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Pubbl. Sab, 13 Lug 2019

Concorso in magistratura 2019: traccia non estratta di diritto civile

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Dario Cantoro


In caso di vendita, da parte di uno dei coeredi, della quota dell’unico bene immobile oggetto di eredità, è previsto ex lege, a tutela degli altri comproprietari, il diritto di prelazione, sia come volontario che legale.


Generalmente, ciascun soggetto dell'ordinamento ha il potere di autoregolamentare liberamente i propri interessi disponendo della propria sfera giuridica personale e/o patrimoniale, secondo il principio di libertà negoziale.

In difetto di uno specifico referente costituzionale, secondo alcuni autori, detta libertà, quale momento di attuazione della personalità umana, sostanzierebbe un diritto di libertà direttamente riconducibile all'art. 2 Cost.

Tale impostazione è stata criticata da chi, invece, valorizzando la stretta strumentalità della libertà negoziale all'esplicazione delle libertà di iniziativa economica e di godimento della proprietà, ne individua il fondamento negli artt. 42 e 43 Cost.

Sul piano pratico e di disciplina, la libertà negoziale si compone di una serie di facoltà e limiti, individuati in via generale all'art. 1322 c.c.

Per quanto riguarda il profilo positivo, la libertà negoziale, estendendosi in tutte le dimensioni possibili, consente la possibilità di concludere o meno negozi giuridici, anche totalmente atipici o innominati, con massima libertà di scelta pure dei soggetti con cui operare.

Con riguardo al profilo negativo, invece, si osserva che il riconoscimento costituzionale dell'autonomia privata comporta che ogni limitazione di quest'ultima debba rispondere a esigenze ugualmente riconosciute e protette dalla Costituzione e che, in ogni caso, si debba trattare di limitazioni ragionevoli, congrue, proporzionate e previste dalla legge o da questa non vietate.

A prescindere dalla fonte, volontaria o legale, le predette limitazioni possono incidere su tutti i momenti della libertà negoziale,  imponendo l'obbligo  di contrarre o escludendone la possibilità, ovvero condizionando la scelta del contraente o il contenuto del contratto.

Tuttavia, quando trovano la propria origine nella volontà delle parti, esse costituiscono un'ulteriore forma di manifestazione della libertà di autodeterminazione dei singoli, mentre, nel caso si tratti di limitazioni imposte dal legislatore, esse rispondono ad esigenze di carattere generale o comunque ritenute prevalenti su quelle delle parti e sono connotate da una disciplina sensibilmente differente specie riguardo alle tutele previste in caso di inadempimento.

Tra i possibili condizionamenti alla libertà negoziale rientra, senz'altro, l'istituto della prelazione per il quale ad un soggetto è attribuito il diritto ad essere preferito rispetto ad altri, a parità di condizioni, nella formazione di un negozio giuridico.

A sua volta, in relazione alla fonte, la prelazione può essere convenzionale o legale.

Il patto di prelazione, in particolare, è accostato al patto di opzione e, in qualche misura, al contratto preliminare, quale negozio preparatorio riconducibile al genere dei vincoli contrattuali.

Pur in difetto di un’espressa disciplina legislativa dell'istituto, se ne deduce la legittimità a partire dal riconoscimento della generale possibilità di stipula di contratti atipici, ex art. 1322 c.c., unitamente alla previsione di specifiche ipotesi di prelazione legale.

In particolare, dalla prelazione volontaria nascono, in capo al promittente, l'obbligo, negativo, di astenersi dallo stipulare un determinato contratto con soggetti diversi dal prelazionario; e l'obbligo, positivo, detto di denuntiatio, ossia di comunicare al prelazionario le condizioni stabilite con il terzo o dallo stesso fissate, invitandolo anche a dichiarare se intenda esercitare il proprio diritto di preferenza.

In costanza del  patto di prelazione, dunque, il promittente si obbliga a rivolgersi al prelazionario preventivamente alla conclusione di un contratto con uno o più soggetti terzi, pur conservando la libertà di stipularlo o meno, ed in ciò distinguendosi dal patto di opzione, sebbene sul punto vi siano differenze di vedute, specie in relazione alla natura della denuntiatio.

