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Pubbl. Gio, 3 Set 2015

Il diritto allo studio - Parte prima

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Saverio Setti
Dirigente della P.A.Ministero della Difesa


Breve trattazione degli istituti volti a garantire il diritto allo studio nel pubblico impiego e, specificamente, nelle Forze Armate


1.    Premessa

Nell’assetto non solo giuridico, ma anche sociale e politico del nostro Paese lo studio assume importanza assai rilevante.

Lo Stato liberale ha avuto il merito di dare il colpo definitivo ad una millenaria divisione della società in censi, ove l’accesso a posizioni di preminenza sociale era sostanzialmente garantito dal diritto di nascita, ma non ha saputo andare oltre una mera uguaglianza formale assicurando a chi era nato povero di poter rimanere povero.

Il nostro Stato sociale, invece, ha sacralizzato, per mezzo del comma secondo dell’art. 3 Cost. (forse la miglior disposizione normativa presente nel nostro ordinamento) il principio di uguaglianza sostanziale. Preciso dovere della Repubblica è l’adozione di affirmative actions volte ad eliminare condizioni di svantaggio che gravano incolpevolmente su alcuni suoi cittadini.

Per quanto qui di interesse, al fine di assicurare «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» non si può prescindere dall’istruzione.

L’art. 34 Cost. ha, dunque, aperto a tutti la scuola, per mezzo di un diritto/dovere di frequenza scolastica di almeno otto anni, elevatosi nella storia della nostra scuola fino ai dieci anni previsti dall'art. 1 comma 622 della 27 dicembre 2006 n. 296.

Il secondo comma dell’art. 34 Cost., in continuità con la disposizione generale del secondo comma dell’art. 3, dispone che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso».

Lo studio è dunque visto non solo nella sua valenza intrinseca di formazione spirituale e personale dell’individuo, ma anche quale unico ascensore sociale idoneo a premiare i migliori. Purtroppo una lettura dei dati sociali contrasta con le disposizioni su ricordate: a cinque anni dalla laurea il tasso di disoccupazione di chi ha studiato, ad es., materie giuridiche è del 14,6% e schizza al 17,3% per i laureati in lettere[1]. Si tratta di considerazioni che, però, esulano dal core business di questa rivista, dunque si rimanda ad altre sedi ed altri scritti, anche dello stesso Autore, per una più esauriente disamina.

 

2.    Il diritto allo studio nel pubblico impiego

Attenta a quanto su esposto si è dimostrata la legislazione del lavoro che, attraverso la l. 300/1970, ha affermato il diritto allo studio per i lavoratori. Essi, ai sensi dell’art. 10, hanno diritto a turni che agevolino la frequenza di corsi di studio ed alla preparazione agli esami. Importante è anche chiarire come non sia possibile imporre al lavoratore studente una prestazione eccedente l’orario contrattualmente stabilito, né una prestazione lavorativa durante i riposi settimanali. Gli studenti lavoratori hanno, altresì, diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti.

L’ammontare di questi permessi è, però, rimessa alla contrattazione con la parte datoriale.  I singoli contratti collettivi nazionali, a partire dal 1973, generalmente prevedono la concessione di almeno centocinquanta ore, con alcuni contratti collettivi che arrivano a garantirne trecento.

L’art. 3 del D.P.R. 23 agosto 1988 n. 395, ha poi esteso a tutto il pubblico impiego la fruizione delle centocinquanta ore di diritto allo studio. Si tratta di un monte ore che al pubblico dipendente è riconosciuto all’atto della regolare iscrizione a corsi universitari, postuniversitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studi legali o attestati professionali riconosciuti dall'ordinamento pubblico.

Importante è chiarire che il monte ore viene assegnato ad anno solare, non accademico. Chi si iscrive, ad es., ad un corso di Laurea in Filosofia nel settembre del 2015 avrà a disposizione il monte ore fino al 31 dicembre 2015. A prescindere dal numero di ore utilizzate nel 2015, il 1 gennaio 2016 l’ufficio personale gliene “caricherà” altre centocinquanta. È escluso, quindi, il cumulo di ore eventualmente non utilizzate l’anno prima con quelle dell’anno in corso.

Anche nel caso del pubblico impiego valgono le regole su esposte in materia di straordinario e lavoro festivo, fatte salve inderogabili ed eccezionali esigenze di servizio.

Pur chiamato diritto allo studio, questo viene ad atteggiarsi come interesse legittimo allo studio. Infatti, al fine di evitare di paralizzare l’attività del pubblico ufficio, sono previsti alcuni limiti o obblighi inerenti la fruizione di questi permessi.

