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Pubbl. Gio, 4 Feb 2016

La nuova disciplina dei figli incestuosi: il superamento del divieto di riconoscimento

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Angela Mendola


L’articolo delinea la nuova disciplina dei figli incestuosi, prevista dal disposto di cui all’art. 251 c.c., tracciando il percorso storico e le evoluzioni che hanno interessato tale previsione, a partire dal codice civile del 1865. Dalle originarie formulazioni, in termini di divieto di riconoscimento o di ammissibilità di esso, solo al ricorrere di determinate condizioni, si è trapassati, con la legge di riforma della filiazione, del 10 dicembre 2012, n. 219, all’attuale principio per cui i figli nati da incesto possano essere riconosciuti, previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. Emerge, quindi, come il legislatore abbia inteso superare l’antica concezione per cui la riprovazione del rapporto instaurato dai genitori debba riflettersi in una discriminazione giuridica a carico dei figli.


Sommario: 1.La filiazione c.d. incestuosa; 2.Cenni storici; 3. La nuova disciplina dei figli incestuosi introdotta dalla l. n. 219/2012; 4. Autorizzazione giudiziale e dubbi di illegittimità costituzionale; 5. La disciplina dei figli cc.dd. non riconoscibili.

1. La filiazione cd. incestuosa

Per filiazione derivante da incesto si intende la generazione in seguito ad un rapporto tra parenti in linea retta all’infinito o in linea collaterale di secondo grado, nonché tra affini in linea retta. Perché si verifichi l’incesto è necessario che l’unione che ha dato vita al concepimento sia avvenuta dopo la celebrazione del matrimonio da cui deriva l’affinità. Va sottolineato, inoltre, che l’unione è incestuosa anche nel caso in cui il vincolo familiare fra i genitori dipenda da adozione, in quanto l’art. 27, comma 1, l. n. 184/1983 dispone che l’adottato acquista lo stato di figlio degli adottanti[1]. Ancora, la nascita da un rapporto incestuoso si potrebbe configurare nel caso di generazione mediante procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo[2], ricorrendo al patrimonio genetico di donatore o di donatrice.

2.  Cenni storici

Il divieto di riconoscere i figli incestuosi ha origine remote e ben radicate. A prevederlo, infatti, era già lo Statuto Albertino, ritenendo che i minori nati in seguito a queste unioni, fossero il prodotto di un delitto inconfessabile[3]. Nel codice civile del 1865, il divieto di riconoscimento del figlio nato “da persone fra le quali non poteva sussistere matrimonio per vincolo di parentela, o di affinità in linea retta all’infinito, o per vincolo di parentela in linea collaterale nel secondo grado” (art. 180, n. 2) era assoluto ed il figlio non era “ammesso a fare indagini né sulla paternità né sulla maternità” (art. 193, co. I).

Nel codice del 1942, invece, pur ribadendosi l’irriconoscibilità del figlio nato da unione incestuosa, si ammetteva il riconoscimento da parte dei genitori che “al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di loro” o da parte del solo genitore che fosse stato “in buona fede” (art. 251 c.c.); mentre le indagini sulla paternità e sulla maternità erano escluse in ogni caso (art. 278, comma 2). Con la riforma del diritto di famiglia del 1975, poi, veniva confermato che il riconoscimento fosse ammesso solo “se i genitori al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di loro o che fosse stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l’affinità” (art. 251, comma 1, c.c.) e si specificava che esso “è autorizzato dal giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio” (comma 2).

Proprio per configurare il riconoscimento nell’interesse del figlio e non più in quello dei genitori in buona fede, si disponeva, altresì, che la paternità e la maternità potessero essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso (art. 269, comma 1, c.c.), sì che rimaneva esclusa l’ipotesi in cui questo fosse vietato a norma dell’art. 251 c.c. (art. 278, comma 1, c.c.). Non poche furono le perplessità della dottrina, che riteneva che la predetta previsione lasciasse trasparire la convinzione che sui figli dovesse ricadere il peccato dei genitori, o “quanto meno, che la nascita di questi figli rappresentasse qualcosa di così scandaloso che non potesse darsene atto in alcun documento o provvedimento di autorità”[4].

In passato, quindi, alla base dell’antico principio di non riconoscibilità dei figli incestuosi vi era l’idea di ravvisare nel rapporto incestuoso un “attentato all’ordine naturale dei rapporti interpersonali”[5]. Solo la buona fede di uno dei genitori al momento del concepimento o la dichiarazione di nullità del matrimonio da cui derivava l’affinità rendevano, infatti, possibile e necessaria la considerazione dell’interesse del minore nell’emettere l’autorizzazione giudiziaria al riconoscimento[6]. La scelta legislativa, quindi, era quella di vietare il riconoscimento ai genitori in mala fede facendo, così, ricadere sui figli la colpa dei padri e delle madri, colpevoli di un damnatus coitus.

