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Pubbl. Lun, 15 Mar 2021

La Cassazione sul rapporto tra lo stalking e l’omicidio aggravato ex art. 576 n. 5.1 c.p.

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Gaetano Passante



Con la sentenza n. 30931 del 2020 (depositata il 6 novembre 2020), la terza sezione della Corte di Cassazione è intervenuta sul tema del rapporto tra il delitto di atti persecutori e l’omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, co. 5.1 c.p. riconoscendo a quest’ultima fattispecie rilevanza assorbente rispetto alle condotte persecutorie precedentemente poste in essere a danno della stessa persona offesa.


Sommario: 1. Il caso; 2. Lo stalking (brevi cenni sugli elementi costitutivi); 3. Omicidio aggravato ex art. 576, co 1, n. 5.1. c.p. Orientamenti a confronto; 4. Conclusioni.

1. Il caso

La Suprema Corte, in applicazione del principio del ne bis in idem di cui all’art. 649, co. 2 c.p.p., che preclude la celebrazione di un nuovo procedimento per l’imputato che sia stato già condannato o prosciolto per gli stessi fatti, ha annullato senza rinvio la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro limitatamente al delitto di cui all’art. 612 bis c.p., scomputando la relativa pena di mesi quattro di reclusione.

L’imputato, infatti, in relazione agli avvenimenti era stato già definitivamente condannato per tentato omicidio, aggravato ai sensi dell’art. 576, co. 5.1 c.p.[1], dalla Corte di Assise di Cosenza.

L'applicazione della predetta aggravante comporta la pena dell’ergastolo allorquando l’omicidio sia commesso “dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612 bis nei confronti della stessa persona offesa”.

I comportamenti perpetrati dal soggetto condannato, ai danni della vittima, integravano compiutamente gli estremi per la configurabilità a suo carico del menzionato addebito. Egli, infatti, “con ripetuti comportamenti assillanti e violenti, consistiti in frequenti appostamenti all’esterno dell’uscio di casa, sul solaio della stessa ovvero in un piccolo vano contigui all’abitazione ed adibito a legnaia ovvero nei luoghi frequentati dalla donna, nonché nel pretendere di accompagnarla in tutti i suoi spostamenti, come pure in costanti richieste alla donna di giustificare tutti i suoi spostamenti, nel porre in essere ripetute ed ingiustificate scenate di gelosia, nel telefonare continuamente ed inviarle una moltitudine di sms in cui si informava dei suoi  movimenti e le ripeteva in modo ossessivo che non doveva lasciarlo, nel minacciarla che l’avrebbe ammazzata se avesse interrotto la loro relazione e nel percuoterla con schiaffi, creava nella predetta uno stato di paura e disagio emotivo, ingenerando in lei timore per l’incolumità propria e dei propri congiunti e conviventi, così incidendo sul relativo modus vivendi e sul complessivo stato psichico[2].

Al culmine di tale serie di eventi, lo stesso autore si rendeva responsabile di tentato omicidio, aggravato ai sensi dell’art. 576, co. 5.1 c.p., in ragione della sussistenza delle suesposte condotte.

Egli veniva, quindi, coinvolto in due distinti procedimenti nei quali veniva accusato, tra gli altri, sia per il reato di atti persecutori che per il reato di tentato omicidio, circostanziato dalla predetta aggravante.

2. Lo stalking (brevi cenni sugli elementi costitutivi)

L’art. 612 bis, rubricato atti persecutori (stalking), punisce “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

La giurisprudenza di legittimità colloca la fattispecie tra i reati abituali e non di mera condotta. Esso si caratterizza, infatti, per la reiterazione di una condotta minacciosa o molesta prodromica all’evento danno consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero di un evento di pericolo consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona con cui sussiste una relazione affettiva[3].

Perché possa dirsi configurato il reato di atti persecutori è sufficiente la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall’art. 612 bis c.p.[4]. L’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico consistente nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Il dolo, inoltre, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi[5].

La recente legge n. 69 del 2019 (cd. Codice rosso) ha inasprito l’editto sanzionatorio, che oggi prevede la reclusione da anni 1 ad anni 6 e mesi 6, salvo che il fatto costituisca più grave reato (in precedenza la sanzione andava da mesi 6 ad anni 5). Nei due commi successivi dell'art. 612 bis c.p., inoltre, sono previste due circostanze aggravanti. La prima stabilisce un aumento di pena “se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici” mentre, per la seconda aggravante, “la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata”. In ordine alla procedibilità del reato – salvo alcune specifiche ipotesi in cui si procede d’ufficio – è richiesta la querela della persona offesa, entro il termine di sei mesi[6].

