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Neuroscienze e funzione genitoriale: uno sguardo critico al diritto civile minorile
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Pubbl. Ven, 12 Set 2025

Neuroscienze e funzione genitoriale: uno sguardo critico al diritto civile minorile

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Camilla Trussardi
Laurea in GiurisprudenzaUniversità Cattolica del Sacro Cuore



La funzione genitoriale si presta a valutazioni che afferiscono a diverse discipline delle scienze cognitive. Il presente contributo indaga, in particolare, il rapporto tra le neuroscienze e il diritto civile minorile, soffermando l’attenzione sull’utilità dell’impiego delle tecniche neuroscientifiche nell’ambito della valutazione delle competenze genitoriali. Un’intersezione, quella tra diritto e neuroscienze, che si profila come una sfida inevitabilmente complessa per il giurista contemporaneo, chiamato a confrontarsi con uno scenario metodologicamente e simbolicamente lontano dalla tradizione giuridica.


ENG

Neuroscience and parental function: a critical perspective on civil law concerning minors

Parental function lends itself to evaluations that pertain to various disciplines within the cognitive sciences. This contribution specifically investigates the relationship between neuroscience and juvenile civil law, focusing on the usefulness of employing neuroscientific techniques in the assessment of parental competencies. The intersection between law and neuroscience emerges as an inevitably complex challenge for the contemporary jurist, who is called upon to engage with a methodological and symbolic framework distant from legal tradition.

Sommario: 1. Introduzione. Questioni preliminari sul diritto di famiglia; 2. Neuroscienze e genitorialità. Alcune premesse di ordine scientifico; 3. Implicazioni giuridiche; 4. Conclusioni.

1. Introduzione. Questioni preliminari sul diritto di famiglia

L’evoluzione delle neuroscienze ha suscitato un crescente interesse anche nel ramo del diritto di famiglia, accendendo l’attenzione sulle tecniche neuroscientifiche che potrebbero essere impiegate per accertamento delle competenze genitoriali, qualora, ad esempio, si verta in procedimenti aventi a oggetto l'affidamento, il collocamento o il diritto di visita della persona minore d’età.

I recenti studi neuroscientifici hanno permesso di investigare le funzioni cognitive attivamente implicate anche nella genitorialità, tra le quali le funzioni esecutive[1], l’empatia e la regolazione emotiva[2].

La discettazione merita, dunque, di essere condotta sul piano della relazione tra i principali istituti giuridici d’interesse nell’ambito del diritto di famiglia e le risultanze scientifiche che ne scolpiscono il fondamento empirico, tentando, cioè, di esplorare le nuove frontiere di quello che alcuni studiosi hanno denominato “diritto cognitivo”[3].  

2. Neuroscienze e genitorialità. Alcune premesse di ordine scientifico

I criteri di riferimento nell’ambito della valutazione della genitorialità si ancorano a parametri di natura individuale e relazionale, costruiti sul concetto di “funzione genitoriale”. Una nozione complessa, che sussume sotto di sé competenze educative e affettivo-relazionali, rispetto alle quali la necessità di una loro concreta applicazione è funzionale allo sviluppo fisico, psichico e sociale del bambino.

Nel merito, può attestarsi la crucialità delle scoperte neuroscientifiche che hanno dimostrato essere dirimente l’impatto della risposta del genitore alle esigenze di attaccamento del bambino sullo sviluppo cerebrale e sinaptico di quest’ultimo, confermando la portata delle ripercussioni evolutive che il vivere all’interno di un contesto di disfunzione familiare comporta[4]. In questo senso, l’approfondimento scientifico della funzione genitoriale si innesta a valle delle riflessioni sociologiche, psicologiche e pedagogiche sulle rappresentazioni sociali della genitorialità, sui modelli educativi applicabili durante l’infanzia e sullo sviluppo identitario del minore[5].

Alcune premesse di ordine scientifico alla contestualizzazione giuridica del tema oggetto di disamina si rendono necessarie.

