Pubbl. Mer, 8 Dic 2021
Per la Cassazione anche chi non è proprietario dell´animale risponde del reato di maltrattamenti
Modifica paginaCon sentenza n. 34087, depositata il 19.05.2021, la terza sezione penale della Suprema Corte analizza, alla luce del nuovo contesto sociale, il reato di maltrattamento di animali. E afferma, in particolare, il principio secondo il quale è responsabile del reato di cui all’art. 544 ter c.p. anche chi non è proprietario dell’animale maltrattato.
Sommario: 1. Il caso; 2. Il reato di maltrattamento di animali nel nuovo contesto sociale; 3. Art. 544 ter c.p reato comune: l'orientamento dell aSuprema Corte; 4. L'elemento psicologico nel reato 544 ter c.p.
1. Il caso
Con sentenza emessa in data 29.09.20, la Corte di Appello di Brescia aveva confermato la condanna inflitta dal giudice di prime cure nei confronti dell’imputato per il reato di cui all’art. 544 ter c.p.
Nello specifico, la condotta contestata all’imputato era consistita nell’aver sottoposto, per crudeltà e, comunque, senza necessità, un cane di razza bull terrier femmina a comportamenti non compatibili con le caratteristiche etologiche dell’animale: in particolare, nell’aver custodito l’animale, per tempi prolungati, in ambienti angusti impedendogli, cosi, ogni libertà di movimento, in quanto legato ad una catena della lunghezza di soli 120 cm; nell’aver somministrato allo stesso un’alimentazione insufficiente provocando un grave stato di denutrizione; nell’averlo preso a bastonate; nell’aver fornito insufficienti cure alle ferite lacero contuse riscontrate sul muso, nella regione frontale ed ai padiglioni auricolari.
Avverso tale sentenza l’imputato ha dunque proposto ricorso per Cassazione.
I Giudici di legittimità hanno dichiarato l’inammissibilità del ricorso ed affermato il principio secondo il quale anche chi non è il proprietario dell’animale è imputabile per il reato ex art 544 ter c.p.
2. Il reato di maltrattamento di animali nel nuovo contesto sociale
L’evoluzione sociale, negli ultimi anni, ha posto un crescente interesse verso l’ambiente e, segnatamente, nei confronti degli animali, considerati non più soltanto in funzione del loro rapporto con l’uomo ma anche in relazione alla possibilità di accordare protezione direttamente agli stessi[1].
Fino al 2004 la tutela penale degli animali era affidata a due norme del Codice penale: l’art. 638 c.p. relativo all’uccisione o danneggiamento di animali altrui, e l’art 727 c.p. relativo al maltrattamento di animali.
La dottrina aveva bene evidenziato come l’originaria disciplina codicistica si basasse su una concezione antropocentrica degli animali, i quali venivano considerati più come oggetti materiali della condotta che come i soggetti passivi del reato: infatti, ad avere rilevanza penale non erano le sofferenze patite dagli stessi ma le conseguenze che queste generavano sulla sensibilità umana[2].
Con l’evoluzione del senso di civiltà, acquisita la consapevolezza che gli animali sono esseri dotati di una propria sensibilità, si è fatta più concreta, in dottrina e in giurisprudenza, l’esigenza di considerare queste creature come soggetti di diritti meritevoli di tutela.
Con il diffondersi di una generale sensibilizzazione verso il rispetto degli animali, stimolata anche dalla sempre maggiore dimensione mediatica riconosciuta ad episodi di sfruttamento e maltrattamento in loro danno, è stata infine emanata la legge n. 189 del 20.07.2004 contenente disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate, la quale ha introdotto nel codice penale un nuovo Titolo IX bis costituito dagli articoli da 544 bis a 544 sexies c.p.
La legge in esame oltre ad aver previsto nuove fattispecie incriminatrici, ha elevato al rango di delitti alcune figure contravvenzionali contenute nell’art. 727 c.p.
In particolare, dalla lettura delle disposizioni ivi contenute si evince, peraltro, come la tutela degli animali non si garantita tout court, ma solo in presenza di condizioni ulteriori, quali la crudeltà e l’assenza di necessità della condotta incriminata.
3. Art 544 ter reato comune: l’orientamento della Suprema Corte
I primi due motivi di doglianza, presenti nel ricorso per Cassazione, hanno ad oggetto l’errata applicazione della norma penale, ex art. 544 ter, in quanto l'imputato aveva dichiarato di non avere alcuna posizione di garanzia verso l’animale, non essendone egli il proprietario, bensì la sua compagna; l’insussistenza del nesso di causalità, ex art 40 c.p., tra la condotta umana e le lesioni riscontrate sull’animale
La questione è stata risolta dalla Suprema Corte attraverso un’interpretazione letterale restrittiva dell’art. 544 ter.
