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Pubbl. Dom, 29 Gen 2017

Determinazione del committente in un contratto d’opera professionale e diritto al compenso

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Arianna Landolfi


Ai fini del pagamento del corrispettivo, chi deve essere individuato come committente? Necessariamente il soggetto beneficiario dell’opera o è possibile che l’incarico venga commissionato nell’interesse di una terza parte?


Sommario: 1. Il caso prospettato dinanzi alla Corte di legittimità; 2. Il contratto di prestazione d’opera intellettuale; 3. La decisione dei Giudici della Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. II,  03/01/2017, n. 8) ha nuovamente affrontato la questione relativa al perfezionamento di un contratto d’opera professionale e all’individuazione del soggetto obbligato a remunerare il professionista per le prestazioni svolte.

1. Il caso prospettato dinanzi alla Corte di legittimità

La vicenda oggetto della sentenza summenzionata concerneva la pretesa da parte di un commercialista toscano di ottenere il compenso per l’elaborazione di un numero elevato di project financing, predisposti nell’interesse della INIM Immobiliare s.r.l. ai fini della realizzazione di opere pubbliche.

Il professionista citava in giudizio la suddetta società al fine di veder corrisposto il compenso dovuto per l’esecuzione dell’incarico. A sostegno della propria pretesa, produceva in giudizio n. 68 documenti, che evidenziavano i rapporti intercorsi con la INIM.

In entrambe le fasi di merito, l’attore vedeva rigettate le proprie pretese: la INIM resisteva infatti in giudizio negando qualsivoglia tipo di rapporto intrattenuto con il professionista. Sia in primo grado che in appello veniva addotta a fondamento del rigetto la mancanza degli elementi probatori idonei a supportare il conferimento dell’incarico da parte della INIM, escludendo che lo stesso potesse presumersi dalla relazione intercorrente tra la SOCET, effettiva committente dell’incarico, come affermato espressamente dall’attore, e controllante della INIM, e quest’ultima, associata all’affare in un momento successivo.

Il professionista, pertanto, ricorreva in Cassazione. Tra i vari motivi di ricorso, veniva eccepita la violazione e falsa applicazione degli artt. 1326 e 2229 c.c., in relazione al fatto che sia il giudice di primo grado che quello di appello avevano negato implicitamente di considerare validamente instaurato un rapporto d’opera professionale mediante comportamenti concludenti.

2. Il contratto di prestazione d’opera intellettuale

L’art. 2229 e seguenti del c.c. disciplinno una particolare tipologia contrattuale, avente ad oggetto la realizzazione di un’opera intellettuale da parte di un professionista, ovvero di un soggetto abilitato ed iscritto ad apposito albo professionale. Nello specifico, tale contratto è collocato nel libro V del c.c., capo II "Delle professioni intellettuali", del titolo III relativo al lavoro autonomo, immediatamente dopo la disciplina del contratto d'opera in generale. Ai sensi dell’art. 2230 c.c., al contratto d’opera intellettuale si applicano, oltre alle previsioni del capo II, le disposizioni del capo I relative al contratto d’opera in generale, in quanto compatibili con le disposizioni specifiche e con la natura del rapporto.

La caratteristica peculiare che distingue il contratto d’opera in generale rispetto all’appalto consiste nel fatto che nel primo il lavoro è effettuato in prevalenza da parte del lavoratore autonomo, contrariamente all’appalto alla cui base l’opera è svolta mediante un’attività d’impresa, con organizzazione di mezzi ed utilizzazione del lavoro altrui. Per quanto concerne l’opera professionale, quest’ultima si caratterizza dal fatto che la prestazione oggetto di tale contratto è di tipo intellettivo e non manuale mettendo a disposizione del cliente le proprie competenze e abilità intellettuali. La delicatezza di tali prestazioni si evince dal fatto che, ai sensi dell’art. 2229, vengono determinate dalla legge le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione ad appositi albi o elenchi, a seguito dell’accertamento dei requisiti d’idoneità effettuato dalle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato.

Il contratto d’opera intellettuale non rientra nel novero dell’art. 1350 c.c. e, pertanto, non necessita della forma scritta ad substantiam. Il richiamo alla forma scritta risulta effettuato unicamente nell’art. 2233 c.c., comma 3, che fa riferimento unicamente alla nullità dei patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali se non redatti in forma scritta.

3. La decisione dei Giudici della Cassazione

La Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati i motivi d’impugnazione avanzati dal ricorrente. In relazione al motivo esposto in precedenza, riguardo la potenziale stipula del contratto per comportamenti concludenti, non necessitando della forma scritta ad substantiam, gli Ermellini hanno ribadito che il suddetto motivo di ricorso deriva da un travisamento della sentenza impugnata. Ciò in quanto sia il giudice di prime cure che quello di appello non hanno escluso tale possibilità.

Sulla base di quanto già affermato anteriormente dalla stessa Corte (si veda ad es. Cass. 29 settembre 2004 n- 19596; Cass. 10 febbraio 2006 n. 3016; Cass. 27 gennaio 2010 n. 1741; Cass. 11 giugno 2014 n. 13206) Civ. ): presupposto essenziale ed imprescindibile dell’esistenza di un rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l’avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera, da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. […]. In aggiunta, la Corte ribadisce che: il committente di un’opera professionale, in quanto tale obbligato al pagamento del relativo compenso, non deve necessariamente essere individuato nel beneficiario della prestazione, ben potendo l’incarico provenire da un estraneo o da alcuni soltanto di più soggetti interessati”.

Pertanto, in astratto, il committente della prestazione ben poteva essere individuato nella INIM, pur non essendo beneficiaria finale del project financing realizzato, poichè finalizzato a coinvolgere i soggetti privati nella realizzazione, nella gestione e nell'accollo totale o parziale dei costi di opere di pubblica utilità, sollevando, di conseguenza, gli enti pubblici dal sostenimento integrale di ingenti spese per la realizzazione di tali opere.

Dipanata tale questione, risulta onere dell’attore provare l’effettivo conferimento dell’incarico. Onere non adeguatamente assolto nel giudizio in questione, poiché le risultanze probatorie processuali erano state ritenute inidonee a provare il conferimento dell’incarico da parte della INIM, introdotta nell’affare in un momento successivo da parte dell’effettivo committente, la SOCET e, pertanto, non suscettibile di poter essere individuata come soggetto obbligato al pagamento del compenso professionale.