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Pubbl. Gio, 10 Dic 2020

Sulla diffamazione e sull´istigazione a delinquere: distinzioni e profili applicativi

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Francesco Martin



Il presente contributo si prefigura lo scopo di analizzare li reati di cui all´art. 414 c.p. e all´art. 595 c.p., alla luce di una recente pronuncia della Corte di Cassazione. In particolare ci si soffermerà sulla possibilità che la condotta immateriale espressa nei social network sia idonea a produrre effetti penalmente rilevanti nella realtà esteriore.


ENG This paper has the purpose of analyzing the crimes referred in art. 414 c.p. and art. 595 c.p., with a recent ruling by the Court of Cassation. In particular, will focus with particular emphasis on the possibility that the immaterial conduct expressed in social networks is capable of producing criminally relevant effects in the external reality.

Sommario: 1. Sull'istigazione a delinquere; 1.1. L’apologia.2. La diffamazione tra vecchie e nuove prospettive; 2.2. La diffamazione a mezzo stampa; 2.3. Il diritto di cronaca e il diritto di critica; 3. Il rapporto tra i due delitti alla luce dell’orientamento della Corte di Cassazione; 4. Brevi riflessioni conclusive.

1. Sull'istigazione a delinquere

Disciplinato dall'art. 414 c.p., l'istigazione a delinquere è un reato contro l'ordine pubblico. In particolare, il bene giuridico tutelato è il c.d. ordine pubblico generalmente considerato. Rilevante ai fini della norma è l'interesse dello Stato ad evitare che l'istigazione sia prodromica alla realizzazione di fatti idonei a suscitare inquietudine e allarme nella popolazione.

In tal senso, proprio con riferimento alla nozione di ordine pubblico, è doveroso effettuare una prima distinzione[1]. Tradizionalmente, infatti, tale definizione è inquadrabile attraverso una duplice lettura; da un lato sussiste l'ordine pubblico materiale, inteso come protezione della pubblica tranquillità e incolumità, dall'altro invece vi la concezione ideale-normativa, che tutela i principi fondamentali e che protegge, di fatto, l'ordinamento[2]

Sul punto la dottrina[3] dominante ha ritenuto di aderire alla concezione materiale di ordine pubblico in ragione della ratio sottesa alla disposizione, nonché all’evoluzione storico-normativa. 

Anche la giurisprudenza di legittimità[4] ha avuto modo di esprimersi, ritenendo che il concetto di ordine pubblico vada inteso come l’interesse dello Stato a reprimere tutte quelle attività volte a minare il rispetto delle leggi da parte dei consociati.

Tale orientamento non è del tutto consolidato, sussistendone un secondo per il quale l’ordine pubblico va inteso come protezione di beni e valori essenziali alla pacifica convivenza associata e al rispetto delle leggi.

In definitiva, il pericolo di perpetrazione di illeciti che la norma incriminatrice tende a prevenire deve consistere in una situazione di pericolo di commissione dei reati istigati la quale, anche se non ricondotta ad un diffuso clima criminogeno, neppure tuttavia esige che si giunga all’accertamento di concrete possibilità di attuazione di un determinato iter criminoso[5].

Oltre alla posizione della dottrina e della giurisprudenza vi è una terza definizione di ordine pubblico dettata dalla Corte costituzionale; l’ordine pubblico costituzionale. Tale nozione ricomprende al suo interno tutti quei principi fondamentali del nostro ordinamento che vanno a disciplinare i rapporti tra i consociati al fine di garantire una stabile e pacifica convivenza[6].

Delineato così per sommi capi la nozione di ordine pubblico alla luce dei molteplici orientamenti, è ora opportuno esaminare propriamente il reato di cui all’art. 414 c.p.

Si tratta di un reato c.d. comune per il quale non rileva in alcun modo una eventuale qualifica giuridica o naturalistica del soggetto. Ad una attenta analisi l’art. 414 c.p. disciplina due fattispecie incriminatrici, l’istigazione a delinquere al primo e secondo comma e l’apologia di delitti al terzo. 

Per quanto attiene all’elemento oggettivo l’istigazione viene comunemente intesa come eccitamento della psiche del soggetto passivo al fine di spronarlo a commettere dei reati[7]; si tratta di fatto di una deroga alla disposizione di cui all’art. 115 c.p. secondo la quale non è punibile l’istigazione a commettere un reato non seguita dalla sua effettiva commissione. 