Infine, il legislatore del 2009 ha previsto un ulteriore strumento posto a tutela delle vittime di stalking. L’art. 8 della legge n. 38/2009 infatti ha istituito una procedura di ammonimento che la persona offesa può attivare nei confronti dell’autore delle condotte persecutorie, rivolgendosi al questore. Quest’ultimo, assunte, se necessario, informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge; quindi, adotta eventuali provvedimenti in materia di armi e munizioni.

Il ricorso a tale procedura di natura amministrativa, oltre a costituire un chiaro deterrente per l’aggressore, assume rilevanza in una duplice direzione. Da un lato comporta un aggravio di pena qualora il fatto sia commesso dal soggetto ammonito, dall’altro rende il reato procedibile d’ufficio.

3. Omicidio aggravato ex art. 576, co 1, n. 5.1. c.p. Orientamenti a confronto

Il caso di specie mette in luce l’esistenza di due princìpi che innervano il nostro ordinamento giuridico. Allorquando la commissione di un fatto storico possa essere sussunta in più d’una fattispecie criminosa, infatti, è necessario stabilire se l’autore del fatto debba essere condannato per tutti i titoli di reato della cui violazione si è reso responsabile, oppure se l’incriminazione per uno di essi, definita in base al criterio di specialità, debba escludere la punibilità per gli altri.

Nel primo caso, si profila un concorso di norme in ragione del quale la pena sarà variabilmente aumentata, a seconda dei casi, tenendo altresì conto di alcuni parametri quali la continuità del disegno criminoso (art. 81 c.p.). Nel secondo caso, invece, siamo di fronte ad un concorso solo apparente di norme che dà vita ad un c.d. reato complesso, in cui gli elementi costitutivi delle diverse disposizioni incriminatrici concorrono – in modo paritetico ovvero in funzione di aggravante gli uni degli altri – alla creazione di una nuova ed autonoma figura criminosa.

Sul medesimo tema la Corte di Cassazione è intervenuta una sola volta in precedenza. Con la sentenza n. 20786 del 2019, in particolare, la prima sezione penale asseverava il primo dei due orientamenti, secondo cui l’aggravamento del delitto di omicidio, ai sensi dell’art. 576, co. 5.1 c.p., non è idoneo di per sé ad escludere l’autonoma punibilità degli atti persecutori consumati a monte della condotta omicidiaria.

Gli argomenti adotti a sostegno di tale asserto giurisprudenziale attengono alla differente formulazione con cui il legislatore ha costruito le altre aggravanti previste dalla norma. In particolare, il riferimento è alla circostanza di cui al comma 5, in cui il disvalore aggiuntivo è collegato al nesso di occasionalità tra l’omicidio e la commissione di taluno dei delitti previsti dagli artt. 572, 600 bis, 600 ter, 609 bis, 609 quater e 609 octies. Tale condizione, non trasfusa nel successivo comma 5.1, esprimerebbe una distinzione sostanziale tra i due precetti.

In altre parole, con la pronuncia del 2019 la Corte conferiva valore soggettivistico alla norma, riconoscendole il potere di aggravare il reato non già in termini di connessione diretta, oggettiva e fattuale, che deve sussistere tra le condotte persecutorie e l’omicidio della vittima bensì in termini soggettivi, meramente correlati alla pregressa posizione assunta dall’autore – responsabile appunto del reato di cui all’art. 612 bis – nei confronti della stessa persona offesa.

Sul filo di tale dissertazione la Corte, sostenendo la divergenza strutturale tra le due fattispecie, escludeva la possibilità di un’interferenza normativa tra le stesse e, dunque, l’applicabilità dell’art. 84, co. 1 c.p. Tra loro, infatti, intercorrerebbe “una relazione di piena compatibilità perché la commissione degli atti persecutori, reato di natura abituale e a condotta tipizzata, non involge in alcun modo la commissione del fatto di omicidio, reato di natura istantanea e causalmente orientato[7].

