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Pubbl. Mar, 10 Apr 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Non opera l´effetto estensivo della dichiarazione di prescrizione nei confronti del coimputato non impugnante

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Ilaria Mola


Commento a margine di Cass., Sez. Un. Pen., 24 gennaio 2018 (ud. 26 ottobre 2017), n. 3391, Pres. Canzio, Rel. Rotundo. Nella pronuncia è affrontato il quesito se l’effetto estensivo dell’impugnazione ex art. 587 c.p.p. possa operare anche in tutte le ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.


Sommario: 1. Premessa; 2. Causa estintiva ed effetti ex art. 587 c.p.p.; 3. La decisione delle Sezioni Unite: alcuni rilievi critici.

1. Premessa

Con la sentenza n. 3391 del 24 gennaio 2018, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito il seguente principio di diritto: “l’effetto estensivo ex art. 587 c.p.p. della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non opera in favore del coimputato concorrente nello stesso reato non impugnante, se detta causa estintiva è maturata dopo la irrevocabilità della sentenza emessa nei suoi confronti”.

In estrema sintesi, nel caso di specie, il Tribunale di Napoli aveva condannato in concorso – per i reati di furto e lesione personale aggravati – i due imputati, uno soltanto dei quali aveva poi proposto appello, mentre l’altro aveva chiesto di partecipare al giudizio di secondo grado ai sensi dell’art. 587 c.p.p.

La Corte di Appello di Napoli aveva dichiarato di non doversi procedere per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione e, rilevando che l’impugnazione depositata si fondava su motivi non esclusivamente personali, ne aveva esteso l’effetto anche al coimputato non appellante, intervenuto ex art. 587 c.p.p., nonostante l’irrevocabilità della sua condanna. Secondo il giudice del secondo grado, ai fini dell’estensione degli effetti favorevoli dell’impugnazione, non dovrebbe infatti rilevare la formazione del giudicato nei confronti del non appellante: a ciò indurrebbe la lettera dello stesso art. 587 c.p.p., che richiede soltanto che l’impugnazione avanzata dal coimputato solerte non sia basata su “motivi esclusivamente personali”.

Di diversa opinione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli, il quale ricorreva per cassazione sostenendo che, così come già precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza Vattani del 2013[1], la declaratoria di prescrizione non avrebbe potuto estendersi al coimputato non impugnante, ormai condannato in via definitiva.

Ad avviso della Sezione Quinta Penale della Corte di Cassazione, chiamata a decidere il ricorso, non avrebbe potuto essere decisiva la citata pronuncia Vattani che, soltanto incidentalmente, era intervenuta in argomento[2], trascurando di considerare peraltro la tesi più favorevole che invece avrebbe dovuto essere valorizzata. Dunque, era necessario rimettere alle Sezioni Unite l’interrogativo se l’ambito di operatività dell’istituto di cui all’art. 587 c.p.p. potesse riguardare ogni ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, oppure solo quelle in cui detta causa estintiva fosse maturata in epoca anteriore all’irrevocabilità della condanna nei confronti del coimputato che non aveva appellato[3].

Dopo un’analisi degli orientamenti giurisprudenziali in contrasto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risposto negativamente al quesito.

2. Causa estintiva ed effetti ex art. 587 c.p.p.

Non ci si dilungherà sull’istituto processuale di cui all’art. 587 c.p.p., se non per brevissimi cenni necessari con riferimento alla sola ipotesi di concorso nel reato, che qui rileva. Del resto, in materia ha ampiamente scritto la dottrina più autorevole, alla quale non può che rinviarsi[4].

Per quel che interessa in tale sede, le riflessioni devono concentrarsi sul ruolo della res iudicata nell’ambito del fenomeno estensivo delle impugnazioni penali.

Al proposito, conviene ribadire – semmai servisse ribadirlo – che, ai sensi dell’art. 587 comma 1 c.p.p., nelle ipotesi di concorso di persone nel reato, il partecipe che non abbia proposto impugnazione avverso il provvedimento “comune” ha il “diritto”[5] di beneficiare della decisione favorevole pronunciata nei confronti del concorrente impugnante, sempre che il gravame non sia fondato su motivi esclusivamente personali.