Affinché sussista la materialità del reato di istigazione occorre che la diffusione dei propositi criminosi, rientranti in specifiche ipotesi delittuose, venga effettuata pubblicamente in modo da poter indurre altri alla commissione.

Si tratterebbe, quindi, di un reato di pericolo in concreto in quanto rileverebbe l’idoneità dell’azione a suscitare consensi e a provocare attualmente e concretamente il pericolo di adesione al programma illecito. Di fatto, la condotta del soggetto agente non sarebbe punibile in mancanza di un comportamento idoneo a provocare la commissione di delitti. 

Per altra parte della giurisprudenza[8], pur minoritaria e risalente nel tempo, l’art. 414 c.p. si configurerebbe come un reato di pericolo presunto, in quanto il delitto in parola sussisterebbe indipendentemente dalle condotte penalmente rilevanti che derivano dalla consumazione dell’art. 414 c.p. Non è infine necessario che il fatto abbia assunto una precisa individuazione attraverso la specificazione del nomen iuris, ma è sufficiente che contenga i presupposti che ne consentano l’inquadramento in uno o più ipotesi di reato previsti dall’ordinamento.

Tuttavia, ad ora, la tesi circa la natura di reato di pericolo concreto risulta quella più accreditata dalla giurisprudenza di legittimità.

Con riferimento al momento consumativo il delitto di cui all’art. 414 c.p. si perfeziona nel momento e nel luogo in cui venga commessa un’istigazione che sia percepibile da un numero indeterminato di persone; non è ammesso il tentativo.

1.1. L’apologia

Come in precedenza specificato il terzo comma dell’art. 414 c.p. disciplina la c.d. apologia

Tale condotta si esplica nella rievocazione pubblica di un episodio criminoso diretta e idonea a provocare la violazione delle norme penali, nel senso che l’azione deve avere la concreta capacità di provocare l’immediata esecuzione di delitti o la probabilità che questi vengano commessi in futuro.

In tal senso la giurisprudenza di legittimità[9] ha specificato che non è sufficiente l’esternazione di un giudizio positivo su un episodio penalmente rilevante, ma occorre che il comportamento dell’agente sia idoneo a determinare il rischio effettivo della consumazione di altri reati. Per quanto attiene la sua natura, l’apologia è un reato di mera condotta o di pericolo in quanto la condotta costituisce una forma di esposizione a pericolo dell’ordine pubblico[10].

Con riferimento al rapporto con i reati di terrorismo, la circostanza di cui all’art. 414, c. 4, c.p. non è compatibile con quella della finalità di terrorismo o eversione dell’ordine democratico disciplinata dall’art. 1 D.L. 15 dicembre 1979, n. 625.

Circa l’elemento soggettivo, per entrambe le fattispecie, è richiesto il solo dolo generico consistente nella coscienza e volontà di commettere il fatto con l’intenzione di istigare alla commissione concreta di uno o più delitti, essendo del tutto privo di rilevanza il fine perseguito dall’agente.

2. La diffamazione tra vecchie e nuove prospettive

L’art. 595 c.p. disciplina il reato di diffamazione che tutela la reputazione, intesa come onore e decoro, del soggetto passivo.

Sul concetto di reputazione è opportuno specificare che questa non si identifica solo con la considerazione che ciascuno ha di sé, ma con il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico.

Per onore, invece, si devono intendere tutte quelle condizioni da cui dipenda il valore sociale della persona. Nel concetto di onore sono, quindi, compresi l’insieme delle doti morali, intellettuali, fisiche e delle altre qualità che concorrono a definire il pregio e il valore di un individuo nell’ambiente sociale in cui vive[11].

Per quanto attiene la sua configurazione, la diffamazione è un reato a forma libera che si realizza mediante un qualsiasi mezzo idoneo ad arrecare un’offesa all’altrui reputazione. La comunicazione nocumentale deve essere percepita da più persone e in assenza del soggetto passivo, ovvero - in alternativa - la persona offesa dovrà percepire l’addebito diffamatorio indirettamente, senza avere la possibilità di difendersi nell’immediato[12].

Così come rilevato da una parte della dottrina[13], poiché la diffamazione concerne in particolare l’elemento della comunicazione con più persone, richiede ai fini della consumazione l’instaurarsi di un rapporto comunicativo con una pluralità di soggetti terzi, a nulla rilevando l’effettiva percezione del contenuto diffamatorio.

