La provvisoria esecutività delle sentenze di primo grado
Modifica paginaIl presente contributo si propone di esaminare l'istituto della provvisoria esecutività delle sentenze di primo grado alla luce dei contributi offerti dalla dottrina e dalla giurisprudenza con riguardo alla natura meramente dichiarativa, costitutiva o di condanna nonché al carattere accessorio del capo contenuto nella sentenza cui accede.
Sommario: 1. Introduzione; 2. L'esecuzione diretta; 3. L'esecuzione indiretta; 4. Il titolo esecutivo; 4.1. Il titolo esecutivo di formazione giudiziale; 4.2. Le sentenze di mero accertamento, costitutive e di condanna; 4.3. La problematica inerente all'estensibilità del novellato art. 282 c.p.c. a tutti i tipi di sentenza; 4.4. La problematica inerente all'estensibilità del novellato art. 282 c.p.c. ai capi accessori contenuti nella sentenza meramente dichiarativa o costitutiva cui accede; 5. Conclusioni.
1. Introduzione
Il processo di cognizione da solo è incapace, per citare un’espressione di Carnelutti, di adeguare il diritto al fatto, di ridurre le parole ai fatti 1.
Lo scopo del processo, nella sua più ampia accezione, e, quindi, della tutela giurisdizionale è, invero, la concretizzazione del comando astratto, l’attuazione della legge, il “dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire” alla stregua della legge sostanziale 2.
Se da un lato, infatti, il processo di cognizione ha lo scopo, previo accertamento, di meramente dichiarare, costituire un diritto o di condannare, il processo esecutivo è il mezzo che l'ordinamento giuridico predispone per attuare concretamente, in modo coattivo, il dispositivo di diritto allorché colui che vi dovrebbe adempiere non lo faccia spontaneamente.
2. L'esecuzione diretta
Secondo l’impostazione classica si deve operare un distinguo tra esecuzione indiretta ed esecuzione diretta a seconda che ricorra o meno la possibilità per il creditore di essere soddisfatto grazie all’attività compiuta da un ufficio esecutivo in sostituzione del soggetto obbligato.
Nel caso di esecuzione indiretta l'ordinamento giuridico agisce sulla volontà del debitore per indurlo a adempiere in virtù di una sorta di pressione psicologica; tuttavia, trattandosi di meccanismi coercitivi non costituenti, nel nostro sistema giuridico, uno strumento di tutela generale delle pretese del creditore, essi sono previsti solo in casi tassativi disciplinati dalla legge, di cui si dirà al paragrafo successivo.
Al contrario, nell’esecuzione diretta la prestazione non adempiuta dal debitore viene soddisfatta dall'organo giudiziario permettendo così al creditore di conseguire l'utilità che gli spetta, vale a dire quella che avrebbe ottenuto se il debitore avesse adempiuto spontaneamente ovvero, se ciò non è possibile, quella economicamente equivalente, così da distinguere, nell’ambito della categoria dell'esecuzione diretta, il procedimento in forma specifica da quello in forma generica.
L’esecuzione forzata di cui al capo II del titolo IV del sesto libro del codice civile, comprende sia l’espropriazione, sia l’esecuzione forzata in forma specifica, mentre, nel libro terzo del codice di procedura civile, che regola, appunto, il processo di esecuzione, il cui secondo titolo è dedicato all’espropriazione forzata (artt. 483-604), non figura l’esecuzione in forma specifica, come categoria generale, contenendo la disciplina dell’esecuzione per consegna o rilascio (artt. 605-611) e dell’esecuzione di obblighi di fare e di non fare (artt. 612-614), rispettivamente ai titoli terzo e quarto.
In linea di principio si può affermare che, nel nostro ordinamento, l’esecuzione deve essere attuata in forma specifica atteso che il creditore ha diritto a conseguire una prestazione identica a quella che gli spetta secondo il citato principio chiovendiano.
Tale esigenza che, come precisato da autorevole dottrina, informa l’intera disciplina del processo, si riviene nelle norme che il Codice civile dedica alla funzione e alla disponibilità della tutela giurisdizionale esecutiva, vale a dire negli artt. 2930, 2931 e 2933 che, appunto, “enunciano la generica esigenza di attuare, nelle forme previste dal codice di procedura, la tutela in forma specifica, in quanto possibile”3.
Secondo altro modo di ragionare, il procedimento di esecuzione in forma specifica concerne obblighi che ineriscono, o aderiscono, a situazioni che, per distinguerle dalle situazioni strumentali, sono state chiamate finali; situazioni, cioè, dove la titolarità coincide di massima con la soddisfazione dell'interesse del soggetto perché immediata è la relazione del soggetto col bene atto a soddisfare il suo bisogno. Esempio per eccellenza di queste situazioni giuridiche è il diritto di proprietà che, com'è noto (art. 832 c.c.), ha per contenuto la facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi previsti dall’ordinamento giuridico 4.
Secondo l'impostazione di cui innanzi, più precisamente, il legislatore, riconducendo l’esecuzione in ogni sua forma all’inadempimento di un obbligo ha trascurato di considerare che “mentre l’espropriazione è un mezzo di tutela autonomo, il mezzo di tutela specifico delle obbligazioni, la cosiddetta esecuzione in forma specifica non è che esercizio di un diritto, presuppone un rapporto diretto con la cosa, una situazione giuridica finale ed indipendente dal rapporto obbligatorio che abbia la cosa come suo oggetto o come suo punto di riferimento” 5.
Su tale premessa di ragionamento, rientrano tra le situazioni giuridiche finali, che godono della tutela in forma specifica, tutte quelle, talvolta ricollegabili a rapporti contrattuali, nelle quali il rapporto di immediatezza tra il titolare ed il bene ha una funzione prevalente rispetto all’attività strumentale dell’obbligato.
La tutela in forma specifica, quindi, secondo tale prospettiva, non assiste soltanto i diritti reali o assoluti ma anche altre posizioni giuridiche, come i cd. jura ad rem, categoria che comprende i cd. diritti personali relativi a beni mobili o immobili determinati. Si pensi, ad esempio, alle azioni di risoluzione, nullità o annullamento di contratti, ovvero a tutti i casi in cui, come nella locazione, si agisca per la riconsegna del bene 6.
La distinzione, dunque, tra le situazioni giuridiche finali e strumentali rappresenta il punto nodale dell’orientamento di cui innanzi, nel senso che le situazioni giuridiche finali superano i confini dei soli diritti reali ed assoluti per comprendere, grazie all’opera dell’interprete, tutte quelle situazioni soggettive ad essi riconducibili, superando, così, la rigida contrapposizione tra diritti reali e diritti di credito.
A ben vedere, sotto il profilo di applicazione pratica, l’esecuzione in forma specifica, è nella prassi meno ricorrente di quella in forma generica che si attua mediante l’espropriazione del patrimonio del debitore al fine di convertirlo in danaro, in ossequio al più generale principio di responsabilità patrimoniale.
Il suddetto principio è previsto, si ricorda, dal secondo comma dell’art. 2740 c.c. secondo cui: “il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”.
Il risultato di cui innanzi, cioè la conversione in danaro, può attuarsi in forme diverse in funzione del bene sottoposto ad esecuzione e, quindi, a seconda dei casi si attuerà l’espropriazione mobiliare presso il debitore - artt. 513 ss. c.p.c.-, l'espropriazione presso terzi - artt. 543 ss. c.p.c. - e l'espropriazione immobiliare - artt. 555 e ss. c.p.c. - a cui si aggiungono altre due forme speciali di espropriazione forzata ossia l'espropriazione di beni indivisi - artt. 599 ss. c.p.c. - e l'espropriazione contro il terzo proprietario - 602 ss. c.p.c.- .
Giova precisare, infine, che l’azione esecutiva è informata dai due principi fondamentali di “proporzionalità” e di “adeguatezza”; principi, questi, che mirano, come osservato in dottrina, anche a tutelare la par condicio creditorum, allorché un’esecuzione eccessiva rispetto al credito per cui si procede finirebbe per danneggiare gli altri creditori che hanno eguale diritto a soddisfarsi sul medesimo patrimonio 7.
Interessante, in riferimento al principio della par condicio creditorum, la riflessione secondo cui l’esecuzione forzata relativa a diritti di credito non può aver luogo in forma “specifica” o “diretta” poiché la forma che garantisce il rispetto della par condicio creditorum è quella dell’espropriazione forzata; infatti, a ben vedere, nella disciplina del procedimento cautelare uniforme ex art. 669 duodecies c.p.c., è previsto espressamente che l’esecuzione-attuazione dei provvedimenti cautelari recanti condanna al pagamento di somme “avviene nelle forme degli artt. 491 e seguenti in quanto compatibili” e non con forme “alternative” di apprensione diretta in violazione della par condicio creditorum 8.
In relazione ai suddetti principi di “proporzionalità” e di “adeguatezza” basti qui richiamare l’art. 2910 cc: “il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può fare espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal Codice di procedura civile. Possono essere espropriati anche i beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia del credito o quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore”.
A tutela dei principi di cui innanzi alcune norme, quindi, del codice di procedura civile come, ad esempio, l’art. 496 che prevede la riduzione del pignoramento quando il valore dei beni pignorati risulti superiore all’ammontare delle spese e dei crediti; l’art. 558 per il caso in cui il creditore ipotecario estenda il pignoramento ad immobili non ipotecati concedendo al giudice il potere di limitare l’espropriazione sui beni non ipotecati ovvero sospenderne la vendita fino a che non si sia conclusa quella relativa ai beni ipotecati, laddove il ricavato dell’espropriazione del bene ipotecato sia sufficiente a soddisfare il credito; l’art. 483 che riconosce al debitore la facoltà di fare opposizione al fine di limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore o, in mancanza, il giudice stesso scelga.
