Pubbl. Mer, 22 Ott 2025
La Cassazione sulla pensione di reversibilità all´ex coniuge: il chiarimento con l’ordinanza 23851/2025
Modifica pagina
Daniela Ferro

La Cassazione, a seguito del pronunciamento della Corte di Appello di Palermo, ha avuto modo di precisare, con il pronunciamento in oggetto, come l´ex coniuge abbia diritto alla pensione di reversibilità, laddove sia precedentemente già titolare di assegno divorzile, non abbia contratto nuove nozze e il rapporto di lavoro del defunto fosse precedente al divorzio. La pensione di reversibilità, inoltre, viene ripartita tra l´ex coniuge e il coniuge superstite considerando aspetti come la durata del matrimonio, le condizioni economiche, l´eventuale convivenza prematrimoniale e la funzione solidaristica dell´assegno stesso.

The Supreme Court of Cassation on survivor´s pensions for former spouses: clarification with ordinance 23851/2025
The Supreme Court of Cassation, following the ruling of the Palermo Court of Appeal, clarified with the aforementioned ruling that the former spouse is entitled to a survivor´s pension if they were previously entitled to alimony, have not remarried, and the deceased´s employment preceded the divorce. Furthermore, the survivor's pension is eventually divided between the former spouse and the surviving spouse, taking into account factors such as the length of the marriage, financial circumstances, any premarital cohabitation, and the solidarity nature of the alimony itself.Sommario: 1. Premessa - 2. La funzione dell'assegno divorzile - 3. Il caso sottoposto all'attenzione della Corte di Cassazione - 4.Conclusioni
1. Premessa
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in parola, ha avuto modo di precisare come la pensione di reversibilità possa essere oggetto di ripartizione tra coniuge superstite ed ex coniuge e quale sia la decorrenza dei diritti relativi.
In particolare, la Corte ha specificato che l’ex coniuge può essere titolare di una quota della pensione di reversibilità anche dopo il divorzio ed anche quando il coniuge defunto abbia contratto un nuovo matrimonio.
La ratio di questo pronunciamento, pur con delle precisazioni ulteriori, trova fondamento in quanto già ampiamente asserito dalla Cassazione stessa, nel tempo, ovvero nella qualificazione dell’assegno divorzile e la funzione che lo stesso è tenuta ad assolvere.
2. La funzione dell'assegno divorzile
Sulla funzione dell’assegno divorzile si può evidenziare un significativo lavoro portato avanti dalla dottrina e dalla giurisprudenza che, nel tempo, sono andate a rileggere la norma adeguando la sua applicazione ai mutamenti della realtà sociale.
Questo ci permette di osservare come, nel tempo, in particolar modo dagli anni Novanta, si sia registrata una significativa evoluzione giurisprudenziale in materia. Sul punto possiamo, in via esemplificativa, fare riferimento alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 11490 del novembre del 1990, che, lungamente ha dettato le linee guida interpretative sulla qualificazione e quantificazione dell’assegno divorzile[1].
Partendo già da questo pronunciamento, abbiamo che l'assegno divorzile deve avere una funzione compensativa e perequativa, non solo di tipo assistenziale, ma viene ad essere legato alle scelte comuni e ai ruoli assunti durante il matrimonio[2].
Il carattere assistenziale, cui stiamo facendo riferimento, è un elemento che compare in modo trasversale in ambito civilistico e privatistico ed assume forme differenti. Nello specifico si può ritenere che il diritto di famiglia sia il luogo privilegiato in cui si esprimono le esigenze di cura e sviluppo della persona. Con l’evoluzione della concezione di famiglia e di rapporto relazionale non è venuta meno la centralità del carattere assistenziale ma si è assistito ad una sua rideterminazione.
Sul punto la Cassazione, infatti, ha avuto modo di fissare i caratteri qualificativi dell’assegno divorzile asserendo che <il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno>[3].
Questa interpretazione, su cui si sono fondati anche i provvedimenti successivi, è andata a modificare, tra gli altri aspetti, la qualificazione dell’assegno divorzile che non è più inteso come una misura, come avveniva in passato, che prende in considerazione quello che era il tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio, ma prende in considerazione quello che è l’eventuale squilibrio economico causato dal matrimonio e dalle eventuali rinunce professionali di uno dei coniugi[4].
