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Pubbl. Mar, 10 Set 2019

Concorso magistratura Bolzano. Le sopravvenienze contrattuali e il principio dell´intangibilità del contratto

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Andrea Bazzichi


La gestione delle sopravvenienze tramite le apposite clausole contrattuali (c.d. hardship), il dovere di rinegoziazione e i poteri giudiziari di intervento


Sommario: 1. Inquadramento generale delle sopravvenienze;  2.  Il principio pacta sunt servanda e la clausola rebus sic stantibus; 3. L’eccessiva onerosità sopravvenuta; 4. Nozione di hardship; 5. i poteri giudiziari di intervento

 

1. Inquadramento generale delle sopravvenienze.

Nei contratti a esecuzione continuata, periodica o differita, ove le prestazioni contrattuali trovano dispiegamento nella durata del rapporto contrattuale, esiste inevitabilmente uno iato tra il momento della conclusione e quello dell’esecuzione del contratto. Non esiste, ma non potrebbe essere altrimenti, una norma di diritto positivo che individui in via generale, quale sia a  livello numerico lo spazio temporale rilevante, in presenza del quale, le sopravvenienze contrattuali assumono rilevanza. D’altronde, l’elemento di pertubazione del sinallagma contrattuale potrebbe verificarsi o appena dopo la conclusione del contratto oppure a notevole distanza. La differenza delle due ipotesi sul piano astratto, rileverà successivamente nel frangente in cui ex post, si dovrà stabilire se l’evento pertubativo fosse o meno prevedibile ex ante al momento in cui si è perfezionato l’accordo.

E’ in tale cornice, più o meno ampia che si possono verificare le cosiddette sopravvenienze contrattuali che assumono rilevanza laddove vadano a incidere in modo concreto e rilevante sull’equilibrio contrattuale. In altri termini, quando interviene una sopravvenienza, si spezza il nesso di corrispettività tra le reciproche prestazioni, e l’una non trova più ragione e corrispondenza nel ricevimento dell’altro. Tutto ciò comporta le due speculari situazioni in cui la prestazione del debitore, il soggetto che nella fattispecie subisce gli effetti della sopravvenienza, diviene eccessivamente onerosa oppure che non trovi corrispondente soddisfazione nella prestazione ricevuta che nel frattempo ha perso gran parte del suo valore.

La nozione di sopravvenienza contrattuale è assolutamente generica, posto che in essa rientrano tutte quelle situazioni sia di fatto sia di diritto idonee nel caso concreto ad alterare l’originario equilibrio contrattuale risultante al momento della conclusione dell’accordo contrattuale. Tale genericità è dettata dalla constatazione che si tratti di fatti od eventi non considerati dalle parti al momento della stipulazione, e che emergono solo successivamente, giustappunto quando l’equilibrio citato viene modificato.

Detto ciò, comunque, le sopravvenienze per acquisire rilevanza hanno dei necessari tratti comuni. In primo luogo, devono essere successive all’accordo, in secondo luogo, riferibili ad eventi e/o fatti straordinari e/o imprevedibili, infine non attribuibili quali conseguenze alla condotta del soggetto che si ritiene leso dalla sopravvenienza.

2. Il principio pacta sunt servanda e la clausola rebus sic stantibus

Secondo l’impostazione tradizionale, in materia contrattuale, il nostro ordinamento si fonda sul principio pacta sunt servanda, tant’è che l’art 1372 c.c in piena coerenza afferma che il contratto ha forza di legge tra le parti. D’altronde, la garanzia della certezza dei rapporti giuridici non può prescindere dal fatto che le parti devono rispettare gli obblighi che le stesse si sono imposte al momento della conclusione del contratto. Ogni diversa impostazione comporterebbe il rischio di avviare comportamenti strumentali della parte che non trova più conveniente la prosecuzione del rapporto nei termini stabiliti.