Per tutte le osservazioni sin qui svolte, si può evidentemente precisare, che di procedimento esecutivo vero e proprio non si può parlare nella diversa ipotesi di esecuzione dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c., in virtù del quale la parte contraente interessata alla conclusione del contratto può agire in giudizio al fine di ottenere una sentenza costitutiva che tenga luogo degli effetti del contratto non concluso in violazione dell’obbligo nascente dal pregresso contratto preliminare; in questo caso, infatti, il creditore deve instaurare un giudizio di cognizione al fine di ottenere detta sentenza e, quindi, di munirsi di titolo esecutivo quale prius necessario per attivare, se del caso, la procedura esecutiva.
È appena il caso di osservare, infine, che la responsabilità patrimoniale, nei termini sin qui descritti, non può fermarsi soltanto al suo rapporto con l’esecuzione forzata, laddove il debitore è assoggettato al “controllo gestorio” del creditore, il quale, in pendenza dell’obbligazione e prima dell’adempimento, ha il potere di attuare tutte quelle misure tese alla conservazione della garanzia patrimoniale 9.
3. L'esecuzione indiretta
Gli istituti delle esecuzioni indirette o, se si vuole, delle misure coercitive, presenti nella giurisprudenza francese - cd. astreintes - ed il cui tema merita una, se pur breve, attenzione, esulano dall’esecuzione forzata poiché, nella sostanza, è l’obbligato stesso a adempiere in quanto costretto dalla minaccia dell’applicazione di misure coercitive, mentre, al contrario, nell’esecuzione forzata, si attua la prestazione risultante dal titolo esecutivo indipendentemente e spesso contro la sua volontà 10.
Sulla sussistente esigenza di introdurre nel nostro ordinamento modi indiretti per conseguire il soddisfacimento delle ragioni dell’avente diritto, in dottrina non si è mancato di osservare come un tempo le sanzioni contro il debitore inadempiente giungevano fino all’estremo della perdita della libertà personale; è nota, invero, la prigione per debiti attraverso molti episodi di letteratura. Naturalmente, in epoca attuale le forme di coazione sono rispettose della dignità della persona, ma non sfuggono all’esigenza di trovare modi indiretti che pieghino la resistenza dell’inadempiente.
Su tale premessa, si concluse nel senso di comprendere così la ragione per cui mentre la cognizione ha sempre una soluzione, giusta o sbagliata che sia, l’esecuzione forzata può non averla11.
È interessante rilevare come il primo tentativo di tipizzazione generale di una forma di esecuzione indiretta sia stato elaborato nell'ambito del Progetto Carnelutti del 1926, che, agli artt. 667 e 668, prevedeva che, nel caso di mancata esecuzione di un obbligo di fare o di non fare, l’avente diritto poteva domandare la condanna dell’obbligato al pagamento di una somma di denaro per ogni unità temporale di ritardo, a partire dal giorno stabilito dal giudice 12.
Il Progetto Carnelutti, tuttavia, non fu mai tradotto in legge.
Il legislatore del 1942 lasciò pressoché immutato il sistema della tutela esecutiva delle obbligazioni disciplinato dal Codice civile del 1865 e, conseguentemente, il vuoto normativo circa l’introduzione nel nostro ordinamento delle misure coercitive.
Tale vuoto normativo pesò maggiormente dopo l’adozione della Costituzione che palesò l’inidoneità della generica tutela per equivalente ed al tempo stesso, come rappresentato da autorevole dottrina, l’importanza dell’introduzione nel nostro ordinamento di forme di coazione indiretta attraverso un efficace sistema di misure costrittive 13.
In tale contesto, il lungo percorso verso la codificazione delle misure coercitive.
Così, nel 1975 veniva presentato il disegno di legge n. 2246 del Ministro Reale, contenente provvedimenti urgenti relativi al processo civile ed alla composizione dei collegi giudicanti il cui art. 23 prevedeva l’introduzione nel codice di procedura civile dell’art. 279 bis, secondo cui, testualmente, “la sentenza che accerta la violazione di un obbligo di fare o di non fare, oltre a provvedere sul risarcimento del danno, ordina la cessazione del comportamento illegittimo e dà gli opportuni provvedimenti affinché vengano eliminati gli effetti della violazione; a tale scopo può fissare una somma dovuta per ogni violazione dei provvedimenti contenuti nella sentenza, specificando, se del caso, i soggetti ovvero istituzioni pubbliche o private a cui favore tali somme sono attribuite” 14.
Di qualche anno successivo, precisamente del 1981, il disegno di legge delega n. 2469 predisposto dalla Commissione ministeriale presieduta da Liebman per la riforma generale del codice di procedura civile, il cui punto 24 prevedeva il potere del giudice, una volta accertato l’inadempimento di obbligazioni di fare o di non fare, non richiedenti particolare abilità professionale e non attinenti a diritti della personalità, di condannare l’obbligato, su istanza di parte e previa audizione di quest’ultimo, al pagamento di pene pecuniarie a favore dell’avente diritto per ogni giorno di ritardo nell’adempimento, entro i limiti massimi fissati dalla legge 15.
Nel 1996 seguì un ulteriore tentativo di introduzione di misure coercitive nel nostro ordinamento grazie al disegno di legge delega predisposto dalla Commissione ministeriale presieduta da Tarzia, il cui art. 25 attribuiva al giudice, una volta accertata la violazione di un obbligo di fare o di non fare, esclusi quelli facenti capo al lavoratore autonomo o subordinato, o di un obbligo di consegna e rilascio non derivante da un contratto di locazione ad uso abitativo, di fissare una somma dovuta al creditore, oltre il risarcimento dei danni, per ogni giorno di ritardo nell’adempimento, eventualmente con decorrenza successiva rispetto al momento della pronuncia giudiziale 16.
Ancora, nel 2003, il progetto redatto dalla Commissione ministeriale presieduta da Vaccarella, trasfuso nel d.d.l. delega approvato il 24 ottobre 2003, il cui art. 42 prevedeva l’introduzione di una misura coercitiva di natura patrimoniale, per gli obblighi di fare e non fare infungibili, consistente nell’obbligo di pagare una somma di denaro in relazione al tempo di ritardo nell’adempimento in favore del creditore, limitatamente alla misura del danno subito, e per il residuo in favore dello Stato 17.
Altro tentativo risale al 2007 con il d.d.l. Mastella, ma è solo successivamente e, cioè, con la Legge 18 giugno 2009 n. 69, che viene introdotta, per la prima volta nel nostro ordinamento, una forma di misura coercitiva pecuniaria a carattere generale in virtù dell’art. 614 bis c.p.c. che, prima della recentissima riforma di cui più avanti, sotto la rubrica “Attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare” così recitava: “Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409. Il giudice determina l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”.
Prima della recente riforma dell’art. 614 bis c.p.c., a cui si è accennato innanzi, attuata con il d.l. n. 83 del 27 giugno 2015, convertito con modificazioni nella l. n. 132 del 6 agosto 2015, parte della dottrina propendeva, benché detto articolo non limitasse espressamente la sua applicabilità alle sole obbligazioni di fare infungibile e di non fare, per un’interpretazione di tipo restrittivo.
La suddetta tesi restrittiva si fondava principalmente su due ragioni: la prima, relativa alla collocazione della disposizione che faceva così propendere, visto che la stessa andava a chiudere il titolo del codice di rito dedicato all’esecuzione in forma specifica nel senso che “se per le obbligazioni fungibili soccorrono gli articoli 612 ss. c.p.c., per quelle infungibili, e solo per queste, l’interessato ha l’ancora di salvezza dell’art. 614-bis c.p.c.”; la seconda relativa alla natura della pena definita “privata” “per cui la possibilità di una sua irrogazione deve essere intesa in termini di stretta interpretazione” 18.
Con la riforma innanzi citata diretta, in termini più generali, come osservato in dottrina, ad alleggerire il carico dei debitori in difficoltà nell’attuale contesto di crisi economica ed al contempo, al fine di abbreviare i tempi, semplificare qualche tratto del processo esecutivo 19, è stato esteso, come si vedrà poco più avanti, il contenuto della disposizione di cui all’art. 614 bis c.p.c.
Il nuovo articolo risulta, a ben vedere, non solo modificato nel suo testo, ma anche con una nuova collocazione ovvero con la sua uscita dal titolo IV del terzo libro del c.p.c., relativo all’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, ed il suo inserimento in un titolo autonomo, il IV-bis, denominato “Delle misure di coercizione indiretta”.
Questo il nuovo testo dell’art. 614 bis c.p.c “Titolo IV bis – Delle misure di coercizione indiretta. Con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409. Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”.
Non va trascurato, inoltre, che la norma, contrariamente a ciò che prevedeva il disegno di legge delega, non estende, per previsione espressa, l’esecuzione indiretta anche agli obblighi relativi al pagamento di somme di denaro.
In materia di diritto di famiglia, pur mancando l'esclusione espressa dell'estensione della misura in esame, quest'ultima è stata esclusa, potrebbe aggiungersi "naturalmente", di recente dalla Suprema Corte la quale, pronunciandosi in tema di rapporti tra genitore e prole minore, ha precisato che:
"il diritto dovere di visita del genitore non collocatario non è suscettibile di coercizione, neppure nelle forme indirette previste dall’art. 614 bis c.p.c., trattandosi di un “potere-funzione” che, non essendo sussumibile negli obblighi la cui violazione integra una grave inadempienza ex art. 709 ter c.p.c., è destinato a rimanere libero nel suo esercizio, quale esito di autonome scelte che rispondono anche all’interesse superiore del minore" 20.
Sotto altro profilo, la riforma, pur ampliando la portata della norma, lascia invariato il potere dispositivo della parte interessata a richiedere la misura di coercizione indiretta non potendo essere la stessa disposta d’ufficio e, evidentemente, in un programma di modernizzazione e di adeguamento al diritto vivente, proprio di ogni riforma, almeno in linea di principio, apre una nuova strada tesa a sensibilizzare il debitore al fine di indurlo all’adempimento creando, al tempo stesso, maggiori aspettative in tal senso a favore del creditore.
