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Pubbl. Mar, 19 Mar 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Emergenza e legislazione emergenziale nel silenzio delle norme costituzionali italiane

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Lorenzo Mariani



Nonostante la Costituzione italiana non contenga una disposizione sullo stato di emergenza, non mancano esempi di legislazione e giurisprudenza di legittimità che hanno affrontato situazioni emergenziali (tra cui il terrorismo) nonché posizioni dottrinali che spesso fanno leva sulla decretazione d´urgenza o sullo stato di guerra ex art. 78 Cost.


Sommario: 1. L’emergenza nelle pronunce della Corte Costituzionale italiana. – 2. Emergenza e stato di guerra nell’ordinamento costituzionale italiano: un breve excursus storico. – 3. La derogabilità alle garanzie costituzionali in situazioni di emergenza diverse dallo stato di guerra: confronto tra le varie posizioni della dottrina. – 4. L’equilibrio tra emergenza e salvaguardia delle prerogative costituzionali: la tesi di Bonetti.5. L’emergenza nell’esperienza legislativa italiana, tra autonoma determinazione da parte del legislatore e assenza di una emergency clause costituzionale. - 6. Conclusioni. 

1. L’emergenza nelle pronunce della Corte Costituzionale italiana.

Nel precedente articolo[1] sulla tutela dei diritti nella lotta al terrorismo si è accennato al fatto che l’emergenza terrorista viene inquadrata nel cosiddetto paradigma della law of fear, la quale è caratterizzata da tre elementi: irretroattività, eccezionalità e temporaneità. Quest’ultima è un aspetto essenziale del diritto eccezionale, tant’è che – asserisce alcuna dottrina[2] - la Corte Costituzionale italiana ha ripetutamente ammesso violazioni delle norme costituzionali a condizione che fossero limitate nel tempo.
In particolare, relativamente a questioni non inerenti alla law of fear, il giudice di legittimità ha riconosciuto come illegittime le norme in violazione delle regole e dei principi costituzionali, ma le ha comunque sottratte all’annullamento ricorrendo a sofisticate tecniche decisorie, accomunate dal fatto di salvare la vigenza medio tempore delle norme attraverso la mancata dichiarazione di invalidità (e conseguente annullamento) al fronte di una “semplice” dichiarazione di sola illegittimità. Ad esempio, la sentenza 14 luglio 1988, n. 826 appartiene al genere delle sentenze “di rigetto con accertamento di incostituzionalità”.
Accanto a questa tipologia la Corte ha ideato anche il modello della “costituzionalità provvisoria e incostituzionalità non dichiarata”, nonché quello in cui si dichiara l’illegittimità costituzionale della norma, ma solo nella parte che manca di quanto necessario per dichiarare la sua costituzionalità.

Un esempio di quest’ultimo caso è stata la sentenza 20 novembre 2002, n.466, relativa al settore radiotelevisivo. Con essa la Corte muta il suo orientamento pregresso[3], per il quale il suo potere di dichiarare illegittime le leggi “non può trovare ostacolo nella carenza legislativa che, in ordine a dati rapporti, possa derivarne; mentre spetta alla saggezza del legislatore […] di eliminarla nel modo più sollecito ed opportuno.”[4]

A riguardo, la dottrina[5]ha osservato che in termini di principio è indubbio che la durata di un illecito abbia il suo peso nel quantificare la sanzione: il permanere nel tempo della condotta è sintomo della gravità dell’offesa arrecata alla legalità. Ciononostante, la variante tempo non arriva mai a incidere sul perfezionarsi della fattispecie illecita, escludendone il carattere contra ius come sarebbe invece per una causa di giustificazione. Il tempo, dunque, non sarebbe certo un fattore irrilevante nell’economia complessiva dell’illecito; ma rimarrebbe comunque un fattore esterno al suo compiersi, in grado di attenuare la sanzione ma non di rendere la condotta illecita conforme all’ordinamento tramite una finzione giuridica, poiché il fatto è e rimarrà una violazione di un diritto soggettivo.
Con altre pronunce, la Corte ha sottratto dall’annullamento alcune norme illegittime, attendendo che il legislatore futuro si adeguasse ai suoi moniti e modificasse il dettato normativo in conformità a quanto indicato nelle sentenze di rigetto, al fine di scongiurare vuoti normativi.

La sentenza 14 luglio 1988, n.826 è stata la prima di una trafila[6] che ha elevato la temporaneità della norma a titolo giustificativo della legittimità di una disposizione. Non è certo mancato il dissenso da parte della dottrina.[7] Esso è principalmente fondato su due assunti: che la corte non abbia indicato quale sarebbe la esplicita disposizione costituzionale che ammetta la possibilità di derogare a se stessa, in ragione della provvisorietà della legislazione in deroga; che la temporaneità abbia un carattere auto-qualificatorio, nel senso che è la stessa legge a riconoscerlo, senza che ne consegua un accertamento da parte della Corte.

Non a caso, il giudice a quo nella sentenza n. 826/1988 osservò che non esiste nel testo costituzionale una norma che consenta di derogare alla Costituzione stessa attraverso discipline provvisorie, e che, nello specifico caso delle sentenza in tema di pluralismo informativo, “la continua reiterazione di norme autoproclamatesi provvisorie, tendeva a consolidare e perpetuare una situazione da ritenersi illegittima sul piano della costituzionalità e nata dall’occupazione spontanea dell’etere da parte di privati.[8] 

Invece la Corte elaborò una sorta di esimente dell’illegittimità costituzionale, rappresentata dal fattore tempo, capace di rendere conforme alla Costituzione norme che in realtà non lo erano. Non è un mistero che queste sentenze non abbiano portato sempre all’auspicato “ravvedimento” del legislatore che, forte della clemenza della Corte, ha continuato a tenere in vita le leggi temporanee così da renderle di fatto definitive. In tal mondo l’illecito ha finito per consolidarsi pur essendo venuto meno la sua già opinabile ragione giustificatrice[9].          
Nel caso della law of fear[10], va tenuto conto della già menzionata assenza di una esplicita norma costituzionale che autorizzi o gestisca l’emergenza. Pertanto, la Corte dovrebbe essere tenuta a esercitare con pienezza le proprie attribuzioni, pronunciando l’annullamento della norma se è venuta meno quella temporaneità che era stata elemento di giustificazione nell’ottica della emergency clause implicita, fintanto che l’emergenza si era protratta. Va inoltre tenuto a mente che la temporaneità agisce da misura lenitiva della già vista[11] asimmetria tra valori in gioco nella applicazione del principio di proporzionalità, da parte del legislatore, al momento di affrontare l’emergenza. 

Non essendovi, ricordiamo, una perfetta simmetria tra sacrificio (attuale e sicuro) dei diritti e beneficio (futuro ed eventuale) della sicurezza, questo principio di proporzionalità sui generis sarebbe non sopportabile dal cittadino se protratto a lungo nel tempo.
Una conseguenza del perdurare del fenomeno terroristico è la tendenza della law of fear a diventare permanente, atteggiandosi il criterio di precauzionalità in modo diverso. Fintanto che era necessario anticipare eventi imprevedibili ma comunque esauribili in un arco temporale, la legge della paura faceva impiego tanto del principio di precauzionalità quanto di quello di temporaneità; dal momento in cui il terrorismo si presenta come una serie di eventi che possono essere considerati singolarmente, imprevedibili ma anche ripetibili in brevi intervalli di tempo l’uno dall’altro, lo strumento della legislazione a termine risulterà ora inadeguato. Dunque, l’ipotesi della proroga di leggi temporanee non è dovuta a un intento “malizioso” del legislatore, quanto alla semplice constatazione che il fenomeno terroristico, una volta esauribile in un arco temporale determinato, è oggi caratterizzato da una natura tutt’altro che temporanea. Ne consegue una permanenza del pericolo e un differimento della scadenza delle leggi temporanee.