Si badi che, ai fini applicativi della norma, per “concorso di persone nel reato” devono certamente intendersi i casi di concorso necessario ed eventuale, ma anche quelli di concorso improprio. L’estensione opera altresì nelle ipotesi di reati diversi ma dipendenti, qualora il giudizio possa interessare tutti gli imputati[6]. E sono da ricomprendere inoltre la cooperazione nel reato colposo, ove si proceda per un unico fatto e comuni siano i profili di colpa generica o specifica[7], nonché il concorso di cause colpose indipendenti[8].

Quindi, in tutte le fattispecie caratterizzate dalla “unitarietà dell’accertamento”[9], a seguito dell’altrui impugnazione su punti non esclusivamente personali la “questione comune” sarà devoluta al giudice superiore, che dovrà pronunciarsi nei confronti di tutti i coimputati. L’estensione, che opera ovviamente soltanto in bonam partem[10], risponde all’esigenza di assicurare la parità di trattamento sanzionatorio per i soggetti che versino in situazioni giuridiche, sostanziali o processuali, identiche o affini[11]: il fondamento è, dunque, nell’art. 3 della Costituzione[12].

Come precisato dalla dottrina, l’estensione è una “conseguenza collaterale”[13], prevista “indipendentemente dalla volontà delle parti e dai loro interessi”[14], anche per scongiurare il rischio di incompatibilità di giudicati[15].

In tal senso si tratterebbe di un “rimedio straordinario preventivo”, in deroga al principio della formazione progressiva del giudicato “parte per parte e, quindi, parte dopo parte”[16]. Fin quando il rapporto processuale resta in discussione, in conseguenza dell’altrui impugnazione, il momento formativo del giudicato è “rimandato” – per tutti i coimputati – “al verificarsi della decisione ultima sul fatto e sul processo”[17]: in riferimento al provvedimento “comune” di condanna, il giudicato sopravviene simultaneamente rispetto all’impugnante e al coimputato non appellante che, chiedendo di partecipare al giudizio ex art. 587 c.p.p., “evidenzi un concreto, positivo, inequivocabile comportamento, superando la precedente acquiescenza o l’errata invocazione di un nuovo giudizio”[18].

E allora, se così è, una volta accertato che i motivi dell’altrui impugnazione siano “non personali”, sarà applicabile a tutti i coimputati la causa estintiva sussistente al tempo della decisione[19]. Nondimeno dovrebbe ritenersi che, qualora si tratti di questione rilevabile d’ufficio (come lo è la prescrizione), l’irrevocabilità sopraggiunga sempre “congiuntamente per tutti i capi della sentenza, anche quando i motivi siano di stretta natura personale”[20].

Sulla base di simili convincimenti, sarebbe da respingere l’opzione interpretativa che sottragga la prescrizione all’ambito applicativo dell’istituto in esame.

3. La decisione delle Sezioni Unite: alcuni rilievi critici

Nella pronuncia annotata, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno negato l’estensibilità della declaratoria di prescrizione al concorrente già definitivamente condannato alla scadenza del termine prescrizionale, in conformità all’orientamento giurisprudenziale più restrittivo[21].

Il ragionamento fa leva proprio sul carattere “straordinario” del meccanismo estensivo ex art. 587 c.p.p., che – per simile opinione – non impedirebbe la irrevocabilità (ed esecutività) della sentenza (o, meglio, del capo di essa) non impugnata.

Pertanto, qualora il giudicato di colpevolezza si sia formato prima dell’intervento della causa estintiva, il coimputato non appellante non potrebbe più avvalersi del successivo decorso del tempo.

Scrive la Corte che l’intervenuta irrevocabilità della sentenza per il coimputato non impugnante “sancisce per lui la fine del tempo del processo e priva in radice di giustificazione logica e giuridica ogni ulteriore computo nei suoi confronti del termine di prescrizione del reato”. Inoltre, prosegue, “l’opzione del coimputato impugnante di protrarre il procedimento configura una scelta processuale ‘esclusivamente personale’ non collegata a vizio di procedura nel comune procedimento ovvero al merito della comune accusa”. E ancora, “non si vede, infatti, come possa essere qualificata come ‘comune’ ai coimputati una causa estintiva legata al decorso del tempo per prescrizione che, in concreto, può prodursi o meno per effetto di una molteplicità di fattori eminentemente soggettivi influenti sul tempo del processo, che sono il frutto delle diverse scelte dei coimputati (sul rito o sulle impugnazioni) o conseguenza della loro diversa situazione personale e delle vicende processuali”.