In dottrina si discute, da sempre, in ordine alla natura giuridica della comminatoria ovvero se essa abbia natura di sanzione o di risarcimento del danno.
Invero, se ad essa si attribuisce natura risarcitoria, quanto già liquidato ex art. 614 bis c.p.c. dovrà essere scomputato dalla somma liquidata al creditore a titolo di risarcimento danno, altrimenti l’esecuzione indiretta maschererebbe un modo per introdurre nell’ordinamento italiano una forma di punitive damages 21.
La prevalente dottrina sembra orientata, tuttavia, nel senso di attribuire natura sanzionatoria alla comminatoria dell’art. 614 bis c.p.c. facendola rientrare nella più ampia categoria delle pene private 22.
In giurisprudenza, seppur con precipuo riferimento alle astreintes che prevedano il pagamento di una somma crescente con il protrarsi dell’inadempimento, si registra, dopo un iniziale orientamento restrittivo, un revirement della Corte Suprema che, intervenuta sul tema, ha affermato la compatibilità con l’ordine pubblico italiano delle astreintes previste in altri ordinamenti nel senso di cui innanzi 23.
Un fondamentale arresto in tema, tuttavia, si è registrato con una più recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, in funzione nomofilattica,24 che, in ossequio al principio della riserva di legge affermato dall'art. 23 Cost., ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con il nostro ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa.
4. Il titolo esecutivo
Il primo titolo del libro III del Codice di procedura civile, contenente l’intera disciplina del processo di esecuzione, inizia con l’art. 474 che rubricato come "titolo esecutivo" così recita: “L'esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. Sono titoli esecutivi: 1) le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva; 2) le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia; 3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. L'esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai numeri 1) e 3) del secondo comma. Il precetto deve contenere trascrizione integrale, ai sensi dell'articolo 480, secondo comma, delle scritture private autenticate di cui al numero 2) del secondo comma”.
L’esecuzione forzata è, pertanto, condizionata dalla sussistenza del titolo esecutivo, in mancanza del quale vale il principio nulla executio sine titulo.
I procedimenti di esecuzione forzata disciplinati dal libro III del Codice di procedura civile sono accomunati dal medesimo scopo, ossia quello di consentire l’attuazione di una pretesa che sia, ovviamente, legittima perché sancita da un titolo esecutivo, nel caso in cui l’obbligato non vi dia attuazione spontaneamente.
Tuttavia, esistono, nel nostro ordinamento, come in vari ordinamenti stranieri, esempi di esecuzioni forzate c.d. speciali 25. Queste ultime non presuppongono l’esistenza di un titolo, per cui si agisce esecutivamente in forza del diritto e non del titolo portante, per così dire, il diritto stesso.
Il titolo non opera, inoltre, nell’ambito dell’espropriazione forzata, in caso di intervento dei creditori laddove: “l’intervento dei creditori non è condizionato dal suo possesso, e la distribuzione del ricavato, cui il creditore interveniente ha pieno diritto di partecipare facendovi anche valere i suoi eventuali diritti di prelazione, è indubbiamente una fase del processo esecutivo-espropriativo” 26.
Secondo un orientamento più risalente, sul rilievo che il processo esecutivo è improntato alla par condicio creditorum non vi è motivo di ritenere, nei casi in cui vi siano altri creditori muniti di titolo esecutivo, che l’inefficacia del titolo del creditore procedente travolga l’intera procedura esecutiva.
In tale prospettiva, si osserva, inoltre, che atteso il disposto dell’art. 500 c.p.c. secondo cui, si ricorda, “l’intervento (…) dà diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata, a partecipare all’espropriazione del bene pignorato e a provocarne i singoli atti”, l’esecuzione si configura come “un processo a struttura soggettiva aperta, nel quale, accanto al creditore pignorante ed al debitore (suoi originari soggetti), posso entrarvi, quali ulteriori, successivi soggetti, gli altri creditori del debitore esecutato che vi facciano intervento(…). L’atto di esercizio della propria azione esecutiva da parte di un legittimato è anche atto di esercizio delle azioni esecutive degli altri legittimati e l’atto compiuto da un legittimato si partecipa agli legittimati ed è il momento di concretizzazione di tutte le azioni esercitate nel processo esecutivo” 27.
Di segno opposto un più recente intervento della Suprema Corte che, muovendo da un’interpretazione a contrario dell’art. 493 c.p.c. secondo cui, si ricorda, “ogni pignoramento ha effetto indipendente anche se è unito ad altri in un unico processo”, afferma che l’inefficacia del titolo del creditore procedente travolge l’intera procedura esecutiva, fatta eccezione per l’ipotesi in cui altro creditore abbia proposto autonomo pignoramento seppur riunito ad essa 28.
Le Sezioni Unite, attesa la ricorrenza del contrasto giurisprudenziale di cui innanzi, sono intervenute a dirimerlo statuendo il principio secondo cui
“Nel processo di esecuzione, la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall'inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la continuativa sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo (sia pure dell'interventore) che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento. Ne consegue che, qualora, dopo l'intervento di un creditore munito di titolo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l'illegittimità dell'azione esecutiva intrapresa dal creditore procedente, il pignoramento, se originariamente valido, non è caducato, bensì resta quale primo atto dell'iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che anteriormente ne era partecipe accanto al creditore pignorante” 29.
La decisione in esame, come puntualmente evidenziato ha trovato il favore degli operatori del diritto
“sia, sotto un profilo dogmatico, per l’organicità e la completezza della risoluzione del quesito di diritto sottoposto, sia, sotto un profilo pragmatico, per avere esonerato i difensori dei creditori dal compito di orientare la propria opzione esecutiva in funzione di un complesso giudizio prognostico sulla resistenza in giudizio del titolo esecutivo azionato dal procedente” 30.
Tali casi, evidentemente, nel riconoscere autonoma rilevanza alla distinzione tra difetto originario e difetto sopravvenuto del titolo esecutivo, valgono a fortiori a riaffermare il principio secondo cui il titolo deve esistere sin dal momento in cui l’esecuzione inizia, allorché la sua eventuale sopravvenienza non potrà sanare il difetto iniziale, e deve perdurare per tutta la sua durata sino alla sua positiva conclusione 31.
Il titolo consiste in un documento scritto dell’atto - accertamento o negozio giuridico - da cui il diritto, o concreta volontà di legge, risulta. Il documento lo riguarda nella sola forma; l’atto formalmente e sostanzialmente 32.
Il diritto, come precisato dall’articolo in esame, deve essere “certo, liquido ed esigibile”, così modificando ed ampliando la previsione del vecchio art. 568, il quale disponeva che “l’esecuzione forzata non può aver luogo per un debito incerto o non liquido”.
La ragione della sostituzione della locuzione - debito con diritto - risiede, a ben vedere, nell'esigenza di porre maggiormente in chiaro che l’esecuzione forzata ha per oggetto non soltanto la soddisfazione di diritti di credito, ma anche la tutela di diritti reali che ha luogo nell’esecuzione per consegna o rilascio 33.
Meno agevole è cogliere il valore del requisito della certezza poiché “certo” non può essere inteso come assolutamente incontestabile, si pensi alla sentenza esecutiva ancora soggetta ad impugnazione; esso, invero, si ritiene significhi che dal titolo il diritto deve risultare nei suoi estremi oggettivi e soggettivi, e dunque, dal lato oggettivo, ribadisce l’esigenza di liquidità - e cioè di determinazione o determinabilità, con operazione aritmetica, della quantità dovuta - e di esigibilità - e cioè di assenza di elementi impeditivi - termine, condizione, imposizione di cauzione: v. art. 478 c.p.c. - all’esercizio dell’azione 34.
Non si è mancato di concludere, sul punto, che è inutile cercare di individuare sul piano della «natura» un qualcosa che unifichi i vari titoli esecutivi. La ragione di detta conclusione si rinviene nella discrezionalità del legislatore laddove alla base dell'attribuzione della qualità di titolo esecutivo ad un provvedimento, atto o documento vi è sempre una scelta politica in tal senso, ancorché la stessa tenga quasi sempre conto della specificità della situazione sostanziale, di esigenze di economia processuale, del sistema dei mezzi di impugnazione accolto. Si precisa, inoltre, come il legislatore nell’art. 474, 2° comma, e nelle molte disposizioni che a questo rinviano, ha individuato di volta, in volta il punto di equilibrio tra le esigenze perennemente in contrasto di rapidità per il creditore e di certezza per il debitore. Pertanto, si conclude, quanto al requisito della certezza, non è possibile dire nulla più che i provvedimenti, atti o documenti costituenti titolo esecutivo offrono una «certa qual certezza» di grado notevolmente diverso in ordine all’esistenza dei fatti costitutivi dei crediti liquidi ed esigibili da essi rappresentati 35.
In tema di liquidità la Corte di Cassazione, intervenendo a Sezioni Unite, ha statuito il principio secondo cui
“Il giudice dell’esecuzione, nel caso di incertezze derivanti dal dispositivo e dalla motivazione circa l’esatta estensione dell’obbligo configurato nella sentenza, può procedere all’integrazione extratestuale, a condizione che i dati di riferimento siano stati acquisiti al processo in cui il titolo giudiziale si è formato - nella specie, è stata cassata la pronuncia di merito che, discostandosi da tale criterio, aveva accolto l’opposizione a precetto sul rilievo officioso della mancanza nella sentenza esecutiva di elementi per determinare l’oggetto e l’ammontare del credito- " 36.
Con detta pronuncia la giurisprudenza di legittimità ha evidentemente stemperato il requisito della liquidità nel senso della sua ricorrenza anche per relationem.
Tale modo di ragionare, a ben vedere, è in perfetta sintonia con il principio di economia processuale che il diverso modo di opinare, secondo un’impostazione forse eccessivamente formalistica, finirebbe per disattendere 37.