Nel contempo, l’ordinamento non può e né deve garantire che un soggetto stipuli contratti per lui economicamente convenienti. In un sistema improntato alla libertà dell’iniziativa economica è del tutto naturale che di fronte a un’operazione economica un soggetto possa ottenere condizioni migliori rispetto all’altro. E non necessariamente un contratto può o deve soddisfare equamente i contraenti.

Piuttosto l’ordinamento può o deve prendere in considerazione le ipotesi in cui il consenso non si sia correttamente formato, oppure i casi in cui la prestazione del debitore sia divenuta oggettivamente impossibile per causa a lui non imputabile, o lo sia in modo parziale. Di fronte ad una sopravvenienza contrattuale, la prestazione del debitore diviene significativamente più onerosa o meno remunerata, ma non impossibile.

Per questa ragione, il soggetto inciso dal fatto pertubativo deve scegliere se proseguire nel rapporto o chiedere la risoluzione del medesimo. Non esiste una terza via alternativa, se si vuole salvaguardare la certezza dei rapporti giuridici, senza trascurare la considerazione che non possono essere individuate ex ante le sopravvenienze atte all’alterazione dell’equilibrio contrattuale.

Tale rigidità dell’orientamento tradizionale, deve però essere contemperata, secondo altro e diverso orientamento sulla base del principio rebus sic stantibus, secondo il quale bisogna prendere atto che le parti quando concludono un contratto, lo fanno sulla base della situazione di fatto presente al momento. Se tale situazione, in conseguenza di eventi successivi, viene ad essere significativamente alterata, quel contratto non sarà più aderente a quello che era l’originario equilibrio delle prestazioni. Sotto quest’ultimo aspetto si sottintende l’equilibrio contrattuale così cristallizzato in sede di accordo, e non l’equilibrio assoluto.

La valutazione dell’alterazione inevitabilmente deve essere compiuta ex post, ma con riferimento alla situazione concreta ex ante. In altri termini, l’intervento equilibratore vale eventualmente a ripristinare l’originario stato delle cose, non a modificare in senso equitativo un rapporto in cui una parte ottiene condizioni più favorevoli rispetto all’altra. Del resto la libertà di iniziativa economica tutelato dall’art 41 Costituzione deve salvaguardare anche il contraente che si dimostri più abile in sede di contrattazione. Ciò non può dirsi ove eventi esterni ed imprevedibili, non riferibili alle parti vadano ad incidere su quello che era l’assetto negoziale concordato. E’ noto come la difficoltà maggiore dell’orientamento in commento derivi dalla presenza o meno di una norma di legge che attribuisca alla parte lesa od a un terzo il potere di valutare l’incidenza delle sopravvenienze e i correlati rimedi.

Nondimeno, in assenza di un’espressa previsione, è problematica l’individuazione del fondamento dogmatico del potere di revisione contrattuale. Per un indirizzo questo si ritrova nella presupposizione che secondo l’opinione prevalente rappresenta quella condizione non sviluppata, ma implicita, conosciuta o conoscibile da tutti i contraenti al momento dell’accordo. Più che per la nota questione dell’irrilevanza dei motivi riguardo al contratto, la tesi non appare accoglibile per un’altra ragione.

Ebbene se il fatto specifico che ha alterato l’equilibrio contrattuale era già presente nella rappresentazione delle parti, non possiamo dire che costituisca sopravvenienza. Se il fatto si riferisce, invece, all’alterazione dell’equilibrio contrattuale in sé, si deve sottolineare come la modificazione sia necessariamente una relazione tra il fatto passato e la sopravvenienza, per cui non vi può essere nessun collegamento con una condizione passata e/o presente.

3. L’eccessiva onerosità sopravvenuta

L’art 1467 c.c., a differente del previgente codice del 1865 prende espressamente in considerazione per la prima volta del principio della clausola rebus sic stantibus 1. Dall’analisi della norma, è di tutta evidenza come questa rappresenti una risposta incompleta rispetto al tema delle sopravvenienze. Incompleta, perché nei fatti prende in considerazione solo una delle possibili situazioni che possono conseguirsi al sopraggiungere dell’evento pertubativo 2.