Anzitutto, è d’uopo precisare che la valutazione delle competenze genitoriali rappresenta una sottigliezza empirica[6] del diritto di famiglia alla cui comprensione può risultare particolarmente efficace lo studio delle basi neurali del sistema di attaccamento e l’approfondimento di come l’attività di tali strutture cerebrali sia condizionata dalle caratteristiche qualitative delle relazioni interpersonali intrecciate sin dai primi anni di vita[7].

Considerazioni che si nutrono dell’assunto in base al quale all’essere umano può ascriversi una natura intrinsecamente relazionale, tale per cui risulta inevitabile che i rapporti interpersonali svolgano un ruolo cruciale nell’orientare, sin dalle più precoci fasi di vita, lo sviluppo delle attività mentali del bambino e delle correlate strutture neurali. Non sorprende, dunque, osservare che, in merito, alcuni parlano di “mente relazionale”[8].

Il progredire delle tecniche di neuroimmagine, fra le quali, primariamente, la risonanza magnetica funzionale, ha consentito di addivenire a conclusioni di rilievo non indifferente circa la dimensione regolatoria del sistema di attaccamento.

Uno sguardo panoramico cronistoricamente orientato permetterà una migliore comprensione degli esiti di ricerca: al novero dei primi studi condotti attraverso l’impiego della metodologia fMRI[9] appartengono, in particolare, le indagini relative alla risposta materna al pianto infantile[10]. Posta a confronto con la reazione neurale all’esposizione a stimoli acustici di controllo, la recezione uditiva di una madre rispetto al pianto di un bambino si è osservato determinare l’attivazione di alcune aree cerebrali, quali, nello specifico, la corteccia cingolata, i nuclei talamici, la corteccia orbitofrontale destra e l’amigdala destra: in sintesi, il pattern di attivazioni che risulta dallo studio considerato si mostra lateralizzato nell’emisfero destro. Ricerche successive mossero dall’esame dei processi di attivazione neurale delle madri in reazione alla visione di riproduzioni fotografiche del proprio bambino[11]: alcuni autori, confrontando l’attività neurale specifica dell’attaccamento materno con quella dell’amore romantico (quest’ultima indagata attraverso la sollecitazione con fotografie della persona sentimentalmente più vicina), hanno osservato il contestuale attivarsi del sistema cerebrale di ricompensa e disattivarsi delle regioni correlate al riconoscimento delle emozioni negative, al giudizio sociale e alla mentalizzazione. Simili esiti hanno condotto a interpretare il meccanismo di attaccamento come suscettibile di servirsi di sistemi adattivi capaci di stimolare quelle aree del cervello associate al piacere e alla ricompensa che favoriscono la formazione dei legami affettivi. Affini, inoltre, gli studi di altri autori sull’indagine dei correlati neurali dell’attaccamento materno[12]: tra le risultanze più significative, si segnala il coinvolgimento della corteccia orbitofrontale, di centrale importanza nel quadro delle aree connesse all’esperienza emozionale positiva, di nuovo in reazione all’aver osservato fotografie dei propri figli.

Un interessante approfondimento sul tema, in cui peculiare enfasi è stata attribuita alla specificità dello stile di attaccamento dei soggetti esaminati col metodo fMRI[13], venne avviato nel corso dei primi anni del secolo odierno: da un confronto tra soggetti cui fosse diagnosticabile uno stile di attaccamento organizzato e soggetti con attaccamento disorganizzato è emerso un quadro di significativa importanza, atteso che è stata registrata una maggiore sollecitazione di quelle aree cerebrali coinvolte nel processamento delle emozioni e nel recupero della memoria autobiografica (in particolare la corteccia frontale inferiore destra e le regioni temporali mediali) nel secondo gruppo di individui, potendosi, quindi, interpretare una simile risultanza nel senso di una tendenza preponderante negli adulti con attaccamento disfunzionale a richiamare alla memoria episodi traumatici previamente esperiti.

