riparativa: una giustizia “umanistica”, una cultura “dell’incontro” per ogni conflitto, Key editore, 2021, 230.
[17] L. CHIDICHIMO, La mediazione penale minorile, op. cit., 38 ss.
[18] C. MAZZUCATO, La mediazione penale e altri percorsi di giustizia riparativa nel processo penale minorile, La giustizia riparativa per i minorenni “in conflitto con la legge”, Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, 2018, 19 ss.; M. ORSI HILA, Dallo scontro all’incontro: la mediazione penale minorile tra tutela e auto responsabilizzazione del minore, Ordines – per un sapere interdisciplinare sulle istituzioni europee, ISSN 2421-0730, n. 1 – GIUGNO 2017, 326.
[19] G. MANNOZZI, Collocazione sistematica e potenzialità deflattive della mediazione penale, Contributo pubblicato in De Francesco-Venafro a cura di, Meritevolezza di pena e logiche deflattive, Torino, 2002, 117 ss.
[20] C. SCIVOLETTO, Mediazione penale minorile: rappresentazioni e pratiche, Franco Angeli editore, ed. 2009.
[21] Art. 28 D.P.R. n. 448/88.
[22] D. CERTOSINO, Mediazione e giustizia penale, Cacucci Editore, 2015, 116 ss; F. FUNIVA, L’esperienza dell’ufficio per la mediazione di Torino, in AA.VV., La mediazione penale in ambito minorile: applicazioni e prospettive (Atti del seminari di Studi, a cura dell’Ufficio Centrale Giustizia Minorile), Franco Angeli Editore, 1999, 111 ss.; G. DI PAOLO, La giustizia riparativa nel procedimento penale minorile, rivista giuridica online “Diritto Penale Contemporaneo”, 5 ss.; F. BRUNELLI, La mediazione nel sistema penale minorile. L’esperienza dell’Ufficio di Milano, in G.V. Pisapia (a cura di), Prassi e teoria della mediazione, Cedam, Padova, 2000, 63 ss.
[23] G. DI PAOLO, La giustizia riparativa nel procedimento penale minorile, op. cit., 6 ss.; L. CHIDICHIMO, La mediazione penale minorile, op. cit., 26 ss.
[24] Art. 47 Ordinamento Penitenziario; L. CHIDICHIMO, La mediazione penale minorile, op. cit., 28 ss.; G. DI PAOLO, La giustizia riparativa nel procedimento penale minorile, op. cit., 6 ss.
[25] G. MOSCONI, La Giustizia riparativa: definizioni, interpretazioni, applicazioni - A proposito dei lavori del Tavolo XIII degli Stati Generali dell’Esecuzione penale, Scuola di formazione Antigone, 2017, 17 ss.; L. CHIDICHIMO, La mediazione penale minorile, op. cit., 18 ss.
[26] Assemblea ONU del 1986, risoluzione annuale 40/34; Sentenza n. 2422/19 R.g. Sent. Del G.U.P. di Roma, dott.ssa Paola Di Nicola, p. 22 ss.; T. BANDINI, Il contributo della ricerca alla conoscenza del crimine e della reazione sociale, Giuffrè, Milano, 1991; R. MENDICINO, La vittimizzazione secondaria, Profiling- i profili dell’abuso, Direttore responsabile P. Santovecchi, ISSN 2282-3867, p. 2 ss.; S. COMPARIN, Il ruolo della vittima nella giurisdizione penale internazionale: alla ricerca di una possibile mediazione fra modelli processuali, in Problemi attuali della giustizia penale internazionale, a cura di A. Cassese, M. Chiavario, G. De Francesco, Giappichelli, Torino, 2005.
[27] Tavolo 13 – Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime, § 4, pag. 5.