Il soggetto che subisce la sopravvenienza ha come unica possibilità quella di richiedere la risoluzione del contratto, anche se magari questa tutela non risponde assolutamente al proprio interesse, quando invece lo scopo sarebbe quello di mantenere il vincolo contrattuale adeguandone il contenuto. Oppure deve continuare a rispettare un contratto che però non è più aderente a quella che era la situazione di partenza. Al contrario, il soggetto che viene avvantaggiato dalla sopravvenienza può scegliere rispettivamente se aderire alla domanda di risoluzione, oppure può offrire di modificare equamente le condizioni del contratto.

Secondo l’indirizzo tradizionale, tale disposizione altro non è che l’esplicazione della rigida alternativa tra risoluzione o prosecuzione nel rapporto alterato 3. Da questa premessa, il passo successivo è stato quello di chiarire il rapporto tra l’art 1467 c.c e le norme contenute in ipotesi speciali. A titolo esemplificativo si possono citare l’art 1664 c.c in materia di appalto, l’art 1561 e ss in materia di somministrazione, la Legge 192/1998 sull’abuso di dipendenza economica 4.

In buona sostanza, l’alternativa si risolveva o nel ritenere che le norme contenute in disposizioni speciali fossero eccezioni alla regola generale, oppure ritenere al contrario che fossero esplicazione di un più genale principio di rinegoziazione del contenuto contrattuale. La seconda soluzione appare preferibile per una serie di considerazioni. In primo luogo, il fatto che le norme contenute nella parte speciale, relativamente a specifici contratti, prendano in considerazione solo alcune delle potenziali sopravvenienze, di certo non esclude che un meccanismo di revisione, adeguamento, possa applicarsi per quelle ipotesi che non sono state previste.

Infatti, il novero delle potenziali sopravvenienze può essere infinito, il che comporta che non possa rappresentarsi come un rapporto di eccezione alla regola, il collegamento tra le disposizioni citate e l’art 1467 c.c. In secondo luogo, come in precedenza sottolineato l’art 1467 terzo comma c.c deve essere interpretato sulla base anche del criterio teleologico, dal momento che solo sulla base di un’interpretazione letterale garantisce la possibilità di offrire una modificazione del contratto esclusivamente al soggetto che risulta avvantaggiato dalla sopravvenienza.

Problematica è anche la relazione tra la risoluzione prevista dall’art 1467 c.c. e la riduzione ad equità di cui all’art 1468 c.c. 5 . La ratio di questa apparente discrasia viene rivenuta nella circostanza che altrimenti, l’obbligato, qualora potesse ricorrere allo strumento della risoluzione potrebbe liberarsi dell’obbligazione assunta. Invero, v’è da chiedersi se la riduzione ad equità o la riduzione della prestazione promessa non rappresenti l’espressione di un principio più generale 6. Ovvero che un soggetto non può più ritenersi vincolato a quelle condizioni che, nel frattempo, per eventi imprevisti ed imprevedibili sono divenute inique rispetto all’assetto negoziale di partenza. 

Infatti, l’iniquità se si manifesta, si manifesta sia in presenza del nesso di corrispettività delle prestazioni di cui all’art 1467 c.c., che però in corso d’opera è venuto meno, sia nell’art 1467 c.c. in cui la corrispettività manca ab origine. Acclarata l’esigenza di apporre correttivi al principio di intangibilità del contratto, l’evoluzione giurisprudenziale ha individuato nella clausola generale della buona fede lo strumento, la base per una modificazione del contenuto negoziale, laddove intervengano sopravvenienze idonee ad alterare l’originario equilibrio delle reciproche prestazioni.

Si tratta della buona fede oggettiva, che impone alle parti di agire correttamente sia in sede di trattative sia durante l’esecuzione del contratto. L’art 1374 c.c., quindi deve essere letto in combinato disposto con l’art 1375 c.c e l’art 1175 c.c. Pertanto la buona fede rappresenta un lecito parametro in quanto prevista per legge, e la legge è fonte di integrazione del contratto, mentre l’equità costituisce lo strumento tramite il quale tale clausola generale trova impiego.