Un ulteriore profilo di rilievo è rappresentato dagli effetti prodotti dalle esperienze relazionali precoci sullo sviluppo cerebrale. In altri termini, si tratta di considerare la prospettiva in base alla quale gli eventi che si verificano nel c.d. “periodo critico” o “sensibile” ripercuotano i propri effetti nel lungo periodo sullo sviluppo cerebrale. Più dettagliatamente a far tempo dal terzo trimestre di gravidanza sino all’incirca al secondo anno di vita del bambino, il cervello attraversa una fase di crescita accelerata[14], ragion per cui, durante tale periodo critico, il sistema nervoso risulta maggiormente suscettibile di essere influenzato dall’incidenza dei fattori ambientali, fra i quali il rapporto affettivo col caregiver. L’evidenza di un’interazione tra patrimonio genetico e influenza ambientale fu intercettata anche dallo psicanalista britannico John Bowlby, per poi essere più compiutamente contestualizzata dai teorici successivi, tra i quali non può mancare d’esser menzionato Allan Schore: dai suoi contributi emerge l’idea della crucialità del ruolo del caregiver nelle prime fasi di gestione delle emozioni nel bambino che vanno via via intraprendendo un processo di autoregolazione nel corso del graduale sviluppo neurofisiologico[15]. Nell’ambito di un sistema di attaccamento sicuro, la figura di riferimento – ovvero la madre, nella prospettiva bowlbiana – realizza una “sintonizzazione affettiva” (o un “rispecchiamento materno”, per dirla alla Winnicott) equilibrata col bambino, vale a dire quando essa stessa sia capace di una regolazione del proprio stesso stato di attivazione emotiva: di particolare incisività sembrerebbe il ruolo rivestito dal sistema limbico dell’emisfero destro – della cui centralità s’è già disquisito dalle prime battute del presente paragrafo – e, più specificamente, dalla corteccia orbitofrontale, il cui sviluppo è influenzato da fattori tanto genetici quanto ambientali. Come poco sopra accennato, durante il periodo sensibile la maturazione cerebrale si caratterizza di un’intensa sinaptogenesi, cui segue una perdita selettiva nello sviluppo cerebrale di alcune delle connessioni formatesi durante la crescita[16].

Indagini sulle acquisizioni linguistiche dei bambini nei loro primi due anni di vita attestano che l’inizio della comunicazione interazionale, così come l’uso comunicativo di gesti e sguardo possono considerarsi quali precursori della capacità di “mentalizzazione”, la quale consente la comprensione del comportamento intenzionale e dello stato mentale altrui[17]: se il sistema di mentalizzazione è coinvolto nei processi cognitivi di livello superiore, permettendo la comprensione, quindi l’anticipazione, delle intenzioni[18] dei soggetti coi quali si entra in interazione, a uno stadio anteriore, ovvero in sede “preparatoria” delle proprie azioni di simulazione delle azioni altrui[19], si collocherebbe il così definito sistema dei “neuroni specchio”.

Il rilievo scientifico assunto da questi ultimi non può trascurarsi.

«La scoperta dei neuroni specchio ha modificato il nostro modo di concepire i meccanismi alla base della comprensione delle azioni osservate. [...] L’osservazione di un’azione induce l’attivazione dello stesso circuito nervoso deputato a controllarne l’esecuzione, quindi l’automatica simulazione della stessa azione nel cervello dell’osservatore»[20].

Più specificamente, «i “neuroni specchio audiovisivi” sono attivati non solo dall’esecuzione o dall’osservazione di una data azione, ma anche dal semplice ascolto del suono prodotto dalla stessa azione. Ciò dimostra che i neuroni specchio incarnano un livello astratto di rappresentazione delle azioni finalistiche»[21].

Può allora affermarsi che «la simulazione incarnata costituisce insomma un meccanismo cruciale nell’intersoggettività. Grazie alla simulazione incarnata non assistiamo solo a un’azione, emozione o sensazione, ma parallelamente nell’osservatore vengono generate delle rappresentazioni interne degli stati corporei associati a quelle stesse azioni, emozioni e sensazioni, “come se” stesse compiendo un’azione simile o provando una simile emozione o sensazione»[22].