Il secondo comma dell’art. 474 enuclea, come visto innanzi, i titoli esecutivi anche con richiami ad altre norme, di cui al codice stesso o ad altre leggi, che attribuiscono la qualità di titolo esecutivo a determinati atti.
Il comma in esame si suddivide in tre numeri a ciascuno dei quali corrisponde un gruppo di titoli esecutivi: il primo si riferisce ai titoli di formazione giudiziale quale risultato di un processo di cognizione; il secondo ed il terzo si riferiscono, invece, a quei titoli esecutivi il cui accertamento del diritto da eseguirsi si è formato per una via stragiudiziale.
Tra i titoli esecutivi stragiudiziali è stata inclusa, con la legge 14 maggio 2005 n. 80, anche la scrittura privata autenticata, facendo insorgere non poche questioni interpretative ed applicative 38.
Come puntualizzato,
“La rilevanza del tipo di fonte (giudiziaria od extragiudiziaria) del titolo esecutivo sta ovviamente nella maggiore o minore probabilità dell’esistenza attuale del diritto da realizzare coattivamente, intesa non tanto come esistenza effettiva quanto come controvertibilità della stessa. Non c’è dubbio, ad esempio, che un atto notarile contenente obblighi di pagamento a scadenza fissa offra garanzie di certezza non inferiori ad un’ingiunzione di pagamento sbadatamente non opposta. Eppure, nel primo caso è ammessa la contestazione del titolo, che nel secondo è preclusa quando c’è stato il filtro del giudicato” 39.
A ben vedere, tuttavia, è pur vero che, in ossequio al diritto di difesa, anche avverso il cd. giudicato sono previsti, nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, dei rimedi di impugnazione straordinaria.
In merito alla possibilità di attivare la procedura esecutiva in virtù di un titolo esecutivo stragiudiziale nonché sulla legittimità dello stesso in tale modo di atteggiarsi, non si è mancato di osservare che il nostro sistema attuale rappresenta un ibrido poiché per un verso appare “troppo” che con il titolo esecutivo stragiudiziale il creditore possa intraprendere l’esecuzione forzata con il precetto, anch’esso atto di parte, e per l’altro è “troppo poco” che i documenti del credito consentano al creditore di chiedere ingiunzione di pagamento senza provvisoria esecuzione, salvi i casi di cui all’art. 642 c.p.c.
Su tale premessa di ragionamento, si giunge ad affermare che
“la soluzione dovrebbe essere quella da una parte di sopprimere gli attuali titoli esecutivi stragiudiziali di cui all’art. 474 c.p.c. ma dall’altra quella di prevedere che il decreto ingiuntivo, fondato sulla prova scritta del credito, sia sempre provvisoriamente esecutivo fin dalla sua emanazione -e salva, ovviamente, la sospensione ex art. 649 c.p.c.-. Ed inoltre il giudice non dovrebbe avere alcun potere discrezionale nel concedere o meno l’ingiunzione, ma dovrebbe semplicemente pronunciarla sulla constatazione della sussistenza della prova richiesta per l’ingiunzione, così come nel processo documentale-esecutivo basso medioevale il giudice pronunciava preceptum per l’esecuzione forzata del creditore senza alcun potere discrezionale” 40.
Tale soluzione è da ritenersi, tuttavia, eccessivamente drastica non potendo il nostro ordinamento negare tout court efficacia esecutiva a qualsivoglia titolo stragiudiziale attesa l’esigenza secondo cui l’atto negoziale, per avere efficacia di titolo esecutivo, deve essere “così chiaro e semplice, che se ne possa desumere, sebbene non accertata, la volontà concreta della legge”; ciò ricollegandosi alla funzione del titolo esecutivo, che “rappresenta una semplificazione imposta dall’interesse generale alla rapidità delle esecuzioni, in quanto che esso dispensa dalla necessità di una nuova cognizione del giudice, diretta ad accertare l’esistenza attuale dell’azione esecutiva” 41.
Svolte queste precisazioni tese ad evidenziare la difficile adozione di una soluzione che contemperi il diritto del creditore procedente a veder soddisfatte le proprie ragioni in tempi brevi e il diritto di difesa del debitore esecutato, l’attenzione è da incentrarsi sul titolo esecutivo di formazione giudiziale e delle relative problematiche attuative, con precipuo riferimento alla sentenza, quale argomento del presente contributo.
4.1. Il titolo esecutivo di formazione giudiziale
Come visto nel precedente paragrafo, secondo l’art. 474, comma secondo punto n. 1, sono titoli esecutivi di formazione giudiziale: “le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva”.
Si tratta, quindi, di una norma di rinvio alle disposizioni che prevedono l’emissione da parte del giudice di sentenze e, più in generale, di atti aventi efficacia esecutiva.
Il provvedimento giudiziale per eccellenza è rappresentato dalla sentenza che, affinché possa essere attivata in sede esecutiva, deve avere efficacia esecutiva.
L’art. 282 c.p.c., novellato dalla legge n. 353/1990, si ricorda, ha assegnato a tutte le sentenze di primo grado l’esecutorietà, disponendo che “La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti”.
In stretta correlazione con il citato articolo, il nuovo testo dell’art. 337 c.p.c. secondo cui “l’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa”.
L’art. 337 cit., tuttavia, non esaurisce le modifiche delle norme in qualche modo collegate all’introduzione del nuovo principio avendo quest’ultimo, attesa la sua portata di carattere generale, prodotto i suoi effetti anche in riferimento ad altre previsioni normative 42.
Più in generale, la normale efficacia esecutiva, che nel sistema del codice del 1942 apparteneva senz’altro alla sentenza di appello - pur essendo prevista la possibilità, nei casi espressamente previsti, che la sentenza di primo grado fosse munita di clausola di provvisoria esecuzione-, è divenuta caratteristica propria della sentenza di primo grado, nonché di provvedimenti condannatori, generalmente aventi forma di ordinanza, pronunciati prima della sentenza che definisce il giudizio. Con l'ulteriore precisazione che in epoca precedente a queste novità legislative la configurabilità di un provvedimento avente efficacia esecutiva immediata, diverso dalla sentenza che definisce il giudizio, riguardava principalmente il decreto ingiuntivo 43.
Invero,
“la precedente formulazione prevedeva quale facoltà per il giudice, la concessione, su espressa richiesta della parte, della “clausola” di provvisoria esecuzione, eventualmente subordinata a cauzione, qualora la domanda fosse fondata su atto pubblico o scrittura privata o se, con riferimento alla parte vittoriosa, il ritardo nell’esecuzione avesse creato una situazione di “pericolo”. Peraltro, la concessione della clausola era sempre prevista nel caso di sentenza di condanna al pagamento di provvisionali o di prestazioni alimentari (salva la ricorrenza di gravi motivi in contrario) e l’esecutività ex lege delle decisioni di primo grado era già stata introdotta, tra l’altro, nell’ambito del rito del lavoro, per le condanne al pagamento di crediti in favore del lavoratore, secondo il sistema di cui all’art. 431 c.p.c., ed estesa ai “riti speciali” collegati, relativi alle controversie in materia di locazione e a quelle di competenza delle sezioni specializzate agrarie” 44.
La soluzione adottata dal legislatore con la citata novella del 1990 in ordine alla provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado ha dato origine, tuttavia, a non pochi problemi applicativi per la cui illustrazione si rinvia ai paragrafi successivi.
4. 2. Le sentenze di mero accertamento, costitutive e di condanna
Preliminarmente, è appena il caso di osservare che per stabilire se un provvedi- mento ha carattere di sentenza o di ordinanza, è necessario avere riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione adottata, bensì al suo contenuto e, conseguentemente, all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sic- ché hanno natura di sentenze - soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato - i provvedimenti che, ai sensi dell'art. 279 cod. proc. civ., contengono una statuizione di natura decisoria, sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito, anche quando non definiscono il giudizio 45.
Secondo autorevole dottrina, sul rilievo che l’accertamento si attaglia al giudizio che precede tutti e tre i tipi di sentenza, è improprio operare la suddetta distinzione, dovendosi, piuttosto, ritenere che
“la sentenza “giurisdizionale” - sia di “condanna”, sia di “accertamento”, sia “costitutiva” - è sempre di natura costitutiva, nel senso che incide nella sfera sostanziale dei litiganti creando una nuova situazione. La quale, come detto, sarà di contenuto uguale alla situazione sostanziale preesistente al processo, e già creata dalla legge “sostanziale, nei casi in cui quest’ultima consente ed esige una siffatta misura (giurisdizionale) riparatrice (così il rapporto di credito e debito creato dalla norma di diritto privato trova adeguata tutela, se in crisi, nella sentenza di condanna, cioè nel “comando” di pagare, rivolto dal giudice al debitore moroso, su domanda del creditore, e suscettibile di “esecuzione forzata”); oppure, sarà di contenuto diverso se la risposta giurisdizionale all’illecito non può consistere, né limitarsi alla ripetizione del “comando” violato, ma dev’essere di altro e diverso contenuto (si ricordi, ad esempio, la fattispecie di cui all’art. 2932 c.c.)” 46.
Tale è l’impostazione seguita dalla dottrina, si direbbe, maggioritaria, secondo cui
“le sentenze costituenti titolo esecutivo possono definirsi in tutto o in parte sentenze di condanna (e non viceversa), e ciò sia che si tratti di condanna pura e semplice, sia che la pronuncia condannatoria consegua direttamente o indirettamente da un accertamento, o dalla costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici” 47.