In un simile contesto sarebbe necessario[12]un preventivo alleggerimento della compressione subita dai diritti che, pensata per un periodo breve di tempo, andrebbe ridefinita. Il giudice delle leggi dovrebbe iniziare a considerare la legislazione come una disciplina non solo eccezionale, ma anche definitiva. La auto-qualificazione della norma come temporanea, pertanto, non sarà indicativa della sua vera natura, che dovrà invece essere oggetto di controllo approfondito da parte della Corte. Essa perciò dovrebbe avere un atteggiamento scrupoloso di bilanciare il momento negativo (la compressione delle libertà) con quello positivo (la garanzia di sicurezza), Ne consegue che l’illegittimità della asimmetria tra questi due valori, una volta accettata perché provvisoria, oggi andrebbe dichiarata immediatamente, essendo divenuta lesione permanente al principio di proporzionalità. Se ciò non dovesse accadere, la deroga alla disciplina generale sarebbe solo una fictio iuris a copertura di un ordinamento nuovo e solo formalmente eccezionale, più debole nella protezione dei diritti, e sostanzialmente duraturo anche se originariamente inteso come temporaneo.
In maniera molto simile, anche Paolo Bonetti menziona[13] che di fronte all’inerzia del legislatore rispetto all’esigenza di colmare le lacune ordinamentali lasciate dalle sentenze della Corte, in alcuni casi proprio quest’ultima avrebbe creato direttamente o indirettamente l’emergenza, attribuendole la capacità di procrastinare una temporanea situazione incostituzionale. Il riferimento è all’articolo 25 della legge n. 112/2004 (c.d. Gasparri bis sul sistema radiotelevisivo) che prevedeva il mantenimento dello status quo ante fino alla completa attuazione del piano di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale.

Ad esso era subordinata la presenza nel mercato di decoder a prezzi accessibili, affinché salvare gli incentivi all’acquisto dei decoder contribuisse almeno in parte a sanare l’emergenza che la Corte stessa aveva creato con la sentenza n. 466 del 20/11/2002. L’introduzione del digitale terrestre finì così per prolungare quella fase transitoria che, secondo la Corte, sarebbe dovuta durare fino al 2003. Il Giudice delle leggi sembrò “arrendersi” con la sentenza 151 del 9/5/2003 in cui riconobbe “l’eccezionalità della situazione caratterizzata dal passaggio al digitale terrestre”. Sempre sul tema dell’attività della Corte costituzionale in relazione all’emergenza, l’autore specifica inoltre di ritenere che la tesi per cui alcune sentenze del Giudice delle leggi abbiano legittimato sospensioni costituzionali sia errata in quanto incompatibile con il sistema costituzionale italiano che, appunto, non ammette sospensioni delle norme costituzionali al di fuori di quelle in stato di guerra.[14]

Pertanto sarebbe condivisibile l’opinione di coloro[15] che rinvengono nell’uso dell’emergenza da parte della Corte costituzionale non il presupposto per una sospensione delle norme costituzionali, ma un criterio interpretativo adottato relativamente a crisi ordinamentali di varia natura, che condurrebbe a una lettura più elastica dei parametri costituzionali. In tal modo l’emergenza sarebbe un elemento che determina un “alleggerimento” del sindacato di ragionevolezza ovvero una ragionevolezza “eccezionale” di norme che prevedono trattamenti differenziati in considerazione delle speciali esigenze derivanti da una determinata situazione emergenziale, mediante misure inusuali ma legittime e non ingiustificatamente protratte nel tempo, ma solo fino alla durata dell’emergenza, la quale è di per sé “una condizione certamente anomala e grave, ma anche essenzialmente temporanea”.[16

Va notato però che il concetto di emergenza non è usato dalla Corte in modo univoco. In primo luogo, viene intesa come la causa che per la Corte legittima il legislatore ordinario ad attribuire ad organi governativi e amministrativi poteri derogatori e provvisori per affrontare con misure eccezionali eventi considerabili come straordinari per intensità ed estensione.[17] Un secondo significato di emergenza, nella comparazione tra interessi in conflitto, è quello di criterio giustificativo della prevalenza degli uni sugli altri. Esso amplierebbe il grado di tollerabilità rispetto all’apparente violazione di norme costituzionali, dimodoché disposizioni legislative sono ritenute legittime in quanto adottate per tutelare alcuni valori costituzionali minacciati dalla situazione d’emergenza. Di fronte a principi costituzionali suscettibili di più interpretazioni o applicazioni, il criterio dell’emergenza pare servire alla Corte per aumentare le interpretazioni praticabili nella fattispecie.

In aggiunta, l’autore riconosce[18] l’esistenza di un tentativo da parte del legislatore di prorogare all’infinito norme derogatorie che invece avrebbero dovuto trovare applicazione del loro potere limitatore dei diritti costituzionali per un periodo transitorio ed essenzialmente definito al perdurare di situazioni emergenziali che sono diventate croniche. Ma afferma anche che le sentenze più recenti spingano il legislatore a porre fine alla situazione di emergenza con nuove norme adeguate alle necessità ormai ricorrenti e diffuse. Ad esempio, è stata fatta cessare la reiterazione legislativa del blocco automatico dell’esecuzione degli sfratti nelle zone ad alta tensione abitativa che finivano per paralizzare all’infinito l’esercizio del diritto di proprietà senza prevedere a carico dei pubblici poteri (e non più a carico del solo proprietario) obblighi di intervento per le esigenze delle fasce più deboli della società.[19]

2. Emergenza e stato di guerra nell’ordinamento costituzionale italiano: un breve excursus storico.

La nostra analisi del sistema costituzionale italiano di gestione delle situazioni di emergenza[20] non può però proseguire senza che si espliciti che esso non ammette deroghe, eccezioni o sospensioni alle norme costituzionali se non durante lo stato di guerra. Ciononostante, è comunque previsto un ampio ricorso alla decretazione del Governo in casi straordinari di necessità e urgenza, nonché riserve di legge rinforzate.

A riguardo, può essere interessante una breve analisi storica dello sviluppo del testo costituzionale in relazione all’emergenza. La materia fu trattata da due sottocommissioni, in tempi diversi e in modo non unitario. L’Assemblea costituente, alla fine non inserì nel testo la norma che era stata approvata l’11 gennaio 1947 dalla prima sezione della seconda sottocommissione, con la quale si stabiliva il divieto di dichiarazione dello stato d’assedio e di sospensione totale e parziale delle garanzie costituzionali. Degno di nota il fatto che Mortati fosse contrario a tale disposizione, preferendovi piuttosto un sistema di Bill of Indemnity come quello del Regno Unito (a cui si è fatto cenno nel precedente articolo[21]), ritenendo necessaria una sospensione dei diritti costituzionali almeno nel “caso di movimenti insurrezionali diretti a stabilire la dittatura[22].