Ebbene, è vero che la fattispecie estintiva del reato potrebbe, in talune occasioni, non risultare comune a tutti gli imputati del processo plurisoggettivo, come pure sottolinea l’ordinanza di rimessione. Certamente le posizioni devono essere considerate autonome, anche nell’epilogo, qualora vi siano elementi di differenziazione del termine prescrizionale, come ad esempio la recidiva contestata soltanto ad uno dei coimputati. Ma qualora così non fosse, come non lo è nel caso di specie (la recidiva è stata esclusa per entrambi gli imputati), apparirebbe irragionevole negarne l’estensibilità al soggetto che non sia stato talmente “prudente” da determinarsi a una scelta processuale (l’impugnazione della condanna) che avrebbe potuto allungare i tempi del suo processo e eventualmente consentirgli di giungere all’esito estintivo, al pari del concorrente.

Tralasciando qualsiasi considerazione circa l’inopportunità di catalogare l’impugnazione quale strategia difensiva (anche) diretta ad “avvalersi dello ‘scorrere del tempo’”[22], occorre comunque ricordare che vanno qualificati come “motivi non strettamente personali” quelli “non circoscritti alla sfera soggettiva dell’impugnante”[23]: così, ben inteso, non sono mai estensibili i motivi attinenti alla colpevolezza o alla imputabilità, né estensibili possono ritenersi quelli relativi alla qualificazione delinquenziale del soggetto. Senza dubbio, invece, dovrebbe sempre poter estendersi in favore dell’impugnante la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione: la rilevabilità anche d’ufficio, in ogni stato e grado, della causa estintiva impone di pensare che essa non abbia carattere personale ma “oggettivo”[24].

Queste riflessioni, e tutte quelle accennate nel paragrafo precedente, inducono a ribadire – chiaramente nei limiti in cui si possa farlo – la preferibilità (non soltanto in un’ottica più garantista) dell’impostazione giurisprudenziale per la quale il giudicato formatosi (se lo si ritenga formato) per il non appellante dovrebbe ritenersi (quantomeno) travolto dalla impugnazione proposta dal coimputato concorrente, indipendentemente dall’epoca di perfezionamento della prescrizione[25].