Tuttavia, la predetta ricostruzione normativa è parsa degna di censura ai Giudici della terza sezione che, con la sentenza in commento, ne hanno evidenziato alcune aporie interpretative. In particolare, non è stata ritenuta ammissibile quella che configurerebbe una vera e propria interpretazione abrogans dell’art. 84, co. 1[8]. Sulla scorta di tali affermazioni, il Supremo Collegio ha ritenuto assorbito il reato di stalking in quello di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, co. 5.1 c.p., riconoscendo a quest’ultimo natura complessa.

Con la sentenza in commento, dunque, la Corte – discostandosi dalla precedente pronuncia del 2019 della prima sezione – si attesta su una posizione completamente opposta affermando il seguente principio di diritto: “tra gli art. 576, comma 1, n. 5.1, e 612-bis cod. pen., sussiste un concorso apparente di norme ai sensi dell’art. 84 comma 1 c.p. e, pertanto, il delitto di atti persecutori non trova autonoma applicazione nei casi in cui l’omicidio della vittima avvenga al culmine di una serie di condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall’agente nei confronti della medesima persona offesa”.

4. Conclusioni

In definitiva, con la recente pronuncia i Giudici di piazza Cavour, senza sottacere un giudizio negativo sulla formulazione letterale della norma – considerata incerta ed infelice – non si spingono, tuttavia, ad offrirne una lettura incentrata sul tipo di autore anziché sul disvalore da attribuire alle condotte poste in essere, culminate con l’omicidio (nella forma del tentativo).

D’altro canto, la posizione espressa in sentenza è in linea con giurisprudenza e dottrina maggioritarie, che respingono strenuamente una modalità di estrinsecazione del precetto penale – in uso nelle disposizioni codicistiche originarie – il cui obiettivo sanzionatorio ricada sulla personalità dell’autore ed in cui “il fatto tipico commesso degrada a mero sintomo di una tale personalità che rappresenta il vero oggetto del rimprovero e l’obiettivo reale della punizione[9].

Alla luce dell’accennato contrasto interpretativo insorto tra le diverse sezioni, dunque, è plausibile attendersi un intervento compositivo delle Sezioni Unite su un tema di grande rilevanza sociale, che il più delle volte va a discapito dei soggetti più fragili.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Tale norma è stata introdotta nel nostro ordinamento nel 2009, D.L. 23 febbraio n. 11 conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38, contestualmente all’introduzione del reato di stalking (art. 612 bis c.p.).

[2] Cfr. Cass. pen., sez. III, sent. n. 30931 del 2020.

[3] Cass. pen., sez. III, sent. n. 23485 del 2014.

[4] Cass. pen., sez. V, sent. n. 43085 del 2015.

[5] Cass. pen., sez. V, sent. n. 18999 del 2014.

[6]  Tale termine inizia a decorrere dalla consumazione del reato, che coincide con la realizzazione di uno degli eventi alternativi tipizzati dalla norma (Cass. pen., sez. V, sent. n. 17082 del 5.12.2014, Rv. 263330). In una successiva sentenza, la S.C. ha specificato che: “Il carattere del delitto di atti persecutori, quale reato abituale a reiterazione necessaria delle condotte, rileva anche ai fini della procedibilità, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui il presupposto della reiterazione venga integrato da condotte poste in essere oltre i sei mesi previsti dalla norma rispetto alla prima o alle precedenti condotte, la querela estende la sua efficacia anche a tali pregresse condotte, indipendentemente dal decorso del termine di sei mesi per la sua proposizione, previsto dal quarto comma dell’art. 612 bis c.p.” (Cass. pen., sez. V, sent. n. 48268, 27.5.2016, Rv. 268163). Per un commento critico della sentenza, v. M.LEPERA, Il delitto di atti persecutori: il requisito della reiterazione e la individuazione del momento di decorrenza per proporre querela, in Cassazione Penale, n. 9, 2015, secondo il quale la consumazione di un ulteriore atto persecutorio, oltre il termine di sei mesi dalla proposizione della querela da parte della persona offesa, comporta necessariamente l’esigenza di un nuovo atto di impulso”.

[8] Per alcuni commenti sul tema si rinvia a S. Bernardi, La Cassazione torna sul rapporto tra l’omicidio aggravato ex art. 576 c. 1 n. 5.1 c.p. e il delitto di atti persecutori: escluso (questa volta) il concorso di reati, in Sistema Penale, 8 gennaio 2021.

[9] Per tutti, T. Padovani, Diritto penale, Giuffré.