In sintesi, i neuroni specchio rappresenterebbero una particolare classe di neuroni visuo-motori siti nelle aree parieto-occipitali la cui risposta è suscettibile di essere evocata attraverso l’osservazione di un’altrui azione, consentendo allo spettatore di «afferrare immediatamente il senso delle azioni e delle emozioni altrui»[23].

Ed è quello delle relazioni interpersonali il contesto entro cui s’inserisce il comportamento imitativo: sin dalla fase neonatale la cognizione umana è ancorata all’azione, che esprime il primo vero e proprio strumento per manifestare la propria inclinazione sociale.

3. Implicazioni giuridiche

L’approfondimento neuroscientifico della funzione genitoriale – con particolare riguardo all’impiego di tecniche di neuroimaging – sembra, ora, maggiormente chiaro rivestire un ruolo di non secondaria importanza nel facilitare una diagnosi precoce di situazioni potenzialmente ascrivibili a un quadro di “genitorialità compromessa”[24].

Un diritto civile minorile che sia orientato dai presupposti del “diritto cognitivo” si sviluppa attraverso l’integrazione dei contributi anche neuroscientifici, in guisa da «considerare secondo la miglior scienza del momento i principi della soggettività umana rispetto alle condotte aventi rilevanza giuridica» e da «definire di conseguenza disposizioni e istituti migliori per la gestione di tali condotte»[25].

Antecedente all’ingresso delle neuroscienze nel processo civile era, difatti, un approccio valutativo che delimitava la propria sfera di operatività al singolo genitore, all’unità familiare e al contesto socioculturale in cui tal nucleo era immerso[26]. Come anticipato, nel quadro attuale acquisisce rilievo l’indagine delle funzioni cognitive, riconducibili alla dimensione genitoriale, considerate essenziali per l’esercizio della funzione educativa.

Contestualizzate le considerazioni sinora svolte nel contesto qui d’interesse – relativo ai temi dell’affidamento, del diritto di visita e dell’ascolto del minore –, si tratta, quindi, di definire – e di ri-definire – i parametri in funzione dei quali determinare la maggiore idoneità dell’uno o dell’altro genitore a rendersi destinatario del collocamento presso di sé del minore, pur entro la cornice di un affido condiviso, rimasto, a oggi, il sistema preferito in sede di regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli a seguito di separazione. Per quanto l’impostazione di cui si discute pone a oggetto di valutazione non già segnatamente la capacità genitoriale, bensì la trasformabilità della stessa, dunque in chiave di valutazione prognostica rispetto alla capacità di implementare cambiamenti coerenti con le fasi di sviluppo psico-evolutivo del minore[27].

Ne diviene una diretta implicazione anche la valutazione della capacità di discernimento del minore, il cui diritto di esprimere liberamente la propria opinione «su ogni questione che lo interessa» in considerazione «della sua età e del suo grado di maturità» è stato riconosciuto dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, stipulata a New York nel 1989 e ratificata dall’Italia due anni più tardi[28]. Il discorso neuroscientifico avvolge, infatti, anche il tema dei limiti che vi è ragione di stabilire rispetto al diritto alla bigenitorialità a motivo della diversa volontà del minore, in quanto «il rapporto affettivo, per natura incoercibile, non può essere imposto»[29]. Speculare alla non obbligatorietà del dovere di frequentazione tra genitore e figlio è il diritto del minore di intrattenervi rapporti «quale esito di una sua scelta, libera ed autodeterminata»[30]: si osserva, così, nella Suprema Corte, il desiderio di valorizzare quel consolidato orientamento giurisprudenziale che si oppone all’invalsa tendenza di far assurgere ad automatismo l’interpretazione del migliore interesse del minore come realizzabile solo nella conservazione della bigenitorialità.

In proposito, le più recenti acquisizioni neuroscientifiche dimostrano la marcata eterogeneità tra individuo e individuo, nei tempi e nelle modalità di raggiungimento dei diversi stadi di maturazione psico-fisica, suggerendo alla comunità giuridica un atteggiamento permeabile all’ambiente scientifico. Ma, soprattutto, contribuiscono a decostruire visioni statiche dei costrutti di “capacità di discernimento”, “maturità”, “coscienza”.