Così oggi la Costituzione consente al Governo di adottare, in casi straordinari di necessità e di urgenza, decreti-legge che entrano in vigore al momento della pubblicazione, con validità di 60 giorni, e devono essere convertiti in legge dal Parlamento, a pena di caducazione ex tunc[23]. Consente inoltre alle Camere la deliberazione dello stato di guerra e il conferimento all’Esecutivo dei poteri necessari.[24] Lo stato di guerra deve essere proclamato dal Presidente della Repubblica e prevede il potere di prorogare la durata di ogni Camera, la facoltà per la legge di prevedere una disciplina di giurisdizione dei tribunali militari eventualmente diversa da quella prevista in tempo di pace che è limitata ai soli reati militari commessi da appartenenti alle forze armate[25], nonché la facoltà di derogare per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra alla ricorribilità in Cassazione per violazione della legge contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale.[26] Fino al 2007, la legge militare in tempo di guerra aveva la facoltà di prevedere casi di comminazione della pena di morte, altrimenti vietata dall’articolo 27 della Costituzione, il cui testo al comma 4 recitava: ”Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”.

La legge costituzionale 2 ottobre 2007, n.1 ha modificato tale disposizione, escludendo la applicabilità della pena capitale in qualsiasi caso. Infatti, il nuovo testo dell’articolo 27 comma 4 si limita a statuire che: “Non è ammessa la pena di morte”.[27] Furono invece accantonate e non inserite nel testo definitivo della Costituzione le proposte di norme sulla facoltà per legge di prevedere in tempo di guerra limitazioni e censure alla libertà e segretezza della comunicazione e della corrispondenza e la censura della stampa per le notizie di interesse militare.[28]

Agli strumenti costituzionali ora visti si aggiungono le norme sulla facoltà del Presidente della Repubblica di disporre lo scioglimento dei Consigli regionali e la rimozione dei Presidenti delle Giunte regionali per motivi di sicurezza nazionale.[29] Inoltre, la riforma prevista dalla legge costituzionale n. 3/2001 ora prevede la spettanza allo Stato della potestà legislativa esclusiva in materia di ordine pubblico, sicurezza, armi e munizioni, difesa e sicurezza dello Stato, nonché di una potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni in materia di protezione civile[30] e del potere sostitutivo del Governo nei confronti degli organi regionali o locali da esercitarsi in caso di pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza[31].

3. La derogabilità alle garanzie costituzionali in situazioni di emergenza diverse dallo stato di guerra: confronto tra le varie posizioni della dottrina.

Sono rinvenibili posizioni dottrinali diverse sia sulla possibilità di introdurre sospensioni o deroghe alle garanzie costituzionali, sia circa ciò che potrebbe accadere in situazioni emergenziali diverse dallo stato di guerra.[32] Un primo orientamento[33] – tipico della dottrina più risalente – è quello che riteneva che al di fuori dello stato di guerra, di fronte a situazioni di emergenza non altrimenti fronteggiabili, il Governo con decreto legge potrebbe introdurre sospensioni e deroghe alle norme costituzionali.

Altri orientamenti ritenevano che esistessero decreti-legge per i quali la necessità sarebbe una fonte autonoma implicita del sistema costituzionale, mentre altri ritenevano che i decreti-legge avessero la capacità di violare i limiti costituzionali, ricavabile dall’art. 77 comma 4 che consente alle Camere con legge di regolare gli effetti dei decreti non convertiti[34]. Inoltre si affermava che la forma del decreto-legge consentirebbe al Presidente della Repubblica un controllo preliminare all’emanazione dell’atto, fino al punto che egli possa rifiutarsi di emanarlo qualora giudichi il suo contenuto come attentato alla Costituzione, mentre la presentazione alle Camere ai fini della conversione in legge consentirebbe ad esse di operare un giudizio politico sull’operato dell’Esecutivo e di ricostruire l’ordine costituzionale, nel senso che le Camere non potrebbero convertire in legge un decreto-legge che preveda la sospensione della Costituzione e ciò farebbe in modo che un’eventuale sospensione non duri più di 60 giorni, anche se le Camere potrebbero approvare una legge per esonerare da responsabilità i suoi autori.[35]

In ogni caso, anche coloro che ritenevano che nel decreto-legge disciplinato dall’articolo 77, i casi di necessità ed urgenza siano soltanto il presupposto e non la fonte del potere, affermavano che è proprio in tale norma costituzionale che si deve rinvenire la disciplina di un’eventuale sospensione dei diritti costituzionali in quei medesimi casi straordinari, anche se così il Governo sarebbe comunque sottoposto a limiti insuperabili di contenuto e forma, in modo da essere limitato solo a provvedimenti provvisori di durata non superiore a 60 giorni e proporzionati al pericolo da affrontare[36], fermi restando i controlli preventivi da parte del Presidente della Repubblica e quello eventuale e successivo da parte della Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato o di conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni o di giudizio di legittimità costituzionale[37], tanto che la stessa Corte potrebbe disporne la sospensione cautelare dell’esecuzione qualora le sue norme fossero autoapplicative.

Nella sua discettazione su questo primo orientamento, Paolo Bonetti[38] fa proprie le critiche di chi nega che nell’ordinamento costituzionale italiano la necessità si possa configurare come fonte di diritto extra ordinem, in grado persino di derogare alle norme costituzionali o di sospenderne temporaneamente l’applicazione: in una Costituzione rigida le fonti del diritto sono costituite da fatti e atti espressamente qualificati come tali dalle fonti sulla produzione dello stesso ordinamento. Condivisibile sarebbe anche la posizione di chi ricorda che l’art. 77 comma 4 della Costituzione ha ben altri significati: consentire alle Camere di intervenire senza contraddire la decadenza ex tunc del decreto-legge non convertito e limitare l’area della retroattività della legge[39].

Ugualmente corrette sarebbero le obiezioni di chi ricorda che nell’art.77 la necessità è soltanto il presupposto per l’adozione del decreto-legge, ma non certo una fonte extra ordinem. È infatti l’articolo stesso ad attribuire ai decreti-legge soltanto il valore di legge ordinaria (e non di legge costituzionale). Pertanto la rigidità della Costituzione imporrebbe di ricorrere alla procedura aggravata prevista dall’articolo 138 non soltanto per le leggi di revisione costituzionale, ma anche per eventuali deroghe e sospensioni delle norme costituzionali.[40] A queste obiezioni, argomenta Bonetti, va aggiunto che il nuovo art. 117, comma 1 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001, prevede espressamente il rispetto della Costituzione quale limite della potestà legislativa statale e regionale, inclusa quella esercitata mediante decreti-legge.
Autorevole dottrina[41]affermò che al di fuori dello stato di guerra le sole deroghe o sospensioni temporanee delle norme costituzionali potrebbero essere adottare solo con leggi costituzionali le quali potrebbero sospendere talune garanzie per un tempo da esse stesse definito proprio poiché i diritti costituzionalmente tutelati (perciò inviolabili ex art. 2) non verrebbero sottoposti a revisione. Questa tesi, però, non si sottrarrebbe alla facile obiezione che è piuttosto probabile che i tempi minimi previsti dall’articolo 138 Cost. per l’approvazione della legge costituzionale risultino eccessivi rispetto all’eccezionalità e urgenza tipiche di una situazione di emergenza.

