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Pubbl. Sab, 10 Feb 2018

Incauto acquisto di un telefono cellulare

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Raffaele Iannone


L’elemento del dolo eventuale tra ricettazione ed incauto acquisto: discrimen normativo e giurisprudenziale.


Il reato di acquisto di cose di sospetta provenienza è disciplinato dall'art. 712 c.p. la cui condotta materiale consiste nel procurarsi, mediante l'acquisto, cose che per le condizioni alle quali sono offerte o per la qualità delle medesime si sospetta possano provenire da un reato. L’elemento soggettivo è indiscutibilmente individuabile nella colpa, per la cui configurabilità "non occorre che sia accertata la provenienza delle cose da reato, essendo a tal fine richiesta solo la prova dell'acquisto o della ricezione, senza gli opportuni accertamenti, di cose rispetto alle quali l'agente abbia avuto motivi di sospetto circa la loro provenienza" (Cassazione penale, sez. II, 21/10/2015, n. 45218).
Il reato si perfeziona quando "l'acquisto avviene in circostanze tali da indurre una persona di media avvedutezza in una condizione di oggettivo sospetto, circa la legittima provenienza delle cose, che prescinde dall'opinione o dalla valutazione dell'agente, la cui colpa si configura per la sola omissione dei doverosi accertamenti circa tale legittima provenienza" (Ibidem).

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 712 c.p. non è necessario che l'agente fosse consapevole dell'illecita provenienza dei beni ma è richiesta semmai la dovuta accortezza che dovrebbe possedere una persona di normale diligenza.

L'articolo 648 c.p. disciplina il reato di ricettazione, il cui oggetto è una cosa materiale di provenienza illecita e questo fa sì che l’elemento fondamentale, affinché si realizzi tale condotta, è il cosiddetto reato presupposto, delitto doloso o colposo che sia, non anche di provenienza da contravvenzione.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, con un consolidato orientamento, ha statuito che il reato anteriore o presupposto non deve essere necessariamente accertato, in quanto la provenienza delittuosa del bene deve desumersi dalla natura del bene stesso e che non necessariamente l'autore dello stesso sia noto.
Per l’elemento soggettivo, si richiede la consapevolezza della provenienza illecita, ossia il dolo del fine di profitto, deducibile da qualsiasi elemento. L'individuazione dell'elemento soggettivo è importante al fine di distinguere tale figura di reato dall'incauto acquisto.

In dottrina ed in giurisprudenza è molto dibattuta la compatibilità del dolo eventuale con il delitto di ricettazione, specie avuto riguardo alla limitrofa fattispecie contravvenzionale dell'incauto acquisto che postula, quale suo presupposto, la sussistenza di oggettivi motivi di sospetto circa la provenienza delittuosa dell'oggetto dell'acquisto.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 12433 del 26/11/2009, hanno dato una risposta positiva al quesito, ma condizionata: l'elemento psicologico del reato ex art. 648 c.p. può essere integrato anche dal dolo eventuale, configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell'agente non del mero sospetto ma della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, nè potendo consistere in un mero sospetto; in particolare, rispetto alla ricettazione, il dolo eventuale è ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza.

I tratti di differenziazione tra i due reati - il delitto di ricettazione previsto e punito dall’art. 648 c.p. e la fattispecie contravvenzionale dell’incauto acquisto di cui all’art. 712 c.p. - vertono esclusivamente sotto il profilo dell’elemento soggettivo.

Con la sentenza n. 12433 del 30 marzo 2010, le SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione hanno chiarito che il dolo eventuale, quale elemento soggettivo consistente nell'accettazione del rischio di delinquere, può riguardare l'evento del reato (fatto futuro) o un suo presupposto, già esistente.