Ne derivava un fondato dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 251 c.c., con riguardo agli artt. 2, 3 e 30, comma I e comma III, Cost., al punto che la rilevanza della buona fede dei genitori poteva trovare adeguata giustificazione soltanto ove si ritenesse che il riconoscimento fosse disposto nel loro esclusivo interesse e non in quello del figlio[7]. L’art. 251 del codice civile del 1942 era intitolato “Riconoscimento di figli incestuosi”. Denominazione, quest’ultima, indecorosa ed inopportuna, atteso che essa pareva riferirsi ad una “categoria” di figli, quando, in realtà, tale qualifica, al pari di quella di “illegittimi”, poteva, al più, essere riferita ai genitori[8]. Permaneva, inevitabilmente, una categoria discriminata di figli nati al di fuori del matrimonio, circondata da pregiudizi ormai inammissibili, espressione di quello che forse era l’ultimo tabù in materia di morale sessuale[9].

Il limite alla riconoscibilità non trovava alcuna giustificazione neppure sulla base dell’articolo 30, comma 3, della Costituzione, non sussistendo nessuna incompatibilità tra il riconoscimento di tali figli e i diritti dei membri della famiglia legittima. Peraltro, per quanto potesse invocarsi che l’irriconoscibilità si fondasse sull’esistenza di un reato, che è attentato alla moralità pubblica, al buon costume e all’ordine delle famiglie, risultava contrario ai principi costituzionali attribuire una posizione deteriore ad alcune persone, in conseguenza di atti censurabili posti in essere da altri[10].

Con il disegno di legge n. 2805, approvato dal Senato della Repubblica il 16 maggio 2012, cadeva il limite previsto nell’art. 251 c.c., per cui si stabiliva che il riconoscimento del figlio “incestuoso” dovesse essere autorizzato dal giudice, avuto riguardo esclusivamente all’interesse del figlio ed alla necessità di evitargli qualsiasi pregiudizio. Ciò significava che potevano però residuare casi nei quali il giudice poteva negare l’autorizzazione al riconoscimento del figlio. Tanto legittimava la permanenza della tipologia dei figli irriconoscibili, con uno statuto giuridico successorio rappresentato dagli artt. 580 e 594 c.c.[11]. Questi ultimi nel caso di successione ab intestato, non avevano diritto ad una quota di eredità, bensì soltanto ad un assegno vitalizio, pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero avuto diritto se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta e potevano, peraltro, chiedere la capitalizzazione dell’assegno loro spettante, in denaro o in beni immobili. Nel caso di successione testamentaria, ove il de cuius nulla avesse disposto a loro beneficio, costoro avrebbero maturato il diritto ad un assegno vitalizio, pari all’ammontare della rendita della quota di eredità che loro sarebbe stata riservata se la filiazione fosse dichiarata o riconosciuta[12].

3. La nuova disciplina dei figli incestuosi introdotta dalla l. n. 219/2012

Con la legge di riforma del 10 dicembre 2012, n. 219[13], l’art. 251 c.c., nella sua “formulazione positiva”[14], si intitola “Autorizzazione al riconoscimento” e prevede che “il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio[15]. Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni”[16].

E’ evidente, dalla lettera della norma, che la buona fede del genitore non sia più condizione necessaria per l’autorizzazione al riconoscimento e che, nel caso di affinità in linea retta, non sia più richiesta la dichiarazione di nullità del matrimonio da cui la stessa derivi. E’, invece, sempre necessaria, a prescindere dalla buona o mala fede del genitore, l’autorizzazione del giudice per evitare che dal riconoscimento possa derivare qualsiasi pregiudizio[17].