Vi è oggi chi invece ritiene che la necessità sia in effetti da considerare non già come fonte extra ordinem, ma come fonte compatibile col sistema costituzionale, implicita nel dovere testualmente “sacro” dei cittadini di difendere la patria ai sensi dell’articolo 52 Cost., il quale comporterebbe l’obbligo istituzionale - anche al di fuori dello stato di guerra - di salvaguardare le istituzione dello Stato in caso di aggressione non altrimenti affrontabile, facendo ricorso a qualunque mezzo necessario, compresi quelli non formalmente consentiti ma sostanzialmente legittimi.[42] Ciò avverrebbe mediante la adozione di un decreto-legge di tipo straordinario, in grado di individuare atti destinati ad affrontare una necessità assoluta e indifferibile, nonché di legittimare addirittura la deroga o la sospensione provvisoria delle norme costituzionali sui diritti fondamentali o sull’ordine delle competenze, in quanto unico strumento di chiusura nella disciplina di qualsiasi imprevisto che richieda interventi veramente eccezionali.[43]

In proposito, Vezio Crisafulli[44] sosteneva che ci fosse un “nucleo di verità” negli argomenti a favore della facoltà di derogare temporaneamente alle singole disposizioni costituzionali con un decreto-legge. Infatti, tale fonte si adegua “alla funzione anche originaria ed essenziale della decretazione d’urgenza, che è di assicurare la sopravvivenza dello Stato e dell’ordinamento, facendo fronte a situazioni imprevedibili che la mettano in pericolo”. 
Da ultimo vi è chi afferma che nelle ipotesi eccezionali in cui si verifichi un conflitto tra due valori costituzionali - da un lato la rigidità della Costituzione e il rispetto della totalità delle sue norme, dall’altro il valore della continuità nel tempo dell’ordinamento – è necessario che a prevalere sia la continuità: se essa fosse sacrificata, non sarebbe possibile alcun bilanciamento tra interessi e principi, poiché verrebbe meno il contesto all’interno del quale ciò avveniva. Pertanto, sono ipotizzabili anche decreti-legge che temporaneamente sospendano quelle disposizioni costituzionali idonee a mettere in pericolo la continuità dell’esperienza costituzionale in atto. In tal modo, proprio in nome della Costituzione e della sua tutela si ipotizza di legittimare la momentanea “messa tra parentesi” degli artt. 77 e 138.[45]

Bonetti considera inaccettabile questa soluzione[46] per diversi motivi. In primo luogo, perché essa fa concludere che in nome dell’adempimento del dovere costituzionale di difesa della patria tutto sia consentito, anche al di fuori dello stato di guerra, compreso il ricorso a un potere non costituzionalmente disciplinato di sospendere temporaneamente le garanzie costituzionali della rigidità. Se infatti si affermasse l’ipotesi che il Governo possa sospendere parti del testo costituzionale a sua discrezione, mancando limiti espressi a tali sospensioni o deroghe, qualsiasi misura potrebbe venire astrattamente legittimata in nome dell’emergenza, poiché spetterebbe comunque alla discrezionalità dell’interprete valutare quali siano quelle sospensioni alla Costituzione che non ne contrastino coi fini ma tendano anzi a tutelarli di fronte all’emergenza. In secondo luogo, i sostenitori di queste posizioni le argomentano spesso facendo riferimento alla giurisprudenza costituzionale, nella convinzione che essa abbia previsto temporanee sospensioni di alcune garanzie costituzionali di fronte a situazioni di emergenza.

L’autore asserisce (come abbiamo già visto all’inizio di questo paragrafo) che in realtà sia “tutto da dimostrare[47] che proprio quello sia il significato della giurisprudenza e soprattutto che quell’orientamento, almeno per ciò che attiene all’uso dell’emergenza nei rapporti tra Stato e Regioni, possa considerarsi attuale ed utilizzabile dopo la revisione del Titolo V della Costituzione ad opera della legge costituzionale n. 3/2001, che espressamente attribuisce allo stato numerosi strumenti per intervenire in situazioni di emergenza nel rapporto con Regioni ed Enti Locali. Inoltre, la posizione di chi appoggia questa tesi sarebbe contraddittoria: si afferma che il decreto-legge è fonte pensata (ai sensi dell’art. 77) per essere convertita in legge ordinaria, il che fa ritenere insensato pretendere di consolidare con legge dei provvedimenti che sono stati, seppur temporaneamente, contrari alla Costituzione.

Allo stesso modo, però, si afferma che sia preferibile ipotizzare atti che la Costituzione non prevede, cioè un atto parlamentare che – secondo il paradigma della Bill of Indemnity – esoneri il Governo da responsabilità per aver violato la Costituzione, tramite l’adozione di un provvedimento provvisorio nella forma del decreto-legge anomalo o straordinario perché adottato in deroga alle norme costituzionali. L’autore commenta[48]che non si comprende come sia possibile ipotizzare che nell’ambito di una Costituzione rigida sia legittima una legge sanatoria dei decreti-legge non convertiti la quale consideri validi e perciò regolarizzi gli effetti prodotti da un qualsiasi atto che violi la Costituzione, tenendo conto anche di una giurisprudenza costituzionale che afferma che la legge di sanatoria del decreto-legge non convertito ha i medesimi limiti che si frappongono a qualsiasi attività legislativa[49]e dunque sarebbe pienamente sindacabile dalla Corte costituzionale. In tal modo il Parlamento “converte non convertendo” perché pretende di stabilizzare nel tempo gli effetti di norme incostituzionali, seppur decadute per mancata conversione.

In realtà, sostiene Bonetti, ciò che l’ordinamento costituzionale consente in tali circostanze è solo una delibera parlamentare che a maggioranza qualificata esoneri soltanto dalle responsabilità penali i ministri e il Capo di Stato.  In tal caso, infatti, il Parlamento in seduta comune potrà soltanto a maggioranza qualificata deliberare di non attivare il giudizio penale contro il Presidente della Repubblica che abbia emanato un atto configurabile come attentato alla Costituzione, nonché dei ministri che con lui abbiano concorso nel reato, controfirmando l’atto. Qualora l’atto costituzionale non sia considerabile come attentato alla Costituzione, il solo atto consentito alla Camera di appartenenza è di deliberare a maggioranza assoluta dei suoi membri di negare l’autorizzazione a procedere nel caso in cui reputi, a sua insindacabile giudizio, che l’inquisito abbia agito per la tutela dell’interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo.[50]

Potrebbe rientrare tra tali cause l’aver agito per l’esigenza di adottare con tempestività provvedimenti assolutamente necessari, ancorché incostituzionali, al fine di tutelare la Repubblica da un’aggressione in atto. Se essa viene considerata una esimente o una causa di non punibilità, è significativo che una simile deroga alle norme costituzionali sia stata adottata proprio da una legge costituzionale secondo la riserva di legge introdotto nell’art. 96 e che sono in quelle ipotesi sia prevista la insindacabilità della valutazione politica compiuta dalla delibera parlamentare.