Sul punto, muovendo da un diverso angolo visuale,
“Si è detto che l’efficacia esecutiva è attribuita solo alle sentenze di condanna. Dietro a questo assunto, vi è una semplice riflessione. Nel caso delle sentenze di mero accertamento (incluse quelle che respingono, nel merito, una domanda di condanna) e delle sentenze costitutive in senso proprio, l’effetto utile per la parte si consegue automaticamente con la decisione: non si può parlare di esecutorietà per queste sentenze, perché non vi è alcuna realtà materiale da forzare per attribuire a chi ne ha diritto l’utilità, oggetto dell’accertamento. Invece, le sentenze di condanna suppongono che si debba poi conseguire, a carico del soccombente, un’attività ulteriore che, se non prestata spontaneamente, deve essere ottenuta in modo coercitivo” 48.
Ai fini della presente indagine, tuttavia, volta, alla luce dei contributi offerti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, alla disamina di alcune ed attuali questioni applicative in ordine al titolo giudiziale, con particolare riferimento alla sentenza, nel processo esecutivo, giova muovere dalla tradizionale classificazione delle sentenze di mero accertamento, costitutive e di condanna 49.
L’azione tesa ad ottenere una sentenza di mero accertamento rappresenta la richiesta di tutela cognitiva minima, atteso che con essa l’attore tende a risolvere una controversia, sorta in conseguenza della contestazione, da parte di un terzo, dell’esistenza o dell’ampiezza di un diritto soggettivo - azione di mero accertamento positivo -, oppure a seguito di un diritto soggettivo, fatto valere da un terzo, incompatibile con quello dell’effettivo titolare - azione di mero accertamento negativo -.
Si discute in dottrina e in giurisprudenza se sia ammissibile un’azione di mero accertamento astratta ed atipica al di là di quelle tipizzate ed in tal guisa rinvenibili nel diritto positivo.
Puntuali casi di azione di mero accertamento sono previsti, ad esempio, dall’ art. 949 c.c. e dall’art. 1079 c.c. - confessoria servitutis -.
In via preliminare, si osserva che la tesi favorevole, accolta in maniera pressoché unanime in dottrina, muove dalla concezione chiovendiana dell’astrattezza dell’azione e della possibilità di configurare un autonomo bene “certezza”, come valore concettualmente astratto, indipendente, cioè, dalla precisa posizione giuridica sostanziale dedotta 50.
In tale prospettiva l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. si pone come limite alla concedibilità della tutela giurisdizionale che non può essere ammessa allorché l’accoglimento della domanda da parte del giudice non sia idoneo a provocare una modificazione sufficientemente utile al patrimonio giuridico dell’attore 51.
In tema giova riportare un intervento delle Sezioni Unite che, muovendo dal presupposto secondo cui la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, ritiene che
"il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, possa essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Pertanto, non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza” 52.
In riferimento alla sentenza costitutiva si osserva, invece, che l'azione civile di cognizione è finalizzata ad ottenere dal giudice la costituzione, modificazione o estinzione di un rapporto giuridico o di uno status - art. 2908 c.c. -, previo, in ogni caso, l’accertamento della ricorrenza degli elementi individuati dal legislatore per ottenere la produzione di un simile effetto.
Quindi, anche
“nella sentenza costitutiva vi è un accertamento, ma in tal caso l’oggetto dell'accertamento non è un diritto soggettivo violato, né, come si riteneva nel passato, un diritto potestativo, bensì la sussistenza delle condizioni volute dal legislatore per produrre il mutamento giuridico richiesto, e dunque il diritto a ottenere una modificazione giuridica sul piano sostanziale. All'accertamento di queste condizioni si aggiunge, nella sentenza costitutiva, la pronuncia del mutamento del rapporto giuridico o dello status. Quando il diritto ad ottenere la modificazione giuridica viene fatto valere in via di eccezione (per esempio, eccezione di dolo, violenza o errore nel contratto ecc.), l’obiettivo del convenuto è quello di ottenere il rigetto nel merito della domanda dell’attore, e non anche l’annullamento dell’atto. L’azione costitutiva ha natura tipica, potendo essere esercitata nei soli casi individuati dallo stesso legislatore (ex art. 2908 c.c.), in quanto rappresenta un'eccezione alla natura dichiarativa della funzione giurisdizionale, la quale si limita generalmente ad accertare un rapporto giuridico preesistente al processo, senza determinare alcuna modifica. Normalmente le sentenze costitutive producono i loro effetti costitutivi, modificativi o estintivi del rapporto giuridico dedotto dal momento in cui passano in giudicato (ex nunc). Talvolta, tuttavia, i loro effetti vengono fatti decorrere, per espressa previsione di legge, dal momento della proposizione della domanda giudiziale (per esempio, art. 464 c.c.) o dal momento in cui è sorto il rapporto che viene modificato (per esempio, art. 1458 c.c.)” 53.
La sentenza di condanna è, diversamente,
“finalizzata a ottenere dal giudice non solo l’accertamento dell’esistenza del diritto soggettivo che l’attore afferma essere stato violato, ma anche l’accertamento dell’inadempimento di questo stesso diritto da parte dell’obbligato, e la sua condanna alla reintegrazione (in forma specifica o per equivalente) del diritto violato. La sentenza di condanna costituisce il presupposto per la successiva attuazione coattiva del diritto in sede di esecuzione forzata, ossia costituisce titolo esecutivo. Essa rappresenta inoltre il titolo idoneo per iscrivere ipoteca giudiziale sui beni del debitore (art. 2818 c.c.) e una volta passata in giudicato determina un allungamento dei termini di prescrizione del diritto alla prestazione per cui è stata pronunciata, se questo era soggetto a prescrizione breve (art. 2953 c.c.)” 54.
Svolta questa breve premessa, si passa ad esaminare la questione relativa alla provvisoria esecutività della sentenza costitutiva e della sentenza di mero accertamento, quale tema principale del presente contributo.
4.3. La problematica inerente all'estensibilità del novellato art. 282 c.p.c. a tutti i tipi di sentenza
La questione sorge dal tenore letterale dell’art. 282 cit. che nel prevedere la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, non contiene alcun cenno alla distinzione tra sentenze di mero accertamento, costitutive e di condanna.
In dottrina e in giurisprudenza, ai due indirizzi principali e contrapposti, ossia di ritenere o meno suscettibile di esecutività provvisoria la sola sentenza di condanna, si aggiunge altro orientamento che, modulando l’interpretazione più restrittiva cui aderisce, ammette, tuttavia, l’estensione della norma al capo accessorio di condanna alle spese di causa, contenuto nella sentenza costitutiva o di mero accertamento cui accede.
Ciò premesso, si procede ad una disamina dei suddetti orientamenti anche alla luce dei più recenti contributi.
In merito alla possibilità di estendere l’istituto della provvisoria esecutività alle sentenze costitutive, sul rilievo che né l’art. 2908 c.c., né l’art. 2909 c.c., rappresentano degli ostacoli normativi ad un tale riconoscimento, la dottrina si sofferma sulla corretta interpretazione della locuzione “esecutorietà provvisoria” e sull’utilizzo della stessa, da parte del legislatore, spesso, in termini atecnici, per concludere che
“In tale contesto, a me pare che la correlazione tra esecutorietà provvisoria ed esecuzione forzata, che da più parti si continua ad invocare al fine di limitare alle sole sentenze di condanna l’ambito operativo di norme dalle potenzialità applicative ben più ampie, abbia in realtà un fondamento positivo assai poco solido” 55.
La dottrina innanzi citata osserva, più precisamente, che non vi sono ostacoli a ricostruire l’intero sistema nel senso di attribuire a tutte le sentenze di primo grado provvisoria esecutività, producendo, così, effetti, non solo stricto sensu esecutivi, fin dalla pubblicazione, atteso che l’espressione esecuzione provvisoria deve essere intesa come produzione di effetti, appunto, provvisori, giacché la stessa è suscettibile di riforma in sede di impugnazione.
In tale prospettiva, l’utilizzo atecnico da parte del legislatore delle locuzioni “efficacia esecutiva” ed “esecutorietà” è riferito anche a provvedimenti che non hanno effetti condannatori e, quindi, non sarebbero stricto sensu esecutivi - si pensi, ad esempio, all’art. 730 c.p.c., rubricato “esecuzione”, ove è palese l’inidoneità della sentenza che dichiara l’assenza o la morte presunta ad essere attuata nelle forme del libro terzo del codice di rito, nonché all’art. 669 novies, comma 2, c.p.c. nel quale la sentenza che dichiara l’inefficacia della misura cautelare è ritenuta provvisoriamente esecutiva - 56.
Al di là degli aspetti squisitamente lessicali, non si è mancato di sottolineare, al fine di suffragare la tesi volta ad interpretare estensivamente l’ambito applicativo dell’art. 282 c.p.c. che lo stesso va esaminato alla luce della finalità perseguita sul punto dalla riforma realizzata dalla legge n. 353 del 1990, nel senso di porre al centro dell’accertamento dei fatti del processo il giudizio di primo grado con la consequenziale natura dell’appello quale mera revisio prioris instantiae e non già come nuovo giudizio 57.
A tale orientamento si contrappone, tuttavia, come accennato in premessa, quello tradizionale e, si direbbe maggioritario, secondo cui beneficerebbero della provvisoria esecutività soltanto le sentenze di condanna 58.
Tra i sostenitori della tesi restrittiva si è precisato che
“È da escludere che l’esecutorietà provvisoria possa applicarsi viceversa alle sentenze di mero accertamento. L’autorità di queste sentenze, quando siano invocate in un diverso processo e concernano cause pregiudiziali, è indipendente dall’esecutorietà e può eventualmente determinare la sospensione del processo pregiudicato, se la sentenza è impugnata (art. 337, 2° comma, c.p.c.), la sospensione durerà in tal caso sino alla formazione del giudicato nella causa di accertamento”. In riferimento alle sentenze costitutive si osserva che “sembra invece di dover concludere che anche la determinazione del momento nel quale acquista efficacia la sentenza costitutiva è problema affatto diverso da quello della esecutorietà. La sentenza costitutiva acquista normalmente questa efficacia nel momento del passaggio in giudicato: salvo che particolari disposizioni di legge ne anticipino l’effetto al momento della pubblicazione della sentenza di primo grado” 59.