La Suprema Corte a Sezioni Unite si è discostata dai diversi orientamenti formatisi con riferimento ai rapporti tra incauto acquisto e ricettazione, evidenziandone i rispettivi limiti, argomentando di non condividere le tesi estreme giurisprudenziali secondo cui, da un lato, ogni ipotesi di dolo eventuale sulla provenienza delittuosa della cosa sarebbe esulato dall'ambito applicativo della ricettazione, che avrebbe richiesto necessariamente il dolo diretto e, dall'altro, al contrario, che l'incauto acquisto avrebbe potuto ritenersi integrato solo in presenza di un atteggiamento colposo dovendo, in ogni caso di dolo, di qualsivoglia intensità, ritenersi integrata la diversa fattispecie della ricettazione.

Secondo le SSUU, invece, il dolo eventuale è compatibile con la ricettazione ma l'incauto acquisto non si verifica solo in caso di colpa. Più segnatamente, si è ritenuto esistere uno spazio tra il mero sospetto che integra l'incauto acquisto ed il dolo eventuale che invece integra la ricettazione, occorrendo per tale delito circostanze più consistenti di quelle che fanno sospettare la provenienza della cosa da delitto. 

Le Sezioni Unite, infatti, osservano come il sospetto richiesto dall’art. 712 c.p. sia un atteggiamento psichico più blando rispetto al dolo eventuale, nel quale l’accettazione del rischio, rappresentatosi nella mente dell’agente, denota una sua ben maggiore adesione al fatto di reato. La norma incriminatrice di cui all’art. 712 c.p. intende punire non già l’acquisto di cose di provenienza delittuosa, bensì la condotta di chi ha omesso di eseguire gli opportuni accertamenti in presenza di una situazione sospetto sulla provenienza illecita o meno della cosa ricevuta o acquistata, ciò che giustifica e qualifica l’acquisto come “incauto”.  

All’interpretazione tracciata dalle Sezioni Unite e riguardo all’onere probatorio dell’elemento soggettivo, si è uniformata la successiva giurisprudenza di legittimità, anche con recenti pronunce, Cass. Penale n. 43929 del 7/10/2015, n.. 45218 del 21/10/2015, n. 20193 del 27/04/2017, secondo cui l'elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, e che riguarda, oltre alla verificazione dell'evento, il presupposto della condotta, consistendo, in questo caso, nella rappresentazione della possibilità dell'esistenza del presupposto stesso e nell'accettazione dell'eventualità di tale esistenza.

In termini soggettivi, di preciso, il dolo eventuale nella ricettazione richiede un atteggiamento psicologico che, pur non configurandosi come certezza, tuttavia è un quid pluris rispetto al mero sospetto, consistente nella rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto. Dunque, perché possa ravvisarsi il dolo eventuale si richiede più di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale l'agente potrebbe avere un atteggiamento psicologico di disattenzione, di noncuranza o di mero disinteresse; è necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco, che impone all'agente una scelta consapevole tra l'agire, accettando l'eventualità di commettere una ricettazione, e il non agire; il dolo eventuale,  rispetto alla ricettazione, è ravvisabile quando l'agente, rappresentandosi l'eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuta la certezza.

Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, che costituisce prova della conoscenza dell’illecita provenienza della res, in quanto sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile solo con un acquisto in mala fede. In tema di ricettazione, dunque, non si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento.

Da ultimo la Suprema Corte, con la sentenza innanzi citata n. 20193/2017, cassando con rinvio ha enunciato i seguenti principi di diritto: risponde di ricettazione l’imputato, che, trovato nella disponibilità di refurtiva di qualsiasi natura, e quindi anche di telefoni cellulari, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell’origine del possesso; ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta – quale che ne sia la natura, e quindi anche se si tratti di telefoni cellulari – da parte del soggetto agente; in tema di ricettazione, ricorre il dolo nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza. 

 

Riferimenti bibliografici

Cass. Pen., Sez. II., 27/04/2017, n. 20193;
Cass. Pen., Sez. II., 21/10/2015, n. 45218;
Cass. Pen., Sez . Un., 26/11/2009, n. 12433