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Pubbl. Gio, 27 Mag 2021

Le conseguenze della notifica in proprio eseguita da un indirizzo PEC non risultante dai pubblici registri

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autori Federica Gentile , Paola Giannini



L´articolo, illustrata brevemente la normativa in materia di notifiche in proprio, esamina le conseguenze in caso di notifiche irrituali e le categorie della nullità e dell´inesistenza così come delineate dalla giurisprudenza. Infine approfondisce, in particolare, la questione relativa alla notifica eseguita da un indirizzo PEC non risultante dai pubblici registri, non ancora affrontata dalla giurisprudenza di legittimità.


ENG The article briefly outlines the law concerning judicial notifications made autonomously by lawyers, that is without the intervention of the judicial postman, and examines the consequences in case of irregular notifications, and the categories of nullity and non-existence as defined by case law. Finally, it examines the issue related to notifications through pec address not listed in public registers. The issue has not yet been addressed by the Supreme Court of Cassation.

Sommario: 1. La normativa in materia di notifiche in proprio; 2. I principi affermati dalla giurisprudenza con riferimento alle notificazioni irrituali: la distinzione tra nullità e inesistenza; 3. L’ipotesi in cui l’invio della comunicazione di posta elettronica certificata avviene da un indirizzo non presente sui pubblici elenchi.

1. La normativa in materia di notifiche in proprio

Con la legge 21 gennaio 1994, n. 53, “Facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali”, è stata attribuita agli avvocati la facoltà di notificare in proprio gli atti giudiziari, senza quindi l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario. Si tratta, ovviamente, di una mera facoltà e non di un obbligo: l’avvocato potrà sempre fare utilizzo del sistema tradizionale qualora lo ritenga utile o necessario.

Ai sensi dell’art. 1, può procedere alla notifica in proprio, a mezzo del servizio postale, l’avvocato che sia “munito di procura alle liti a norma dell'articolo 83 del codice di procedura civile e della autorizzazione del consiglio dell'ordine nel cui albo è iscritto”, salvo che l'autorità giudiziaria disponga che la notifica sia eseguita personalmente.

Le norme seguenti indicano le specifiche modalità a cui il notificante deve attenersi; completa la disciplina l’art. 11, secondo cui le notifiche “sono nulle e la nullità è rilevabile d'ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica”.

Il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con legge 24 dicembre 2012, n. 228 ha in seguito apportato delle modifiche al testo normativo in esame, introducendo la possibilità - senza che sia necessaria la previa autorizzazione da parte dell’ordine di appartenenza[1] - di effettuare le notifiche con modalità telematica, a mezzo di posta elettronica certificata.

Il nuovo art. 3-bis, in particolare, detta alcune regole specifiche per questa ipotesi. Ai sensi di tale norma, la notificazione debba essere eseguita “all'indirizzo risultante da pubblici elenchi[2], nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

Il notificante potrà, a sua volta, utilizzare esclusivamente l’indirizzo di posta elettronica risultante da pubblici registri.

La notifica si esegue mediante l’allegazione dell'atto da notificarsi al messaggio di posta elettronica certificata e si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna.

Il messaggio deve indicare nell'oggetto la dizione "Notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994" e l’avvocato è tenuto a redigere su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale e anch’esso allegato al messaggio di posta elettronica certificata, la relazione di notificazione, contenente alcuni dati indicati specificamente indicati dalla norma.

Ai sensi dell’art. 6, l’avvocato che compila la relazione e le attestazioni di conformità è considerato pubblico ufficiale a ogni effetto.

2. I principi affermati dalla giurisprudenza con riferimento alle notificazioni irrituali: la distinzione tra nullità e inesistenza

L’inosservanza delle norme in materia di notifiche in proprio con modalità telematiche sembrerebbe comportare in ogni caso, vista la specifica previsione di cui all’art. 11 della legge n. 53/1994, la nullità della notifica stessa.