4. Nozione di hardship 

Per ripristinare l’originaria allocazione del rischio contrattuale, nei contratti internazionali, da tempo sono previsti apposite clausole indicate con il termine Hardship, letteralmente traducibile come clausola di avversità. Esse mirano a disciplinare tutte quelle ipotesi in cui le mutate condizioni economiche vadano ad alterare l’equilibrio tra le prestazioni contrattuali.

Possono assumere il contenuto più vario, tanto da essere del tutto generiche oppure assolutamente specifiche per quanto riguarda l’evento modificativo. In seconda battuta, possono limitarsi a prevedere il mero diritto di procedere alla rinegoziazione, oppure disciplinare il procedimento attraverso il quale tale rinegoziazione deve svilupparsi, oppure già prevedere un meccanismo automatico di adeguamento.

Naturalmente, più una clausola risulta specifica, più elimina alla radice potenziali motivi di conflitto, visto che in tali ipotesi si tratta solo di accertare se si sono verificati mutamenti significativi nelle condizioni economiche delle parti. Però, tali clausole, ammesse in quanto espressione della legittima autonomia contrattuale dei contraenti, non escludono di per sé l’importanza di risolvere la questione se e in che termini l’intervento giudiziale sia ammesso o meno.

Vuoi, perché tutte le sopravvenienze possibili non sono previste al momento dell’accordo, vuoi perché anche se quella specifica sopravvenienza di cui è causa, è prevista, la clausola è del tutto generale. Infatti, se una disposizione negoziale si limita a prevedere il diritto alla rinegoziazione, solo l’opera giudiziale potrà accertare se il contratto debba essere risolto, a chi eventualmente debba essere imputato l’inadempimento, oppure se il contratto vada modificato, ridotto ad equità e in quale modo.

5.  I poteri giudiziari di intervento

Acquisito che un contratto, in presenza di mutate condizioni economiche dettate da eventi straordinari ed imprevedibili che esorbitano la normale alea contrattuale, possa essere oggetto di rinegoziazione, più controverso è delimitare i poteri giudiziari di intervento.

Non vi sono dubbi che il soggetto inciso dall’evento possa e debba esercitare il diritto alla rinegoziazione. Lo stesso dicasi per la controparte che non può rifiutarsi di aderire a tale procedimento, oppure farlo in modo strumentale, rispettando l’obbligo di correttezza solo sul piano formale 7. Si deve subito premettere che anche se la rinegoziazione deve svolgersi, non è obbligo che questa debba e possa concludersi in modo positivo. In caso di esito infausto, sarà oggetto di accertamento a chi debba imputarsi eventualmente l’inadempimento per il mancato accordo sulla modifica delle condizioni contrattuali.

Di fronte a tale evenienza, il giudice, inevitabilmente dovrà dichiarare la risoluzione del contratto, e stabilire il risarcimento del danno in favore della parte danneggiata. Risarcimento che però, se concesso, non potrà essere confinato nei limiti dell’interesse negativo. Infatti, se è vero che il danno si manifesta in sede di trattative, allorquando le parti stanno rinegoziando, è altrettanto indiscutibile che la parte danneggiata, sta rinegoziando un contratto già esistente con tutti i suoi diritti ed obblighi.

Pertanto, il quantum dovrà tener conto di tutto ciò che la parte avrebbe ricevuto se la rinegoziazione avesse avuto esito positivo, ovviamente depurato da ciò che nel frattempo ha ricevuto come controprestazione. Secondo un indirizzo più evoluto, i poteri giudiziari non si limitano esclusivamente alla risoluzione, ma possono giungere alla pronuncia di una sentenza costitutiva ex art 2932 c.c. 8.