Secondo un primo orientamento, infatti, la comunicazione da farsi a cura del promittente ha natura di proposta contrattuale irrevocabile, con la conseguenza che l'accettazione del prelazionario comporterebbe l'immediata conclusione dell'accordo.

Altra ricostruzione propende per la diversa soluzione di ritenere la predetta comunicazione un invito ad offrire la cui funzione consiste semplicemente nel portare il prelazionario a conoscenza delle condizioni con cui il promittente intende concludere il contratto con il terzo, senza che l'intenzione di esercitare la prelazione, da parte del prelazionario, comporti la conclusione di alcun contratto con il promittente.

In un recente pronunciamento, la S.C., abbandonando ogni approccio aprioristico alla questione, ha ritenuto che nel caso di prelazione convenzionale è necessario svolgere un'esauriente interpretazione del patto di prelazione, alla luce degli artt. 1362 e ss. c.c., al fine di determinare se la relativa denuntiatio costituisca un mero interpello ovvero una proposta contrattuale vera e propria.

Parimenti discussa è la facoltà di apporre un termine alla prelazione.

Senz'altro si ritiene che al prelazionario possa essere imposto un termine entro il quale determinarsi e far pervenire la propria decisione al promittente, sia esso determinato (anche solo dal promittente)  o determinabile dalla natura dell'affare cui accede la convenzione o dagli usi.

Parte della dottrina ritiene, altresì, che lo stesso patto di prelazione possa essere sottoposto ad un termine di efficacia oppure questo possa essere determinato in via equitativa dal giudice, sebbene sul punto non vi sia unanimità.

Tratto precipuo della prelazione volontaria è la sua efficacia meramente obbligatoria, non essendo opponibile ai terzi, né altresì trascrivibile.

Infatti, in caso di mancato rispetto della convenzione, il promittente sarà tenuto al risarcimento dei danni verso il prelazionario, nella misura del vantaggio che quest'ultimo avrebbe conseguito in caso di esercizio della prelazione, salvo il caso in cui il promittente riesca a dimostrare che questi non avrebbe potuto o voluto esercitare tale diritto, ma il terzo avrà acquistato in modo efficace e il suo diritto non potrà essere attaccato.

Solidalmente alla responsabilità del promittente inadempiente si pone nondimeno quella del terzo consapevole o che avesse colpevolmente ignorato dell'esistenza della prelazione.

Come detto, il diritto di prelazione può trarre origine anche da specifiche disposizioni normative che lo prevedono a tutela di interessi ritenuti dalla legge superiori alla libertà di scelta del contraente.

In via generale, la prelazione legale si differenzia da quella volontaria, oltre che per la fonte, principalmente per l'efficacia reale della tutela accordata al prelazionario a fronte dell'altrui manchevolezza.

Al prelazionario è, infatti, attribuito il cosiddetto diritto di retratto, ossia di riscattare il bene dal terzo acquirente pagandone il prezzo.

Un'ipotesi particolare di prelazione legale è quella ereditaria, di cui all'art.732 c.c. (Diritto di prelazione).

Sia nel caso di successione testamentaria che ab intestato, se più eredi subentrano nel patrimonio ereditario, sui beni che lo costituiscono si forma uno stato di comunione (c.d. comunione ereditaria) indipendente dalla volontà dei partecipanti.

Si tratta di una specie della comunione ordinaria (art. 1100 c.c.) in forza della quale i singoli sono, pure in questo caso, titolari di una quota dell'intero compendio ereditario.

Peraltro, questo particolare stato di comunione non si forma se il de cuius ha assegnato, a più istituiti, beni determinati, con la volontà di separarli dalla restante massa patrimoniale. In tale ipotesi viene ad esistenza una comunione di tipo ordinario che trae origine dall'atto dispositivo di divisione, avente effetti reali, posto in essere direttamente dal testatore e non dalla successione per causa di morte.