Sostanzialmente, dunque, abbiamo che il carattere assistenziale, nella sua accezione tradizionale, che si basa su una valutazione aprioristica di quello che dovrebbe essere il coniuge più debole viene ad essere riletto in una accezione più concreta e puntuale che valuta il rapporto coniugale nella sua interezza e ne analizza le dinamiche e l’apporto dei coniugi su un piano paritetico, in funzione delle effettive possibilità, senza attribuire minore rilevanza a quello che è l’impegno profuso per il benessere della famiglia.
Queste circostanze, in concreto, devono trovare prova e dimostrazione e l’onere delle stesse grava sulla parte che invoca il beneficio[5].
Tradizionalmente si è stati portati la commisurazione di un assegno divorzile integri una misura pensata a vantaggio della moglie che, statisticamente ed in più casi, è stata intesa come colei che sacrifica la propria indipendenza lavorativa ed economica per il benessere familiare[6].
Ovviamente si tratta di una considerazione di carattere generale che deve tenere conto delle fattispecie specifiche e dei casi concreti di volta in volta, oltre che, e questo è importante precisarlo, dell’evoluzione economica e sociale che è andata a modificare in modo significativo gli assetti familiari, nell’accezione tradizionale.
La Cassazione ha specificato che la quantificazione dell'assegno deve considerare anche il periodo di convivenza prematrimoniale se questo ha influenzato le decisioni sulla vita matrimoniale.
Questo aspetto è stato oggetto di diversi pronunciamenti, anche recenti, della Cassazione stessa che ha avuto modo di evidenziare come la convivenza debba essere valutata sotto il profilo della durata, quindi sotto un profilo quantitativo, sia sotto il profilo qualitativo, ovvero quanto la stessa abbia inciso sulle vite individuali e sul sacrificio sostenuto da ognuno di coniugi come apporto alla vita coniugale[7].
Si tratta di una interpretazione che, è importante osservarlo, aveva trovato riscontri anche in pronunciamenti più datati e che si sofferma sull’analisi di dati di fatto che già in precedenza registravano quanto fosse incidente il peso delle convivenze prematrimoniali sulla stabilità dei rapporti relazionali.
Non dobbiamo dimenticare che la convivenza fuori da matrimonio ha rappresentato, negli anni, una realtà sempre più crescente che trovava tutela giuridica come situazione di fatto e veniva analizzata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in modo non sempre evolutivo.
Solo dagli anni Novanta, infatti, quella che veniva definita come convivenza more uxorio ha iniziato ad avere un riconoscimento anche giuridico in alcuni pronunciamenti giurisprudenziali molti significativi che hanno portato, lentamente, la sostituzione del concetto di convivenza con il concetto di “famiglia di fatto”[8].
Alla luce di queste considerazioni abbiamo che la funzione solidaristica dell’assegno divorzile si manifesti attraverso le funzioni compensativa e perequativa, con l’obiettivo di garantire un adeguato supporto economico al coniuge economicamente più debole, ponendo un accento significativo sul contributo dato alla famiglia e alla realizzazione della situazione attuale, ovvero alla fine del rapporto personale dei coniugi.
È importante, dunque, osservare come questa funzione non risieda, come abbiamo detto, nel ripristinare il tenore di vita matrimoniale, ma di giungere ad una sorta di compensazione di quello che è lo squilibrio economico derivante dalla dinamica matrimoniale con l’intenzione di mirare all'indipendenza economica del coniuge beneficiario[9].
3. Il caso sottoposto all'attenzione della Corte di Cassazione
Tornando alla fattispecie alla nostra specifica attenzione, osserviamo come la Corte di Appello di Palermo sia stata chiamata a pronunciarsi su di un appello proposto proprio sulla quantificazione della pensione di reversibilità spettante all’ex coniuge superstite in concorso con altro coniuge.
Le argomentazioni sollevate dinanzi alla Corte di secondo grado vertevano sul fatto che il Tribunale di primo grado aveva svolto una valutazione di tipo principalmente quantitativo e prendendo in poca considerazione tutti gli altri aspetti cui abbiamo avuto modo di fare riferimento sino ad ora.