La giurisprudenza, tuttavia, anche in questo ambito individua alcune ipotesi in cui lo scostamento rispetto al paradigma normativo è talmente significativo da determinare la radicale inesistenza dell’atto, che sarà quindi inidoneo a produrre alcuno degli effetti da esso tipicamente discendenti.

Nel tracciare i confini tra le due categorie, le Sezioni Unite[3], occupandosi di una fattispecie in cui la notifica del ricorso per cassazione era stata eseguita, in violazione dell’art. 330 c.p.c., presso il difensore domiciliatario della parte intimata per il giudizio di primo grado anziché presso il difensore costituito nel giudizio di appello e presso il quale la parte aveva eletto domicilio per tale grado del processo, hanno precisato che una notifica può considerarsi inesistente solo in ipotesi residuali, “talmente radicali che il legislatore, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione”. A ben vedere, l’inesistenza non è, “in senso stretto, un vizio dell’atto più grave della nullità, poiché la dicotomia nullità/inesistenza va, alla fine, ricondotta alla bipartizione tra l’atto e il non atto”.

Più nel dettaglio, secondo i giudici della Suprema Corte, “l'inesistenza della notificazione (…) è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità”. E tali requisiti strutturali, che devono considerarsi “sufficienti a integrare la fattispecie legale minima della notificazione”, consistono: “a) nell'attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, "ex lege", eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l'atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”.

Qualora la notifica possa considerarsi “esistente”, alla stregua di tali precisi canoni, “qualunque vizio dell’atto ricade nell’ambito della nullità”.

La distinzione non è affatto priva di rilevanza. In presenza di un vizio che comporta la mera nullità dell’atto, infatti, può operare il meccanismo della sanatoria per raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156, comma 3 c.p.c. che, con riferimento agli atti processuali, prevede che “La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.

La norma è espressione infatti di un principio generale che permea tutto il processo civile e che secondo pacifica giurisprudenza[4] vige anche in materia di notificazioni, ovvero quello secondo cui “Le forme degli atti (…) sono prescritte al fine esclusivo di conseguire un determinato scopo[5]” (c.d. principio della strumentalità delle forme o della congruità delle forme allo scopo): i requisiti formali che devono essere rispettati sono quindi solo quelli che sono necessari per il conseguimento dello scopo oggettivo del singolo atto[6].

Si tratta, a ben vedere, di un’applicazione del più generale “principio per cui la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l'interesse all'astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione[7].

Ebbene, quanto allo scopo del procedimento notificatorio, secondo le Sezioni Unite esso consiste nel “provocare la presa di conoscenza di un atto da parte del destinatario, attraverso la certezza legale che esso sia entrato nella sua sfera di conoscibilità[8], sicché “la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l'atto, malgrado l'irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario[9].

Come specificato dalla giurisprudenza successiva, quindi, “la conoscibilità dell'atto notificato costituisce il solo parametro in base al quale valutare il raggiungimento dello scopo[10]”.

Il raggiungimento di tale scopo “priva di significativo rilievo la presenza di meri vizi di natura procedimentale (…), ove l'erronea applicazione della regola processuale non abbia comportato (…) una lesione del diritto di difesa, oppure altro pregiudizio per la decisione[11].

Con specifico riferimento alla notifica via pec, le stesse Sezioni Unite hanno affermato che “Il risultato dell'effettiva conoscenza dell'atto che consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia l'indirizzo di PEC (…), determina (…) il raggiungimento dello stesso scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla PEC[12].