Non può che prendersi atto del “pesante” arresto delle Sezioni Unite. Resta, però, forte il sospetto di incostituzionalità per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, qui inteso nella sua accezione di doverosa proporzionalità e ragionevolezza delle leggi (soprattutto quelle penali), che impone sempre di prevedere trattamenti sanzionatori uguali per situazioni uguali.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., Sez. Un. Pen., 2/5/2013, n. 19054, Vattani.
[2] La pronuncia riguardava in effetti tutt’altro tema di diritto sostanziale, ossia la configurabilità del peculato d’uso del telefono cellulare d’ufficio.
[3] Cass., Sez. V Pen., ord. 10/7/2017, n. 33324, P.G. Napoli in proc. Visconti. Va detto che una precedente ordinanza di rimessione non aveva convinto il Primo Presidente della Corte di Cassazione, il quale aveva restituito gli atti “per una nuova valutazione circa la effettiva sussistenza di un attuale e consapevole contrasto giurisprudenziale in punto di operatività dell’effetto estensivo dell’impugnazione”, invitando la Sezione Quinta a riformulare, con “autonoma e approfondita motivazione, le ragioni della plausibilità di un orientamento contrario a quello già espresso dalle Sezioni Unite” nella sentenza Vattani.
[4] Già G. Sabatini, Principi di diritto processuale penale, Città di Castello, 1931 e M. Massa, L’effetto estensivo dell’impugnazione nel processo penale, Napoli, 1955. Con riferimento all’attuale disciplina, tra gli altri, V. Mele, Sub art. 587, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, vol. VI, Torino, 1991; G. Spangher, voce Impugnazioni penali, in Dig. disc. pen., vol. VI, Torino, 1992; M. Gallo Orsi, voce Impugnazione (effetto estensivo della), in Dig. disc. pen., vol. X, Appendice, Torino, 1995; G. Tranchina, voce Impugnazioni (diritto processuale penale), in Enc. dir., Aggiornamento, vol. II, Milano, 1998; G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, Torino, 2001; G. De Roberto, Sub art. 587, in G. Lattanzi – E. Lupo, Codice di procedura penale – Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, vol. VIII, Milano, 2003; M. Gialuz, Sub art. 587, in A. Giarda – G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, V Ed., Milanofiori Assago, 2017. Volendo, l’evoluzione dell’istituto è delineata in Cass., Sez. Un. Pen., 23/6/1995, n. 9, Cacciapuoti, con nota di R.M. Sparagna, In tema di effetto estensivo dell’impugnazione, in Cass. pen., 1995, p. 2497.
[5] Proprio così scrive M. Gialuz, Sub art. 587, cit., p. 3076; ma anche R. Fonti, L’effetto estensivo dell’impugnazione, Padova, 2013, p. 63 ss., descrive il fenomeno processuale dell’estensione ex art. 587 c.p.p. come “diritto del non impugnante (o del soggetto la cui impugnazione sia stata dichiarata inammissibile) […] di partecipare al giudizio” instaurato dal suo coimputato.
[6] Cass., Sez. VI Pen., 9/6/1992, Masala.
[7] Cass., Sez. IV Pen., 6/10/1989, Cambiaggio.
[8] Cass., Sez. II Pen., 17/1/1979, Pesci.
[9] C. Valentini, I profili generali della facoltà di impugnazione, in AA.VV., Le impugnazioni penali, Trattato diretto da A. Gaito, vol. II, Torino, 1998, p. 265.
[10] Il termine lessicale adoperato dal legislatore è, non casualmente, “giova”. Sul punto, G. Lozzi, Lezioni, cit. p. 582; ID., Favor rei e processo penale, Milano, 1968, p. 131; F. Nuzzo, Appunti sull’effetto estensivo delle impugnazioni penali, in Arch. n. proc. pen., 2011, 1, p. 86.
[11] Si veda M. Gallo Orsi, voce Impugnazione, cit., p. 680, che richiama un “interesse identico, affine o collegato”. Nel senso della “coincidenza sostanziale di posizioni” si esprime la Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale, in G.U. Serie Generale n. 250 del 24/10/1988, Suppl. Ordinario n. 93.
[12] Ex plurimis, Cass., Sez. V Pen., 17/6/1993, n. 7945, Limblici.
[13] La definizione è di F. Nuzzo, L’appello nel processo penale, Milano, 2008, p. 141. Analogamente, G. Spangher, Impugnazioni, in G. Conso – V. Grevi, Profili del nuovo codice di procedura penale, Padova, 1990, p. 425. In effetti, l’effetto ordinario dell’impugnazione va ravvisato nel “dovere decisorio del giudice cui è assegnato il riesame del provvedimento impugnato”: così, V. Mele, Sub art. 587, cit., p. 115; ma anche C. Valentini, I profili, cit., p. 264. In giurisprudenza, lo stesso affermano, in particolare, Cass., 2/6/1990, Freda e Cass., 26/6/1995, Musolino.