Conseguentemente, nell’ipotesi comune di cui all’art. 595, c.1, c.p., si potrà certamente avere una comunicazione allorché si verifichi l’effettiva percezione del messaggio dell’autore da parte dei destinatari o di soggetti terzi[14].  Si tratta, quindi, di un reato di evento da intendersi come un avvenimento esterno all’agente e causalmente collegato al comportamento di quest’ultimo[15].

Per quanto attiene il regime della procedibilità, la diffamazione è punita a querela della persona offesa esperibile nel termine ordinario di tre mesi dalla data di commissione del reato.

Sono previste poi, ai commi II, III e IV, delle circostanze aggravanti. L’art. 595, II comma, c.p. prevede l’aumento della pena qualora l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato, in quanto - in tal caso - l’offesa è caratterizzata da una maggiore credibilità e, quindi, idonea a recare un più ampio e incisivo danno al soggetto passivo.

Al terzo comma è prevista l’aggravante di commettere il fatto a mezzo stampa: se difatti l'offesa è recata con tale strumento o con qualsiasi altro mezzo pubblicitario ovvero in atto pubblico, vi è un’offesa più grave alla reputazione in quanto, attraverso tali mezzi di esecuzione del reato, gli strumenti utilizzati per compiere il reato, consentono un’ampia diffusione della notizia.

Proprio per questo, infatti, è previsto un consistente aumento della pena e la competenza non più del giudice di pace, ma del Tribunale in composizione monocratica. Infine, il quarto comma concerne l’ipotesi in cui l'offesa venga arrecata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una autorità costituita in collegio[16].

Sempre per quanto attiene l’elemento oggettivo, l’ipotesi delittuosa si può esplicare, anche, attraverso espressioni dubitative ovvero allusioni; non è quindi necessaria un’offesa diretta, purché sia diretta ad una determinata persona, identificata o identificabile. Con riferimento all’elemento soggettivo, è richiesto il solo dolo generico consistente nella coscienza e volontà di utilizzare espressioni offensive con la consapevolezza di offendere l’altrui reputazione.

Si tratta infine di un reato comune, potendo essere commesso da chiunque.

2.2. La diffamazione a mezzo stampa

Delineata così la struttura del reato di diffamazione è ora opportuno soffermarsi, al fine della presente trattazione, sulla circostanza aggravante della diffusione a mezzo stampa.

L’evoluzione dei mezzi di comunicazione e dei social network[17] come Facebook, Twitter e Instagram hanno interessato anche la prassi dei tribunali di merito nonché influenzato gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali[18].

In particolare, la giurisprudenza di legittimità si è interrogata sulla corretta qualificazione da dare alla diffamazione perpetuata attraverso i social; se cioè ricondurla al primo, ovvero al terzo comma dell’art. 595 c.p.[19].

La Corte di Cassazione[20] ha, ormai, raggiunto un orientamento consolidato, ritenendo che la diffamazione a mezzo social integri pacificamente la circostanza aggravante di cui all’art. 595, III, c.p. 

La Suprema Corte ha, di fatto, previsto una forma aggravata di diffamazione, comunque meno grave rispetto a quella arrecata col mezzo della stampa, che, a differenza di quella in oggetto, si caratterizza anche per la professionalità della notizia. 

Il punto nodale dell’argomentazione dei giudici, pertanto, attiene alla possibilità, attraverso l’utilizzo del social, di diffondere il messaggio ad un numero potenzialmente infinito di persone e quindi arrecando un vulnus più ampio e persistente alla persona offesa[21].

Ha, quindi, affermato il supremo consesso: «La costante giurisprudenza di legittimità, infatti, afferma senza dubbio, proprio con riferimento ai messaggi ed ai contenuti diffusi tramite facebook, che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, cod. pen., poichè trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone» (Cass.pen., sez. V, 03.08.18, n. 40083). 

L’uso dei social network e la loro capacità di diffondere in maniera endemica e immediata notizie diffamatorie ad un numero elevato, se non infinito di persone, è pacificamente parificabile all’uso del mezzo della stampa, in quanto dotato della stessa - se non di maggiore - carica lesiva[22]. Con particolare riferimento a tale ipotesi aggravata di diffamazione è opportuno fare una breve digressione circa la qualificazione del reato.