Nella sentenza di primo grado, in vero, si legge come il criterio temporale della durata del matrimonio debba essere considerato necessario e preponderante anche in ragione di quanto asserito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 419/1999, che, però, non ritiene che lo stesso possa assumere un carattere di tipo esclusivo[10].
Per la Corte Costituzionale, infatti, deve assumere rilevanza la valutazione del rapporto tra i coniugi prendendo in considerazione anche aspetti come la convivenza more uxorio precedente al sorgere del vincolo coniugale.
Nel caso di specie, dunque, il Tribunale di Palermo aveva ritenuto di considerare i tredici anni di convivenza precedenti al matrimonio tra la coniuge superstite ed il coniuge deceduto come rilevanti ai fini della quantificazione dell’importo che era stato ripartito in una percentuale di 80% e 20%.
Come possiamo notare, dunque, il Tribunale di primo grado aveva compiutamente applicato gli orientamenti giurisprudenziali cui abbiamo avuto modo di fare riferimento in precedenza.
La conferma di questa quantificazione era avvenuta anche in Corte di Appello e questo aveva spinto l’ex coniuge a presentare ricorso in Cassazione adducendo anche altri motivi legati alla soccombenza in giudizio ed alla decorrenza della quantificata reversibilità.
La Cassazione, infatti, riformando parzialmente la sentenza di appello che non si era affatto pronunciata su questa specifica doglianza, ha precisato che la decorrenza del beneficio deve essere indicata nel mese successivo alla data del decesso dell’ex coniuge e non dalla domanda amministrativa per la corresponsione degli importi.
In modo più dettagliato possiamo osservare che in questo pronunciamento venga ribadito che il criterio principale per stabilire la misura della ripartizione della prestazione tra il coniuge ed ex coniuge si ricollega si alla durata del matrimonio, ma il giudice può valutare l’introduzione di elementi e valutazioni correttive per garantire equità. In particolar modo lo stesso può prendere in considerazione aspetti come le condizioni economiche complessive delle parti, l’eventuale convivenza prematrimoniale e la percezione di assegni divorzili.
Accanto a questo la Cassazione ha precisato, nuovamente, che la determinazione delle percentuali di riparto rientra nella valutazione esclusiva del giudice di merito ma deve trovare coerenza con i principi consolidati della giurisprudenza.
4. Conclusioni
Il provvedimento della Cassazione, nel confermare un orientamento che appare consolidato, ha il merito di ribadire le linee guida operative relative alla quantificazione e corresponsione della pensione di reversibilità nelle ipotesi di concorso tra coniuge ed ex coniuge.
Come avvenuto per i provvedimenti precedenti, cui abbiamo avuto modo di fare riferimento, la recente ordinanza permette di avere dei parametri aggiornati per gli interpreti pur senza snaturare il percorso che la giurisprudenza aveva avuto modo di portare avanti fino ad ora in ordine alla qualificazione dell’assegno divorzile e la sua funzione.
È un aspetto particolarmente significativo poiché l’operazione che viene richiesta non è meramente quantitativa e anche nella valutazione di ulteriori aspetti correlati, come appunto la durata dell’eventuale convivenza prematrimoniale, prende in considerazione i caratteri qualitativi degli elementi presi in considerazione.
Il segno particolarmente significativo di questo provvedimento si rinviene nelle ipotesi di applicabilità. Analizzando il contesto attuale, il numero di seconde nozze rappresenta quasi un quarto del numero totale di matrimoni che si celebrano in un anno, come asserito nell’ultima rilevazione ISTAT[11].
Questo determina che, statisticamente, la parametrazione dell’assegno di reversibilità tra coniuge ed ex coniuge superstite si renderà necessaria in sempre più circostanze e questo rende i criteri determinati dalla Cassazione molto rilevanti.
Per quanto l’ordinanza della Cassazione sia significativa per le considerazioni che abbiamo avuto modo di svolgere è importante evidenziare dei profili di criticità che si ricollegano, in particolar modo, alla qualificazione dell’assegno divorzile.
Nell’ottica di riqualificare l’assegno divorzile e depauperarlo della sua originaria natura assistenziale facendo gravare sul richiedente la prova dello squilibrio economico tra i coniugi a seguito del divorzio, si assiste, come è fisiologico, ad una diminuzione di qualificazioni di ipotesi in cui l’assegno divorzile viene concesso in sede di determinazione delle statuizioni discendenti dalla sentenza di divorzio.
