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Pubbl. Ven, 4 Mar 2016

Stalking su donna puerpera: l’intervento della Cassazione

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Vincenzo Visicchio


E´ configurabile il reato di stalking aggravato in caso di donna che ha appena partorito?


A seguito dei numerosi fatti di cronaca che hanno visto, per lo più, vittima la donna, il nostro legislatore ha introdotto, nel panorama giuridico sanzionatorio, il reato di atti persecutori (ex art. 612 bis c.p.), anche noto come stalking.

Ed invero, la norma punisce “con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

È evidente che il fine perseguito dal legislatore è quello di fornire un regime sanzionatorio differente per tutte quelle condotte che, in precedenza, venivano inquadrate o in fattispecie incriminatrici meno gravi, quale  il reato di “minaccia” o di “violenza privata”, ovvero in altre più gravi, come “maltrattamenti in famiglia”, “lesioni personali” e “sequestro di persona”.

Orbene, stante l’impossibilità di sussumere in alcuna di siffatte fattispecie condotte caratterizzate dalla reiterazione e dalla ingerenza negativa nella sfera privata della persona offesa, l’ordinamento ha individuato una nuova fattispecie criminosa, idonea a reprimere il crescente fenomeno persecutorio.

A ben vedere, la caratteristica essenziale del reato in esame è la reiterazione delle condotte poste in essere dal reo, tali da qualificarlo reato abituale.

Si è per questo che, in tale predisposizione normativa, non può essere ricondotta l’ipotesi – per quanto grave essa sia – di una sola condotta di molestie o di minaccia, “neppure unificando o ricollegando la stessa ad episodi pregressi oggetto di altro procedimento penale attivato nella medesima sede giudiziaria, atteso il divieto di ne bis in idem” (Cass. Pen. 24 settembre 2014 n. 48931).

Procedendo nella disamina di tale fattispecie delittuosa - punibile solo in ipotesi di dolo generico -  emerge che un’ulteriore caratteristica saliente attiene alle eterogenee condotte tra loro alternative prescritte dal codice, parimenti idonee a integrare lo stalking: così facendo, il legislatore ha voluto colmare un vuoto normativo, fornendo una risposta sanzionatoria concreta a episodi precedentemente esclusi dall’ambito di applicazione del diritto punitivo.

Preme, tuttavia, sottolineare che il legislatore non ha escluso le ipotesi (purtroppo sovente verificatesi) in cui soggetto attivo del reato riveste la qualità di “coniuge in costanza di matrimonio o anche separato e divorziato, ovvero persona attualmente o in passato legato da relazione affettiva alla vittima, o ancora, commessi attraverso strumenti informatici e telematici”.  Ciò perché, in siffatti casi, la pena prevista, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 119/2013 (c.d. legge sul femminicidio) è aumentata fino a un terzo.

Ulteriore circostanza aggravante, che comporta un inasprimento del regime sanzionatorio fino alla metà della pena base, riguarda l’ipotesi in cui le condotte criminose sono commesse in danno dei soggetti più deboli e, tra queste, donne in stato di gravidanza.

Per quanto indiscussa sia tale previsione, da ciò è conseguito l’interessante e, al contempo, ostico quesito relativo alla possibilità di configurare o meno l’aggravante de qua nel caso in cui la donna sia puerpera, così da estendere alla neomamma una maggiore tutela.

Orbene, la prima ad essersi pronunciata in merito, è stata la Corte d’Appello di Genova la quale, con una recente sentenza, datata 19 dicembre 2014, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 612 bis, 3 comma c.p., osservando che, ai fini della configurazione del reato di atti persecutori, sono esclusivamente rilevanti quelle condotte offensive poste in essere dal reo in un momento successivo a quello della nascita della figlia dello stesso e della parte offesa. Pertanto, “non poteva ricorrere la circostanza dell’avere commesso il fatto in danno di una donna in stato di gravidanza”.

Sulla questione, non è mancato l’obiter dictum del Supremo Consesso che, pur non pronunciandosi sulla configurabilità della circostanza aggravante, ha ritenuto di rigettare il ricorso presentato dal difensore dell’imputato, in quanto i plurimi e reiterati episodi di aggressione fisica, ai danni della ex convivente, “sono da ritenersi particolarmente gravi in ragione del fatto che la vittima degli atti persecutori era una puerpera” (Cass. Pen. 20 gennaio 2016 n. 2325).

È, dunque, palese che la scelta fatta dal Giudice di Legittimità è protesa a configurare la condizione di neomamma non tanto sic e simpliciter, quale circostanza aggravante del delitto di cui all’art. 612 bis comma 3 c.p., quanto, invece, a infliggere – così confermando la sentenza del Giudice ligure – un maggiore carico sanzionatorio, attesa la gravità dei plurimi episodi commessi dall’imputato (violenza, minaccia, lesioni personali e atti persecutori).

In conclusione, ripercorrendo l’ultima nonché unica interpretazione degli Ermellini in materia, si può sostenere che, benché la vittima non sia in stato di gravidanza, il grado di colpevolezza dell’imputato è, ad ogni modo, maggiormente censurabile qualora la vittima abbia da poco partorito.