Come in precedenza specificato si è affermato che il reato di cui all’art. 595 c.p. è un reato di evento. Se tale posizione è pressoché univoca in giurisprudenza, con riferimento alla diffamazione online emergono le prime criticità.

Alcune sentenze di legittimità[23] ritengono infatti che la diffamazione online si perfezioni nel momento in cui il contenuto diffamatorio o nocumentale venga immesso nella rete, in virtù della particolarità del mezzo comunicativo utilizzato.

Secondo questa parte della giurisprudenza è possibile ritenere provata fino a prova contraria la diffusione della notizia per il solo fatto che la stessa sia stata caricata in rete, dovendo applicarsi anche ai casi che coinvolgono siti web, il principio secondo cui, quando una notizia risulta immessa nei mezzi di comunicazione di massa, la sua diffusione, secondo un criterio che la nozione stessa di pubblicazione impone, deve presumersi fino a prova del contrario

Di converso, per un’altra parte della giurisprudenza[24], anche in presenza della circostanza aggravante di cui all’art. 595, c. 3, c.p., il reato si perfeziona solo nel momento in cui tali contenuti siano effettivamente percepiti da soggetti terzi. Tale criterio è da ritenersi, tuttavia, l’opzione interpretativa meno preferibile, in quanto non tiene conto le peculiari e incisive caratteristiche del mezzo di comunicazione utilizzato, contraddistinto - come in precedenza specificato - da un immediato e alto grado di pubblicità.

Sussiste infine un terzo orientamento giurisprudenziale[25] che, rifacendosi al primo illustrato, giunge a conclusioni maggiormente precise.

Per tale parte della giurisprudenza, la diffamazione online si consuma nel momento in cui il collegamento viene attivato, poiché i momenti della immissione del contenuto in rete e della cognizione dello stesso, se non sono assolutamente contestuali, sono legati da una forte prossimità temporale[26]. Sulla scorta delle tesi esposte, secondo l’orientamento dominante, è possibile affermare che, una volta che le espressioni diffamatorie e lesive dell’onere siano immesse nella rete e quindi rese disponibili al pubblico, l’iter criminis si debba ritenere concluso ed il fatto tipico consumato. 

2.3. Il diritto di cronaca e il diritto di critica

Illustrata in tal modo la diffamazione a mezzo stampa, ivi compresa l’utilizzo dei social network pare doveroso esaminare anche le c.d. scriminanti applicabili in particolare a tale reato.

Il legislatore, infatti, nell’ottica di bilanciare il diritto all’informazione di matrice costituzionale e la tutela dell’onore e prestigio del soggetto passivo, ha previsto dei casi in cui il reato di diffamazione non sussiste in ragione della prevalenza degli interessi meritevoli di tutela. Come ben noto anche ai non operatori del diritto, l’ordinamento penale ha inteso tutelare il diritto di cronaca prevedendo, all’art. 51 c.p., l’esimente dell’esercizio di un diritto riconosciuto e meritevole di tutela.  Tale causa di giustificazione prevede tre elementi essenziali che rappresentano conditio sine qua non affinché possa operare, con la conseguenza che, laddove anche solo uno di questi difetti, l’esimente non trova applicazione: la verità della notizia, l’interesse pubblico (c.d. pertinenza) e la continenza[27].

Per utilità sociale dell’informazione deve intendersi l’interesse pubblico alla conoscenza della notizia che è collegato alla veridicità dell’informazione. Tale assioma è facilmente deducibile poiché la diffusione di notizie non rispondenti al vero è inutile e dannosa per la corretta percezione della notizia da parte dei terzi.

Il requisito della verità della notizia pubblicata, la c.d. pertinenza, concerne la corrispondenza fra i fatti realmente accorsi e quelli narrati che devono rivestire anche un interesse per l’opinione pubblica.

Infine, è necessaria che la forma dell’articolo, la continenza, sia corretta, da intendersi come precisione nell’esposizione dei fatti, in modo che siano evitate gratuite aggressioni all’altrui reputazione. Nello specifico, il linguaggio utilizzato deve essere improntato a obiettività e correttezza, e non deve trascendere in gratuite espressioni volgari, prive di ogni rispetto per la dignità delle persone[28].