Nello specifico, dall’analisi testuale, la suddetta norma ha natura di reato comune, la cui condotta tipica può, pertanto, essere attuata da chiunque e non solo dal padrone dell'animale. Infatti, la Suprema Corte, aderendo all’orientamento giurisprudenziale dominante, ha precisato il principio secondo il quale non rileva, ai fini della realizzazione della condotta criminosa, la legittima titolarità del diritto di proprietà sull’animale.
Particolare rilevanza assume, inoltre, la nozione di lesione che, seppur non sovrapponibile a quella prevista dall’art. 582 c.p., implica sia la sussistenza di un’apprezzabile diminuzione dell’integrità dell’animale come conseguenza di una condotta volontaria commissiva o omissiva, sia la sola sofferenza patita dagli animali, poiché la norma mira a tutelarli quali esseri viventi in grado di percepire dolore, anche nel caso di lesioni di tipo ambientale e comportamentale.
Il reato di maltrattamento di animali, ex art 544 ter c.p., è una norma a più fattispecie che individua due diverse ed autonome previsioni: la prima incrimina il maltrattamento in senso stretto; la seconda la somministrazione di sostanze stupefacenti o vietate all’animale.
La volontà del legislatore non è quella di salvaguardare la salute dell’animale in quanto tale, ragion per cui il bene giuridico tutelato dalla norma è il sentimento di pietà che la comunità prova per questi quando sono sottoposti ai maltrattamenti indicati.
Nello specifico, la norma individua quattro tipologie di condotte punite: cagionare, per crudeltà e senza necessità, lesione all’animale; sottoporre l’animale a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche; somministrare all’animale sostanze stupefacenti o vietate; sottoporre l’animale a trattamenti che procurano un danno alla salute dello stesso.
A riguardo, secondo la Suprema Corte di Cassazione l’uso del collare coercitivo di tipo elettrico antiabbaio integra il reato in esame.
Il reato de quo può essere realizzato anche attraverso una condotta omissiva: per la giurisprudenza risponde del reato di cui all’art 544 ter c.p. chiunque, vantando una posizione di garanzia verso l’animale, mediante le proprie omissioni, determina lesioni, sofferenze, comportamenti insopportabili per le caratteristiche etologiche dell’animale.
4. L’elemento psicologico nel reato 544 ter c.p.
Nel terzo ed ultimo motivo di doglianza l’imputato aveva lamentato l’insussistenza del nesso psicologico in ordine alla condotta consistente nell’uso di un bastone verso l’animale.
L’elemento psicologico necessario al fine di configurare il reato in esame è il dolo generico, vale a dire la coscienza e la volontà di porre in essere una o più condotte descritte dalla norma penale.
La giurisprudenza, invece, ritiene configurabile il dolo nelle sue diverse classificazioni, ivi incluso quello eventuale. Infatti, secondo la Suprema Corte di Cassazione l’art 544 ter configura un reato a dolo specifico in tutte le ipotesi in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale sia tenuta per crudeltà, per converso è configurabile un reato a dolo generico in tutte quelle ipotesi in cui la condotta è tenuta senza necessità.
Il dolo eventuale, invece, va individuato nell’aver adottato una condotta che poteva rappresentare un pericolo per gli animali, accettandone di fatto il rischio.
In ordine alla qualificazione giuridica della collocazione di animali in ambienti inadatti alla loro naturale esistenza si è espressa la giurisprudenza che, dopo aver analizzato il rapporto tra l’art. 544 ter c.p. e la contravvenzione ex art 727 c.p., ha individuato nell’elemento psicologico del dolo il criterio distintivo tra le due figure. Pertanto, quando la condotta di maltrattamento di animali è sorretta da dolo rientra nel campo di applicazione dell’art. 544 ter; diversamente, sono punite a titolo di contravvenzione ex art. 727 c.p. le condotte colpose consistenti nella detenzione di animali in ambienti inadatti.
[1] Russo D., Primavera M., Maltrattamento di animali e responsabilità del medico veterinario, in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, 2019, n.6, pagg. 1,2 ss.
[2] Caringella F., Mazzamuto S., Morbidelli G., Manuale di diritto penale. Parte Speciale, Roma, Dike, 2015, pagg. 833 ss.
Bibliografia
Cass. sez III pen. 3.12.2003, n. 46291
Cass. 24.10.2007, n. 44822
Trib. Pen. Torino 25.10.2006
Tribunale, Verona, sentenza 26.04.2010 n. 854
Caringella F., Mazzamuto S., Morbidelli G., Manuale di diritto penale. Parte Speciale, Roma, Dike, 2015, pagg. 833 ss.
Troiano C., Il maltrattamento organizzato di animali. Manuale contro i crimini zoomafiosi, Roma, La Moderna, 2016, pag. 18
Russo D., Primavera M., Maltrattamento di animali e responsabilità del medico veterinario, in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, 2019, n.6, pagg. 1,2 ss