Stupefacenti e lieve entità del fatto
Modifica paginaIl presente contributo analizza la fattispecie della lieve entità del fatto nell´ambito della disciplina penale delle sostanze stupefacenti. Mediante la sentenza delle Sezioni Unite 27 settembre 2018 n. 51063 (ric. C. Murolo) si esamina in particolare l’applicabilità della fattispecie a condotte che abbiano ad oggetto sostanze stupefacenti di diversa qualità.
Sommario: 1. Introduzione; 2. La fattispecie di lieve entità; 2.1. Evoluzione normativa; 2.2. Da circostanza a fattispecie autonoma; 2.3. Caratteri della fattispecie; 2.4. La rilevanza del piccolo spaccio; 3. La pronuncia; 3.1. Il fatto e l’ordinanza di rimessione; 3.2. Premesse di diritto; 3.3. Prima questione: lieve entità ed eterogeneità delle sostanze stupefacenti; 3.4. Seconda questione: il concorso di reati previsti dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; 3.5. Terza questione: concorso di reati di lieve entità; 4. Lieve entità e coltivazione; 5. I rapporti tra lieve entità e particolare tenuità del fatto; 6. Conclusioni
1. Introduzione
La sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione del 27 settembre 2018 n.51063 (ric. C. Murolo)[1] dirime il contrasto tra i due orientamenti giurisprudenziali formatisi con riguardo all’applicabilità dell’art. 75, co. 5, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, in seguito anche T.U. Stup., a fattispecie che abbiano ad oggetto sostanze stupefacenti di diversa qualità.
La Cassazione, tuttavia, ha colto l’occasione per sancire altri due principi di diritto con riferimento alla fattispecie di cui al succitato comma 5, in particolare affermando l’unicità della figura di reato in esso prevista, a prescindere dalla classificazione tabellare dello stupefacente che costituisce oggetto della condotta e l’impossibilità di configurare un concorso di reati nel caso di detenzione di sostanze tabellarmente eterogenee in un medesimo contesto.
2. La fattispecie di lieve entità
2.1. Evoluzione normativa
La fattispecie di lieve entità di cui al comma cinque dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 individua un’ipotesi di fatto lieve in materia di sostanze stupefacenti. Essa è stata introdotta con la L. 26 giugno 1990, n. 162, che ha aggiunto all’art. 71 della L. 22 dicembre 1975, n.685 il comma quinto con l’intento di attenuare il trattamento sanzionatorio previsto dai precedenti commi dello stesso articolo nell'ipotesi in cui, "per i mezzi, per le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze", i fatti tipizzati negli stessi fossero di "lieve entità". La novella ha inteso modificare la precedente fattispecie autonoma contemplata dall’art. 71 della L. 22 dicembre 1975, n. 685 che puniva meno gravemente le condotte previste dai precedenti commi dello stesso articolo, relative a modiche quantità di stupefacente destinate all’uso personale non terapeutico di terzi.
Con riferimento al momento sanzionatorio è opportuno distinguere le varie fasi attraversate dall’ipotesi di lieve entità che ha subito una lunga serie di modifiche normative, anche dettate da esigenze di riorganizzazione carceraria espresse dall’Unione Europea.
Il comma cinque dell’art. 73 del T.U. Stup. statuiva, in origine, la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni per le condotte aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III, allegate al testo, e da uno a sei anni per quelle relative alle sostanze di cui alle tabelle II e IV.
La vistosa riforma del 2006, L. 21 febbraio, n. 49 (cd. Fini-Giovanardi)[2], che ha fortemente modificato la disciplina degli illeciti in materia di stupefacenti, ha altresì intaccato l’ipotesi di lieve entità di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/’90[3]. La nota eliminazione della distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, avvenuta mediante la sostituzione delle quattro tabelle, contenenti l’elenco delle sostanze droganti vietate e quello degli stupefacenti per uso terapeutico, con sole due tabelle, ha determinato la previsione di un unico trattamento sanzionatorio, da uno a sei anni di reclusione, per tutti i fatti di lieve entità, a prescindere dalla pericolosità della sostanza oggetto della condotta.
La previsione del medesimo trattamento sanzionatorio per le condotte riguardanti “droghe pesanti” e “droghe leggere” ha indotto parte della dottrina[4] a ritenere che la disposizione di cui al comma cinque fosse affetta da irragionevolezza e sproporzionalità rispetto alla fattispecie base, così come modificata dopo l’intervento della Consulta, in ragione della presenza della distinzione tipologica di narcotico solo nella prima e non anche nella fattispecie di lieve entità.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 32/2014[5] aveva dichiarato l’illegittimità della legge n. 49/2006, legge di conversione del D.L. 272/2005, sebbene per un motivo formale[6], facendo così rivivere la precedente disciplina che contemplava la distinzione tra “droghe pensanti” e “droghe leggere”, con conseguente previsione di un differente trattamento sanzionatorio per le condotte afferenti all’uno o all’altro tipo di sostanza.
Ci si chiese, a quel punto, se la pronuncia di illegittimità del primo comma dell’art. 73 avesse avuto delle ricadute anche sulla fattispecie di lieve entità del comma 5.
La legge 79/2014, che aveva provveduto a colmare il vuoto normativo creato dalla pronuncia della Consulta, non aveva operato, con riferimento alla fattispecie di lieve entità, la stessa distinzione tra “droghe pesanti” e “droghe leggere” che invece era stata effettuata relativamente ai fatti “comuni”. La giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. Pen., sez. IV, 28 febbraio 2014, n.10514[7]) riteneva che, la mancanza di tale distinzione nell’ambito della fattispecie di lieve entità, non fosse ostativa ad una valutazione sulla natura della sostanza stupefacente da parte del giudice di merito.
La questione della disparità di disciplina tra le condotte caratterizzate da tenuità e le condotte cd. “comuni” è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale con l’ordinanza del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria del 5 febbraio 2015, n.113[8].
La Consulta, con la sentenza 13 gennaio 2016, n.23[9], ha dichiarato l’inammissibilità della questione, stante la discrezionalità del legislatore in materia di stupefacenti[10]. La Corte ha avvalorato tale conclusione con la considerazione che la condotta di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 costituisce, dopo le modifiche normative del testo di legge, una fattispecie autonoma e non più una circostanza attenuante della fattispecie di cui al comma 1 dello stesso articolo. La qualificazione di fattispecie autonoma esclude la necessità di una simmetria sanzionatoria tra fatti di lieve entità e fatti non lievi, per cui non è necessaria una pari distinzione fra “droghe pesanti” e “droghe leggere” nell’ambito dei fatti di lieve entità che emuli la distinzione compiuta all’interno del comma 1. La giurisprudenza di legittimità, richiamata dalla stessa Corte Costituzionale nella citata sentenza (Cass. Pen. Sez. VI, 27 gennaio 2015, n. 15642, Sez. IV, 24 ottobre 2014, n. 49754, Sez. VI, 8 gennaio 2014, n. 14288, Sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 7363, Sez. IV, 28 febbraio 2014, n. 10514, Sez. IV 28 febbraio 2014, n. 13903), ha ritenuto che, sebbene non sia operata legislativamente una distinzione sul piano sanzionatorio con riferimento alla natura della sostanza stupefacente, il giudice di merito può utilizzare tale parametro ai fini della commisurazione della pena. L’asserita mancanza di proporzionalità della pena non trova riscontro inoltre nell’indicazione di un tertium comparationis da parte del giudice rimettente[11].
La più recente modifica della fattispecie di lieve entità del fatto di cui al comma cinque dell’art. 73 d.P.R. 309/’90 è intervenuta con il D.L. 20 marzo 2014, n, 36, convertito in L. 16 maggio 2014, n. 79, che ha ulteriormente ridotto il trattamento sanzionatorio sia nel massimo che nel minimo individuando una forbice edittale tra sei mesi e quattro anni. Anche quest’ultimo intervento sembra perseguire l’unico intento di ridurre la popolazione carceraria. Infatti l’abbassamento del massimo edittale a quattro anni evita la misura della custodia cautelare in carcere di cui all’art. 280, co. 2, c.p.p., tranne nelle ipotesi di cui al comma 3 dello stesso articolo, cioè “«nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare», ipotesi invero di non difficile realizzazione, al cospetto di una figura naturaliter recidivante quale quella del tossicodipendente-spacciatore”[12].
Alcuni commentatori hanno sostenuto che l’esclusione della misura della custodia cautelare in carcere per i fatti di lieve entità che si pongano su una linea di confine rispetto a condotte “comuni”, come quelli di piccolo spaccio organizzato, soprattutto quando abbiano ad oggetto “droghe pesanti”, produca l’effetto contrario rispetto a quello auspicato dalla legge di riforma, in quanto può condurre, per far fronte ad esigenze di pericolosità sociale, alla qualificazione del fatto occorso nell’alveo del comma uno piuttosto che del comma cinque[13].
Ulteriore effetto della riduzione del massimo edittale a quattro anni consiste nella possibilità di applicare l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova di cui all’art. 168-bis ss c.p.
2.2. Da circostanza attenuante a fattispecie autonoma
La natura giuridica dell’ipotesi di cui al comma cinque dell’art. 73 d.P.R. 309/’90 è spesso stata oggetto di modifiche normative e di dibattito dottrinale e giurisprudenziale. La configurazione di fattispecie autonoma è stata attribuita al fatto di lieve entità dall’art. 2 del D.L. 23 dicembre 2013, n.146 (cd. Svuota carceri), convertito in L. 21 febbraio 2014, n. 9, che ha modificato la già esistente ipotesi di circostanza attenuante speciale, sostanzialmente creando una nuova incriminazione rispetto a quella prevista dal primo comma della stessa disposizione.