A queste tesi l’autore contrappone altri orientamenti[51]. Vi è infatti chi ritiene[52] che un esame dei lavori preparatori debba far concludere che i costituenti intenzionati a tutelare maggiormente le libertà non vollero aprire varchi nella preclusione di sospendere quei diritti fondamentali che erano stati proclamati come inviolabili. Da ciò si dovrebbe trarre l’indispensabilità di una interpretazione letterale della Costituzione a riguardo di eventuali deroghe ad essa. Da un lato quindi si dovrebbe ritenere che la sospensione di alcuni diritti e norme in materia di organizzazione costituzionale sia prevista solo per il caso dello stato di guerra, mentre dall’altro che soltanto durante lo stato di guerra l’adempimento del dovere di difendere la patria potrebbe essere attuato mediante norme parzialmente derogatorie della Costituzione. Pertanto, l’autore ritiene possibile giungere ad una soluzione interpretativa costituzionalmente conforme nei termini che seguono[53].

4. L’equilibrio tra emergenza e salvaguardia delle prerogative costituzionali: la tesi di Bonetti.

Dinanzi a fenomeni emergenziali persistenti (come, appunto, il terrorismo) resterebbe ferma la facoltà per legge di disciplinare diversamente o dare attuazione a norme costituzionali di principio che consentano di stabilire modalità di esercizio delle libertà costituzionalmente garantite o che prevedano clausole legittimanti eventuali limitazioni dell’esercizio di talune libertà fondamentali.[54]

Di fronte, invece, a situazioni emergenziali “straordinarie” e impreviste o comunque imprevedibili che esigano urgenti interventi legislativi e non possano essere ricomprese nell’emergenza bellica, l’autore rinviene nel decreto-legge la fonte costituzionalmente adatta a rimediare con immediatezza alle necessità del momento: nonostante  il decreto-legge sia stato fin dall’origine concepito per situazioni oggettivamente eccezionali che si pongano al di fuori della consueta disponibilità del legislatore ordinario, esso non è comunque in grado di prevedere norme derogatorie o sospensive delle norme costituzionali.[55]

Ancora, per le situazioni nelle quali si verifichino emergenze “ordinarie” in quanto dovute a eventi emergenziali ricorrenti o comunque prevedibili, la legge può consentire al Governo di avvalersi della facoltà di adottare provvedimenti di ordinanza che possono contenere norme secondarie ovvero adottate in deroga alle norme legislative vigenti. Ciò sarebbe però possibile solo se le norme costituzionali lo consentano (come nel caso del Commissario del Governo, autorizzato in tal senso dall’art. 88 comma 2 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige) oppure – come dimostrato dalla giurisprudenza costituzionale[56]- se l’autorizzazione legislativa presenti alcune caratteristiche fondamentali: si riferisca a materie in cui non vige una riserva assoluta di legge; contenga in ogni caso limiti e finalità dei provvedimenti; consenta non già abrogazioni o modificazioni ma soltanto deroghe temporanee; indichi l’autorità governativa legittimata e disciplini le modalità di esercizio, i criteri e i controlli stringenti per l’uso di tali poteri, il nesso di strumentalità tra l’evento emergenziale e le misure adottate per rimediarvi e sempre che i provvedimenti governativi in tal modo autorizzati siano adeguatamente motivati e pubblicati e si mantengano nell’ambito di tali limiti e dei principi costituzionali.[57]

Eventuali situazioni di emergenza nei rapporti tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali possono essere gestite in via ordinaria tramite ricorso al potere sostitutivo da adottarsi da parte del Governo in casi di pericolo per l’incolumità pubblica o per la sicurezza, ex art. 120, comma 2 Cost., nonché mediante l’emanazione dei decreti presidenziali di scioglimento e rimozione degli organi costituzionali regionali previsti dall’art. 126 Cost. nei casi di pericoli per la sicurezza nazionale.[58]

Possono verificarsi ipotesi in cui l’emergenza abbia caratteristiche eccezionali di pericolosità generalizzata o di violazione grave e diffusa di diritti costituzionalmente garantiti e di minaccia concreta e attuale per il corretto svolgimento dei poteri pubblici, al punto che altri strumenti appaiano insufficienti a garantire il dovere di difesa della patria previsto dall’art. 52 Cost., richiedendo così che tale dovere venga espletato da misure derogatorie di un normale sistema costituzionale.

In tal caso le Camere potranno decidere di avvalersi della facoltà di deliberare nel territorio nazionale lo stato di guerra ex art. 78 Cost., la cui formulazione non impedisce il riferimento alla guerra interna, come già ritenuto da altra dottrina.[59]A seguito di tale deliberazione tramite atto bicamerale non legislativo o legge, potrebbero essere approvate leggi o diventerebbero applicabili eventuali apposite norme legislative che contengano le deroghe alle norme costituzionali e legislative vigenti solo durante lo stato di guerra (anche qualora fossero predisposte durante lo stato di pace). In tal modo le Camere potrebbero, contestualmente o successivamente alla delibera dello stato di guerra, conferire al Governo i poteri che appaiono necessari nel caso concreto per provvedere a tale emergenza anche in deroga alle norme costituzionali.

Il conferimento dovrà comunque essere dato con legge, in quanto tale sottoponibile a controllo di legittimità costituzionale. Essa dovrebbe in oltre limitare precisamente i poteri governativi poiché finalizzati al solo obiettivo del ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica.[60]Ne consegue che sarebbero escluse deroghe o sospensioni alle norme costituzionali riguardanti la composizione e le funzioni dei pubblici poteri (incluse quelle della Corte costituzionale) ulteriori rispetto a quelle espressamente previste o consentite dal testo costituzionale. Qui l’autore rigetta pertanto l’opinione di Marazzita[61], secondo il quale si potrebbe autorizzare il Governo a introdurre una norma che deroghi all’art.136, comma 1. Cost, secondo cui la norma dichiarata illegittima cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Così facendo sarebbe possibile posporre l’efficacia delle sentenze caducatorie della Corte costituzionale in modo da evitare un vuoto legislativo. In sostanza, senza ricorrere a deroghe o sospensioni di norme costituzionali il medesimo risultato potrebbe ottenersi introducendo un’ordinaria norma legislativa che modifichi, deroghi o sospenda quelle vigenti circa i tempi e i modi di pubblicazione delle sentenze della Corte costituzionale. 

Il conferimento al Governo dei poteri necessari durante lo stato di guerra, continua Bonetti, potrebbe consistere anche in un’autorizzazione che consenta all’Esecutivo di adottare norme legislative (tanto decreti da emanarsi in seguito a una delega legislativa fuori dai limiti indicati dall’art. 76 Cost., quanto decretazione d’urgenza da convertirsi in legge al di fuori dei termini dell’art. 77), le quali – nei limiti di durata dello stato di guerra – deroghino o sospendano altre norme legislative ed eventualmente comportino anche una deroga o una sospensione totale o parziale di determinate libertà costituzionali. Tuttavia, anche quest’ultima derogabilità o sospendibilità non potrà essere illimitata: anche per tali norme legislative vige comunque un limite degli  obblighi internazionali previsti dall’articolo 117 comma 1: sia l’autorizzazione legislativa che la successiva normazione da parte del Governo devono rispettare i limiti previsti in materia dai trattati internazionali per l’uso delle clausole di limitazione dei diritti per ragioni di ordine pubblico o sicurezza nazionale e per l’impiego di deroghe consentite durante gli stati di eccezione.

Pertanto, le norme internazionali si configurerebbero come norme interposte nel giudizio di legittimità costituzionale sulle disposizioni derogatorie e sospensive. Questo garantirebbe quella protezione del “nucleo duro”[62] di garanzie costituzionali e darebbe al Giudice delle leggi un notevole potere di sindacato di ragionevolezza, proporzionalità e necessità secondo i parametri elaborati dalla giurisprudenza CEDU di cui si parlerà approfonditamente nei prossimi articoli sulla tutela dei diritti nella lotta al terrorismo.