Come argomento a sostegno della tesi, si cita il potere di riduzione della clausola penale manifestamente eccessiva avuto riguardo all’interesse del creditore all’adempimento ex art 1384 c.c. In proposito, si sottolinea come da tempo sia pacifico che tale intervento di riduzione possa essere esercitato d’ufficio, anche in mancanza di domanda di parte 9. Ciò starebbe a dimostrare come il contenuto di un contratto non sia più assolutamente intangibile, ma in un’ottica solidaristica che trova il proprio fondamento nell’art 2 della Costituzione possa essere modificato se esigenze di giustizia lo richiedono.

Appare maggiormente condivisibile l’opinione di chi ritiene che tale assunto non possa essere accolto, poiché ciò si tradurrebbe in un’illecita intromissione giudiziaria nell’autonomia contrattuale delle parti. La considerazione più ovvia, è che se il procedimento di rinegoziazione non deve obbligatoriamente e necessariamente chiudersi in senso positivo, un intervento sostitutivo del giudice nel determinare il contenuto contrattuale non può essere ammesso. Tanto più che in genere, anche a livello di legislazione sovranazionale, la domanda di rinegoziazione non sospende l’esecuzione del contratto nei termini in precedenza concordati.

Peraltro, si deve anche dubitare fortemente che il potere di riduzione della clausola penale di cui all’art 1384 c.c., militi in tal senso. Infatti, non si può obliterare il fatto che in questo caso, sia l’evento che è causa dell’inadempimento, sia il quantum di danno sono già predeterminati e per giunta dalle parti. Il potere di riduzione del giudice, allora, si inserisce in quadro che è già stato delineato. 

Differentemente, in sede di rinegoziazione, l’evento che è causa dell’alterazione dell’equilibrio negoziale non è previsto dai contraenti, e a maggior ragione le conseguenze che ne derivano. In altri termini, dovendo ripetere le proprie valutazioni a distanza di tempo, di fronte a mutate condizioni, non è detto e nemmeno scontato che le parti ripetano le stesse scelte compiute all’epoca dell’accordo.

Tra l’altro nel momento della rinegoziazione, ben potrebbe verificarsi che la controparte a sua volta eccepisca a sua volta la presenza di ulteriori sopravvenienze che hanno mutato l’equilibrio contrattuale a proprio sfavore. Il riferimento al contenuto più o meno specifico della clausola di rinegoziazione rischia di essere un parametro troppo evanescente e soggetto alla discrezionalità giudiziaria 10. Se, invece, l’assunto è circoscritto al mero adeguamento automatico, si deve concludere che in siffatta ipotesi non siamo di fronte ad una rinegoziazione.

Note e riferimenti bibliografici

1 Sul punto si rinvia alla relazione del Guardasigilli al libro delle obbligazioni n 245

2 Si riporta il testo dell’art 1467 c.c.: “Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art 1458. La risoluzione non può essere demandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.

3 Vincenzo Lopilato, Questioni attuali sul contratto, Giuffrè, Milano 2003, pag 213 e ss

4 Francesco Gambino, Rischio e parità di posizioni nei rimedi correttivi degli scambi di mercato, Riv. Diritto Civile, Cedam, n I/2010, pag 41 e ss

5 Federica Pagliani, Clausola di eccessiva onerosità sopravvenuta e crisi economica, pag 108 e ss, Tesi di dottorato, La Sapienza Roma

6 Si riporta il testo dell’art 1468: “ Nell’ipotesi prevista dall’articolo precedente, se si tratta di un contratto nel quale una sola delle parti ha assunto obbligazioni, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione ovvero una modificazione nelle modalità di esecuzione, sufficienti per ricondurla ad equita”.

7 Sul punto si rinvia all’art 157 del Codice Europeo dei Contratti

8 Incontro di studi: Squilibrio contrattuale e tutela del contraente debole, in www.cortedicassazione.it.

9 Si rinvia alla sentenza 18128/2005 delle Sezioni Unite della Cassazione.

10 Vincenzo Lo Pilato, ibidem, l’autore distingue a seconda che il contenuto della clausola di rinegoziazione sia più o meno specifica. In presenza di una clausola specifica, o di mero adeguamento automatico, può essere ammessa uan pronuncia costitutiva ex art 2932 c.c.