Con riferimento a tale ultimo requisito, la giurisprudenza di legittimità[29] ha avuto modo di dettare e delineare i requisiti della continenza, stabilendo che «il requisito della continenza, secondo l'insegnamento richiamato, ha una duplice prospettazione, soggettiva e oggettiva, formale e sostanziale, in quanto desumibile dai due elementi essenziali, sintomatici di serenità, misura e proporzione qui di seguito elencati:  1) dalle espressioni usate, che possono essere anche colorate dal gergo corrente, ma non debbono essere oggettivamente denigratorie e rappresentative di un dolus malus di gratuita denigrazione;  2) dalla sfera di tutela riconosciuta dall'ordinamento giuridico, in quanto la propalazione è giustificata se mantenuta in termini strettamente necessari per esercitare il diritto». 

Ecco quindi che, a ben vedere, sono stati posti dei limiti, di matrice giurisprudenziale, al diritto di cronaca, che non trova quindi applicazione automatica, ma deve sempre essere parametrato al caso concreto. 

D’altra parte, il nostro ordinamento che, contemporaneamente, oltre al diritto di cronaca tutela nel libro II, titolo XII, capo II l’onore ed il decoro, non potrebbe non prevedere dei imiti per tale diritto – volti appunto alla salvaguardia della persona e al bilanciamento degli interessi confliggenti. - a pena di risultare contradditorio e discordante[30].

Vi è inoltre un’ulteriore eccezione data dal diritto di satira[31], che si contraddistingue dal diritto di cronaca e critica in quanto costituisce una critica corrosiva e spesso impietosa, basata su una rappresentazione che enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso. E infatti, come si evince prime facie da tale definizione, la satira si differenzia notevolmente dalla cronaca ed è, pertanto, incompatibile con il parametro della verità, mentre deve rispondere al duplice requisito della continenza e della funzionalità delle espressioni adoperate rispetto allo scopo di denuncia sociale[32].

In definitiva, il legislatore ha quindi provveduto ad un bilanciamento degli interessi, ritenendo che una notizia - anche potenzialmente lesiva della dignità altrui - possa essere diffusa senza costituire un reato in presenza dei requisiti in precedenza indicati e quindi, in sostanza, qualora prevalga l’interesse della collettività ad essere informata con riferimento ad un determinato fatto o circostanza.

In tal senso, la casistica giurisprudenziale ha riguardato, in prevalenza, la c.d. cronaca giudiziaria cioè quelle notizie che concernono i procedimenti penali e che sono idonei a recare un elevato nocumento alla persona offesa (basti pensare alla pubblicazione dei brani delle intercettazioni di un soggetto che è ancora solo indagato).

Nello specifico, oltre ai requisiti già evidenziati (quali la verità o il serio accertamento della notizia pubblicata, l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, la correttezza delle modalità espressive della notizia, che devono rispettare i limiti dell'obiettività), la Corte di Cassazione in una pronuncia[33] ha stabilito che, nel peculiare campo dell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, costituisce legittimo esercizio di tale diritto solamente riportare i fatti ed i giudizi critici correlati allo svolgimento del procedimento. 

Il giornalista non può legittimamente effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tali attività.

Non è, quindi, penalmente irrilevante, perché non coperto dalla scriminate del diritto di cronaca, illustrare la notizia prospettando l'esito delle indagini in chiave colpevolista, proponendo ai lettori un processo agarantista, dinanzi al quale il cittadino interessato ha, come unica garanzia di difesa, la querela per diffamazione[34].

In conclusione, si evince come la diffamazione, nella sua semplicità, risulta essere un delitto caratterizzato da molte sfaccettature e ampie digressioni dottrinali e giurisprudenziali e, più di molti altri reati, è stato significativamente coinvolto dal processo evolutivo che ha caratterizzato negli ultimi anni i mezzi di comunicazione e i social media.

3. Il rapporto tra i due delitti alla luce dell’orientamento della Corte di Cassazione

Esaminate in precedenza le principali caratteristiche del delitto di istigazione a delinquere ex art. 414 c.p. e quello di diffamazione ex art. 595 c.p., è ora opportuno soffermarsi sul rapporto intercorrente tra i due alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità.

In particolare, la Corte di Cassazione è stata investita della questione con particolare riferimento ad un post su Facebook.

Pare utile, al fine di comprendere meglio la vicenda, effettuare una breve ricostruzione della stessa.