Non si tratta di una vera novità, in quanto la fattispecie di lieve entità era così qualificata dalla dottrina prevalente anche sotto la vigenza della disciplina antecedente il T.U. Stup., sebbene la giurisprudenza costante[14] la interpretasse come circostanza attenuante, soprattutto dopo la modifica dell’art. 380 lett. h) c.p.p., intervenuta con D.L. 8 agosto 1991, n. 247, che, nell’escluderla dalle ipotesi in cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, l’ha sempre qualificata espressamente in questi termini[15].
La modifica della qualificazione giuridica della fattispecie si è posta come soluzione in risposta alle esigenze di riduzione della popolazione carceraria che venivano, da tempo, espresse dall’Unione Europea. Anche gli organi giurisdizionali sovranazionali si erano pronunciati sulla insostenibilità della situazione di sovraffollamento che da anni caratterizza gli istituti penitenziari italiani. In particolare la sentenza pilota “Torreggiani” della Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato una violazione sistematica da parte dello Stato italiano dei diritti dei detenuti, per le condizioni sovrannumerarie in cui sono costretti ad espiare la pena, ed ha costituito antefatto per l’adozione di provvedimenti volti ad evitare l’ingresso nel circuito penitenziario di soggetti condannati a pene caratterizzate da bassi limiti edittali.
Pertanto i decreti 76 e 146 del 2013, connotati da una finalità deflattiva, partendo dal presupposto che una delle cause del sovraffollamento carcerario fosse il trattamento particolarmente rigoroso previsto per i reati in materia di stupefacenti, hanno convertito la circostanza attenuante speciale della lieve entità del fatto in ipotesi di reato autonoma, oltre ad aver esteso l'applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità e della misura alternativa dell'affidamento in prova terapeutico. L’interpolazione normativa suddetta ha altresì diminuito il massimo edittale della pena detentiva da sei a cinque anni.
La modifica della qualificazione giuridica ha sortito degli effetti altresì sul regime della prescrizione e sul bilanciamento delle circostanze[16]. Quanto al primo aspetto, qualificare la fattispecie di lieve entità come ipotesi di reato autonoma comporta la previsione di un termine di prescrizione pari al massimo edittale della pena e comunque non inferiore a sei anni nel caso di delitti, come nel caso di specie. Tale regime è certamente più favorevole rispetto a quello applicabile in costanza della disciplina che configurava il fatto di lieve entità come ipotesi circostanziata; infatti, com’è noto, a norma dell’art. 157, co. 2, c.p., per determinare il tempo necessario a prescrivere, non si ha riguardo alla diminuzione determinata dalle circostanze attenuanti e il termine prescrizionale coincide con il massimo della pena base, pari, nel caso di specie, ad anni venti.
La qualificazione come fattispecie autonoma di reato sottrae, inoltre, l’ipotesi al bilanciamento di circostanze. Alcuni autori, pronunciatisi in seguito alla modifica normativa del 2014, hanno sostenuto che scopo precipuo della nuova configurazione fosse evitare il bilanciamento delle circostanze ed, in particolare quello frequente fra la circostanza attenuante della lieve entità e la ricorrente aggravante della recidiva, che vanificava la previsione di un trattamento meno rigoroso[17].
2.3. Caratteri della fattispecie
L’ipotesi di lieve entità, nelle formulazioni che si sono susseguite, è sempre stata connotata dalla medesima ratio, consistente nella volontà legislativa di adeguare il trattamento sanzionatorio delle condotte afferenti alla produzione, detenzione e cessione di sostanze droganti che non siano caratterizzate da una gravità tale da giustificare l’irrogazione delle pene, particolarmente severe, originariamente previste.
L’applicazione della fattispecie in esame è subordinata all’esistenza di elementi sintomatici di un’offesa attenuata all'interesse protetto. Essi sono relativi sia all'azione, con un particolare riferimento ai mezzi, alle modalità e alle circostanze della stessa, sia all'oggetto materiale del reato con le declinazioni della quantità e qualità delle sostanze; l'indagine sulla configurabilità dell’ipotesi deve essere svolta guardando all’insieme dei parametri richiamati dal quinto comma dell'art. 73.
La duttile interazione tra i parametri suddetti e l’indeterminatezza della norma ha condotto la dottrina a ritenere che la sua applicazione, “al netto delle diversità geografiche e sociologiche”[18] , determini risultati oscillanti fra i diversi tribunali; tuttavia si è notata una costante nei pronunciamenti giurisprudenziali sul tema, ossia il maggior rilievo attribuito al dato quantitativo in modo da renderlo assorbente rispetto ad altri fattori che invece potrebbero deporre per la configurabilità della lieve entità[19]. La rilevanza del dato quantitativo ha subito, negli ultimi anni, dei forti ridimensionamenti, sfociati anche nella sentenza in commento. Sebbene l’elemento ponderale sia strettamente connesso alla dimensione valoriale dell’offesa recata dai reati in materia di stupefacenti, va altresì sottolineato che tale offesa non si esaurisce nel quantum di sostanza oggetto della condotta, poiché le fattispecie in esame sono caratterizzate da una dimensione plurioffensiva che coinvolge la tutela dei beni giuridici della salute pubblica e dell’ordine pubblico il cui pregiudizio non può evincersi dal solo dato quantitativo[20].
Al fine di evitare le incertezze suesposte, la giurisprudenza ha cercato di individuare i fattori caratterizzanti la fattispecie di lieve entità, onde identificare le condotte che potrebbero configurarla.
La Corte di cassazione, con la sentenza 20 febbraio 2018, n.13982 , ha precisato quali debbano essere i criteri discretivi della fattispecie di lieve entità rispetto a quella base. La distinzione non deve essere effettuata per “sottrazione” rispetto alla fattispecie primaria, ma operando una valutazione complessiva degli elementi indicati dal comma 5 dell’art. 73. Tali precisazioni sono necessarie in quanto “a fronte di un regime sanzionatorio anomalo e foriero di potenziali squilibri, si impone un'adeguata valorizzazione della fattispecie minore, in modo che la fattispecie principale possa essere applicata nei casi in cui la condotta assuma connotati di offensività peculiari, fermo restando che la qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 73, comma 5, d.P.R. non impedisce di riconoscere ad esso, anche in relazione alla personalità del colpevole, connotazioni tali da imporre l'irrogazione di una pena superiore al minimo o addirittura prossima al massimo”[21]).
2.4. La rilevanza del piccolo spaccio
Con riferimento al piccolo spaccio di cui si è accennato sopra, la dottrina e la giurisprudenza si sono chieste se possa configurarsi come ipotesi di lieve entità. Una parte della dottrina è restia a ricondurre l’attività di cessione organizzata dello stupefacente, sebbene di dimensioni ridotte, in una fattispecie che prevede un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quello previsto dalla disciplina comune; tale orientamento si fonda sulla ritenuta pericolosità sociale dell’attività di spaccio che sarebbe particolarmente lesiva dei beni dell’ordine e della salute pubblica, con specifico riferimento alle nuove generazioni[22]. Tuttavia la giurisprudenza sostiene che l’attività di spaccio sia astrattamente compatibile con la fattispecie di lieve entità. Anzitutto deve ribadirsi che la disposizione del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. citato punisce, mediante un regime meno afflittivo, tutte le condotte previste dalle altre disposizioni dell’articolo in esame, comprendendo, quindi anche le attività di vendita, cessione e offerta, rientranti nella più ampia definizione di spaccio. In ragione del dato normativo non può, pertanto, escludersi a priori la configurabilità di una condotta di spaccio di lieve entità, seppure nel rispetto dei requisiti richiesti dal comma cinque.
La Corte di cassazione[23] ha chiarito, in proposito, che il piccolo spaccio può beneficiare del trattamento più favorevole della lieve entità solo qualora l’attività sia connotata da un basso grado di offensività, da verificare mediante un giudizio che non si limiti al dato quantitativo, qualitativo e tossicologico, ma che guardi altresì alle modalità dell’azione.
3. La pronuncia
3.1. Il fatto e l’ordinanza di rimessione
La sentenza Murolo delle Sezioni Unite scaturisce dalla proposizione del ricorso in Cassazione da parte di M.C., avverso la condanna della Corte d’appello di Napoli che aveva confermato quanto statuito in primo grado.
M.C., a seguito di giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione e al pagamento della multa di euro 14.000 per il reato di detenzione continuata a fine di vendita, di sostanze stupefacenti. In particolare sull’automobile di M.C., nei pressi di un bar, erano stati rinvenuti gr. 316,1 di marijuana, contenenti gr. 64,1 di principio attivo, gr. 190,6 di hashish, contenenti gr. 25,9 di principio attivo e gr. 9,2803 di cocaina, contenenti gr. 4,38 di principio attivo, oltre che strumenti per la pesatura ed il confezionamento dello stupefacente.
Avverso la sentenza di primo grado era stato proposto appello ma la Corte territoriale aveva confermato la condanna, escludendo la minima offensività del fatto e, dunque, la configurabilità dell’ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Il ricorso in Cassazione è stato fondato sull’unica doglianza del vizio di motivazione con riguardo alla mancata qualificazione del fatto occorso come ipotesi di lieve entità; la difesa asseriva che il giudice di appello avesse fondato il decisum su orientamenti giurisprudenziali ormai datati e su una valutazione sommaria e superficiale di tutti gli elementi del fatto, attribuendo maggiore rilevanza al dato quantitativo dello stupefacente piuttosto che ad altri fattori.
Con l’ordinanza n. 23547 del 13 marzo 2018[24] la terza sezione ha rimesso la questione alle Sezioni unite ritenendo sussistente un contrasto giurisprudenziale sulla configurabilità della fattispecie di lieve entità nell’ipotesi di eterogeneità delle sostanze stupefacenti detenute.