§  Il monte ore non può essere assegnato a più del 3%[2] del totale delle persone in servizio nell’ente quell’anno;

§  A parità di condizioni sono ammessi a frequentare le attività didattiche i dipendenti che non abbiano mai usufruito dei permessi relativi al diritto allo studio per lo stesso corso;

§  Il fruitore del permesso per studio è tenuto a presentare alla propria amministrazione idonea certificazione in ordine alla iscrizione ed alla frequenza alle scuole ed ai corsi, nonché agli esami finali sostenuti. In mancanza delle predette certificazioni, i permessi già utilizzati vengono considerati come aspettativa per motivi personali.

Il conseguimento del titolo di studio accresce, evidentemente, non solo il bagaglio culturale del lavoratore, ma anche, indipendentemente dall’area di studio, il valore del lavoro stesso ed evidenzia spirito di iniziativa e di miglioramento. Dette qualità non sono ignorate dalla legge che impone di valutare positivamente nelle schede di servizio e/o nelle note caratteristiche del dipendente il conseguimento del titolo.

Ferme restando queste disposizioni, il pubblico (e privato) dipendente può servirsi di un ulteriore strumento messo a disposizione dal nostro ordinamento: il congedo per la formazione.

L’art. 5 della l. 53/2000 consente al lavoratore con almeno cinque anni di servizio continuativo[3] presso la stessa amministrazione di richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per un periodo non superiore a mesi undici nell’arco dell’intera vita lavorativa presso la stessa amministrazione o azienda. Presupposto necessario per la concessione del congedo è l’iscrizione ad una scuola di secondo grado o ad un corso universitario. Per iscrizione si deve intendere la regolare registrazione presso un istituto, conseguente al superamento di un eventuale test ed al pagamento di ogni tassa e/o contributo sinallagmaticamente connesso alla frequenza dei corsi. Quindi, ad. es., il beneficio potrà essere concesso per la frequenza anche di un corso singolo (Automatica presso la facoltà di Ingegneria di una Università anche privata purché riconosciuta dal MIUR), ma non verrà concesso per la preparazione, ad es., del test di ingresso per Medicina e Chirurgia.

Questo periodo di congedo può essere fruito in modo continuativo o frazionato, consente la conservazione del posto di lavoro, ma non dà diritto a percepire la retribuzione. Tale periodo non è computabile nell'anzianità di servizio e non è cumulabile con le ferie, con la malattia e con altri congedi. Tuttavia il lavoratore può procedere al riscatto del periodo di congedo per formazione, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria.

Quid iuris nel caso intervenga, durante il periodo di congedo, una malattia? Uno stato di infermità non è, di per sé solo, idoneo ad interrompere il congedo. Si tratta, infatti, di un caso diverso dall’inidoneità temporanea al lavoro cagionata dall’infermità. Un agente di Polizia provinciale adibito a servizio in motocicletta, ove riporti la frattura di un dito, certo non potrà che ricorrere al riposo medico od alla licenza di convalescenza. Se però quello stesso lavoratore, in posizione di congedo per la formazione, dovesse subire lo stesso infortunio non potrà richiedere la sospensione del congedo stesso. La legge, infatti, parla di grave e documentata infermità, tale quindi da inibire anche l’attività di studio, che non può certamente essere limitata dalla frattura di un dito[4]. In caso di patologia grave ed inabilitante intervenuta durante il periodo di congedo, di cui sia data comunicazione scritta al datore di lavoro, si dà luogo ad interruzione del congedo medesimo.

Anche in questo caso, in ordine alla concessione, non si può parlare di diritto, ma di interesse legittimo. Infatti il datore di lavoro può non accogliere la richiesta di congedo per la formazione ovvero può differirne l'accoglimento nel caso di comprovate esigenze organizzative. Queste ultime, sul piano generale, sono da intendersi in senso oggettivo, quali improrogabili necessità di utilizzo del lavoratore, valutate con buona fede e motivate[5] e rimangono oggetto di valutazione da parte del G.O. I contratti collettivi, comunque, prevedono le modalità di fruizione del congedo stesso, individuano le percentuali massime dei lavoratori che possono avvalersene, disciplinano le ipotesi di differimento o di diniego all'esercizio di tale facoltà e fissano i termini del preavviso, che comunque non può essere inferiore a trenta giorni.

 

3.    Il diritto allo studio nelle Forze Armate

Quanto espresso finora si applica anche a quanti sono impiegati dalla Nazione in uniforme.

La specialità del comparto sicurezza e difesa richiede, però, alcune specificazioni, soprattutto in merito alle centocinquanta ore.

È bene precisare che la concessione delle centocinquanta ore di diritto allo studio non è prevista per i volontari in ferma prefissata di un anno[6], dunque può essere azionata dai VFP4 a salire. Si evidenzia come, benché ai VFP1 siano concedibili i giorni di licenza straordinaria per esami, si consiglia, ove possibile, di utilizzare la licenza ordinaria, posto che ogni licenza straordinaria è astrattamente conteggiabile negativamente.