Più precisamente, “una volta che il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna del messaggio nella casella del destinatario, si determina, analogamente a quanto avviene per le dichiarazioni negoziali ai sensi dell'art. 1335 c.c., una presunzione di conoscenza da parte dello stesso[13], che può essere superata solo mediante la prova del caso fortuito, “come in ipotesi di malfunzionamenti del tutto incolpevoli, imprevedibili e comunque non imputabili”. Il titolare della casella di posta elettronica è, infatti, “responsabile della gestione della propria utenza e ha l'onere non solo di dotarsi degli strumenti necessari per decodificare o leggere i messaggi inviatigli, non potendo la funzionalità dell'attività del notificante essere rimessa alla mera discrezionalità del destinatario (…), ma anche di presidiare la propria casella procedendo alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli”.

In applicazione di tali principi, la giurisprudenza ha ritenuto sanabile ai sensi dell’art. 156, comma 3 c.p.c. la nullità per violazione delle disposizioni in materia di notifiche in proprio, e in particolare quelle contenute nella legge n. 53/1994, nell’ipotesi di allegazione di files in formato diverso rispetto a quello prescritto dalla legge[14]; nell’ipotesi di notifica della sentenza di primo grado, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata a uno solo dei difensori costituiti, pur in presenza di un mandato ad litem per più difensori[15]; nell’ipotesi di indicazione nell’oggetto del messaggio della dizione "notificazione ex L. n. 53 del 1994" rispetto a quella di "notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994"[16] o, addirittura, di omessa indicazione della stessa[17]; nell’ipotesi di relata priva di firma digitale[18].

Inoltre, per avvicinarci alla fattispecie in esame, i giudici di legittimità hanno ritenuto suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo anche la nullità, per inosservanza dell’art. 3-bis, comma 1, della notifica effettuata presso un indirizzo diverso da quello risultante dai pubblici elenchi[19].

3. L’ipotesi in cui l’invio della comunicazione di posta elettronica certificata avviene da un indirizzo non presente sui pubblici elenchi

Non risulta, invece, che la giurisprudenza abbia specificamente affrontato la diversa ipotesi in cui la notifica viene effettuata non “a” bensì “da” un indirizzo PEC non risultante dai pubblici registri, in violazione dell’art. 3-bis, comma 1, ultimo periodo, della legge n. 53/1994, secondo cui “La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”.

Innanzitutto, in forza dell’art. 11 che, come si è visto, dispone che l’inosservanza delle norme precedenti determina la nullità della notificazione, questa dovrebbe considerarsi affetta da tale vizio, con conseguente applicabilità dei principi sopra visti. Tuttavia, a ben vedere, tale fattispecie non pone tanto un problema di conoscibilità da parte del destinatario: appare difficile immaginare che siffatta irregolarità possa comportare per quest’ultimo alcuna difficoltà nell’apprendere il contenuto dell’atto trasmesso.

Pertanto, può ragionevolmente affermarsi che se nella fattispecie concreta la trasmissione da parte del notificante attraverso un indirizzo non risultante dai pubblici registri fosse l’unico vizio riscontrabile, opererebbe il meccanismo di cui all’art. 156, comma 3 c.p.c., con conseguente sanatoria della notifica irrituale.

Piuttosto, tale ipotesi richiederebbe una diversa valutazione, e cioè quella relativa alla possibile inesistenza della notifica, potendo l’utilizzo di un indirizzo diverso rispetto a quello contenuto nei pubblici elenchi ingenerare dubbi sulla stessa identità del notificante. Come sopra visto, infatti, la giurisprudenza può considerarsi ormai granitica nel ritenere che uno degli elementi strutturali essenziali del procedimento notificatorio consiste “nell'attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato[20].

Parrebbe quindi ragionevole ritenere che la notifica possa essere ritenuta esistente laddove, pur in presenza dell’irregolarità in esame, il contenuto del messaggio di posta elettronica sia tale da rendere identificabile l’avvocato notificante e verificabile l’esistenza del potere di compiere tale attività (ovvero che la notifica sia riconducibile, a norma dell’art. 1 della legge n. 53/1994, all’avvocato munito di procura alle liti[21]).

A tal fine, un ruolo importante potrà essere rivestito non solo dai dati contenuti negli atti allegati, ma anche e soprattutto dalle firme digitali apposte agli stessi.