Il collegio rimettente ricostruisce la vicenda sottolineando le motivazioni che hanno spinto la corte territoriale ad escludere la lieve entità. I giudici d’appello - chiarisce l’ordinanza - sono giunti all’esclusione della fattispecie di cui al comma cinque mediante un’attenta analisi delle circostanze che hanno caratterizzato la condotta detentiva: in particolare hanno tenuto in considerazione la quantità delle sostanze stupefacenti detenute, la loro differente tipologia, la suddivisione della cocaina in 56 dosi, la presenza di strumenti di confezionamento, lo svolgimento dell’attività di spaccio nei pressi di un luogo particolarmente frequentato e l’esistenza di una sia pur rudimentale organizzazione.
I giudici rimettenti si discostano, tuttavia, dalla valutazione effettuata su quest’ultima circostanza, ritenendo che la sola esistenza di un’organizzazione non possa escludere, di per sé sola, la lieve entità.
Alcuni autori hanno ritenuto che l’ordinanza di rimessione abbia adottato un’interpretazione sistematica, facendo riferimento al comma 6 dell’art. 74 del d.P.R. 309/’90 che disciplina il reato di associazione finalizzata alla commissione dei fatti descritti dal comma cinque dell’art. 73 dello stesso decreto. Si è, in particolare, evidenziato come : “Se dunque è possibile che il fatto di lieve entità sia commesso come reato-fine di un’associazione, ossia di un’organizzazione articolata di almeno tre persone, non si capisce perché un’organizzazione – peraltro assai approssimativa ed elementare – posta in essere da un singolo individuo debba essere necessariamente qualificata ai sensi delle più gravi fattispecie di traffico “ordinario””[25].
Sennonchè, pur non considerando la “sia pur rudimentale organizzazione” quale fattore di per sé solo sufficiente ad escludere la lieve entità, tuttavia la valutazione globale di tutti gli indici caratterizzanti il fatto conduce all’impossibilità di configurare la fattispecie suddetta, soprattutto mediante la valorizzazione dell’elemento dell’eterogeneità delle sostanze stupefacenti detenute.
Con riferimento a questo aspetto il collegio rimettente, però, ha rilevato, come sopra anticipato, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale che necessita di soluzione da parte delle Sezioni unite.
Con l’ordinanza vengono, pertanto, posti al supremo consesso due quesiti, il secondo dei quali consequenziale al primo.
La prima questione devoluta riguarda la compatibilità tra il fatto di lieve entità e l'accertata illecita disponibilità di sostanze psicotrope di differente natura: «se la diversità di sostanze stupefacenti, a prescindere dal dato quantitativo, osti alla configurabilità dell'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990». In secondo luogo viene chiesto «se, in caso negativo, il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 possa concorrere con uno dei reati di cui al medesimo art. 73, commi 1 e 4».
3.2. Premesse di diritto
Le Sezioni unite preliminarmente, operano una ricognizione dell’articolata evoluzione normativa in materia di stupefacenti, con particolare riguardo alla fattispecie di lieve entità. Ripercorrono, successivamente, le argomentazioni contenute nell’ordinanza di rimessione con riferimento all’esistenza di due orientamenti giurisprudenziali in tema di configurabilità della fattispecie di lieve entità in ipotesi di detenzione di sostanze stupefacenti di differente tipologia, indicando l’adesione della sezione rimettente all’orientamento positivo e più recente.
Viene altresì riportata la possibilità, prospettata dall’ordinanza di rimessione, di un concorso formale fra le fattispecie di cui al primo e quarto comma e la fattispecie di lieve entità di cui al quinto comma, alla quale, però, come vedremo, le Sezioni unite riterranno di non aderire.
Nel procedere all’analisi in diritto della questione, anzitutto la Corte ribadisce l’ormai consolidato mutamento della natura della fattispecie di lieve entità da circostanza attenuante speciale ad ipotesi autonoma di reato. Gli indici sintomatici della mutazione si rinvengono nella modifica del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 309/’90; la formulazione “chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo”, in sostituzione della previgente “quando (...) i fatti previsti dal presente articolo”, tradisce la volontà di ricorrere ad un lessico tipico delle ipotesi di reato autonome.
Il collegio ritiene, poi, opportuno operare delle precisazioni con riferimento alla clausola di riserva con cui si apre la disposizione del comma cinque. Considerata la natura autonoma della fattispecie si potrebbe porre un problema di concorso di norme rispetto alle disposizioni, contenute nei precedenti commi. In realtà, la sentenza chiarisce che tale concorso è solo apparente e risolvibile mediante l’applicazione del criterio di specialità. La presenza della clausola di riserva, che aveva fatto sorgere dei dubbi circa la sussistenza di un rapporto di sussidiarietà tra il comma cinque e i precedenti, non si riferisce, in realtà, alle ipotesi di reato di cui ai commi da uno a quattro, ma a fattispecie di reato ulteriori e più gravi rispetto a quelle contenute nell’art. 73 del d.P.R. 309/’90; è con riferimento a queste ultime che sussiste un rapporto di sussidiarietà e non, invece, con riguardo alle ipotesi di reato previste dal medesimo articolo, con le quali si instaura, invece, un rapporto di specialità. Le condotte di cui al comma cinque dell’art. 73 sono infatti coincidenti con quelle contemplate dai precedenti commi e caratterizzate solo da una minore offensività, pertanto le fattispecie si pongono in un rapporto di genere a specie che, a norma dell’art. 15 c.p., conduce all’applicazione della disposizione speciale nei casi in cui occorrano le caratteristiche richieste dalla stessa[26].
La sentenza Murolo, a ragione, chiarisce che sarebbe illogica la soluzione per cui la clausola di riserva del comma cinque si riferisse ai precedenti commi dello stesso articolo, in quanto opererebbe in sostituzione del criterio di specialità, rendendo così inapplicabile l’ipotesi di lieve entità. Una simile conclusione sarebbe non soltanto illogica, ma altresì contrastante con la volontà legislativa di ampliare l’ambito di applicazione del più favorevole regime sanzionatorio previsto dal comma cinque per le fattispecie di lieve entità.
Secondo i giudici di legittimità, la previsione di una clausola di riserva indeterminata accanto ad una disposizione speciale denota la volontà legislativa di far operare i criteri di specialità e sussidiarietà su piani diversi, ritenendo il primo un criterio necessario per l’applicazione di un trattamento sanzionatorio che si attagli perfettamente a fattispecie che presentino delle peculiarità rispetto al reato base.
3.3. Prima questione: lieve entità ed eterogeneità delle sostanze stupefacenti
Chiarito questo aspetto preliminare, utile a risolvere i dubbi di quanti ritenessero esistente un concorso di norme, le Sezioni Unite Murolo passano ad esaminare il primo quesito relativo alla configurabilità della fattispecie di lieve entità nell’ipotesi in cui l’oggetto delle condotte illecite sia costituito da una variegata tipologia di sostanze stupefacenti.
I giudici ripercorrono anzitutto i diversi orientamenti della giurisprudenza di legittimità sul punto.
Il primo e più datato, sebbene alcune recenti sentenze lo abbiano recepito, è quello che esclude la configurabilità della fattispecie di lieve entità qualora le condotte illecite abbiano ad oggetto diverse tipologie di sostanze stupefacenti. Si ritiene che la disponibilità di una distinta varietà di narcotico sia indice di una particolare capacità dell’agente di procurarsi un’eterogeneità di sostanze e di rifornire una variegata platea di assuntori, così da pregiudicare più gravemente il bene della salute pubblica tutelato dalla disciplina contenuta nell’art. 73 del T.U. in esame.
I giudici procedono all’esame di alcune delle sentenze di legittimità che hanno accolto l’orientamento suddetto[27], evidenziando le peculiarità di alcune. Il denominatore comune è, però, il carattere assorbente del dato dell’eterogeneità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta che, in quanto ritenuto di particolare disvalore, assume maggiore rilievo rispetto agli indici che depongono, invece, per la valutazione del fatto come lieve.
La sentenza delle S.U. passa, poi, all’esame dell’indirizzo interpretativo che si è fatto strada più recentemente nella giurisprudenza di legittimità[28], secondo il quale l’elemento dell’eterogeneità delle sostanze stupefacenti non sarebbe di per sé solo sufficiente ad escludere la configurabilità della fattispecie di lieve entità. Esso, infatti, può assumere valore escludente solo qualora sia espressione di una particolare offensività della condotta.
Ebbene le Sezioni unite esprimono la convinta adesione a tale secondo orientamento, sottolineando che già in pronunce precedenti e, addirittura, di poco successive all’emanazione del T.U. Stup., il supremo consesso aveva accolto una lettura aderente al dato normativo e non restrittiva. Il comma cinque dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, infatti, opera un’elencazione dei parametri che non lascia intravedere la prevalenza di uno di essi sugli altri, come avviene, ad esempio, nella formulazione dell’art. 80 dello stesso testo unico, che contempla la circostanza aggravante dell’ingente quantità.
Nella fattispecie di lieve entità nemmeno il dato ponderale, che pure, spesso è sintomatico di un’attività di dimensioni rilevanti, può essere, dunque, considerato a priori fattore escludente, nonostante in dottrina sia stato riconosciuto che, nella disciplina degli stupefacenti in generale e nell’ipotesi di lieve entità in particolare, “la risposta sanzionatoria [sia] quasi sempre dipesa dal dato ponderale”[29].
Il supremo collegio ribadisce, riprendendo due propri precedenti, le sentenze Primavera[30] e Rico[31], che gli elementi caratterizzanti la fattispecie di lieve entità devono essere valutati complessivamente onde avere contezza del grado di offensività della condotta.
La valenza positiva o negativa di ogni indice può essere compensata dall’esistenza degli altri parametri ai fini della integrazione o esclusione della fattispecie di lieve entità; solo l’impossibilità di una compensazione causata dalla valenza negativa assorbente di uno dei fattori, può condure alla prevalenza dello stesso. Ciò significa che la valutazione negativa di uno dei parametri sarà indice della portata offensiva della condotta solo in quanto prevalente sugli altri.