I singoli comunisti, nondimeno, possono sempre domandare la divisione della comunione ereditaria (art. 713 c.c.) senza che gli altri partecipanti possano opporvisi, salvo ricorra un caso di indivisibilità temporanea previsto dalla legge (art. 713, cc. 2 e 3 c.c.; art. 715 c.c.; art. 717 c.c.; art. 1111 c.c.).

In questo contesto, si pone la previsione di cui all'art. 732 c.c. secondo cui, il coerede, se vuole alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione, indicandone il prezzo, agli altri coeredi, i quali hanno diritto di prelazione. Questo diritto deve essere esercitato nel termine di due mesi dall'ultima delle notificazioni. In mancanza della notificazione, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dell'acquirente e da ogni avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria.

Se i coeredi che intendono esercitare il diritto di riscatto sono più, la quota è assegnata a tutti in parti uguali.

In particolare, l'istituto così configurato conferisce ai partecipanti alla comunione ereditaria due distinti diritti: lo jus prelationis, in base al quale, perdurando il regime di comunione, se uno dei partecipanti ad essa volesse alienare agli altri la propria quota a titolo oneroso, dovrebbe notificare agli altri la relativa proposta, onde consentire loro di avvalersi della preferenza riconosciuta dall'ordinamento entro il termine previsto; lo jus retractionis, esercitabile dal partecipante nei confronti del terzo acquirente della quota ereditaria, nel caso in cui sia stato violato il diritto di prelazione mediante l'omissione della predetta notifica, ovvero per essere stato ignorato il positivo esercizio di tale diritto.

Con tale meccanismo il legislatore soddisfa la necessità di tutelare il corretto svolgimento delle operazioni di divisione del compendio ereditario, nonché quella di impedire la partecipazione di estranei alla comunione ereditaria mediante sostituzione di uno o più istituiti.

Pertanto, esso trova applicazione solo per le comunioni ereditarie, atteso, altresì, che derogando al principio della libera disponibilità del diritto di proprietà, non può trovare applicazione al di là dei casi per cui è espressamente previsto, e, in particolare, non è applicabile alla situazione di comunione ordinaria conseguente alla congiunta attribuzione di un medesimo bene ad alcuni coeredi in sede di divisione.

Infatti, la comunione ordinaria è retta dalla regola della libera disponibilità della quota, di cui all'art. 1103 c.c., e l'incompatibile regime normativo previsto dall'art. 732 c.c. ne resta escluso per espressa previsione dell'art. 1116 c.c.

Nondimeno, la comunione ereditaria non si trasforma in comunione ordinaria per il fatto che essa comprenda un unico bene immobile, né per la circostanza che alcuni dei coeredi abbiamo ceduto ad estranei le rispettive quote.

Tale ultima considerazione è necessaria per la determinazione della sorte dell'operazione di alienazione di quota dell'unico immobile ereditario da parte di uno dei coeredi.

I diritti di prelazione e di riscatto previsti dall'art. 732 c.c. in favore del coerede, infatti, postulano che l'alienazione compiuta da un altro coerede riguardi la quota ereditaria o parte di essa intesa come porzione ideale dell'universum ius defuncti, mentre vanno  esclusi quando, in base a elementi concreti della fattispecie ed intrinseci al contratto (volontà delle parti, scopo perseguito, consistenza del patrimonio ereditario e raffronto con l'entità dei beni venduti), con esclusione del comportamento del retraente, estraneo al contratto medesimo, risulti che, invece, la vendita ha ad oggetto un bene a sé stante non compreso nella comunione ereditaria.

Pertanto, se un erede aliena ad un estraneo la quota indivisa dell'unico cespite ereditario, secondo la giurisprudenza, si presume l'alienazione della sua quota intesa come porzione ideale dell'universum ius defuncti, e qualsiasi altro coerede può esercitare il retratto successorio di cui all'art. 732 c.c., salvo che il retrattato dimostri, attraverso un'adeguata valutazione degli elementi concreti della fattispecie, che con l'altro o gli altri contraenti non ha inteso sostituire uno o più terzi all'erede nella comunione ereditaria e che l'oggetto del contratto è stato considerato come quota a sé stante e non come quota del patrimonio del de cuius.