Ai militari è, come ricordato, concesso il beneficio delle centocinquanta ore di diritto allo studio[7], detratte dal normale orario di servizio. La richiesta, da presentarsi almeno due giorni prima al proprio Comandante di corpo, deve essere accolta ove non ostino impellenti ed inderogabili esigenze di servizio. Al termine di ogni fruizione di detto periodo insistono gli obblighi di attestazione su richiamati. Su questo punto è bene chiarire che, mentre per attestare l’avvenuta iscrizione è sufficiente una dichiarazione sostitutiva di autocertificazione[8], per quanto concerne la dimostrazione della frequenza sarà necessario il rilascio di documentazione prodotta dall’istituto.

Il diritto alla concessione di questo monte ore è direttamente connesso con la frequenza dei corsi, ma la modalità di fruizione dipende in parte dalla localizzazione geografica della sede dell’istituto. Un esempio chiarirà il concetto meglio di ogni astrazione.

Si consideri un Appuntato dei Carabinieri, nato a Torino, che presti servizio a Padova e voglia iscriversi al corso di laurea in Giurisprudenza. Sia a Torino che a Padova è attivo detto corso di laurea. Egli potrà indistintamente iscriversi ad entrambe ma, qualora decidesse per l’immatricolazione a Torino, il tempo necessario per raggiungere la facoltà non potrà essere detratto dal monte ore dedicato allo studio, perché presso la sua sede di servizio è presente lo stesso corso di laurea cui egli si è iscritto in altra città.

L’Appuntato, dunque, dovrà raggiungere Torino o in orario non di servizio ovvero ricorrendo a permessi brevi da recuperare ovvero a recuperi compensativi già accumulati o alla licenza ordinaria maturata.

Diverso è il caso di un suo collega che presta servizio A Budrio, in provincia di Bologna. Egli, ove si iscrivesse a Giurisprudenza a Bologna (istituto più vicino alla sede di servizio), potrà servirsi del monte ore anche per raggiungere la sede dell’istituto.

La distinzione è importante perché diverso è il conteggio: utilizzando il recupero compensativo, infatti, a fronte di otto ore non lavorate ne vengono scalate otto da quelle maturate.

Nell'ambito delle centocinquanta ore per il diritto allo studio possono essere attribuite e computate, per la preparazione ai soli esami universitari o post universitari, compreso quello per la discussione della tesi di laurea, le quattro giornate lavorative immediatamente precedenti agli esami sostenuti in ragione di sei ore per ogni giorno, secondo il criterio forfettario. Il personale in tali giornate non può comunque essere impiegato in servizio.

Al termine della fruizione, s’è detto, il militare deve portare idonea giustificazione.

Ove egli non ottemperi a questo obbligo, o non si presenti all’esame ovvero falsifichi la documentazione si espone a conseguenze assai rilevati sul piano disciplinare ovvero penale comune e militare; in aggiunta i giorni di diritto allo studio già concessi sono tramutati ex officio in licenza ordinaria. È però, evidente, come quest’ultima conversione non possa aver luogo in caso di non superamento dell’esame. Sul piano giuridico, infatti, la concessione del beneficio è subordinata al compimento dell’esame. Certo, resta la riprovazione sul piano prettamente personale di aver “sprecato” del tempo, retribuito, concesso dalla Pubblica amministrazione.

Se dunque il diritto allo studio è subordinato agli impegni derivanti dalla frequenza universitaria, è possibile fruirne anche in caso di iscrizione ad Università con modalità di fruizione a distanza?

A questo, come ad altri rilevanti quesiti, verrà data compiuta risposta nel prossimo saggio.

 



[1] Cfr. S. Feltri, Università, gli studi belli ma inutili e l’ascensore sociale bloccato, ne Il Fatto Quotidiano del 17 agosto 2015 e Osservatorio permanente giovai editori, La scuola come un ascensore sociale, 3 luglio 2014, su http://www.osservatorionline.it/page/242665/la-scuola-come-un-ascensore-sociale.

[2] Con arrotondamento all’unità superiore. In caso si superi il limite a parità di condizioni sono ammessi a frequentare le attività didattiche i dipendenti che non abbiano mai usufruito dei permessi relativi al diritto allo studio per lo stesso corso.   

[3] Da cui sono sottratti i periodo di congedo e di riposo medico.

[4] Per maggior precisione si vedano le patologie previste dall’art. 2 del Decreto Ministeriale - Dipartimento per la Solidarietà Sociale, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 21 luglio 2000, n. 278.

[5] Si vedano, ex multis Cass. 22 marzo 2005, n. 6117, Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 19/02/2008 n° 4060 e Cons St. sez. IV, decisione 29/01/2008 n° 259.

[6] Cfr. l. 226/2004 e il Vademecum dello Stato Maggiore dell’Esercito, I Volontari dell’Esercito.

[7] Si veda, per maggior previsione, la circolare applicativa M_D GMIL1 II 5 1 0141265 del 22 marzo 2012, oltre ai DPR 31 luglio 1995, n. 394 e 395.

[8] Ai sensi dell’articolo 46 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445