Tale operazione valutativa deve essere effettuata dal giudice in concreto, caso per caso, e deve essere resa esplicita nella motivazione della sentenza, anche in modo da permettere, in un eventuale giudizio di legittimità, il vaglio sulla correttezza della decisione.
Le medesime considerazioni valgono, come è ovvio, anche per l’elemento dell’eterogeneità delle sostanze che, specifica la sentenza, rientra tra le “modalità dell’azione”. La diversità tipologica di sostanze detenute, non può, se considerata isolatamente, descrivere la condotta come grave e, pertanto, escludere l’applicabilità della fattispecie di lieve entità. Sebbene questo elemento possa essere sintomatico dell’inserimento dell’agente nel tessuto criminoso, ciò non necessariamente fornisce indicazioni circa la gravità della specifica condotta che è al vaglio del giudice. È invero opportuno un giudizio complessivo dell’oggetto della condotta e delle modalità dell’azione, nell’ambito del quale è possibile una neutralizzazione del fattore della eterogeneità mediante la valutazione positiva di un qualsiasi altro elemento che caratterizzi il fatto di lieve entità. Viceversa l’assenza di fattori che ammantino il fatto della lieve entità, rende preponderante la diversità tipologica e determina l’esclusione dell’ipotesi di reato in esame.
Nel caso di specie le Sezioni unite ritengono, però, che la valutazione della Corte territoriale in merito alla mancata configurazione dell’ipotesi di lieve entità, sia corretta e opportunamente motivata, in quanto l’eterogeneità del narcotico oggetto di detenzione e cessione non costituisce l’unico elemento che depone per una condotta particolarmente lesiva del bene tutelato e, quindi, per l’esclusione della fattispecie di lieve entità.
La condotta è caratterizzata da modalità che denotano lo svolgimento di un’attività di cessione non occasionale, in ragione del rinvenimento sull’automobile di 56 dosi di cocaina sigillate e di strumenti per il confezionamento del narcotico, consistenti in mille pellicole trasparenti a chiusura ermetica, due scatole di punti per cucitrice, una spillatrice e cinque bilancini di precisione perfettamente funzionanti.
Ulteriore elemento considerato negativamente nella valutazione delle circostanze del fatto è la consumazione della condotta detentiva nei pressi di un bar, luogo tipicamente frequentato da un ingente numero di avventori e, pertanto, possibile piazza di spaccio.
Infine non va tralasciato che il quantitativo di stupefacente rinvenuto non è irrisorio.
3.4. Seconda questione: il concorso di reati previsti dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
Enunciato il primo principio di diritto, la sentenza passa ad analizzare la seconda questione posta dall’ordinanza di rimessione, con la quale viene chiesto se sia configurabile il concorso tra la fattispecie di lieve entità ed una delle ipotesi previste dai commi precedenti. Prima di esaminare il caso di specie, il Collegio opera una digressione sul concorso tra le fattispecie autonome contemplate dai primi quattro commi dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ponendo la premessa secondo cui, in materia di stupefacenti ed in ipotesi di eterogeneità, si configurano più reati quando le sostanze sono contenute in tabelle diverse; se fossero, al contrario, contenute in un'unica tabella, si tratterebbe di un unico reato.
È configurabile, secondo la Corte, il concorso tra reati previsti dall’art. 73 suddetto, considerato che si tratta di una norma mista cumulativa, cioè comprendente autonome ipotesi di reato. Le ipotesi di reato sono diverse anche qualora contemplino le medesime condotte, ma abbiano oggetto differente; in particolare, se le fattispecie hanno ad oggetto sostanze stupefacenti appartenenti a tabelle diverse, si configureranno due reati autonomi, eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione: è ciò che accade nei rapporti tra il comma 1 e il comma 4 dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309.
Diversamente si atteggiano i rapporti tra disposizioni che realizzano l’una la specificazione dell’altra: in tal caso il concorso è apparente e risolvibile mediante il criterio della specialità. In tal senso si configura la relazione tra i commi 2-3 e 1-4[32] o tra uno dei primi quattro commi e il quinto.
Infine, nell’ipotesi di più condotte aventi ad oggetto sostanze tabellarmente eterogenee[33], i reati saranno in concorso fra loro, e qualora siano commessi con il fine di realizzare il medesimo disegno criminoso, saranno altresì da considerarsi in continuazione ai sensi dell’art. 81, co. 2, c.p.
Con particolare riferimento al concorso tra il reato di lieve entità e le ipotesi previste dai commi precedenti, questo è sicuramente configurabile qualora le diverse condotte, una di lieve entità ed una comune, abbiano ad oggetto sostanze stupefacenti differenti e si siano realizzate in contesti spazio-temporali distinti.
La questione, nel caso in esame, si pone con riguardo a plurime condotte relative al medesimo oggetto, sebbene di tipologia variegata, realizzate in un unico contesto di azione. Le Sezioni Unite ritengono astrattamente configurabile, anche in tal caso, un concorso fra il comma 5 e le altre disposizioni dello stesso articolo, mediante la scissione del fatto in relazione alle sostanze oggetto dell’una o dell’altra partizione dello stesso.[34] Tuttavia tale scissione è, in concreto, ostacolata dalla valutazione complessiva del fatto che, secondo la giurisprudenza è necessario operare ai fini del giudizio sulla lieve entità.
3.5. Terza questione: concorso di reati di lieve entità
Le Sezioni unite ritengono opportuno affrontare un’ulteriore questione, trattata soltanto incidentalmente dall’ordinanza di rimessione, che condurrà all’espressione di un terzo principio di diritto. Scendendo nel dettaglio della disciplina del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ci si chiede se sia configurabile un concorso di reati, nell’accezione di concorso formale o di continuazione, nell’ipotesi in cui la condotta di detenzione di lieve entità abbia ad oggetto diverse tipologie di sostanze stupefacenti. La soluzione presupporrebbe la configurabilità di due reati in ragione dell’esistenza di due fattispecie autonome, diversificate per tipologia di sostanza stupefacente, implicitamente previste dalla disposizione; il ragionamento farebbe leva sulla necessaria simmetria della disciplina dell’ipotesi di lieve entità rispetto a quella del “fatto comune”, che prevede trattamenti sanzionatori differenti in relazione alle “droghe pesanti” e “droghe leggere”. Questa simmetria è stata scientemente esclusa dal legislatore del 2014 con un provvedimento la cui legittimità è stata vagliata dalla Consulta con sentenza del 13 gennaio 2016, n.23[35].
Stante l’unicità della fattispecie contenuta nella disposizione in esame, non è verificabile il fenomeno del concorso di reati laddove una condotta di lieve entità abbia ad oggetto una pluralità di tipologie di narcotico.
4. Lieve entità e coltivazione
Come gli altri reati previsti dall’art. 73 T.U. Stup., anche la coltivazione non autorizzata[36] di piante dalle quali siano ricavabili sostanze stupefacenti può essere punita meno gravemente se ritenuta di minima offensività, avuto riguardo alle circostanze previste dal comma 5 dello stesso articolo. Diversamente il legislatore del 1990 ha ritenuto di non inserire la coltivazione nell’alveo dell’art. 75 del d.P.R. citato, che sanziona in via amministrativa le condotte finalizzate al consumo personale.
Gli indici per l’integrarsi di un’ipotesi di coltivazione di lieve entità sono, come detto, quelli indicati dal comma cinque, ma, in particolare la giurisprudenza di legittimità ha specificato che “deve aversi riguardo sia al principio attivo ricavato nell'immediato, sia a quello ricavabile all'esito del ciclo biologico delle piante, sia ad una apparente destinazione per uso non esclusivamente personale, per tipo, qualità, quantità e livello di produzione, tenuto conto del fabbisogno medio dell'agente.” (Cass. pen., sez. 4, 7 maggio 2019, n.35963[37])[38].
Sebbene la coltivazione possa essere connotata da lieve entità e, per questo, essere punita meno gravemente, tuttavia non è legislativamente prevista l’ipotesi di coltivazione per uso personale.
La giurisprudenza costituzionale e di legittimità, nonostante alcune sollecitazioni di senso opposto, hanno avversato la possibilità di negare rilevanza penale alla condotta di coltivazione di dimensioni minime e i cui prodotti siano idonei esclusivamente all’uso personale.
Si tratta di una tesi che trova la sua giustificazione nell’interpretazione letterale del dato normativo e che si è consolidata con le sentenze della Corte costituzionale 360/1995[39] e 190/2016[40], mediante le quali è stato chiarito che la previsione della sola sanzione penale per la condotta di coltivazione e la corrispondente esclusione dall’art. 75 d.P.R. 309/’90, norma che prevede le sole sanzioni amministrative per le condotte di uso personale, non determina violazione dei principi di uguaglianza ed offensività[41].
Le due pronunce, rigettando le questioni di legittimità costituzionale sollevate, hanno fondato la loro decisione su due ordini di ragioni, uno inerente alla mancanza di un nesso di immediatezza fra la coltivazione e l’uso personale, l’altro di tipo ontologico-naturalistico. Quanto al primo aspetto hanno ritenuto che la condotta di coltivazione non può essere equiparata a tutte le altre in quanto, diversamente da esse, non presenta un nesso immediato rispetto all’uso della sostanza, quindi potrebbe essere minore la probabilità che lo stupefacente derivante dalla coltivazione sia finalizzato ad un uso personale. La differenza nei caratteri delle condotte giustifica la disparità di trattamento ed, in particolare, l’estromissione dall’alveo delle condotte soggette ad un trattamento sanzionatorio amministrativo. Con riferimento alla generalità dei reati in materia di stupefacenti, l’esclusione della sanzione penale trova la sua ratio in un atteggiamento meno paternalistico del legislatore che ritiene di non perseguire penalmente l’uso personale di sostanze psicotrope; la stessa ratio non potrebbe sorreggere la medesima esclusione per la coltivazione, condotta meno probabilmente rivolta alla produzione di sostanze finalizzate all’uso personale. È, pertanto, ragionevole la differenza di trattamento sanzionatorio.