Tuttavia, tale interpretazione dell’art. 282 c.p.c., come acutamente osservato, realizzerebbe in sostanza una discriminazione sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale ex artt. 3 e 24 Cost. tra quelle situazioni giuridiche tutelabili attraverso il Libro III del codice di rito, e le altre che invece ricevono dall’ordinamento forme di tutela diverse, ovvero di tipo costitutivo o meramente dichiarativo, e ciò in quanto il conseguimento del bene della vita avverrebbe per le prime in tempi sufficientemente celeri, essendo possibile avvalersi dell’istituto della provvisoria esecuzione, mentre non si potrebbe dire lo stesso per le altre, dovendosi necessariamente attendere il giudicato 60.
Si osserva, inoltre, che una tale disparità di trattamento peraltro non sarebbe giustificabile sotto il profilo dei rischi derivanti dalla riforma eventuale della decisione poiché a ben vedere anche “l’espropriazione dei beni in sede esecutiva priva irreversibilmente chi l’ha subita del diritto sugli stessi, che non può rivivere a seguito della riforma della sentenza e dell’accertata ingiustizia dell’esecuzione” 61.
A ciò si obietta, tuttavia, che gli effetti costitutivi non sembrerebbero poi così irreversibili, poiché ad esempio “la riforma della sentenza che ha costituito un rapporto giuridico potrà determinarne l’estinzione, così come la revoca della decisione che ha estinto una certa situazione giuridica potrà farla rivivere costituendola nuovamente” 62.
Con precipuo riferimento all’efficacia extraprocessuale del giudicato, tra i fautori della tesi estensiva, non si è mancato di sottolineare che
“Se si ha riguardo al momento della produzione degli effetti dichiarativi, costitutivi e condannatori della sentenza – effetti che qui sono stati sussunti nella categoria dell’efficacia lato sensu esecutiva – ci si deve persuadere che il c.p.c. non riserva a tali effetti discipline differenziate. Ne discende che, salvo specifiche disposizioni contrarie, le sentenze costitutive, al pari di quelle di condanna, non devono attendere il passaggio in giudicato per produrre i loro effetti; e si deve ammettere che i capi di condanna, accessori alla pronuncia costitutiva, sono esecutivi non già a dispetto della non esecutività della statuizione principale, ma perché la sentenza, benché impugnabile nei modi ordinari, ha la forza di produrre gli effetti modificativi che le sono propri, ponendosi come fonte di diritti, di obblighi e di comportamenti e aprendo le porte a tutte le attività attuative e/o esecutive che il comando giudiziale richiede. Lo stesso, mutatis mutandis, è a dirsi per le sentenze dichiarative: non v’è ragione di escludere tali sentenze dall’ambito operativo delle disposizioni codicistiche in tema di provvisoria esecuzione" 63.
Per una ricostruzione della questione alla luce delle soluzioni offerte, invece, dalla giurisprudenza si procede ad un breve excursus delle pronunce più significative.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità l'anticipazione della efficacia della sentenza rispetto al suo passaggio in giudicato riguarda la sola esecutività della sentenza; pertanto, attesa la necessaria correlazione tra condanna ed esecuzione forzata, la disciplina dell'esecuzione provvisoria ex art. 282 cod. proc. civ. trova espressione solo nella sentenza di condanna, poiché è l'unica che possa, per sua natura, costituire titolo esecutivo.
Invero, si precisa, il concetto stesso di esecuzione postula un’esigenza di adeguamento della realtà al decisum, che, evidentemente, manca sia nelle pronunce di natura costitutiva che in quelle di accertamento64.
Tale orientamento restrittivo è stato declinato con precisazioni ulteriori a seconda della fattispecie concreta oggetto di giudizio.
Così, in tema di actio negatoria servitutis, con recente pronuncia la Cassazione ha osservato come
"La sentenza che, accogliendo un'azione negatoria servitutis, si limita ad accertare l'inesistenza della servitù non è utilizzabile come titolo esecutivo per richiedere al giudice dell'esecuzione ex art. 612 cod. proc. civ. l'individuazione delle misure atte a garantire la protezione da turbative o molestie, ove sul punto non si sia pronunciato, con statuizione di condanna, il giudice del merito ai sensi dell'art. 949, secondo comma, cod. civ. Allo stesso modo, nel caso di accertamento della servitù ai sensi dell'art. 1079 cod. civ., non è possibile rivolgersi al giudice dell'esecuzione per far cessare eventuali impedimenti o turbative se l'adozione dei provvedimenti occorrenti non sia stata disposta dal giudice del merito" 65.
Copiosa la giurisprudenza nella diversa fattispecie dell'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c.
L'orientamento prevalente e risalente ad una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite del 2010, è nel senso di ritenere che nell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita di cui alla sentenza costitutiva emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., l’esecutività provvisoria ex art. 282 c.p.c. è limitata ai capi della decisione che sono compatibili con la produzione dell’effetto costitutivo in un momento successivo, e non si estende a quelli che si collocano in rapporto di stretta sinallagmaticità con i capi costitutivi relativi alla modificazione giuridica sostanziale.
Invero, atteso il prodursi dell'evento traslativo della proprietà del bene scaturente dalla sentenza solo dal momento del suo passaggio in giudicato, con la contemporanea acquisizione dell’immobile al patrimonio del promissario acquirente destinatario della pronuncia, la provvisoria esecutività non può essere riconosciuta al capo decisorio relativo al trasferimento dell’immobile contenuto nella sentenza di primo grado, né alla condanna implicita al rilascio dell’immobile in danno del promittente venditore 66.
Sotto altro profilo, precipuamente in ordine alla possibilità di separare i capi di sentenza ai fini dell’applicabilità dell’art. 282 cit., una pronuncia della Corte di Appello di Salerno secondo cui
“la pronuncia di condanna, indubbiamente dipendente dalla pronuncia costitutiva di accertamento di inefficacia, non sia tuttavia con essa nel rapporto di corrispettività sinallagmatica prefigurato da Cass. Sez. Un., 22 febbraio 2010 n. 4059 ai fini della piena realizzazione della pronuncia costitutiva nel suo complesso, sicché la provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado ben può essere riferita alle statuizioni di condanna della stessa, sia sul presupposto di un’azione di condanna, sia sul presupposto di un’azione costitutiva (in tal senso, non diversamente dalle pronunce di condanna restitutorie, della cui provvisoria esecutorietà non pare potersi dubitare, accedenti a pronuncia di risoluzione contrattuale, parimenti di natura costitutiva), con sua utilizzabilità quale titolo esecutivo per le statuizioni condannatorie ivi contenute (in tal senso, cfr. Cass. civ. sez.III, 03 settembre 2007 n. 18512), del tutto analogamente ai capi di condanna alle spese, pure accedenti a capi di pronuncia costitutiva (cfr. Cass. civ. 10 novembre 2004 n. 21367)” 67.
Nel diritto di famiglia e con precipuo riferimento al tema dell'assegnazione della casa familiare, di particolare interesse un recente intervento della Cassazione che chiamata a pronunciarsi in un giudizio di separazione personale fra i coniugi, nel riaffermare, se pur incidenter tantum, il principio relativo all'art. 2932 c.c., come statuito dalle Sezioni Unite nella sentenza di cui innanzi, ha precisato che con la sentenza che definisce il processo di separazione personale tra i coniugi,
"la natura speciale del diritto di abitazione, ai sensi dell’art. 155 quater c.c., è tale per cui esso non sussiste senza allontanamento dalla casa familiare di chi non ne è titolare e, corrispondentemente, quando esso cessa di esistere per effetto della revoca, determina una situazione simmetrica in capo a chi lo ha perduto, con necessario allontanamento da parte di questi; ne consegue che il provvedimento ovvero la sentenza rispettivamente attributivi o di revoca costituiscono titolo esecutivo, per entrambe le situazioni, anche quando l’ordine di rilascio non sia stato con essi esplicitamente pronunciato. (Principio affermato dalla S. C. con riguardo all’opposizione, esperita dalla coniuge già assegnataria della casa familiare, al precetto notificatole dall’altro coniuge per il rilascio dell’immobile, sulla base della sola sentenza del tribunale di revoca dell’attribuzione)" (Cass., 31 gennaio 2012, n. 1367)" 68.
4.4. La problematica inerente all'estensibilità del novellato art. 282 c.p.c. ai capi accessori contenuti nella sentenza meramente dichiarativa o costitutiva cui accede
Altro quesito è rappresentato dalla possibilità o meno che le pronunce di condanna accessorie, ivi inclusa quella relativa alle spese processuali, ad una sentenza di accertamento ovvero costitutiva siano da ritenersi come provvisoriamente esecutive.
Anche per tale quesito non vi è unanimità di vedute in dottrina e giurisprudenza.
Parte della dottrina sostiene che l’efficacia della pronuncia accessoria di condanna non è condizionata all’efficacia della pronuncia pregiudiziale di mero accertamento o costitutiva 69.
A sostegno di tale assunto, si osserva che non esistono nel nostro ordinamento norme che consentano di distinguere tra pronunce condannatorie pure e pronunce condannatorie consequenziali a statuizioni costitutive o dichiarative.
Una volta saltata la consequenzialità tra la previa efficacia della pronuncia pregiudiziale costitutiva o di mero accertamento e l’efficacia della pronuncia dipendente di condanna viene a cadere l’operatività pratica della questione in esame poiché non è più rilevante sapere quando acquisti efficacia la sentenza di accertamento o costitutiva, in ragione della circostanza che la sentenza di condanna consequenziale è pacificamente ritenuta regolata dagli artt. 282 e 337 c.p.c.