Una simile soluzione sarebbe coerente con i principi affermati dalla stessa Suprema Corte con riferimento ad altre situazioni in cui possono sorgere dubbi circa la provenienza dell’atto. In particolare, occupandosi di una fattispecie in cui nella relata mancavano le generalità e la sottoscrizione dell'avvocato notificante, la Cassazione ha statuito che la sua identificazione, necessaria al fine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi indispensabili, può avvenire anche aliunde[22].

Ancora, in un’ipotesi in cui la relata contenuta in una comunicazione PEC risultava priva della firma digitale, ha stabilito che il difetto della firma non è causa di inesistenza dell'atto: anzi, la prescrizione relativa alla firma sarebbe surrogabile attraverso altri elementi capaci di far individuare l'esecutore dell'atto[23].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Così è previsto dall’art. 6.

[2] Secondo l’art. 16-ter del decreto legge n. 179/2012, a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli artt. 6-bis (Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti, - INI-PEC), 6-quater (Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese, gestito dall’Agenzia per l’Italia digitale – AgID) e 62 (Anagrafe nazionale della popolazione residente – ANPR, istituita presso il Ministero dell’Interno) del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82; dall'art. 16, comma 12, dello stesso decreto (registro delle caselle PEC delle pubbliche amministrazioni tenuto dal Ministero della Giustizia e consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati); dall'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 (registro delle imprese); il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia.

[3] Cass. Civ., Sez. Un., n. 14916/2016. In senso conforme, ex plurimis, Cass. Civ., Sez. VI, n. 29729/2019; Cass. Civ., Sez. VI, n. 23903/2018.

[4] Oltre alla pronuncia delle Sezioni Unite sopra richiamata, cfr., ex plurimis, Cass. Civ., Sez. III, n. 532/2020; Cass. Civ., Sez. III, n. 26287/2019; Cass. Civ., Sez. III, n, 17022/2018.

[5] Cass. Civ., Sez. Un., n. 14916/2016.

[6] C. Mandrioli, A Carratta, “Corso di diritto processuale civile”, vol. I, Ed. XV, pagg. 250 e 282.

[7] Cass. Civ., Sez. VI, n. 4505/2019. Cfr. anche Cass. Civ., Sez. Un, n. 23620/2018.

[8] Cass. Civ., Sez. Un., n. 14916/2016.

[9] Cass. Civ., Sez. Un., n. 7665/2016.

[10] Cass. Civ., Sez. III, n. 532/2020.

[11] Cass. Civ., Sez. Un, n. 23620/2018.

[12] Cass. Civ., Sez. Un., n. 7665/2016.

[13] Cass. Civ., Sez. I, n. 14675/2018.

[14] Cass. Civ., Sez. III, n. 532/2020; Cass. Civ., Sez. VI, n. 30372/2017.

[15] Cass. Civ., Sez. VI, n. 26076/2019.

[16] Cass. Civ., Sez. VI, n. 4505/2019.

[17] Cass. Civ., Sez. Un, n. 23620/2018.

[18] Cass. Civ., Sez. VI, n. 6518/2017.

[19] Cass. Civ., Sez. II, n. 23378/2018. Per un caso in cui invece si è ritenuto che lo scopo non fosse stato raggiunto, cfr. Cass. Civ., Sez. VI, n. 11574/2018.

[20] Cass. Civ., Sez. Un., n. 14916/2016. In senso conforme, ex plurimis, Cass. Civ., Sez. VI, n. 29729/2019; Cass. Civ., Sez. VI, n. 23903/2018.

[21] È infatti inesistente la notifica eseguita dal procuratore che sia mero domiciliatario (Cass. Civ., Sez. I, n. 20946/2018).

[22] Cass. Civ., Sez. III, n. 10272/2015.

[23] Cass. Civ., Sez. VI, n. 6518/2017.