Alle obiezioni di chi, ricordando che l’articolo 11 Cost. sancisce il ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” ritiene che lo stato di guerra faccia riferimento esclusivamente ai conflitti tra Stati, l’autore[63] replica che autorevole dottrina, come Paladin, già in passato ha sottolineato la difficoltà nel distinguere tra queste due forme di scontro bellico. A ciò si aggiunge il fatto che, dopo gli eventi dell’undici settembre 2001, di fronte alle dimensioni del terrorismo internazionale e alla ferocia degli strumenti da esso usati, nonché alla vastità dei suoi obiettivi, la distinzione tra conflitti internazionali e interni si fa sempre più labile.

Inoltre, la posizione di cui sopra potrebbe essere ribaltata: la previsione dell’art.87 Cost. che impone che la dichiarazione presidenziale avvenga dopo la deliberazione parlamentare non comporta che ogni deliberazione parlamentare dello stato di guerra ai sensi dell’art 87 Cost. debba necessariamente sfociare nella guerra internazionale, cioè nella dichiarazione presidenziale di guerra ex art. 87.  In ogni caso, mancando in Costituzione qualsiasi altro stato d’eccezione, onde evitare complesse e opinabili ricostruzioni di poteri governativi più o meno costituzionalmente impliciti o extra ordinem, la sola soluzione coerente con il testo costituzionale sarebbe riconoscere che la deliberazione parlamentare dello stato di guerra sia adottabile per la difesa dell’ordinamento democratico non solo nelle ipotesi di insurrezione armata contro i poteri dello Stato che sfoci in una guerra civile (a cui andrebbero applicate le norme del diritto internazionale dei conflitti armati) ma anche in ipotesi in cui sia “indispensabile ricorrere alle forme più ferme e decise di difesa rispetto ad una vera e propria azione di aggressione che sia stata intrapresa da organizzazione terroristiche contro la Repubblica mediante l’uso o la minaccia dell’uso di armi di distruzione di massa”.[64]Si pensi a quali mezzi le Autorità dovrebbero poter predisporre in caso di diffusione generalizzata di malattie infettive letali o di avvelenamento di risorse idriche o persino la detonazione di “piccoli” ordigni nucleari, al fine di colpire pesantemente la popolazione civile o le forze armate.

Secondo l’autore, la soluzione appena esposta sarebbe preferibile per molteplici ragioni.[65] In primo luogo in una Costituzione rigida appare una contraddizione immaginare casi inespressi in cui quella rigidità venga meno, consentendo un’evidente forzatura dell’intero sistema costituzionale da parte della sola maggioranza politica che sostiene il Governo. In secondo luogo, la formulazione proposta dall’autore avrebbe il vantaggio di non alterare il sistema costituzionale delle fonti di diritto e del controllo di costituzionalità. In aggiunta, consentirebbe di ricorrere alle ipotesi di sospensione o deroga delle norme costituzionali previste dalla Costituzione, senza ipotizzarne di nuove non presenti nel testo, dato che lo stato di guerra è l’unico stato di eccezione indicato in Costituzione, dunque l’unico ad essere presupposto per il ricorso legittimo a misure altrimenti non consentite. Ancora, il modello esposto sarebbe in grado di mantenere la democraticità del sistema costituzionale, nel quale a decidere dello stato di guerra e del conferimento di poteri necessari è il solo Parlamento e non anche il Governo. Inoltre, lascerebbe agli organi costituzionali l’ampio uso di tutte le fonti espresse per tentare di reagire con l’uso di strumenti ordinari (legge, decreto-legge, ecc.) al fine di contrastare l’emergenza prima di ricorrere come extrema ratio all’unico stato di eccezione previsto a livello costituzionale.

In ogni caso, prosegue l’autore, attribuire alle Camere la competenza a deliberare ai sensi dell’art.78 Cost. i poteri necessari alla lotta al terrorismo internazionale da un lato sembrerebbe in grado di superare l’assolutezza dei diritti fondamentali nel bilanciamento con le misure adottate, ma dall’altro porrebbe il Parlamento al centro del processo decisionale, così da garantire che si tenga la discussione circa la situazione e i possibili rimedi, nonché la pubblicità necessaria per assumere le decisioni (ancorché le Camere possano optare per la seduta segreta). Si andrebbero così a evitare eventuali accordi internazionali in forma segreta (la cui decisione a riguardo, magari, rischi di essere attribuita al potere estero di cui è titolare il Governo) e soprattutto mantiene alle Camere il potere dispositivo riguardo alle limitazioni dei diritti fondamentali, in conformità con la ratio democratica delle molteplici riserve di legge presenti in Costituzione.

All’obiezione che sarebbe impossibile una convocazione in tempi utili alle Camere per procedere a tali deliberazioni, l’autore contrappone[66] l’esempio del Parlamento tedesco che nel 1977 approvò in pochi giorni una legislazione antiterrorismo, nonché del congresso USA e del Congresso dei deputati spagnolo che,  nel 2001 e nel 2004 rispettivamente, approvarono in pochi giorni le nuove misure legislative antiterrorismo; nonché l’esempio dello stesso Parlamento italiano che nel luglio 2005, poco dopo gli attentati terroristici di Londra del 2005, convertì in legge il decreto-legge recante misure urgenti per il contrasto al terrorismo internazionale (d.l. 27 luglio 2005, n. 144, convertito in legge 31 luglio 2005, n.155). La volontà politica e il consenso permettono di prendere decisioni in tempi molto brevi. Proprio per questo, argomenta Bonetti, dovrebbero elaborare e mantenere costantemente aggiornati ed adeguati alla necessità delle diverse situazioni emergenziali che potrebbero dover divenire il contenuto di nuova normazione d’emergenza (decreti-legge o deliberazioni parlamentari di conferimento di poteri), dato che quelle norme legislative sullo stato di guerra che furono adottate durante il fascismo.

Né convincerebbe la tesi[67] secondo cui, al fine di adottare con immediatezza le misure necessarie in attesa della deliberazione parlamentare dello stato di guerra, le deroghe alla Costituzione possano essere adottate con decreto-legge straordinario che sia poi ratificato dalle Camere in seguito all’adozione da parte loro delle deliberazioni ex art. 78 Cost., in quanto così facendo si ritornerebbe alla criticata idea che il Governo, senza alcuna certezza che le camere delibereranno ai sensi dell’art. 78, avrebbe comunque la facoltà di usare la decretazione di urgenza per sospendere l’efficacia di norme costituzionali o per derogarvi. Questa linea di pensiero potrebbe persino portare a legittimare l’opinione che col decreto-legge si possa adottare la deliberazione dello stato di guerra, per il quale è inequivocabilmente necessaria una riserva di deliberazione parlamentare (ai sensi dell’art. 78).

5. L’emergenza nell’esperienza legislativa italiana, tra autonoma determinazione da parte del legislatore e assenza di una emergency clause costituzionale.