In giurisprudenza, inizialmente l’orientamento seguito era nel senso di ritenere tutte le pronunce condannatorie accessorie e consequenziali, compresa quella relativa alla regolamentazione delle spese e competenze di lite, inidonee a costituire titolo esecutivo fino al passaggio in giudicato della pronuncia principale di accertamento o costitutiva.
La Suprema Corte, invero, aveva precisato che
“La condanna alle spese del giudizio, contenuta nella sentenza di primo grado, può costituire titolo esecutivo a norma dell’art. 474 c.p.c. soltanto nel caso in cui sia accessoria ad una pronuncia di condanna, provvisoriamente esecutiva ai sensi dell’art. 282 c.p.c. (oppure esecutiva per espressa previsione di legge), ma non quando sia conseguente alla decisione di rigetto della domanda oggetto del giudizio” 70.
Di qualche anno successivo il revirement della Cassazione secondo cui
"deve essere affermato il principio di diritto secondo il quale, ai sensi del novellato articolo 282 del codice di procedura civile, deve ritenersi oggi legittimamente predicabile la provvisoria esecutività di tutti i capi delle sentenze di primo grado aventi portata condannatoria (quale quello relativo alle spese di giudizio), trattandosi di un meccanismo del tutto automatico e non subordinato all'accoglimento o meno della domanda (qual che essa sia) introdotta dalle parti" 71.
In tale contesto, la Corte costituzionale, investita della questione, sotto il profilo della legittimità costituzionale degli artt. 282 e 474 c.p.c., si è così pronunciata
“Il capo della sentenza che definisce le spese di lite costituisce corollario e non accessorio nel senso di cui all’art. 31 cod. proc. civ. della sentenza stessa, atteso che la pronuncia sulle spese non presuppone, affinché il giudice possa adottarla, una domanda di parte, ma essa ha il suo titolo esclusivamente nel contenuto della decisione sul merito della controversia, in applicazione del principio della soccombenza, di cui all’art. 91 cod. proc. civ. Non è, pertanto, fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 282 e 474 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che sia titolo provvisoriamente esecutivo anche il capo della sentenza di primo grado di condanna al pagamento delle spese di lite, quando è accessorio a declaratoria di rigetto della domanda o di incompetenza, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, nonché all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali 72.
In tema di statuizioni di mero rito, interessante citare una recente pronuncia della Cassazione, che, ponendosi nel solco del superiore orientamento e nel richiamare altri precedenti in tal senso, ha precisato che
"L'ordinanza dichiarativa di incompetenza è un provvedimento col quale il giudice chiude il processo dinanzi a sé, e nel quale pertanto il giudicante deve provvedere sulle spese, in base al combinato disposto degli artt. 91 e 279 c.p.c., come ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 7010 del 17/03/2017, Rv. 643682 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21565 del 18/10/2011, Rv. 620369 - 01). E la condanna alle spese contenuta nell'ordinanza dichiarativa dell'incompetenza ratione valoris, così come quella contenuta in qualsiasi provvedimento conclusivo del giudizio, ha sempre efficacia esecutiva (Sez. 3, Sentenza n. 7551 del 01/04/2011, Rv. 617515 - 01; Sez. 3, Ordinanza n. 1283 del 25/01/2010, Rv. 611054 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 11877 del 22/05/2007, Rv. 596718 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 21367 del 10/11/2004, Rv. 581366 - 01)" 73.
Alla luce del breve excursus sin qui svolto, si può affermare che non vi è orientamento unanime in giurisprudenza, almeno sotto il profilo di non ritenere applicabile tout court l’art. 282 c.p.c. alle sole sentenze di condanna, a medesime conclusioni si perviene, come visto, esaminando la dottrina, con ciò evidenziando l’attualità del tema che presenta ancora problematiche interpretative ed applicative.
Invero, come osservato in dottrina
“la corretta individuazione delle sentenze provvisoriamente esecutive, (infatti), lungi dal rimanere questione puramente teorica, assume notevole importanza nella prassi coinvolgendo non soltanto l’attività di avvocati e giudici, ma anche di cancellieri e di tutti i soggetti chiamati a dare attuazione al dictum giudiziale” 74.
5. Conclusioni
Il tema sin qui trattato, alla luce dei contributi offerti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, richiama, a ben vedere, quello sempre attuale della ragionevole durata del processo civile, con ciò intendendo anche la fase esecutiva e, quindi, l’effettiva e concreta realizzazione del diritto fatto valere.
Dalle problematiche affrontate, invero, è emerso chiaramente l’impegno degli studiosi e degli operatori del diritto teso a trovare una soluzione, quanto più possibile appagante, che contemperi le contrapposte esigenze rispettivamente del creditore e del debitore, così risultanti da un titolo esecutivo, per quanto oggetto del presente contributo, di formazione giudiziale.
È di fondamentale importanza, infatti, trovare il suddetto punto di incontro attesa la natura delle opposte esigenze, entrambe garantite dalla Costituzione, di celerità del procedimento esecutivo, nell’interesse del creditore, e di difesa del debitore.
Nel corso degli ultimi anni, il legislatore si è mostrato particolarmente sensibile al tema, da qui vari interventi riformatori volti, per un verso, a rendere più celere il processo esecutivo e, per l’altro, sotto la spinta dell’art. 111 commi 1 e 2 Cost., a garantire anche in esso il rispetto del principio del contraddittorio.
Il mutato panorama normativo, pur senza fugare qualsivoglia dubbio e perplessità, alimenta l’aspettativa di ulteriore e continua evoluzione tesa a raggiungere l’obiettivo innanzi rappresentato.
1. Più diffusamente, F. CARNELUTTI, La certezza del diritto, in Rivista di diritto processuale civile, 1943, pp. 81-91.
2. G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, Vol. I, Napoli, 1936; tale principio è enunciato per la prima volta in una nota a sentenza apparsa sulla Rivista di Diritto commerciale del 1911, in tal senso Proto Pisani, Foro it., Vol. I, 1995.
3. C. MANDRIOLI - A. CARRATTA, Diritto Processuale Civile, Torino, 2015, Vol. IV, pp. 12 ss.
4. In tal senso, S. SATTA, L’esecuzione forzata, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Vassalli, Torino, 1952, pp. 4 ss.; Commentario al Codice di procedura civile, III, Milano, 1966, pp. 8 ss.
5. S. SATTA, Esecuzione forzata, Torino, 1950, p. 165.
6.Per un approfondimento di tale categoria, cfr., tra gli altri, V. ANDRIOLI, Commento al Codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, pp. 669 ss.; E. REDENTI, Diritto processuale civile, Milano, 1957, III, 293; in giurisprudenza, per tutte, C. App. Palermo 13 febbraio 1990, in Temi Siciliano, 1990, p. 27.
7.A. BARBERA, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, artt. 2740-2744, in Il Codice civile. Commentario diretto da Schlesinger, Milano, pp. 4 ss.
8.B. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, terza edizione, Torino, 2015, p. 3.
9.G. MONTELEONE, Profili sostanziali e processuali dell’azione surrogatoria, Milano, 1975, pp. 85 ss.; in senso contrario, circa la configurabilità di uno status in capo al debitore, L. Miraglia, voce Responsabilità patrimoniale, in Enciclopedia Giuridica, XXIX, Roma, 1993, p.7; per un approfondimento sul tema e sulla sua evoluzione storica, tra gli altri, G. Brunetti, Norme e regole finale del diritto, Torino, 1913; V. Polacco, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1915, pp. 38 ss.; E. Betti, Il concetto della obbligazione costruito dal punto di vista dell’azione, Macerata, 1920, in Diritto sostanziale e processuale, Fondazione Piero Calamandrei, Milano, 2006; G. Pacchioni, Delle obbligazioni in generale: diritto delle obbligazioni, Padova, 1941.
10.G. MONTELEONE, Recenti sviluppi della dottrina dell’esecuzione forzata, in Riv. dir. proc. civ., 1982, pp. 296 ss.
11. P. BIAVATI, Argomenti di diritto processuale civile, Bologna, 2011, p. 726.
12. F. CARNELUTTI, Progetto del Codice di procedura civile presentato alla Sottocommissione Reale per la riforma del Codice di procedura civile, Padova, 1926.
13. G. VERDE, Il disegno di legge n. 2246 presentato al Sentato dal ministro Reale sui provvedimenti urgenti relativi al processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, p. 647; A. Proto Pisani, Appunti sulla tutela civile di condanna, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 1164.
14. Cfr. d.d.l. Reale del 1975, atto n. 2256/S/VI.
15. Relazione al disegno di legge, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, p. 672.
16. Per tale ricostruzione, R. VACCARELLA, Le linee essenziali del processo esecutivo secondo il progetto della Commissione Tarzia, in Riv. dir. proc. civ., 1998, p. 367.
17. In riferimento al riconoscimento di una parte in favore dello Stato ed in una prospettiva comparatistica, si osserva che la liquidazione a totale favore del creditore è stata vista in modo critico da una parte della dottrina francese che la considera un ingiusto arricchimento per la parte alla quale va riferita. Il legislatore d’oltralpe, tuttavia, non hai mai concesso che tale somma sia destinata anche solo in parte allo Stato o addirittura che non sia versata al creditore bensì al Fondo nazionale d’aiuto sociale, colorando questa parte del processo di una venatura pubblicistica. E. Vullo, L’esecuzione indiretta tra Italia, Francia e Unione Europea, in Riv. dir. proc., 2004, p.737.