La sentenza[35] trae origine dal ricorso per Cassazione presentato dal difensore dell’imputato avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Torino la quale ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale di Alessandria ha ritenuto l’imputato penalmente responsabile per i reati di cui agli artt. 595 e 414 c.p. commessi in continuazione con interventi mediante la piattaforma Facebook di offesa alla reputazione della persona offesa e di istigazione dei tifosi della squadra di calcio a commettere eventi dotati di rilevanza penale nei confronti della stessa persona offesa.

Il principale motivo d’appello concerneva la riconducibilità all'imputato delle condotte in contestazione, in quanto - secondo la tesi prospettata dalla difesa - sussisteva l’assenza di prova circa l'uso da parte dell’imputato del personal computer utilizzato per postare i messaggi incriminati e l’uso, del telefono cellulare appartenente ad un prossimo congiunto.

Riportando le motivazioni della Corte d’appello, la Suprema Corte ritiene invece che sussista la prova circa la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio.

In particolare, durante la fase delle indagini, a seguito di sequestro, è stato rinvenuto nel computer dell’imputato svariato materiale connesso al compimento delle condotte oggetto del giudizio e, inoltre, mai è stato dallo stesso che il computer non fosse nella sua esclusiva disponibilità; il mezzo informatico, infatti, durante la perquisizione era stato trovato acceso, funzionante ed in uso all’imputato. Non è quindi possibile ritenere che vi siano delle falle nella motivazione redatta dalla Corte d’Appello e che la stessa abbia esaustivamente e completamente motivato circa tutte le doglianze contenute nell’atto d’appello.

Proprio per tale ragione la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

4. Brevi riflessioni conclusive

Dall’analisi di questa pronuncia, tanto breve quanto ricca di contenuti di rilevanza giuridica, si evince come la Corte abbia stabilito - confermando un orientamento giurisprudenziale[36] già emerso negli ultimi anni - che le condotte poste in essere sul web e sui social, pur essendo immateriali, sono tuttavia idonee ad assumere rilevanza anche nella realtà esteriore.

In particolare, la Suprema Corte si è pronunciata sulla smaterializzazione, quale modalità di manifestazione delle condotte poste in essere online, e ha ribadito che tale caratteristica non sufficiente per negare la specifica e incontestabile offensività delle stesse, in ragione della lesione arrecata a beni giuridici protetti.

Il comportamento posto in essere sul web, ormai accessibile anche a soggetti che per età, educazione e capacità intellettive non sono in grado di comprenderne pienamente l’intrinseco disvalore, produce i suoi effetti nel mondo reale e, quando la condotta online è idonea ad incitare qualcuno a compiere un fatto illecito, allora si configurerà il delitto di cui all’art. 414 c.p.[37].

Si evince, quindi, che qualora la condotta criminosa sia realizzata mediante l’uso di un mezzo informatico e, quindi, sia caratterizzata da immaterialità non tanto per una mancata portata offensiva quanto per la caratteristica e connotazione propria del mezzo e, che la stressa sia idonea a tramutarsi in una condotta penalmente rilevante nella realtà esteriore, sussiste il reato di cui all’art. 414 c.p. 

Se l’istigazione, così come delineata dal legislatore, alla commissione di un reato si esplica attraverso i social o. comunque, online venga fatta propria da un soggetto e, quindi, trovi complimento nel mondo reale, il soggetto istigatore risponderà del delitto di istigazione a delinquere sussistendone tutti gli elementi, ivi compresa la comunicazione in pubblico.

Infine, i due reati, ex artt. 414 e 595 c.p., possono pacificamente concorre in quanto tutelano beni giuridici differenti e si esplicano attraverso modalità della condotta diverse.

Ancora una volta, l’evoluzione dei mezzi informatici e comunicativi ha spinto la Corte di Cassazione a pronunciarsi circa la possibile perpetrazione di ipotesi delittuose che nella prassi quotidiana risultano sempre di maggior commissione, anche in ragione della elevata diffusione e accessibilità, molte volte priva degli adeguati controlli, dei contenuti pubblicati sui social.


Note e riferimenti bibliografici

[1] MANTOVANI F., Diritto Penale - Parte speciale - Delitti contro la persona, 2019, Padova, p. 412- 413.

[2] MICUCCI M., L’istigazione a delinquere: tra tentativo, fattispecie autonoma e concorso di persone nel reato, in Giurisprudenza Penale, 09.09.13, p. 11.  