[14] Così riteneva già U. Aloisi, Manuale pratico di procedura penale, vol. III, Milano, 1952, p. 124, secondo il quale sottese alla disciplina sarebbero finalità di tipo pubblico. D’altra parte, per G. Sabatini, Principi, cit., p. 299, “l’imputato interventore, soggetto del rapporto processuale ma non titolare dell’interesse dedotto, ha la semplice legittimazione processuale”, secondo uno schema analogo a quello dell’intervento adesivo alle altrui ragioni. Dunque, è il rapporto processuale (e il suo epilogo) che si estende, indipendentemente dallo svolgimento di una difesa da parte del non impugnante.
[15] Tra gli altri, identificano la ratio dell’istituto nella necessità di evitare la contraddittorietà dei giudicati, G. Spangher, Impugnazioni, cit., p. 680; G. Tranchina, voce Impugnazioni, cit., p. 409; G. De Roberto, Sub art. 587, cit., p. 486.
[16] L’espressione è di G. Conso, Questioni nuove di procedura penale, vol. I, Milano, 1959, p. 150.
[17] Lo sostiene G. Altieri, Estensione dell’impugnazione. Breve commento all’art. 587 c.p.p., in Arch. n. proc. pen., 1998, p. 504, perché “la produzione di impugnazione estensibile impedisce ipso iure la formazione del giudicato senza limite soggettivo”.
[18] Nei termini riportati, A. Marandola, “L’effetto estensivo” dell’impugnazione: questioni applicative e sistematiche, in Dig. pen. proc., 2012, 4, p. 488 ss.
[19] Ex plurimis, Cass., Sez. III Pen., 4/11/1997, n. 3621, Giampaoli e Cass., Sez. III Pen., 8/7/1997, n. 9553, Curello.
[20] F. Nuzzo, L’appello, cit., p. 151; ugualmente, F. Cordero, Procedura penale, Milano, 1995, p. 960.
[21] Condiviso, nella specie, dal P.G. presso la corte di Appello di Napoli. Ex plurimis, in questo senso, Cass., Sez. II Pen., 20/5/2009, n. 26028, P.G. in proc. Borrelli: “l’estensione dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 587 cod. proc. pen., non preclude il formarsi ab initio del giudicato, con la conseguenza che l’operatività, in via di estensione, di una causa estintiva del reato derivante, come la prescrizione, dal decorso del tempo, presuppone che essa preesista alla proposizione del ricorso da parte dell’imputato non appellante, restando altrimenti preclusa la sua operatività dal passaggio in giudicato della decisione nei suoi confronti”. Dunque, il beneficio può estendersi soltanto se il termine prescrizionale sia già interamente trascorso nel momento in cui la condanna diviene irrevocabile. Similmente, Cass., Sez. Un. Pen., Vattani, già citata. Più di recente, Cass., Sez. II Pen., 25/11/2016, n. 9731, Fiore; Cass., Sez. V Pen., 27/1/2016, n. 15623, Di Martino. Altre conformi: Cass., Sez. VI Pen., 18/3/2003, n. 23251, Cammardella; Cass., Sez. I Pen., 23/10/2000, n. 12369, Russo e Cass., Sez. VI Pen., 12/12/1994, n. 2381, Zedda.
[22] Tale idea è nettamente contrastante con la stessa funzione della prescrizione.
[23] Così, Cass., Sez. III Pen., 4/4/2008, n. 21220. Si veda, in proposito, A. NAPPI, Ambito oggettivo ed estensione soggettiva dei giudizi di impugnazione, in Cass. pen., 2009, 7/8, p. 3239: il motivo deve ritenersi “non personale” quando “è il petitum che può essere esteso a tutti”; infatti, “l’imputato non impugnante non si giova certo delle ragioni addotte a sostegno dell’impugnazione, bensì dell’accoglimento delle richieste” e perciò “è la richiesta formulata con l’impugnazione che va considerata per stabilire se il motivo è personale o non personale”.
[24] Il riferimento dottrinale è a C. Valentini, I profili generali, cit., p. 266 ss.; ma, nel medesimo senso, anche R. Fonti, L’effetto estensivo, cit., p. 129 e A. Nappi, Ambito oggettivo, p. 3252.
[25] Così, soprattutto, Cass., Sez. III Pen., 12/5/2015, n. 33429, Guardì e Cass., Sez. III Pen., 24/1/2013, n. 10223, Mikulic, riprese dall’ordinanza di rimessione nella vicenda in esame. Conformi, Cass., Sez. II Pen., 23/1/2009, n. 11042, Melpignano; Cass., Sez. V Pen., 19/10/2000, n. 12226, De Giorgi; Cass., Sez. IV Pen., 11/11/2004, n. 10180, Antoci; Cass., Sez. III Pen., 30/11/2000, Venditti.