18. M. BOVE, La misura coercitiva di cui all’art. 614 bis cod. proc. civ., in judicium.it; in tal senso, L. AMADEI, Una misura coercitiva generale per l’esecuzione degli obblighi infungibili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 347; C. ASPRELLA, L’attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare, in Giur. merito, 2011, p. 122; L. BARRECA, L’attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare (art. 614 bis c.p.c.), in Riv. es. forz., 2009, p. 505; M.A. IURIO, Il nuovo art. 614 bis cod. proc. civ.: introduzione dell’esecuzione indiretta nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. es. forz., 2009, p. 425; G. LOMBARDI, Il nuovo art. 614 bis c.p.c.: l’astreinte quale misura accessoria ai provvedimenti cautelari ex art. 700 c.p.c., in Giur. merito, 2010, p. 401; S. MAZZAMUTO, L’esordio della comminatoria di cui all’art. 614 bis c.p.c. nella giurisprudenza di merito, in Giur. it., 2010, p.640; A. M. ROMITO, Artt. 614 bis e 96 cod. proc. civ.: vecchi e nuovi problemi applicativi, in Resp. civ. e prev. 2011, p. 2354.
19. P. BIAVATI, Argomenti di diritto processuale civile, seconda edizione aggiornata, Bologna, 2015.
20. Cassazione, 6 marzo 2020, n. 6471, in www.quotidianogiuridico.it
21. A. Lombardi, il nuovo processo civile, in Giordano - Lombardi, 2009, p. 479 ss.
22.Per tutti, M. A. IUORIO, Il nuovo art. 614-bis c.p.c.: introduzione dell’esecuzione indiretta nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. esec. forz., III, 2009.
23. Cassazione, 15 aprile 2015, n. 7613, in www.cortedicassazione.it; per il risalente contrapposto orientamento secondo cui, nel nostro ordinamento, attesa la funzione compensativa del sistema di responsabilità civile, sono da ritenersi non compatibili le punitive damages con l’ordine pubblico, cfr. Cassazione 19 gennaio 2007, n. 1183; Cassazione 8 febbraio 2012, n. 1781.
24.Cassazione a Sezioni Unite, 5 luglio 2017, n. 16601, in www.cortedicassazione.it.
25. Sono questi, ad esempio, i casi di espropriazione automobilistica ovvero di quella dei beni soggetti a privilegio agrario. Sull’argomento cfr., G. Costantino, Le espropriazioni forzate speciali: lineamenti generali, Milano, 1984.
26.G. MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova, 1998, pp. 24-25; in termini cfr. I. Andolina, Cognizione ed esecuzione forzata nel sistema della tutela giurisdizionale, Milano, 1938, pp. 61-74.
27.In termini, Cassazione, 28 gennaio 1978, n. 427, in www.diritto.it.
28. Cassazione, 13 febbraio 2009, n. 3531, in www.ilcaso.it.
29.Cassazione, Sezioni Unite 7 gennaio 2014, n. 61, in www.dejure.it.
30.G. OLIVIERI – A. BRANCACCIO, Il titolo esecutivo e le sue vicende, Convegno 23 maggio 2014 Salerno.
31.Per tutti, R. VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, p. 132ss., ove è diffusamente illustrata la distinzione tra difetto originario e difetto sopravvenuto del titolo esecutivo.
32. N. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2013, p.7.
33. V. ANDRIOLI, Commento al Codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, p.12.
34.R. VACCARELLA, Enc. Giur., voce Titolo esecutivo, p. 3.
35. A. PROTO PISANI, Appunti sull’esecuzione forzata, in Foro it., 1994, V, col. 305.
36.Cassazione, Sezioni Unite, 2 luglio 2012, n. 11067, in www.dirittoeprocesso.com.
37.Per l’orientamento meno possibilista, cfr., per tutte, Cassazione, 1° agosto 2014, n. 17537, in www.quotidianogiuridico.it.
38.Per un approfondimento sul tema, cfr., G. PETRELLI, Atto pubblico, scrittura privata autenticata e titolo esecutivo, in Notariato n. 5/2005, p. 542.
39.La formazione del titolo esecutivo giudiziale: certezza, liquidità ed esigibilità; Relazione all’incontro di studio decentrato del C.S.M. su « Processo di cognizione e fase esecutiva », Bari, 2012.
40.G. SCARSELLI, Per un ritorno al passato, Milano, 2012, pp. 97-98.
41. G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli 1960, p. 266-267.
42. Per una diffusa trattazione riguardo gli effetti della novella sugli artt. 283, 336, 337, 351, 431, 447 bis, 669 novies, cfr. F. CARPI, Esecutorietà (dir. proc. civ.), Enc. Giur.
43.B. CAPPONI, Vicende del titolo giudiziale nell’esecuzione, in www.osservatorio-oci.org.
44. C. TRAPUZZANO, Nuova interpretazione dell’art. 282 c.p.c.: una soluzione chiara e giuridicamente apprezzabile, in www.diritto.it.
45.in tal senso, ex plurimis, Corte di Cassazione, 19 dicembre 2014 n. 27127.
46. Cosi, E. FAZZALARI, Enc. Dir., voce sentenza civile, p. 1250.
47. Così, G. MONTELEONE, Diritto processuale civile, vol. 3, Padova, 1998, pp. 29-30; in termini, dopo la riforma ex l. 353 cit., G. TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di cognizione, Milano, 2002, p. 187; A. PROTO PISANI, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, pp. 195 ss.; G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecutività delle sentenze costitutive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1992, pp. 47 ss. secondo il quale l’art. 421 c.c. fa decorrere gli effetti dell’interdizione o della inabilitazione dal giorno della pubblicazione della relativa sentenza; sul tema, M. FORNACIARI, La provvisoria efficacia delle sentenze di accertamento e costitutive, in Giusto proc. civ., 2012, pp. 385 ss.; in senso contrario la dottrina risalente al Chiovenda che riconosceva la provvisoria esecuzione alla sola sentenza di condanna, in Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1960, p. 219; V. ANDRIOLI, Commento al Codice di procedura civile, II, Napoli, 1957, p. 27.
48.P. BIAVATI, op. cit., p. 380.
49. Già sotto la vigenza del codice del 1865: G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1935, I, p. 219; F. CARNELUTTI, Processo di esecuzione, Padova, 1931, I, p. 230; P. Costa, Contributo allo studio dell’esecuzione provvisoria delle sentenze civili, in studi sassaresi, serie II, vol. VII, 1939, p. 264 ss.
50.G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1965, pp. 165 ss.; cfr. ex plurimis, Liebman, Manuale di diritto processuale civile. Principi, Milano, 1993, pp. 170 ss.; contra, Satta, Commentario al Codice di procedura civile, I, Milano, 1959, p. 352 ss.
51. B. SASSANI, voce Interesse ad agire, in Enc. giur.
52. Cassazione, Sezioni Unite, 20 dicembre 2006, n. 27187, in Guida al diritto, 2012, p. 492.
53. Enc. giur., voce Azione costitutiva, in www.treccani.it.
54.Enc. giur., voce Condanna. Diritto processuale civile, in www.treccani.it.
55. G. IMPAGNATIELLO, Sentenze costitutive, condanne accessorie, provvisoria esecutività, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, 3, p. 751.
56. per un’analitica rassegna delle norme previste nel nostro ordinamento giuridico in cui si rinviene la denunciata utilizzazione atecnica delle locuzioni in esame, ved. G. Impagnatiello, op. cit., p. 771; G. FERRI, in Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezioni sul processo civile, vol. I, Bologna, 2006, p. 641.
57. G. Ferri, In tema di esecutorietà della sentenza e inibitoria, in Riv. Dir. proc., 1993, p. 558.
58.in termini, tra gli altri, G. TARZIA, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, 2002, p. 252; C. CONSOLO, Commento sub art. 282 c.p.c., in Commentario alla riforma del codice di procedura civile a cura di Consolo-Luiso-Sassani, Milano, 1996, p. 263; G. BALENA, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, p. 329; S. CHIARLONI, Commento sub art. 282 c.p.c., in Provvedimenti urgenti per il processo civile a cura di Tarzia-Cipriani, Padova, 1992, p. 158; A. ATTARDI, Le nuove disposizioni del processo civile, Padova, 1991, p. 117.
59.G. TARZIA, op. cit., p. 315 ss.
60. in termini, G. FERRI, op. cit., p. 563; G. Impagnatiello, op. cit., p. 338; M. Marelli, L’esecutività della sentenza costitutiva è limitata ai soli capi di condanna accessori? Riv. dir. proc. civ., 2008, n. 4, 1112.
61. M. MARELLI, op. cit., p. 1111; in termini, Iuorio, op. cit., p. 296.
62. M. MARELLI, op. cit., pp. 1111 e 1112.
63. G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l’inibitoria del processo civile, Milano, 2010, p. 339 ss.
64. in tal senso, per tutte, Cassazione 6 febbraio 1999, n. 10379, in mobile.ilcaso.it.
65. Cassazione, 26 maggio 2020, n. 9637, in www.cortedicassazione.it.
66.Cassazione, Sezioni Unite, 22 febbraio 2010, n. 4059, in www.ilsole24ore.com.
67. Corte d' Appello Salerno, 20 giugno 2011, www.unijuris.it.
68. Cassazione, 6 agosto 2020, n. 16740, in sentenze.laleggepertutti.it.
69. MONTESANO - ARIETA , Trattato di diritto processuale civile, I, 2, Padova, 2001, p. 1606; COMOGLIO ì, L’esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado, in TARUFFO, Le riforme della giustizia civile, Torino, 2000, p. 422; Consolo, in CONSOLO- LUISO – SASSANi, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, p. 263; BALENA, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, p. 331; SIRACUSANO, in Verde-Vaccarella Codice di procedura civile commentato, II, Torino, 1997, p. 519
70. Cassazione, 12 luglio 2000, n. 9236, in Foro it., 2001, n. 1, p. 159.
71. Cassazione, 10 novembre 2004, n. 21367, in www.altalex.com.
72.Corte costituzionale, 16 luglio 2004, n. 232, in www.cortecostituzionale.it.
73. Cassazione, 5 giugno 2020, n. 10826, in www.cortedicassazione.it
74. E. POFI, La provvisoria esecutività della sentenza, in Scritti in onore di Massimo Di Lauro, Padova, 2012, p. 299.
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