La stessa nozione di “coscienza” pone, infatti, interrogativi epistemologici ancora oggetto di dibattito sullo stesso piano scientifico. Avendo osservato, alcuni studiosi, che «l’attività mentale non è consustanziale alla coscienza»[31], ridurre, quest’ultima, a mero epifenomeno dell’attività elettrico-chimica cerebrale non ne esaurirebbe l’indiscutibile complessità. Sembra quindi, ora, maggiormente agevole comprendere la portata del discorso sinora svolto sull’importanza di assumere un atteggiamento cauto nell’applicazione di categorie normative dai confini di per sé estremamente labili.

4. Conclusioni

Nel presente contributo si è inteso richiamare l’attenzione sul ruolo delle neuroscienze nell’ambito del diritto civile minorile.

Si osserva, in particolare, come l’interazione tra le scienze cognitive e le categorie dommatiche del diritto richieda una revisione critica di alcuni istituti che, inevitabilmente, finiscono per modellarsi su criteri flessibili che impongono all’interprete di rielaborare le proprie coordinate simboliche e teoriche, nonché di inforcare lenti ermeneutiche compatibili con lo scenario in evoluzione in cui si muove. Una revisione suggerita dall’esigenza di attenuare lo scarto tra le definizioni di senso comune che hanno fatto ingresso nel vocabolario giuridico e l’assetto nozionistico delle neuroscienze[32].

Sicuramente, in specifiche situazioni gli esisti fausti dell’interazione tra discipline – come quelli che si osservano nell’incontro tra economia e neuroscienze – sono più agevolmente tangibili in quanto favoriti dall’assenza di un retroterra filosofico che rende possibile la comprensione tra campi del sapere in apparenza tra loro autonomi.

Per contro, non altrettanto agevole si presenta il tentativo di coniugare l’ambito giuridico con quello neuroscientifico, in ragione, per un verso, della robusta architettura filosofica su cui si impernia l’impianto concettuale e metodologico del diritto e, per altro verso, della logica operativa delle scienze, basata sulla riproducibilità dei risultati sperimentali.

E accade, quindi, che l’intersezione tra questi due mondi si profili, inevitabilmente, come una sfida complessa e improrogabile.

È certo che conoscere i meccanismi di funzionamento del cervello consente di ridisegnare la prospettiva della tradizione giuridica in un’ottica verosimilmente più adeguata a rispondere alla complessità della natura umana. Ma è altrettanto certo che l’organo giudicante non può rinunciare alla propria funzione, ovvero al compito di valutare, oltre al dato scientifico, le condotte, le dichiarazioni, le circostanze, nel tentativo di non trascurare il quadro di valori e di simboli entro cui l’esistenza dell’uomo si colloca.


Note e riferimenti bibliografici

[1] G. M. Lawson, C. J. Hook, M. J. Farah, A meta-analysis of the relationship between socioeconomic status and executive function performance among children, in Developmental Science, Volume 21, Issue 2, 2017, pp. 1,2.

[2] J. E. Swain et al., Empathy and stress related neural responses in maternal decision making, in Frontiers in Neuroscience, 2014, pp. 1-3. 

[3] L. Muglia, A. Cerasa, U. Sabatini, Adolescenti, dipendenze e recupero sociale: le nuove frontiere del diritto cognitivo, in Diritto Penale e Uomo (DPU), n. 9/2020, 2020, p. 10.

[4] E. Menesini, F. Tani, Contesto familiare e malessere evolutivo in soggetti di età scolare, in Piscologia clinica e dello svilupo, 2001, pp. 451-454, 463-465.

[5] F. Ielpo, La genitorialità come momento di riorganizzazione della narrativa personale, in Psicoterapeuti in formazione, n. 15, 2015, pp. 52, 69.

[6] L’espressione è di G. Forti, L’immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale, Milano, 2000, p. 101.