Con riferimento, invece, all’asserita violazione del principio di offensività, la Consulta ha condotto in entrambe le sentenze un’analisi sui due piani di operatività del principio in esame, astratto e concreto. Ha ritenuto che la coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti sia potenzialmente lesiva dei beni della sicurezza e della salute pubblica, quindi dotata di offensività, in quanto la capacità di produzione della pianta è indeterminabile e in ogni caso la condotta, anche se per minime quantità, è idonea ad accrescere il quantitativo di narcotico che può essere immesso nel mercato della droga. La condotta di coltivazione presenta rispetto alle altre un quid pluris di offensività, nella sua accezione astratta, che ne giustifica altresì il ricorso alla sanzione penale[42].
Non vige tuttavia alcun automatismo circa la concreta offensività della condotta che deve essere valutata dal giudice che, riscontrandone l’assenza, può far confluire la fattispecie nella figura del reato impossibile ex art. 49 c.p.
La giurisprudenza di legittimità ha mutuato le argomentazioni della sentenza 360/1995 per ritenere penalmente rilevanti tutte le condotte di coltivazione non autorizzata. Infatti nonostante la pronuncia della Consulta, la sesta sezione aveva tentato, riprendendo un vecchio orientamento già proposto, di escludere un certo tipo di coltivazione dall’ambito di rilevanza penale, mediante la presunta distinzione tra l’ipotesi di coltivazione “tecnico-agraria” o “imprenditoriale” e la coltivazione “domestica”, e, laddove l’attività non fosse stata di tipo imprenditoriale, ma domestica, avrebbe dovuto essere intesa come detenzione, in quanto momento immediatamente antecedente ad essa e quindi soggetta esclusivamente all’applicazione di una sanzione amministrativa, ove finalizzata al consumo personale.
Questo filone interpretativo non ha ottenuto l’avallo delle Sezioni unite Di Salvia del 2008[43]. Tale pronuncia anzitutto riafferma due argomenti utilizzati dalla Corte costituzionale secondo i quali “La destinazione ad uso personale non può assumere alcun rilievo, sia perchè difetta il nesso di immediatezza della coltivazione con l'uso personale, sia perchè non può determinarsi a priori la potenzialità della sostanza stupefacente ricavabile” (Sez. Un. Pen. 10 luglio 2008, n.28605).
Rileva altresì che non sussiste alcun fondamento normativo che giustifichi la distinzione tra coltivazione “tecnico-agraria” e coltivazione “domestica”; non è corretto attribuire alla nozione di coltivazione domestica un significato residuale rispetto al quello di coltivazione imprenditoriale, considerandola lecita qualora sia svolta in mancanza delle condizioni prescritte dagli artt. 27 e segg., quali, ad esempio, la disponibilità del terreno, la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la disponibilità di locali per la raccolta dei prodotti. Tali prescrizioni sono infatti finalizzate all’ottenimento dell’autorizzazione di cui agli artt. 16 e 17 T.U. Stup. e la loro assenza è ostativa alla stessa ma non è indice di un’attività lecita perché domestica, né di mera detenzione suscettibile di essere sanzionata solo sul piano amministrativo.
Rimane irrisolto il nodo interpretativo sulla valutazione dell’offensività in concreto, cui attribuiscono differente significato due principali orientamenti, accomunati, però, dal requisito della conformità della pianta al tipo botanico vietato.
Secondo il primo filone, la concreta offensività della condotta di coltivazione prescinderebbe dalla verifica dell’efficacia stupefacente del prodotto derivato dalla pianta nel momento dell’accertamento da parte della polizia giudiziaria e si fonderebbe sulla sua capacità, anche in relazione alle modalità di coltivazione, di giungere a maturazione e produrre sostanze psicotrope, secondo un giudizio predittivo[44].
Nell’ambito di questo filone interpretativo si inserisce una corrente secondo la quale, nelle ipotesi di un ciclo vegetale già esaurito, il processo di verifica va condotto ex post e rileva esclusivamente l’efficacia drogante, mentre nelle ipotesi di processo di crescita non concluso rileverà l’attitudine alla produzione di sostanze utili per il consumo.
L’orientamento di senso opposto, invece, fonda il giudizio relativo all’offensività in concreto, oltre che sulla conformità della pianta al tipo botanico vietato e sulla capacità drogante della sostanza ricavata o ricavabile, anche sulla sussistenza del pericolo concreto di aumento della disponibilità e diffusione dello stupefacente[45]. L’enucleazione di tale ulteriore presupposto ha condotto all’esclusione dell’offensività in concreto nell’ipotesi di un numero esiguo di piante e di una bassa quantità di principio attivo.[46]
Va dato atto di una recentissima sentenza delle Sezioni unite[47] che dirime il contrasto interpretativo in favore del secondo filone fra i due summenzionati, ma con un novum rispetto al passato. La Corte, prima ancora di pronunciarsi sulle modalità del giudizio relativo all’offensività, si sofferma sull’elemento della tipicità. La pronuncia afferma che, pur rimanendo la coltivazione distinta dalla condotta di detenzione[48], la coltivazione di minime dimensioni, finalizzata al consumo personale, non può essere inclusa nell’area del penalmente rilevante, perché non si tratta di una condotta tipica ai sensi dell’art. 73 d.P.R. 309/’90, da leggersi secondo un’interpretazione restrittiva. Una tale lettura è giustificata dalla natura di reato di pericolo presunto che opera un’anticipazione di tutela la quale va bilanciata con un restringimento dell’ambito di operatività della norma.
Le Sezioni unite al fine di giustificare l’esclusione della rilevanza penale della condotta di coltivazione di minime dimensioni per uso personale valorizzano il dato normativo di cui agli artt. 27 e segg. del d.P.R. citato. Essi indicano i presupposti strutturali di una coltivazione di tipo “imprenditoriale”, in mancanza dei quali la condotta sarebbe di tipo domestico e quindi non rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 73 suindicato. Si tratta, in particolare, delle "particelle catastali", la "superficie del terreno sulla quale sarà effettuata la coltivazione", delle modalità di vigilanza, raccolta e produzione delle "coltivazioni autorizzate" e le eccedenze di produzione "sulle quantità consentite"; tali elementi sono stati ritenuti dalla pronuncia in esame evocativi di una coltivazione "tecnico-agraria", di apprezzabili dimensioni e realizzata per finalità commerciali, non limitata, dunque, all'ambito domestico.
La pronuncia individua in seguito un parametro per individuare correttamente il tipo di coltivazione che integri il reato di cui all’art. 73, che è quello della prevedibilità della potenziale produttività di sostanza stupefacente, che deve essere, però, affiancato a “presupposti oggettivi compresenti, quali la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica e non industriale, la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di inserimento dell’attività nell’ambito del mercato degli stupefacenti, l’oggettiva destinazione di quanto prodotto all’uso personale esclusivo del coltivatore. A contrario, la circostanza che la coltivazione sia intrapresa con l'intenzione soggettiva di soddisfare esigenze di consumo personale deve essere ritenuta da sola insufficiente ad escluderne la rispondenza al tipo penalmente sanzionato, perchè - come appena visto - la stessa deve concretamente manifestare un nesso di immediatezza oggettiva con l'uso personale[49]”.
Le Sezioni unite si soffermano, poi, approfonditamente sul versante dell’offensività.
Sul piano dell’offensività in astratto non si pone più alcun dubbio circa la necessità che la sanzione penale operi ad un livello anticipato di tutela dei beni, in quanto l’attività colturale è sicuramente maggiormente offensiva rispetto alle altre condotte in ragione della sua idoneità ad accrescere in maniera indeterminabile la quantità di stupefacente esistente. In altri termini, considerata ormai pacificamente compatibile la categoria dei reati di pericolo astratto con il principio di offensività, la sanzionabilità penale della condotta di coltivazione è ritenuta coerente con la tutela della salute pubblica che potrebbe essere posta in pericolo dall’accrescimento di indiscriminato dei quantitativi di stupefacente disponibili e dalla conseguente creazione di maggiori occasioni di spaccio. L’attività di coltivazione gode di una spiccata pericolosità anche rispetto alle altre condotte produttive, quali la produzione e la fabbricazione, in quanto non richiede la disponibilità di materie prime, soggette a controllo, ma solo dei semi.
Sulla scorta della qualificazione della fattispecie in esame come reato di pericolo presunto, il supremo consesso risolve, altresì, la questione inerente all’individuazione del bene giuridico protetto: appare superfluo il riferimento ad altri interessi, quali la sicurezza o l’ordine pubblico, considerato che la salute, diritto soggettivo, dotato di copertura costituzionale, permette una significativa anticipazione della tutela.
Quanto all’accezione concreta del principio di offensività, la Corte ritiene che la sua valutazione da parte del giudice nel caso di specie costituisca un temperamento della qualificazione della coltivazione di stupefacenti come reato di pericolo presunto, poiché il giudicante deve accertare che la condotta abbia effettivamente leso o posto in pericolo la salute pubblica[50]. La verifica dovrà essere condotta, accertando la conformità della pianta al tipo botanico vietato e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanze stupefacenti. L’accertamento andrà diversificato a seconda dello stadio di maturazione in cui si trovano le piante: se il ciclo di maturazione è completo, si dovrà verificare che la quantità di principio attivo presente sia idoneo a procurare effetto drogante, se la coltivazione si trova ad uno stadio pregresso, si dovrà valutare che essa sia svolta in modo da “potersene prefigurare il positivo sviluppo”[51]. Non è dirimente la quantificazione del principio attivo rinvenuto in sede di accertamento da parte della polizia giudiziaria, anche in ragione del fatto che condurrebbe alla paradossale conclusione per cui la configurabilità o meno del reato potrebbe dipendere dal momento dell’avvenuto controllo.