Nonostante non sia rinvenibile una emergency clause esplicita nella Costituzione del nostro Paese, non sono mancati casi[68]in cui il legislatore si sia auto-attribuito il potere di dichiarare esistente l’emergenza al fine di avere un presupposto per la definizione degli strumenti giuridici con cui affrontarla. Ne è un esempio la legge n. 152 del 23/4/1975, recante “Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico”, nella quale il legislatore assume come eccezionale il fatto del terrorismo. La legge non contiene una formale dichiarazione di stato di emergenza, ma la relazione fa riferimento a “recenti gravissimi episodi di criminalità comune e politica”, nonché alla “inderogabile necessità di interventi organici che restituiscano efficienza all’attività giurisdizionale”.[69]

È chiaro dunque che il legislatore abbia posto l’emergenza come base per l’adozione di misure atipiche. Tra queste possiamo ricordare un allargamento di poteri delle forze di polizia con corrispondente riduzione delle competenze del giudice. In questo esempio, tuttavia, il legislatore non arrivò mai a ledere la garanzia basilare della riserva di giurisdizione, poiché i provvedimenti limitativi delle libertà non erano comunque sottratti al riesame giudiziario garantito dall’art. 24 Cost.

Un caso diverso di emergenza si ebbe con l’impedimento per malattia del Presidente della Repubblica Antonio Segni.[70] Poiché egli era impossibilitato a esercitare le proprie funzioni, si pose il problema (nel silenzio dell’articolo 86 della Costituzione) di chi e come dovesse accertare la natura temporanea o permanente del suo impedimento. Nel primo caso ne sarebbe conseguita la supplenza del Presidente del Senato ex art. 86 comma 1; nel secondo l’attivazione del procedimento per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, ai sensi dell’articolo 86 comma 2. L’accertamento trovò sede formale in una dichiarazione congiunta di Presidente del Consiglio e Presidenti delle Camere; in seguito venne disegnato un procedimento completamente extra ordinem e privo di qualsiasi esplicito fondamento costituzionale, ma necessario per assicurare la continuità nell’esercizio delle funzioni connesse alla carica.

All’impedimento ritenuto inizialmente temporaneo si fece fronte con la supplenza del Presidente del Senato Merzagora (dal 10 agosto al 28 dicembre 1964) ai sensi dell’articolo 86, comma 1 Cost. Nonostante il perdurare dell’impedimento a svolgere le sue funzioni, il Presidente continuava a far mancare le sue dimissioni, così da determinare uno stallo insostenibile ai vertici dell’ordinamento. Le mancate dimissioni volontarie indicavano infatti un rifiuto, da parte del Presidente Segni, di ritenere l’impedimento permanente. In tal modo era di fatto impedita l’attivazione del procedimento previsto dall’art. 86 comma 2 per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Le dimissioni di Segni vennero fatte pervenire il 6 dicembre del 1964, prima che si giungesse alla certificazione della natura permanente dell’impedimento con atto congiunto del Presidente del Consiglio e dei Presidenti delle Camere. L’emergenza, pertanto, si concluse. 
Nel caso appena esposto, l’eccezionalità e l’urgenza a provvedere divennero fonti normative originarie, dando fondamento a una procedura ex novo che rifletteva l’eccezionalità da cui traeva origine.
Forse[71]il caso Segni più di altri evidenzia i problemi che l’assenza di una esplicita clausola generale di emergenza esplicitata nel testo costituzionale può comportare relativamente alla individuazione dell’autorità competente a rilevare lo stato di emergenza e a dichiararlo. Una clausola emergenziale esplicita avrebbe consentito, probabilmente, di risolvere in modo più agevole i problemi affrontati in via interpretativa. Tale clausola dovrebbe contenere almeno un minimo di procedimentalizzazione, consistente nell’indicare l’autorità competente a dichiarare lo stato d’emergenza, nel definire per linee generali il presupposto giustificativo di tale dichiarazione e nell’assegnare ad altra autorità un insieme di attribuzioni e relativi limiti.

Altro esempio, particolarmente utile per avere un’idea dell’incidenza delle norme emergenziali su diritti fondamentali come quello di movimento, è la legislazione sulle misure antiviolenza nelle manifestazioni sportive (cosiddetto Daspo), le quali risalgono alla legge recante “Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di (manifestazioni sportive)”.[72] L’originaria formulazione della legge n. 481 del 13/12/1989 inseriva tramite l’art. 6 un divieto di accesso allo stadio in una più ampia disciplina volta a garantire il corretto svolgimento delle competizioni sportive, senza alcuna menzione di situazioni a carattere emergenziale. Questo aspetto risulta più evidente nel decreto-legge 477 del 30/07/1994, il quale appunto reca nella motivazione la formula “ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni al fine di prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche[73]. Il decreto in questione sostituisce l’art. 6 con la più ampia e incisiva disciplina del Daspo.

Troverebbe così conferma[74] l’individuazione del legislatore come il soggetto competente a dichiarare che un’emergenza è in atto, essendo il decreto-legge comunque esercizio del potere legislativo, sia pure da parte del Governo in via precaria e soggetto a conversione. Con la motivazione dell’emergenza, il legislatore dilata così poteri e compiti dell’autorità di pubblica sicurezza, così da incidere direttamente sulle libertà personali, tra cui quella di domicilio, circolazione e soggiorno. In questo caso il legislatore penale interpreta in modo piuttosto disinvolto l’eccezione, già contemplata in Costituzione, che consente di sostituire l’autorità di pubblica sicurezza al giudice nell’adozione di provvedimenti provvisori. Viene infatti previsto che tali misure siano assumibili in via temporanea anche nei confronti di chi abbia già commesso il fatto, persino nel caso in cui la condotta illecita sia già cessata.[75]

Con tale legge cambia quindi il concetto costituzionale di flagranza, come posto dall’art. 68 c.2 della Costituzione, anche se in riferimento a diversa fattispecie. Il legislatore del Daspo si accontenta di una flagranza che la dottrina in parola[76] definisce “passata”, poiché solo tramite le registrazioni video è possibile individuare i tifosi violenti e sottoporli a misure limitative, con la particolarità che i loro atti violenti sono già esauriti. Va inoltre aggiunto che il Daspo sottopone lo sportivo qualificato come violento (in base a sole prove indiziarie e prima della condanna) a una disciplina fortemente punitiva che lo priva della libertà di andare allo stadio, nonché – su eventuale ordine del questore - a presentarsi al commissariato di polizia nelle ore dello svolgimento dell’evento sportivo.[77]

6. Conclusioni.

La mancanza di una esplicita clausola emergenziale nella Costituzione italiana non ha impedito al legislatore e al giudice delle leggi, nei contesti più diversi, di affrontare il tema dell'emergenza. Il primo ha fatto spesso ricorso allo strumento dei decreti-legge, mentre il secondo ha trovato strategie interpretative che talvolta - come si è visto - hanno suscitato perplessità in alcuna dottrina.

A tal riguardo, differenti sono le opinioni dottrinali sulla rinvenibilità di una disciplina dell'emergenza nel nostro ordinamento. Tra di esse, quella di Paolo Bonetti si distingue per cercare di mantenere un equilibrio tra garanzie costituzionali e necessità di affrontare l'emergenza, ad un tempo negando che i decreti-legge possano avere valore di fonte superiore alla Legge Fondamentale nonché attribuendo posizione di rilievo allo stato di guerra ex art. 78 Cost. 


Nel prossimo articolo sulla tutela dei diritti fondamentali nella lotta al terrorismo avremo modo di analizzare l'impatto, passato e presente, delle misure emergenziali e delle politiche di contrasto al fenomeno terroristico sulla tenuta dei diritti fondamentali nel nostro Paese.