Ebbene, seppure le nuove disposizioni abbiano suscitato polemiche, perché da taluno si è ritenuto che ne derivasse la “legalizzazione” delle unioni incestuose, in realtà, può più correttamente affermarsi che il legislatore abbia inteso sovvertire l’antica concezione per cui la riprovazione del rapporto instaurato dai genitori debba riflettersi in una discriminazione giuridica a carico dei figli[18]. Oggi, infatti, il riconoscimento viene ammesso in via generale, pur essendo sottoposto alla valutazione del giudice nella considerazione dell’interesse del figlio[19]. In definitiva, da un atteggiamento punitivo nei confronti di genitori che procreavano pur essendo legati da vincoli di parentela, in linea con l’intenzione di promuovere la famiglia come istituzione basata sul matrimonio di cui all’art. 29 Cost., si è passati a un atteggiamento premiale nei confronti dei figli nati da queste relazioni[20]. Il che val quanto dire che, in virtù della riforma, si possa discutere di “genitori incestuosi”, verso il cui atto o rapporto permane un giudizio di disvalore, più che di “figli incestuosi”. Ci si deve astenere, dunque, da giudizi di riprovazione verso il figlio, onde evitare di assoggettarlo ad una condanna per un comportamento riprovevole non imputabile a lui[21].

La riforma in questione, peraltro, non era più rinviabile, soprattutto dopo che la Corte costituzionale aveva reso ammissibile la dichiarazione giudiziale, anche nel caso di nascita da parenti stretti, considerando che il divieto fosse in contrasto con il diritto del figlio alla propria identità, a conseguire uno status pienamente tutelato[22]. Era apparso paradossale che all’accertamento di status si potesse giungere solo in via giudiziale, e non in via volontaria[23]. La legge, quindi, finiva per disciplinare in modo uniforme i due modi di accertamento, mettendo in primo piano non la condotta dei genitori, ma l’interesse del figlio[24].

4.  Autorizzazione giudiziale e dubbi di illegittimità costituzionale

La possibilità di riconoscere i figli nati da incesto non è incondizionata, restando subordinata all’autorizzazione del giudice. Presupposto, questo, in alcuni casi, tutt’altro che necessario o, addirittura, discriminatorio, in quanto manterrebbe in vita una “categoria” particolare di figli, qualificabile come coloro che hanno bisogno di un provvedimento giudiziale per poter essere riconosciuti[25].

Pare opportuno interrogarsi, a tal punto, sulla necessità o meno dell’autorizzazione giudiziale, in caso di riconoscimento di figlio maggiore di età. Sarebbe stato opportuno, probabilmente, lasciare unicamente al figlio stesso, se ultraquattordicenne, o, almeno, se maggiorenne, il compito di valutare la rispondenza al proprio interesse del riconoscimento, nonché la decisione di consentire o meno riconoscimento[26]. Inoltre, lo schema previsto dalla legge dopo la novella del 2012 ha condotto a risultati paradossali, poiché ha previsto che se il giudice avesse ritenuto il riconoscimento contrario all’interesse del figlio maggiorenne e, dunque, negato l’autorizzazione, nel caso in cui il genitore avesse voluto riconoscere il figlio e costui avesse voluto dare il proprio assenso, non si sarebbe potuta considerare preclusa al figlio la strada della dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, ex artt. 269 ss. c.c. 

Il giudice, quindi, di nuovo chiamato a pronunziarsi per mezzo della dichiarazione giudiziale, avrebbe dovuto accertare solo il dato del concepimento da parte del genitore, e, in seguito, dichiarare quella filiazione, il costituirsi della quale in precedenza aveva impedito, in quanto contraria all’interesse del figlio[27]. E’ inconcepibile, quindi, attribuire al giudice il compito di valutare che cosa sia nell’interesse di una persona maggiorenne, oppure, benché ancora minorenne, abbia avuto attribuito il pieno potere di autodeterminazione da un’altra norma di legge. Si configurerebbe, altrimenti, un’offesa all’autodeterminazione che non rientra fra le cause in nome delle quali l’art. 8, comma 2, Conv. eur. dir. uomo, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte eur. dir. uomo, ammette limiti al principio del rispetto della vita privata[28].

Al più, se l’autorizzazione perseguisse, come nel passato, l’esclusiva finalità di verificare che l’instaurazione del rapporto di filiazione risponda effettivamente all’interesse del figlio nato da unione incestuosa, sicuramente si giustificherebbe in relazione al riconoscimento di un minorenne, anche in considerazione dell’abbassamento a quattordici anni dell’età richiesta per manifestare il suo assenso (v. art. 250, comma 2, nuovo testo, c.c.). Mentre si dubiterebbe della legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost., riguardo al figlio maggiorenne[29]. La necessità dell’autorizzazione giudiziale, anche per il figlio maggiorenne integra, dunque, un’ipotesi di anacronistico paternalismo giuridico, tale per cui, a dover valutare ciò che è utile per un soggetto maggiore di età e capace di agire sarebbe un giudice, prima ancora che il soggetto interessato[30]. Le argomentazioni esposte non consentono di escludere, tuttavia, che il filtro dell’autorizzazione giudiziale, in alcuni casi, sia determinante al fine di valutare le condizioni affinché il riconoscimento non si traduca in un pregiudizio per il minore. In particolare, quando la relazione incestuosa sia frutto di un abuso e il riconoscimento da parte dell’autore del reato potrebbe essere un danno per il figlio[31].