La Corte sottolinea, poi, come la conclusione a cui si perviene si coordina con la decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea n. 2004/757/GAI che include, fra le condotte in materia di stupefacenti quella in virtù della quale gli Stati membri vengano chiamati a configurare come reato la coltivazione, ma esclude dal proprio ambito applicativo le condotte, fra cui la stessa coltivazione, finalizzate all’uso personale che, tuttavia, possono essere oggetto di incriminazione. Il supremo consesso, tuttavia, omette che, sebbene nel nostro ordinamento la coltivazione per uso personale dello stupefacente non sia espressamente prevista, tale condotta non è contemplata fra quelle per le quali il legislatore esclude la punibilità qualora siano finalizzate all’autoconsumo e per le quali è previsto un trattamento sanzionatorio amministrativo[52].
In conclusione, la sentenza delle Sezioni unite ha considerato lecita la condotta di coltivazione domestica finalizzata al consumo personale qualora realizzata secondo le caratteristiche espressamente indicate, in quanto carente della tipicità.
È stato osservato, in proposito, come l’attività di coltivazione domestica finalizzata all’uso personale resti così impunita sia sul piano penale che su quello amministrativo, vista la sua esclusione giurisprudenziale e normativa rispettivamente dagli articoli 73 e 75 T.U. Stup.
Con l’ultima sentenza, però, le Sezioni unite hanno compiuto un ulteriore passo nella direzione di un atteggiamento di minor rigore nella risposta sanzionatoria al fenomeno, spingendosi ad affermare la liceità della coltivazione domestica rudimentale di piante stupefacenti, mediante la creazione di una “sotto-fattispecie” rispetto alla generale condotta di coltivazione[53].
Questo espediente viene realizzato mediante una lettura, secondo molti, poco rigorosa degli articoli 27 e segg. del Testo Unico. In particolare, alla suddetta pronuncia, sono mosse le ancora attuali obiezioni già sollevate, con riferimento a precedenti pronunce orientatesi nello stesso senso, anche da parte delle Sezioni unite Di Salvia. Non sembra, infatti, avere fondamento normativo l’assunto per cui l’assenza delle condizioni previste dalle disposizioni predette ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione alla realizzazione di una coltivazione di tipo imprenditoriale possa essere ragione per considerare automaticamente la coltivazione come domestica.
Appare,inoltre, poco coerente il quadro normativo che si delinea dopo la pronuncia del 2019, in quanto la detenzione del prodotto estratto dalla coltivazione ritenuta lecita è, invece, punibile ai sensi dell’art. 75 d.P.R. citato, pur costituendo condotta naturalisticamente successiva e, quindi, automaticamente realizzata dal coltivatore. Diversamente, qualora si tratti di coltivazione penalmente rilevante, la detenzione dei derivati sarebbe da considerare post factum non punibile e sarebbe assorbito dal reato di coltivazione già punito ai sensi dell’art. 73.
Nonostante le critiche mosse, però, bisogna prendere atto del fatto che, in seguito all’intervento giurisprudenziale suddetto, è oggi vigente un nuovo assetto della disciplina in materia di coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze psicotrope. La coltivazione, infatti, è connotata da una differenza di trattamento sanzionatorio in ragione della categoria in cui rientra l’attività colturale e dello scopo cui è rivolta.
La coltivazione imprenditoriale non autorizzata è penalmente rilevante, quindi punibile ai sensi dell’art. 73 d.P.R. 309/’90, invece, la medesima condotta, caratterizzata dalla presenza di una serie di presupposti, è ritenuta domestica e considerata lecita qualora sia finalizzata ad un uso esclusivamente personale dei prodotti derivati; la detenzione di tali prodotti per uso personale risulta tuttavia punibile in via amministrativa secondo la previsione dell’art. 75 del medesimo d.P.R. Alla coltivazione illecita resta applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p. e, in via gradata, è configurabile la fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73 d.P.R. 309/’90.
5. I rapporti tra lieve entità e particolare tenuità del fatto
In seguito all’introduzione, con d. lgs. 16 marzo 2015, n.28, dell’ipotesi di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto si sono innescate una serie di discussioni sul suo ambito di applicazione e, in particolare sulla sua compatibilità con i reati di pericolo astratto e con la fattispecie di lieve entità del fatto di cui all’art. 73, co. 5 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Con riferimento alla compatibilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. con i reati di pericolo astratto la dottrina[54] e la giurisprudenza[55] sono concordi nel ritenere l’istituto ad essi applicabile. Si assume che, se per tale categoria di reati si ammette una valutazione sulla concreta inoffensività del fatto, non può escludersi la possibilità dell’accertamento sulla tenuità dell’offesa.
Quanto all’aspetto che maggiormente interessa ai fini della trattazione, appare pacificamente affermata la compatibilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto con la fattispecie di lieve entità di cui al comma cinque dell’art. 73 d.P.R. 309/’90. La dottrina[56] sottolinea che potrebbero sorgere dei dubbi a causa della nuova qualificazione del fatto di lieve entità come fattispecie autonoma in luogo della precedente circostanza attenuante, in quanto l’art. 131-bis prevede al comma 5 la propria applicabilità anche nei casi in cui la particolare tenuità del danno o del pericolo siano previste come circostanze attenuanti. Il dubbio, però, appare infondato anche in ragione dell’esistenza di altre fattispecie incriminatrici che incriminano un fatto di bassa capacità offensiva. Si fa riferimento, in particolare, all’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 2621 bis c.c. a cui, come agli altri reati di false comunicazioni sociali, l’art. 2621 ter adatta la disciplina dell’art. 131-bis.
Posta la compatibilità tra lieve entità e particolare tenuità del fatto, si segnalano tuttavia delle perplessità sulla possibile applicazione dell’ipotesi di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto anche in luogo di casi di concreta inoffensività del fatto per impossibilità del reato ex art. 49, co.2, c.p.[57]. Ciò significherebbe, però, come rilevato da molti, sovrapporre i due piani, dogmaticamente differenti, della inoffensività e della particolare tenuità del fatto. I due istituti, infatti, sebbene poggino sul medesimo fondamento dell’intervento penale in ragione dell’offesa al bene giuridico protetto, si discostano con riferimento al segmento del reato al quale si riferiscono. Mentre l’inidoneità del fatto a realizzare una concreta offesa ne esclude la tipicità, la tenuità dell’offesa, codificata dall’art. 131-bis, esclude la punibilità del fatto che non perde i connotati della tipicità e antigiuridicità.
La suesposta differenza determina la diversità dell’ambito applicativo delle due fattispecie: l’inoffensività può operare illimitatamente, l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto solo laddove sussistano i requisiti richiesti dall’art. 131-bis.
Chiarito che tra l’ipotesi di inoffensività e quella di particolare tenuità deve intercorrere una netta linea di confine, si ribadisce come, in materia di coltivazione domestica di piante da cui si ricavino sostanze stupefacenti, superata la soglia di punibilità, sia possibile valutare la condotta come “di lieve entità” qualora sussistano i requisiti previsti dall’art. 73, co. 5, d.P.R. 309/’90 e, ove ne sussistano i presupposti, applicare altresì la causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p.
6. Conclusioni
Tornando alla sentenza oggetto della trattazione, essa ha composto il contrasto sull’insufficienza dell’elemento dell’eterogeneità delle sostanze stupefacenti, isolatamente considerato, ai fini dell’esclusione della fattispecie di lieve entità.
Nata per esigenze di riequilibrio del sistema punitivo, la fattispecie di lieve entità di cui al comma 5 dell’art. 73 si è posta, secondo parte della dottrina, come l'unico presidio di ragionevolezza rispetto all'equiparazione fra droghe pesanti e leggere[58].
Proprio in ragione della sua funzione mitigatrice, nel rispetto della volontà legislativa la fattispecie di lieve entità dovrebbe coprire un ambito di applicazione sufficientemente ampio da ricomprendere tutte le condotte contemplate dai primi quattro commi dell’art. 73 connotate dall’unica specificità della “lieve entità”.
Talvolta, tuttavia, la giurisprudenza ha ceduto alla tentazione di ritenere il fatto non lieve mediante una valutazione degli elementi previsti dall’art. 73 non rispondente al dato letterale, cioè attribuendo maggiore rilievo al dato quali-quantitativo[59] della sostanza stupefacente oggetto della condotta presa in considerazione nel caso concreto. In particolare spesso la diversità tipologica di narcotico ha condotto i giudici di merito, avallati in tal senso da un filone della giurisprudenza di legittimità, a escludere la configurabilità della fattispecie di lieve entità.
La sentenza in commento ha,invece, il pregio di aver nuovamente affermato la configurabilità della fattispecie di lieve entità in ipotesi di eterogeneità del narcotico oggetto della condotta illecita, sottolineando che tale applicazione è l’unica che si pone in accordo con il dato normativo, nonché con i principi costituzionali di offensività e proporzionalità. Infatti l’art. 73 elenca gli indici, relativi all’oggetto (qualità e quantità) e alle modalità della condotta, ponendoli in posizione paritaria e non di prevalenza l’uno sull’altro. Per questo la sentenza Murolo afferma che la valutazione di uno solo degli indici, quale, ad esempio, quello della eterogeneità delle sostanze, che, come detto, rientra fra le modalità dell’azione, non è sufficiente ad escludere la lieve entità del fatto, se effettuata mediante un’indagine che non coinvolga tutti gli altri elementi indicati dalla disposizione. È necessaria, invece, una valutazione complessiva degli elementi sintomatici della bassa offensività del fatto, in seguito alla quale sarà possibile ottenere il risultato della compensazione fra requisiti positivi e negativi che caratterizzano la condotta illecita oppure quello della netta prevalenza di un dato negativo che assorbirà gli altri.
