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Pubbl. Sab, 15 Mag 2021

La Consulta sul rapporto tra stalking familiare e maltrattamenti in famiglia: divieto di applicazione analogica della legge penale a sfavore del reo

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Editoriale a cura di Ilaria Taccola



La Corte costituzionale con la sentenza n. 98/2021 in tema di rapporto tra lo stalking familiare ex art. 612 bis, secondo comma, c.p. e il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. ha ribadito il principio per cui il divieto di applicazione analogica della legge penale a sfavore del reo “costituisce un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo della legge”. Pertanto, il reato di maltrattamenti in famiglia presuppone che le condotte abusive siano compiute nei confronti di una persona della stessa “famiglia”, oppure di una persona “convivente”, mentre il reato di stalking richiede che le condotte vengano compiute nei confronti di persona che sia o sia stata legata all’autore da una “relazione affettiva”.


Il Tribunale di Torre Annunziata con ordinanza del 9 giugno 2020, aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 521 c.p.p., "nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato, allorquando sia invitato dal giudice del dibattimento ad instaurare il contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto, di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diversamente qualificato dal giudice in esito al giudizio", in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.

Nel caso di specie l’imputato era stato rinviato a giudizio con rito immediato con l’accusa di delitto di atti persecutori ex art. 612 bis, secondo comma, c.p. “per aver cagionato con reiterate condotte di minacce e molestie alla compagna un perdurante e grave stato di ansia e paura, ingenerandole un fondato timore per la propria incolumità al punto di costringerla, altresì, ad alterare le abitudini di vita, e in particolare a non uscire più di casa per timore di incontrarlo e a cambiare il proprio numero di telefono”.

Tuttavia, il tribunale rimettente aveva invitato le parti a instaurare il contradditorio sulla base di “un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 521 comma 1 c.p.p. a in ordine ad un’eventuale riqualificazione giuridica del fatto contestato al capo 1) nell’ipotesi incriminatrice di cui all’art. 572 c.p., reato, tra l’altro, più grave di quello di cui all’art. 612-bis c.p., contestato nel decreto di giudizio immediato”. A seguito di tale riqualificazione, l’imputato aveva chiesto la restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 521, comma 2, c.p.p. in maniera tale da essere rimesso nei termini per chiedere il rito alternativo nella formula del rito abbreviato; in subordine e in subordine nell’ipotesi in cui non vi fosse stata la riqualificazione, di essere ugualmente giudicato nelle forme del rito abbreviato.

La riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 572 c.p. sarebbe stata più appropriata, poiché dall’istruttoria, era emerso che l’imputato aveva commesso i fatti durante la relazione intercorsa con la persona offesa e nonostante non vi fosse stata la convivenza, tale rapporto sentimentale sarebbe stato serio e consolidato,

In altri termini, il tribunale rimettente propendeva per riqualificare il fatto contestato ai sensi dell’art. 572 c.p., ma così facendo all’imputato sarebbe stata preclusa la rimessione in termini per chiedere il rito abbreviato. Per tale motivo, il tribunale riteneva incompatibile il disposto dell’art. 521, primo comma, c.p.p. nella parte in cui non preveda che nell’ipotesi in cui l’imputato sia invitato a instaurare un contradditorio sulla possibile riqualificazione del capo di imputazione, possa chiedere di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato.

Secondo l’interpretazione del tribunale remittente l’art. 612 bis, secondo comma, c.p., ossia quando il fatto è commesso nei confronti di una persona con cui si è o si è stati legati da una relazione affettiva, si applicherebbe solamente ai casi di rapporti sentimentali non connotati oppure non più caratterizzati da una «attuale condivisione di spazi e progetti di vita che condizionano fortemente la capacità di reagire della vittima”.  In altri termini, lo spazio applicativo dell’art. 612 bis c.p. sarebbe solamente quello di relazioni non stabili oppure di relazioni affettive oramai terminate, mentre si estenderebbe notevolmente l’ambito applicativo dell’art. 572 c.p.

Tale interpretazione è stata avvalorata in più precedenti dalla Corte di cassazione[1] che ha stabilito che “l’art. 572 c.p. è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale”.

Tuttavia, la Corte costituzionale non concorda con l’interpretazione citata, ritenendo invece non applicabile l’art. 572 c.p. nel caso in cui la relazione affettiva sia instaurata da poco tempo oppure la convivenza sia sporadica, come ad esempio quando consiste per due o tre giorni consecutivi nella casa di uno dei due. Inoltre, il vero punto centrale è quello del divieto di analogia, poiché si legge che “Il divieto di analogia non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce così un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo. E ciò in quanto, nella prospettiva culturale nel cui seno è germogliato lo stesso principio di legalità in materia penale, è il testo della legge – non già la sua successiva interpretazione ad opera della giurisprudenza – che deve fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte; sicché non è tollerabile che la sanzione possa colpirlo per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore. Ciò vale non solo per il nostro, ma anche per altri ordinamenti ispirati alla medesima prospettiva, come dimostra la giurisprudenza del Tribunale costituzionale federale tedesco, secondo cui in materia penale «il possibile significato letterale della legge fissa il limite estremo della sua legittima interpretazione da parte del giudice”.

Infatti, l’interprete si deve domandare se il termine “una persona della famiglia o comunque convivente” possa applicarsi al caso in esame, poiché un’interpretazione che ricomprenda nell’ambito dell’art. 572 c.p. relazioni non caratterizzate dalla convivenza o da rapporti effettivamente stabili, tali da qualificarsi come membri della famiglia, comporta un’analogia in malam partem, andando, infatti, oltre il significato letterale.

Invero, si legge che

Il divieto di analogia in malam partem impone, più in particolare, di chiarire se davvero possa sostenersi che la sussistenza di una relazione, come quella che risulta intercorsa tra imputato e persona offesa nel processo a quo, consenta di qualificare quest’ultima come persona (già) appartenente alla medesima “famiglia” dell’imputato; o se, in alternativa, un rapporto affettivo dipanatosi nell’arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell’abitazione dell’altro possa già considerarsi, alla stregua dell’ordinario significato di questa espressione, come una ipotesi di “convivenza”. In difetto di una tale dimostrazione, l’applicazione dell’art. 572 cod. pen. in casi siffatti – in luogo dell’art. 612-bis, secondo comma, cod. pen., che pure contempla espressamente l’ipotesi di condotte commesse a danno di persona «legata da relazione affettiva» all’agente – apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice: una interpretazione magari sostenibile dal punto di vista teleologico e sistematico, sulla base delle ragioni ampiamente illustrate dal rimettente, ma comunque preclusa dall’art. 25, secondo comma, Cost.”


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., VI sez.,febbraio-9 maggio 2019, n. 19922 "In tema di maltrattamenti in famiglia, l'art. 572 c.p., è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, Rv. 261472). Ragione per cui il delitto è configurabile anche quando manchi una stabile convivenza e sussista, con la vittima degli abusi, un rapporto familiare di mero fatto, caratterizzato dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza (Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, Rv. 255628.)".