In definitiva, l’autorizzazione giudiziale, che nel vecchio testo dell’art. 251, al comma 2, c.c., costituiva un mero requisito di efficacia dell’atto e non un elemento costitutivo dello stesso, nella nuova formulazione della disposizione, sembra porsi, rispetto al riconoscimento, quale elemento preliminare indispensabile. A seguito della riforma, peraltro, è richiesto espressamente che una tale autorizzazione preceda il riconoscimento: ciò, evidentemente, può incidere sull’individuazione della funzione dell’autorizzazione stessa, soprattutto se si considera che nella nuova formulazione dell’art. 251 c.c. è stato ribadito che essa abbia sia la finalità di verificare che il riconoscimento risponda “all’interesse del figlio”, sia quella “di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio”[32].

Naturalmente, la funzione dell’autorizzazione varia a seconda che si tratti di persona capace, laddove si concretizza in una mera verifica da parte del giudice della volontà del figlio di non avere nulla in contrario a rendere pubblico il carattere incestuoso del concepimento, o di un minore di età o di un altro incapace legale, ove, invece, essa è finalizzata a verificare che l’instaurazione del rapporto di filiazione incestuosa risponda all’interesse del figlio[33]. Il profilo dell’autorizzazione giudiziale al riconoscimento rende indispensabile la disamina di un altro aspetto. La disposizione dell’art. 251 c.c., ove collegata a quelle di cui agli artt. 74 e 258 c.c. riformati, colloca il figlio di genitori incestuosi nel novero dei loro parenti, che tuttavia provengono da un unico stipite, consentendo così che la stessa persona sia, rispetto al figlio, contemporaneamente, padre (in quanto genitore) e nonno, ovvero padre e fratello, oppure zio e fratello, in quanto, rispettivamente, padre, figlio o fratello della donna che lo ha partorito[34].

Quanto all’azione giudiziale finalizzata alla dichiarazione della paternità e della maternità, il decreto legislativo di attuazione della legge delega n. 219/2012, precisamente, l’art. 35, del d.lgs. n. 154 del 2013[35] ha modificato anche l'art. 278 c.c., nel quale oggi, per le ipotesi di filiazione, c.d., “incestuosa”, si prevede che “nei casi di figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, l’azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità non può essere promossa senza previa autorizzazione ai sensi dell’articolo 251”.

Si tratta di un caso di c.d. giurisdizione condizionata, perché la proponibilità della domanda è subordinata alla preventiva autorizzazione del giudice[36]. Come già rilevato per il riconoscimento, la necessità di autorizzazione, anche per il maggiorenne, è indubbia espressione di una scelta paternalistica che vorrebbe indicare ad un soggetto maggiorenne e capace quale sia il suo interesse[37]. Qualora, dunque, al genitore fosse negata l’autorizzazione al riconoscimento, in quanto contraria all’interesse del figlio, a quest’ultimo non sarebbe consentita l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità. In tal modo, la situazione del figlio maggiorenne, c.d. “incestuoso” risulta peggiore rispetto a quella che era divenuta sotto la normativa previgente, dopo l’intervento della Consulta del 2002[38]. Per tali figli, infatti, non basterà la prova del rapporto biologico, ma dovrà essere anche valutato l’interesse alla costituzione del rapporto di filiazione. Del resto “se anche si potesse mai giustificare la necessità dell’autorizzazione giudiziale con riferimento all'art. 251 c.c., considerando che, in quel caso, l’iniziativa per la costituzione del rapporto di filiazione, non è del figlio, ma del genitore che vuole riconoscere, tale possibile giustificazione cadrebbe completamente con riferimento alla dichiarazione giudiziale, con la quale è proprio il figlio a prendere l’iniziativa per ottenere lo stato”[39].

Nel caso in cui il figlio sia minore di età, invece, un peggioramento deriverà dalla duplicazione di competenza che discende dall’attuale formulazione dell’art. 278: per l’autorizzazione ex art. 251 c.c., infatti, è prevista, dal riformulato art. 38 disp. att. c.c., la competenza del tribunale minorile, mentre tale competenza, sempre ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., non è prevista per la dichiarazione giudiziale, nemmeno quando si tratti di figlio minore di età.