Il criterio adottato dalle Sezioni unite Murolo, al fine di una corretta analisi da parte del giudice di merito circa la configurabilità dell’ipotesi di reato di cui al comma cinque dell’art. 73 d.P.R. 309/’90, è quello della “valutazione complessiva” degli indici in luogo di quello del “parametro negativo assorbente”. Quest’ultimo, infatti, può incidere sulla scelta della fattispecie applicabile solo in seguito alla valutazione globale degli elementi suddetti. Tale valutazione,inoltre, deve emergere dalla motivazione della sentenza in cui il giudice deve ripercorrere il “bilanciamento” tra gli indici, giustificando in maniera puntuale la propria scelta.
Alcune sentenze[60] che hanno dato applicazione alla sentenza commentata nutrono, tuttavia, il dubbio che l’onere motivazionale diventi un mero requisito formale in quanto il giudice potrebbe realizzare un giudizio che attribuisca in concreto maggiore rilievo ad uno degli indici. In tal modo, nonostante quanto statuito dalla Corte di cassazione, vi sarebbe il rischio di un ritorno all’utilizzo del criterio del parametro negativo assorbente, sebbene gravato dall’onere motivazionale, a discapito di quello della valutazione complessiva. La giurisprudenza suggerisce, al fine di una corretta applicazione del criterio della valutazione globale, di operare un giudizio binario che definisca ogni elemento come positivo o negativo. Questo tipo di giudizio darebbe rilievo al momento dinamico della condotta descritto dai tre indici dei mezzi, modalità e circostanze dell’azione, mentre resterebbe minoritario il dato statico relativo all’oggetto della condotta (qualità e quantità dello stupefacente)[61].
La sentenza Murolo, inoltre, pur non facendone l’argomento principale della questione, utilizza un ulteriore elemento a supporto della non ostatività dell’eterogeneità alla configurabilità della fattispecie di lieve entità. Facendo riferimento ad alcuni precedenti giurisprudenziali, la Cassazione conferma che non sussistono elementi per desumere dal dato normativo un’interpretazione restrittiva della fattispecie con riferimento alla diversità tipologica delle sostanze stupefacenti, ma che, anzi, la declinazione al plurale del termine “sostanze” sia sintomo di una contraria volontà ampliativa dell’ambito applicativo.
Medesimo rilievo non viene attribuito allo stesso dato letterale, “sostanze” declinato al plurale, nella parte in cui la Cassazione motiva la sussistenza di un concorso fra i reati che contemplino medesime condotte ma aventi ad oggetto sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee. Il rapporto intercorrente fra le fattispecie di cui ai commi 1 e 4, secondo la Cassazione, non può che essere di autonomia anche in ragione della natura legale della nozione di stupefacente che viene oggi individuata da tabelle che operano una distinzione sulla scorta della tipologia del narcotico. In questo caso le Sezioni unite assumono che la declinazione al plurale non possa leggersi disgiuntamente dalla successiva classificazione tabellare.
Viene, in tal modo, prospettata una disciplina coerente con la volontà legislativa, in quanto nel comma 5 la distinzione tabellare delle sostanze non è contemplata e, pertanto, non deve avere rilievo ai fini della configurabilità della lieve entità, mentre nei precedenti commi la declinazione al plurale si riferisce solo alle sostanze contenute nella stessa tabella e non può impedire il concorso tra reati che abbiano ad oggetto diverse tipologie di stupefacente.
Ad avviso della scrivente la declinazione al plurale di “sostanze” non è una scelta particolarmente incisiva sull’interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 73, ma viene valorizzata per creare un’argomentazione ad adiuvandum sia della possibilità che le condotte aventi ad oggetto varie tipologie di stupefacente siano di lieve entità, sia della configurabilità di un concorso fra i reati previsti dai commi 1 e 4.
A prescindere da questa considerazione a margine, sembra potersi affermare che la sentenza in commento, mediante delle argomentazioni assolutamente in sintonia con il dato normativo, si muova verso una applicazione estensiva della fattispecie di lieve entità, in coerenza con la volontà legislativa che ha condotto alla sua introduzione.
[1] Cass. Sez. Un. 27 settembre 2018, n.51063, in Cass. Pen., 2019, fasc. 5-6, pp. 1987-2008, nota di M. Toriello Il fatto di lieve entita' è configurabile anche in caso di detenzione di sostanze stupefacenti di diversa specie: i principi di diritto affermati dalle Sezioni unite con la sentenza Murolo. “Il “fatto di lieve entità”, recentemente mutato solo nella sua natura (non più circostanza attenuante, ma ipotesi autonoma di reato) e non anche nei presupposti applicativi, sanziona le condotte delittuose relative alle sostanze stupefacenti connotate da minima offensività. La sentenza Murolo delle Sezioni unite ha dato continuità al più recente orientamento di legittimità: la contestuale detenzione di droghe “pesanti” e droghe “leggere” non è di per sé ostativa al riconoscimento dell'ipotesi meno grave, che deve comunque conseguire ad una valutazione complessiva ed unitaria della condotta.”
[2] L. 21/02/2006, n.49, in Gazzetta uff. 27/02/2006 n. 48
[3] Con riferimento alla riforma operata dalla L. 49/2006, S. Grillo sub Art.73 d.P.R. n. 309/1990, in PALAZZO F. – PALIERO C.E. (a cura di), Commentario breve alle leggi penali speciali, Padova, 2007, pp. 2742 e segg.; MANNA A., La nuova disciplina in tema di stupefacenti ed i principi costituzionali in materia penale, in Dir. Pen. Proc., 2006, fasc. 7, pp. 829 e segg.; RUGA RIVA C., La nuova legge sulla droga: una legge “stupefacente” in nome della sicurezza pubblica, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2006, fasc. 1, pp. 234 e segg.
[4] Fra gli altri MANNA A., La nuova disciplina in tema di stupefacenti ed i principi costituzionali in materia penale in Dir. pen. e proc., 2006, fasc. 7, pp. 829-841
[5] C. Cost. 25 febbraio 2014, n.32, in Giur. Cost., 2014, 1, pp. 485-512 con nota di Cupelli
[6] La Corte Costituzionale ritenne insussistente il necessario nesso di interrelazione funzionale che sarebbe dovuto intercorrere tra il decreto-legge e la legge di conversione, stante l’assoluta eterogeneità dei contenuti degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, l. 49/2006, precetti di natura sostanziale che sanciscono la disciplina oggettiva dei reati in materia di stupefacenti, rispetto all’art. 4, d.l. 272/2005, che detta norme di carattere processuale attinenti alle modalità di esecuzione della pena e direttamente riferibili alla persona del tossicodipendente.
[7] Cass. Pen., Sez. 4, 28 febbraio 2014, n.10514 in Diritto & Giustizia 14 marzo 2014
[8] Trib. min. Reggio Calabria 5 febbraio 2015, n.113, in GU 1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n.24 del 17-6-2015
[9] C. cost. 11 gennaio 2016, n.23, in Giur. Cost., 2016, 1, p. 153
[10] “È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come sostituito dall'art. 1, comma 24-ter, lett. a), d.l. 20 marzo 2014, n. 36, conv., con modif., in l. 16 maggio 2014, n. 79, censurato, per violazione degli artt. 3, 27, comma 3, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione alla decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea del 25 ottobre 2004, n. 2004/757/GAI e all'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in quanto prevede un trattamento sanzionatorio differenziato a seconda della natura delle sostanze stupefacenti e psicotrope solo per le ipotesi di non lieve entità, mentre, per le ipotesi di lieve entità, individua un unico intervallo edittale, senza distinguere tra droghe leggere e droghe pesanti. La questione è volta ad ottenere un intervento additivo in materia penale, in assenza di soluzioni costituzionalmente obbligate, che interferirebbe indebitamente nella sfera delle scelte di politica sanzionatoria riservate al legislatore, in spregio al principio della separazione dei poteri. Tanto più che la novella ha lasciato ragionevoli spazi di discrezionalità al giudice per tradurre in pene minori, nell'ambito di un medesimo intervallo edittale, la minore gravità del fatto di lieve entità quale risulti anche dalla natura della sostanza. Il rimettente, peraltro, si limita ad affermare la necessità di una differenziazione dell'intervallo edittale, ma non indica quale sarebbe quella costituzionalmente obbligata. Nessun elemento può ricavarsi, in proposito, dall'invocato art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che si limita a codificare il principio di proporzionalità della pena, il quale — al pari del principio di ragionevolezza — non permette alla Corte costituzionale di determinare autonomamente la misura della pena, ma semmai di emendare le scelte del legislatore in riferimento a grandezze già rinvenibili nell'ordinamento. Né è di maggiore ausilio l'art. 4 della decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea n. 2004/757/GAI, che, lungi dal determinare precisi intervalli di pena per le diverse ipotesi di reato in tema di stupefacenti, si limita ad esigere che il legislatore nazionale fissi i massimi edittali al di sopra di determinate soglie minime, derogabili solo in pejus, secondo il cosiddetto «principio del minimo del massimo» (sentt. nn. 364 del 2004, 325 del 2005, 394 del 2006, 22 del 2007, 161 del 2009, 47, 250 del 2010, 68 del 2012, 30, 81, 241, 277 del 2014, 185 del 2015; ordd. nn. 145 del 1998, 213 del 2000, 158 del 2004, 224 del 2011, 190 del 2013)”, in Giur. cost., 2016, 1, p.153
[11] GAROFOLI R., Compendio di diritto penale, parte speciale, VI edizione 2018-2019, pp. 766 e segg.
[12] TOSCANO G., L'irrequieta vicenda della disciplina in materia di stupefacenti, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2015, fasc. 2, pp. 880 e segg.