Note e riferimenti bibliografici.

] [1] L. Mariani, Il rapporto tra terrorismo e stato di emergenza, in Riv. Cammino Dirit., 2, 19.

[2] G. De Minico, Costituzione, Emergenza e Terrorismo, Jovene, 2016, p. 76.

[3] G. De Minico, op. cit., p. 77.

[4] Sent. 24 novembre 1958, n. 59.

[5] G. De Minico, op. cit., pp. 77-ss.

[6] Si vedano: sentt. 15 novembre 1988, n. 1030; 26 marzo 1993, n.112; 20 novembre 2002, n. 466.

[7] Si vedano: R. Borrello, Cronaca di una incostituzionalità annunciata (ma non dichiarata), in Giurisprudenza Costituzionale, 1988, pp. 3950-ss; R. Pardolesi, Etere misto e pluralismo (annunciato), in Foro Italiano, I, 1988, pp. 1477-ss; E. Roppo, Il servizio radiotelevisivo fra giudizio del legislatore e sistema politico, in Giurisprudenza Costituzionale, 1988, pp. 3945-ss.

[8] G. Azzariti, La temporaneità perpetua, ovvero la giurisprudenza costituzionale in materia radiotelevisiva (Rassegna critica), in Giur. Cost., 4, 1995, p. 3037.

[9] G. De Minico, op. cit., p. 80.

[10] G. De Minico, op. cit., pp. 81-ss.

[11] L. Mariani, Il rapporto tra terrorismo e stato di emergenza, in Riv. Cammino Dirit., 2, 19

[12] G. De Minico, op. cit., pp. 82-84.

[13] P. Bonetti,  Terrorismo, emergenza e Costituzioni democratiche, 2006, Il Mulino, Bologna, p. 331.

[14] P. Bonetti, op. cit., pp. 324-326.

[15] A. Pace, Ragionevolezza abnorme o stato d’emergenza? nota a Corte cost., sent. n. 15/1982, in Giurisprudenza Costituzionale, 1982, pp. 108-ss.

[16] Corte cost., sent. n. 12/1982.

[17] Corte cost., sent. n. 418/1992 sulla legge n. 225/1992 concernente il Servizio nazionale di protezione civile; sent. n. 127/1995 in tema di poteri di ordinanza, necessità e urgenza.

[18] P. Bonetti, op. cit., p. 330.

[19] Corte cost., sentt. n. 310/2003, 64/2004, 155/2004.

[20] P. Bonetti, op. cit., pp. 206-ss.

[21] L. Mariani, Il rapporto tra terrorismo e stato di emergenza, in Riv. Cammino Dirit., 2, 19.

[22] L. Carlassare, Stati d’eccezione e sospensione delle garanzie costituzionali secondo Mortati, in Il pensiero giuridico di Costantino Mortati, a cura di M. Galizia e P. Grossi, Milano, Giuffrè, 1990, p. 479.

[23] Costituzione della Repubblica Italiana, art. 77.

[24] Ibid., art. 78.

[25] Ibid., art. 103, comma 3.

[26]Ibid., art. 111, comma 2.

[27] http://www.parlamento.it/parlam/leggi/07001lc.htm

[28] P. Bonetti, op. cit., p. 208

[29] Ibid., art. 126

[30] Ibid., art. 117

[31] Ibid., art. 120

[32] P. Bonetti, op. cit., pp. 209-ss

[33] C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, CEDAM, 1991, pp. 317-ss e 702

[34] C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, VI edizione, UTET, 1985 pp. 293 e 322

[35] C. Mortati, op. cit., p. 714

[36] G. Morelli, La sospensione dei diritti fondamentali nello Stato moderno, Milano, Giuffrè Editore, 1965, pp. 310-ss

[37] A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte Generale, III edizione, Padova, CEDAM, 2003, pp. 341-344

[38] P. Bonetti, op. cit., pp. 210-ss

[39] F. Sorrentino, Manuale di diritto pubblico, Padova, CEDAM, p. 162.

[40] P. Bonetti, op. cit., p. 211.

[41] P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 450-451.

[42] G. De Vergottini, Guerra e Costituzione, cit., pp. 217-218

[43] F. Modugno, Appunti dalle lezioni sulle fonti del diritto, Torino, Giappichelli, 2002, p. 60.

[44] V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, VI edizione, Padova, CEDAM, 1993, pag. 104.

[45] A. Ruggieri, Fonti, norme, criteri ordinatori. Lezioni, III edizione, Torino, Giappichell, 2001, pp. 174 -177

[46] P. Bonetti, op. cit., p. 213

[47] P. Bonetti, op. cit., p. 213

[48] P. Bonetti, op. cit., p. 214-215

[49] Ad es. Corte cost. sent. n. 243/1995

[50] Legge costituzionale 16 gennaio 1989 n.1, art.9.

[51] P. Bonetti, pp. 215-ss.

[52] B. Cherchi, Stato d’assedio e sospensione delle libertà nei lavori dell’Assemblea costituente, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1981.

[53] P. Bonetti, op. cit., pp. 216-225.

[54] P. Bonetti, op. cit. p. 216.

[55] P. Bonetti, op. cit. p. 217.

[56] Ad es. sent. 02/07/1965, n. 8; sent. 23/05/1961, n.26; 04/01/1977, n. 4; sent. 03/05/1987, n. 201; sent. 04/04/1995, n. 127.

[57] P. Bonetti, op. cit. p. 217.

[58] P. Bonetti, op. cit. p. 218

[59] Tra gli esempi riportati dall’autore, cito: F. Modugno, D. Nocilla, voce Stato d’assedio in Novissimo Digesto Italiano, vol. XVIII, Torino, UTET, 1971, pp. 284-ss; P. Carnevale, Emergenza bellica e sospensione dei diritti costituzionalmente garantiti. Qualche prima considerazione anche alla luce dell’attualità, in Giurisprudenza Costituzionale, 2002, pp. 4523-ss.

[60] C. Fresa, Provvisorietà con forza di legge e gestione degli stati di crisi, Padova, CEDAM, 1981 p. 118.

[61] G. Marazzita, L’emergenza costituzionale, 2003, Giuffrè, pag. 320, nota 159, citato in P. Bonetti, op. cit., p. 219, nota a piè di pagina 148.

[62] P. Bonetti, op. cit., p. 220.

[63] P. Bonetti, op. cit., pp. 222-224

[64] P. Bonetti, op. cit., p. 223

[65] P. Bonetti, op. cit., pp. 221-225

[66] P. Bonetti, op. cit., p. 224

[67] P. Bonetti, op. cit., p. 225. Il quale contesta la posizione di C. Fresa in Provvisiorietà con forza di legge e gestione degli stati di crisi, pp. 122-123.

[68] G. De Minico, op. cit., pp. 58-61

[69] Camera dei Deputati, VI, Leg., AC 3659, Disegno di legge recante “disposizioni a tutela dell’ordine pubblico”, consultabile sul sito della Camera.

[70] G. De Minico, op. cit., p. 60.

[71] G. De Minico, op. cit., pp. 60-61.

[72] G.U. n. 294, 18/12/1989.

[73] Consultabile su sul sito della Camera.

[74] G. De Minico, op. cit., p. 58.

[75] Decreto-legge 477/94, art. 5.

[76] G. De Minico, op. cit., p. 59.

[77] Decreto-legge 477/94, art. 5 c. 2.