[7] Cfr. J. Bowlby, Attachment and loss, 1. Attachment (1969), tr. it. Attaccamento e perdita, 1. L'attaccamento alla madre, Torino, 1972; J. Bowlby, Attachment and loss, 2. Separation, anxiety and anger (1973), tr. it. Attaccamento e perdita, 2. La separazione dalla madre, Torino, 1975; J. Bowlby, Attachment and loss, 3. Loss, sadness and depression (1980), tr. it. Attaccamento e perdita, 3. La perdita della madre, Torino, 1983.

[8] Cfr. D.J. Siegel, The developing mind. Toward a neurobiology of interpersonal experience (1999), tr. it. di L. Madeddu, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Milano, 2001.

[9] L’acronimo sta per la dicitura inglese functional magnetic resonance imaging.

[10] J.P. Lorberbaum, J.D. Newman, A.R. Horwitz, J.R. Dubno, R.B. Lydiard, M.B. Hamner, D.E. Bohning, M.S. George, A potential role for thalamocingulate circuitry in human maternal behavior, in Biological Psychiatry, n. 51, 2002, pp. 431-445.

[11] Cfr. A. Bartels, S. Zeki, The neural correlates of maternal and romantic love, in NeuroImage, n. 21, 2004, p. 1156, come cit. da F. Langer, Mental imagery, emotion and ‘literary task sets’: clues towards a literary neuroart, Argentina, 2012.

[12] Cfr. J.B. Nitschke, E.E. Nelson, B.D. Rusch, A.S. Fox, T.R. Oakes, R.J. Davidson, Orbitofrontal cortex tracks positive mood in mothers viewing pictures of their newborn infants, in NeuroImage, n. 21, 2004.

[13] Con lo studio condotto, fu preso in esame un gruppo di undici donne, alle quali non fosse diagnosticabile alcun disturbo psichiatrico, somministrando loro l’Adult Attachment Projective Picture System (AAP), ovvero uno strumento ideato da C. George e M. West consistente nell’esposizione al soggetto esaminato di tavole raffiguranti scenari (solitari o diadici, relativi a situazioni di solitudine, malattia e separazione) richiamanti esperienze di attaccamento e nell’invito, allo stesso, a manifestare il proprio pensiero sulle scene presentate, dichiarando, cioè, cosa s’immagina i personaggi stiano pensando o percependo (cfr. A. Buchheim, S. Erk, C. George, H. Kachele, M. Ruchsow, M. Spitzer, T. Kircher, H. Walter, Measuring attachment representation in an fMRI environment: a pilot study, in Psychopathology, n. 39, 2006).

[14] Approssimativamente intorno alla metà del periodo fetale, le cellule destinate a costituire il cervello si dirigono verso la superficie superiore del tubo neurale: nell’ultimo trimestre della gestazione e sino ai primi due anni di vita, tali cellule si differenziano nella loro forma matura, ovvero il neurone, dotandosi di un prolungamento, l’assone, e di altre ramificazioni, i dendriti, le cui terminazioni entrano in reciproca connessione nelle sinapsi. Ed è proprio la sinaptogenesi quel processo responsabile delle percezioni, delle azioni e del pensiero, di cui si riscontra una particolare intensità durante, soprattutto, l’infanzia.

[15] A titolo di esempio, cfr. A. Schore, Attachment and the regulation of the right brain, in Attachment & Human Development, n. 2, 2000; A. Schore, The effects of early relational trauma on right brain development, affect regulation and infant mental health, in Infant Mental Health Journal, n. 22, 2001; J.R. Schore, A. Schore, Modern attachment theory: the central role of affect regulation in development and treatment, in Clinical Social Work, n. 36, 2008.

[16] In termini tecnici, si parla, a riguardo, di “potatura sinaptica” o di “pruning sinaptico”, a indicare quel processo di eliminazione delle sinapsi all’interno dello sviluppo del sistema nervoso, riferibile alla fase della prima infanzia sino all’inizio della pubertà.