[13] ROMANO L., La riforma della normativa di contrasto agli stupefacenti: osservazioni (poche e sparse) sulla legge 16 maggio 2014, n. 79. Ovvero tra novità, conferme e “sviste”, in Dir. pen. cont., 29 maggio 2014, p. 3
[14] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 31 maggio 1991, n.9148
[15] L’art. 380, contenente le ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza, nel contemplare la fattispecie di cui al comma cinque dell’art. 75 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la qualifica come delitto.
Art. 380, co.2, lett. h)
2. Anche fuori dei casi previsti dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti non colposi, consumati o tentati:
h) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell'articolo 73 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo.
[16] DONELLI F., Circostanze del reato e “tipicità negata” nella recente riforma del diritto penale degli stupefacenti, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2016, fasc. 4, p. 1879
[17] DELLA BELLA A., Un nuovo decreto legge sull'emergenza carceri: un secondo passo, non ancora risolutivo, per sconfiggere il sovraffollamento, in Dir. pen cont., 7 gennaio 2014, § 6, online
[18] In questo senso LEOPIZZI, Stupefacenti: questioni attuali (e urgenti) in fatto di lieve entità, in Giust. pen., 2014, fasc. 3, p. 129
[19] TORIELLO M., Il fatto di lieve entita' è configurabile anche in caso di detenzione di sostanze stupefacenti di diversa specie: i principi di diritto affermati dalle Sezioni unite con la sentenza Murolo, in Cass. Pen., 2019, fasc. 5-6, pp. 1987-2008
[20] PENCO E., Stupefacenti e fatto di lieve entità: la rilevanza dell’elemento quali-quantitativo nella pronuncia delle Sezioni Unite, in Giur. It. 2019, fasc. 3, pp. 663-675
[21] Cass. pen. 13 febbraio 2018, n.13982, in Diritto&Giustizia 27 marzo 2018, con nota di F. G. Capitani
[22] CAPITANI G.F., Piccolo spaccio e lieve entità, in Diritto&Giustizia, 2018, fasc. 54, p. 8
[23] Tra le altre Cass. pen., Sez. 6, 15 marzo 2018, n. 11994, in ItalgiureWeb
[24] Cass. pen., Sez. 3, ord. 15 marzo 2018, n.23547, in www.penalecontemporaneo.it, 1 ottobre 2018
[25] BERNARDONI P., Stupefacenti di qualità diversa e lieve entità: un passo avanti delle Sezioni Unite nel chiarimento dei rapporti tra le varie ipotesi di narcotraffico, in Dir. Pen. Cont., 21 novembre 2018
[26] Il comma cinque dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 consente la qualificazione del fatto come “di lieve entità” in ragione dei mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero della qualità e quantità delle sostanze.
[27] In tal senso si è espressa inizialmente Cass. pen., Sez. 4, 29 settembre 2005, n.38879, Frank, in Cass. pen. 2007, fasc.2, p. 758, che ha dato origine all’orientamento in esame; successivamente, ex multis, Cass. pen., Sez. 3, 9 ottobre 2014, n.47671, in CED Cassazione penale 2015; Cass. pen., Sez. 4, 15 dicembre 2016, n. 6624, in Cass. pen. 2017, fasc. 11, p.4175 con nota di Macrì; Cass. pen., Sez. 3, 5 giugno 2015, n.26205, in Riv. pen. 2015, fasc. 9, p. 749 ; Cass. pen., Sez. 3, 27 marzo 2015, n.32695, in CED Cass. pen. 2015.
[28] Ex multis Cass. pen., Sez. 6, 19 dicembre 2017, n.1428, in CED Cass. pen. 2018; Cass. pen., Sez. 6, 19 settembre 2017, n.46495, in Cass. Pen. 2018, fasc. 5, p. 1537, con nota di Pedullà; Cass. pen., Sez. 4, 4 aprile 2017, n.22655, in CED Cass. pen. 2017; Cass. pen., Sez. 6, 25 gennaio 2017, n. 14882, in CED Cass. pen. 2017; Cass. pen., Sez. 4, 25 maggio 2016, n. 28561, in CED Cassazione penale 2016; Cass. pen., Sez. 6, 26 ottobre 2016, n. 48697, in CED Cassazione penale 2017; Cass. pen., Sez. 3, 4 dicembre 2014, n.6824, in CED Cassazione penale 2015; anteriormente agli interventi legislativi del 2013 e 2014, nello stesso senso Cass. pen., Sez. 6, 10 gennaio 2013, n. 6574, in CED Cassazione penale 2013.
[29] MAZZANTI E., Oltre il confine stabilito: detenzione di droga e uso delle soglie nella recente e travagliata evoluzione del diritto penale degli stupefacenti, in G. Morgante (a cura di), Stupefacenti e diritto penale, pp. 46 e segg.
[30] Cass. pen. Sez. Un., 21 giugno 2000, n.17, in Dir. pen. e proc., 2000, p. 1355
[31] Cass. pen. Sez. Un., 24 giugno 2010, n.35737, in Diritto e Giustizia online 14 ottobre 2010, con nota di E. Ceccarelli
[32] I primi due si caratterizzano per la loro specialità rispetto ai secondi.
[33] È l’ipotesi dei commi 1 e 4 art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309.
[34] Tale conclusione si fonda sull’autonomia della fattispecie di lieve entità.
[35] C. cost. 11 gennaio 2016, n.23, in Giur. Cost., 2016, fasc. 1, p. 153
[36] Si precisa che la coltivazione di piante da cui possano essere estratte sostanze psicotrope costituisce attività lecita se autorizzata, ai sensi dell’art. 17 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309.
[37] Cass. pen., sez. 4, 7 maggio 2019, n.35963, in CED Cass. pen. 2019
[38] Precedente conforme Cass. pen., sez. 4, 5 luglio 2017, n. 50970, in CED Cass. pen. 2017
[39] C. cost. 24 luglio 1995, n. 360, in Cass. pen. 1995, 11, p. 2820 con nota di Amato Nuovi interventi giurisprudenziali in tema di coltivazione di piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti
[40] C. cost. 20 luglio 2016, n.190, in Foro it. 2016, fasc. 10, I, p.2988
[41] La q.l.c., che ha condotto alla sentenza 190/2016, è stata sollevata per la seconda volta ritenendo che i nuovi percorsi giurisprudenziali e la normativa europea sopravvenuta (decisione quadro 2004/757/GAI) costituissero presupposti validi per un revirement da parte della Corte costituzionale.
[42] MONGILLO V., Sullo stato del principio di offensività nel quadro del costituzionalismo penale. Il banco di prova della coltivazione di cannabis, in Giur. Cost., 2016, fasc. 3, pp. 941-952
[43] Cass. pen. Sez. Un., 24 aprile 2008, n.28605, in Cass. pen., 2008, fasc. 12, p. 4503, con nota di Beltrani
[44] Ex multis Cass. pen., Sez. 6, 28 aprile 2017, n. 35654, in CED Cass. pen. 2017; Cass. pen., Sez. 4, 23 novembre 2016, n. 53337, in CED Cass. pen. 2017; Cass. pen., Sez. 6, 22 novembre 2016, n.52547, in CED Cass. pen. 2017
[45] Ex multis Cass. pen., Sez. 3, 22 febbraio 2017, n.36037, in CED Cass. pen. 2018; Cass. pen., Sez. 6, 10 novembre 2015, n.5254, in Guida al diritto 2016, fasc. 15, p. 81; Cass. pen., Sez. 6, 8 aprile 2014, n.33835, in Guida al diritto 2014, fasc. 42, p. 77, con nota di Amato;
[46] Riferimenti in BRAY C., Le sezioni Unite dichiarano l’irrilevanza penale della coltivazione di piante stupefacenti finalizzata esclusivamente all’uso personale, in Sistema Penale online, 20 aprile 2020
[47] Cass. pen, Sez. Un., 19 dicembre 2019, n. 12348, in CED Cass. pen, 2020
[48] Le Sezioni unite si discostano dall’orientamento che tendeva a far coincidere coltivazione di piccole dimensioni e detenzione.
[49] Considerato 4.4.2 Cass. civ., Sez. Un., 19 dicembre 2019, n.12348
[50] Riferimenti in OBERTO E., La coltivazione domestica di stupefacenti al vaglio delle Sezioni Unite, in Ius in itinere, 28 aprile 2020
[51] Considerato in diritto 4.3.2. Cass. civ., Sez. Un. 19 dicembre 2019, n.12348
[52] Vds. art. 75 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309
[53] BRAY C., Le sezioni Unite dichiarano l’irrilevanza penale della coltivazione di piante stupefacenti finalizzata esclusivamente all’uso personale cit. p. 10
[54] LA ROSA E., La coltivazione “domestica” di cannabis tra (in)offensività e particolare tenuità del fatto, in Giur. It, 2016, fasc. 1, pp.196-204
[55] Cass. pen., Sez. 3, 22 settembre 2015, n.38364, in Guida al diritto, 31 ottobre 2015, 44, p.72, con nota di Amato
[56] LA ROSA E., La coltivazione “domestica” di cannabis tra (in)offensività e particolare tenuità del fatto, cit. pp. 201-204
[57] Circostanza già prevista al momento dell’introduzione della causa di non punibilità ex art. 131-bis da Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in Dir. Pen. Cont., 8 luglio 2015
[58] DONELLI F., Circostanze del reato e “tipicità negata” nella recente riforma del diritto penale degli stupefacenti, cit. pag. 1879
[59] Come efficacemente definito da PENCO E., Stupefacenti e fatto di lieve entità: la rilevanza dell’elemento quali-quantitativo nella pronuncia delle Sezioni Unite, in Giur. It. 2019, fasc. 3, pp. 663-675
[60] Cass. pen. sez. 6, 23 gennaio 2019, n.10095, in Ilpenalista.it 2019 con nota di Pini
[61] PINI N., La configurazione della fattispecie lieve in materia di sostanze stupefacenti dopo le Sezioni Unite, in Ilpenalista.it, 1 gennaio 2019