Questo avviene principalmente proprio per la complessità di dimostrare questo squilibrio che, non necessariamente, ha una qualificazione commisurabile solo economicamente.
Criticamente, dunque, per quanto il percorso interpretativo portato avanti dalla Cassazione sia lineare e segua il percorso evolutivo portato avanti sulla commisurazione dell’assegno di reversibilità in ipotesi di concorso, con il tempo, si potrebbe rischiare di escludere completamente l’ex coniuge in quanto sempre in meno occasioni viene riconosciuto l’assegno divorzile.Questo rischio, a ben guardare, ha un carattere più segnatamente sociale che giuridico poiché, alternativamente dovremmo essere portati e rivedere la funzione stessa dell’assegno divorzile, in una chiave più conservatrice, e l’apertura della corresponsione di una parte della pensione di reversibilità all’ex coniuge quasi in un’ottica risarcitoria e assistenziale che non può trovare fondamento e riscontro.
[1] Cass. civ. Sez. Unite, 29/11/1990, n. 11490, in Giust. Civ., 1990, I, 2789; .
[2] Travan G., Per una rilettura della funzione assistenziale dell’assegno divorzile, Actualidad Jurídica Iberoamericana Nº 17 bis, diciembre 2022, ISSN: 2386-4567, pp 330-355
[3] Cassazione, SS.UU., n. 18287 /2018
[4] Savi G., Il “compenso” all’ex coniuge, ovvero l’assegno divorzile avvolto dalle nebbie di stagione in “Diritto di Famiglia e delle Persone (Il)”, fasc.4, dicembre 2022, p.1750
[5] Rimini C., Balzarini C., Separazione e divorzio, Il Sole 24 ore s.p.a., 2025
[6] Marella M.R., “Il diritto delle relazioni familiari fra stratificazioni e ‘resistenze’. Il lavoro domestico e la specialità del diritto di famiglia”, Riv. crit. dir. priv., 2010, n. 2, pp. 233 ss.
[7] Cassazione Sezioni Unite Civili n.35385, del 18.12.2023: «Ai fini dell’attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».
[8] ex multis C. cost., 18 novembre 1986, n. 237; C. cost., 18 gennaio 1996, n. 8; C. cost., 27 marzo 2009, n. 86; C. cost., 8 maggio 2009, n. 140; C. cost., 14 gennaio 2010, n. 7
[9] Sesta M., Profili attuali della solidarietà post coniugale in Divorzio 1970-2020 Una riflessione critica, a cura di Cuffaro V., Giuffré 2021.
[10] Corte Costituzionale sentenza n.419/1999: < In presenza di più aventi diritto alla pensione di reversibilità (il coniuge superstite e l'ex coniuge), la ripartizione del suo ammontare tra di essi non può avvenire escludendo che si possa tenere conto, quale possibile correttivo, delle finalità e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto alla reversibilità. Ciò che, appunto, il criterio esclusivamente matematico della proporzione con la durata del rapporto matrimoniale non consente di fare. Difatti una volta attribuito rilievo, quale condizione per aver titolo alla pensione di reversibilità, alla titolarità dell'assegno, sarebbe incoerente e non risponderebbe al canone della ragionevolezza, né, per altro verso, alla duplice finalità solidaristica propria di tale trattamento pensionistico, la esclusione della possibilità di attribuire un qualsiasi rilievo alle ragioni di esso perché il tribunale ne possa tenere in qualche modo conto dovendo stabilire la ripartizione della pensione di reversibilità. La mancata considerazione di qualsiasi correttivo nell'applicazione del criterio matematico di ripartizione renderebbe possibile l'esito paradossale indicato dal giudice rimettente, il quale sottolinea come, con l'applicazione di tale criterio, il coniuge superstite potrebbe conseguire una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita, mentre l'ex coniuge potrebbe conseguire una quota di pensione del tutto sproporzionata all'assegno in precedenza goduto, senza che il tribunale possa tener conto di altri criteri per ricondurre ad equità la situazione>.
[11] Dati presenti sul sito ISTAT http://ww.istat.it