[17] N. G. Bauch, M. Bat, Exploring Paternal Mentalization Among Fathers of Toddlers Through a Clay-Sculpting Task, in Frontiers in Psychology, 2021, pp. 1-3.

[18] Un esempio consentirà di meglio comprendere l’affermazione secondo cui una data azione può originarsi da intenzioni molto diverse: «supponiamo che qualcuno veda un altro afferrare una tazza: i neuroni specchio per l’azione di afferramento verranno probabilmente attivati nel cervello dell’osservatore, ma il collegamento diretto tra l’azione osservata e la sua rappresentazione motoria nel cervello dell’osservatore può dirci solamente cosa è l’azione (afferrare) e non quale sia l’intenzione che ha spinto l’agente ad afferrare la tazza». Quindi, “determinare l’intenzione” significa «scoprire lo scopo dell’azione seguente non ancora eseguita (ad esempio bere dalla tazza)» (cfr. V. Gallese, P. Migone, M.N. Eagle, La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell'intersoggettività ed alcune implicazioni per la psicoanalisi, in APA PsycNet, 2006).

[19] Significative, a riguardo, le riflessioni di M. Merleau-Ponty, in Fenomenologia della percezione (1945): «la comunicazione o la comprensione dei gesti avviene attraverso la reciprocità delle mie intenzioni e dei gesti degli altri, dei miei gesti e delle mie intenzioni comprensibili nel contesto di altre persone. È come se l’intenzione dell’altro abitasse nel mio corpo e la mia nel suo». In altri termini «stiamo dicendo che il corpo, nella misura in cui ha “pattern comportamentali”, è quello strano oggetto che usa le proprie parti come un sistema generale di simboli del mondo, e attraverso i quali in quel mondo noi di conseguenza possiamo “essere a casa”, “comprenderlo” e trovarvi significato».

[20] V. Gallese, P. Migone, M.N. Eagle, La simulazione incarnata, cit.

[21] Ibidem.

[22] Ibidem.

[23] Ibidem.

[24] C. Nasti, La Previsione del Comportamento di Caregiving: Stato dell’Arte e Implicazioni Metodologiche, in TOPIC, 2022, p. 8.

[25] L. Arnaudo, Diritto cognitivo. Prolegomeni a una ricerca, in Pol. dir., 2010, p. 127.

[26] G. Gulotta, Le capacità giuridiche alla luce delle neuroscienze. Memorandum patavino, in Diritto penale e uomo, 2015, p. 10.

[27] L. Muglia, La valutazione delle capacità genitoriali. Diritto minorile e neuroscienze a confronto, Webinar online, 2020, minuto 30:31.

[28] Previsione, quella dell’art. 12 della Convenzione ONU, che venne positivizzata all’interno del nostro ordinamento a seguito della pronuncia della Corte costituzionale, nella sentenza del 16 gennaio 2002, n. 1, attraverso la quale, constatato che la prescrizione di cui all’art. 12 della Convenzione fosse ormai entrata nell’ordinamento, è stata affermata la sua idoneità «a integrare – ove necessario – la disciplina dell'art. 336, secondo comma, cod. civ., nel senso di configurare il minore come parte del procedimento, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, se del caso previa nomina di un curatore speciale ai sensi dell'art. 78 cod. proc. civ.».

[29] Cass. civ., sez. I, 23 aprile 2019, sentenza n. 11170, in Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, 2019.

[30] Cass. civ., sez. I, 5 dicembre 2020, sentenza n. 6471, in Altalex, 2020.    

[31] G. Vallortigara, La coscienza dei vermi. Circuiti nervosi elementari, organismi capaci di movimento. Alcuni studi e una solida osservazione conducono a un’ipotesi radicale: la coscienza è un fenomeno diverso dal pensiero, in Prometeo, Rivista trimestrale di scienza e storia, 2024, p. 42.

[32] E. Sirgiovanni, Forewords: The Neurocognitive Turm in Law and its Epistemological Aspects, in E. Picozza, Neurolaw. An Introduction, Torino, 2011, p. XXIII.