[3] ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, pt. sp., vol. II, Milano, 2016, p. 102.

[4] Cass. pen., sez. I, 07.11.67, n. 1250. 

[5] FIANDACA G., MUSCO E., Diritto penale. pt. sp., I delitti contro la persona, Bologna, 2020, p. 324.

[6] DI RAIMONDO M., Ordine pubblico e sicurezza pubblica. Profili ricostruttivi e applicativi, Torino, 2010, p. 56-58.

[7] DOLCINI E., GATTA G.L., Codice penale commentato, Milano, 2016.

[8] Cass.pen., sez. I, 20.06.94, n. 2997.

[9] Cass.pen., sez. V, 06.10.15, n. 47489.

[10] SCHIAFFO F., Istigazione ed apologia nei delitti contro l’ordine pubblico, in S. MOCCIA, Delitti contro l’ordine pubblico, Napoli, 2007, p. 136- 138.

[11] AMAOLO A., Delitti contro l’onore: la diffamazione ex art 595 c.p., in Ratio Iuris, 07.03.18. [11] A. AMAOLO, Delitti contro l’onore: la diffamazione ex art 595 c.p., in Ratio Iuris, 07.03.18.

[12] PRATO F., Non c ́è diffamazione se l ́offesa non è rivolta a un magistrato ma alla categoria in generale, in Cammino Diritto, n. 1/19, p. 2.

[13] PICOTTI L., Profili penali delle comunicazioni illecite via Internet, in Dir. inform., 1999, p. 297; S. TABARELLI DE FATIS, Prospettive di riforma del delitto di diffamazione, con particolare riferimento alla diffamazione online, in L. PICOTTI (a cura di), Tutela penale della persona e nuove tecnologie, Padova, 2013, p. 220

[14] PANATTONI B., I riflessi penali del perdurare nel tempo dei contenuti illeciti nel cyberspace, in Sistema Penale, n. 5/20, p. 311.

[15] AMAOLO A., Op. cit..

[16] F. PRATO, Op. cit., p.3.

[17] CURRELI C., La controversa responsabilità del gestore di un sito web, in caso di diffamazione commessa da terzi, in Resp. civ. e prev., 2017, n. 5, p. 1648-1650.

[18] PACILEO V., PETRINI D., Reati contro la persona, in C.F. GROSSO, T. PADOVANI, A. PAGLIARO (a cura di) Trattato di diritto penale, Milano, 2016, p. 83-85.

[19] CARDONE VVERRI., F., Diffamazione a mezzo stampa e risarcimento del danno, Giuffrè, 2007.

[20] Ex multis Cass. pen., sez. I, 28.04.15, n. 24431.

[21] GIACHELLO E., La diffamazione su Facebook: un reato generazionale e un dilemma interpretativo, in Giurisprudenza Penale, n. 9/18, p. 5.

[22] LASALVIA F., La diffamazione via web nell’epoca dei social network, in A. CADOPPI – S. CANESTRARI – A. MANNA – M. PAPA (a cura di), Cybercrime, Giuffrè, 2019, p. 331- 333.

[23] Cass. pen., sez. V, 25.07.06, n. 25875.

[24] Cass. pen., sez. II, 21.02.08, n. 36721.

[25] Cass. pen., sez. V, 29.05.15, n. 38099.

[26] PANATTONI B., Op. cit., p. 313.

[27] Cass. pen., sez. V, 19.10.12, n. 45014.

[28] AMAOLO A., Op. cit..

[29] Cass. pen.,sez. V, 05.04.17, n. 31079.

[30] MARTIN F., Il diritto all’oblio alla luce del nuovo orientamento di legittimità ed europeo, in Rivista penale, n.2/20, p. 182.

[31] Cass. civ., sez. III, 10.02.14, n. 5499.

[32] PRATO F., Op. cit., p. 4-5.

[33]  Cass. pen., sez. V, 27-10-10, 3674.

[34] PELAZZA M., Sulla sussistenza della scriminante del diritto di cronaca giudiziaria in relazione al reato di diffamazione, in Dir.pen. cont., 14.05.11.

[35] Cass.pen., sez. I, 30.09.20, n. 28686.

[36] Cass.pen., sez. II, 21.02.19, n, 22163.

[37] Si veda a cura della Redazione, Istigazione a delinquere e social network, in Diritto dell’informatica, 31.09.19.

 

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