L’attuale previsione dell'art. 278 c.c., oltre che nettamente censurabile, sarebbe di assai dubbia legittimità costituzionale. Un argomento in questo senso potrebbe essere ravvisato in un eccesso di delega, da parte del Governo, nel modificare l'art. 278 c.c. Nel mandato con cui l’art. 2, l. n. 219/2012 delegò il Governo al completamento della riforma della filiazione e della parentela, infatti, non vi è traccia di una specifica delega per un’estensione, anche alla dichiarazione giudiziale, dell’autorizzazione prevista all'art. 251 c.c. per il riconoscimento[40]. Quanto ai profili pratici, l’autorizzazione, come rilevato, è condizione di ammissibilità del riconoscimento, ed incide sulla sua efficacia, ragion per cui l’ufficiale di stato civile deve rifiutare di accogliere la dichiarazione del genitore se dalla stessa o da altro documento ufficiale risulta la nascita da incesto, ove questa non sia corredata da una copia dell’autorizzazione giudiziaria (cfr. art. 42, comma 2, DPR 396/2000) al riconoscimento stesso[41].

Il riconoscimento di figlio che risulti essere nato da relazione incestuosa, in assenza di autorizzazione, non potrà essere fatto né all’atto di nascita, né in apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti all’ufficiale dello stato civile, né in un atto pubblico (v. art. 254, comma 1, c.c.)[42]. Un’ultima precisazione va effettuata circa le conseguenze del riconoscimento effettuato nonostante il divieto. L’atto dovrebbe ritenersi nullo, in quanto contrario a norme imperative, e l’impugnazione dovrebbe consistere in un’azione di accertamento dell’inefficacia dell’atto, su iniziativa di qualsiasi interessato, atteso che esso non risponde all’interesse del minore. Quanto alla possibilità di sanatoria dell’inefficacia dell’atto, essa è auspicabile, nella misura in cui intervenisse, successivamente, l’autorizzazione e dunque il giudice ritenesse sussistenti i presupposti previsti dal legislatore[43].

5. La disciplina dei figli cc.dd. non riconoscibili

Da quanto emerso, il legislatore non è riuscito a superare il principio secondo il quale la formazione di un titolo di stato sia sempre indispensabile affinché si possa parlare di stato di filiazione. Malgrado l’unicità di stato, introdotta dalla l. n. 219/2012, infatti, permangono figli che godono solo della tutela prevista dall’art. 279 c.c. (possibilità di agire per ottenere il mantenimento, l’educazione e l’istruzione), e a livello successorio, dagli artt. 580 e 590 c.c. (diritto ad un assegno vitalizio pari alla rendita della quota di eredità alla quale il figlio avrebbe avuto diritto  se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta), in quanto destinatari di un diverso stato di filiazione, o perché non ne hanno voluto conseguire alcuno, o perché non è stato valutato nel loro interesse farglielo conseguire[44].

Si tratta dei figli nati fuori del matrimonio che, ex art. 279 c.c., non potendo più proporre l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, possano agire per ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione o, se nati fuori del matrimonio e maggiorenni ed in stato di bisogno, possono agire per ottenere gli alimenti a condizione che il diritto al mantenimento di cui all’art. 315 bis, sia venuto meno[45]. A ricomprendersi nella previsione dell’art. 279 c.c. sarebbero, solo le seguenti fattispecie: figli non riconoscibili, perché nati da genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze ed avuto riguardo all’interesse del figlio.

Nella classificazione proposta si ricomprendono anche i figli ultraquattordicenni non riconoscibili per mancanza del loro assenso (art. 250, comma 2, come modificato dall’art. 1, comma 2, lettera b), l. n. 219/2012). In tal caso, orbene, il mancato riconoscimento dipende dalla volontà del figlio, che avendo compiuto i quattordici anni non presta l’assenso al riconoscimento. Rientrano nel gruppo anche i figli infraquattordicenni, non riconoscibili per mancanza di consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva l’autorizzazione del tribunale (art. 250, commi 3 e 4, come modificato dall’art. 1, comma 2, lett. d), l. n. 219/2012); i figli privi di assistenza morale e materiale, per i quali siano intervenuti la dichiarazione di adottabilità e l’affidamento preadottivo (art. 11, ultimo comma, l. n. 184/1983); infine, il figlio matrimoniale, specie se decaduto dall’impugnativa di paternità, ed il figlio riconosciuto da altri, entrambi non riconoscibili dal preteso padre biologico (art. 253 c.c.; art. 2, comma 1, lett. e), n. 2, l. n. 219/2012).

Tutte queste ipotesi, fatta eccezione per quella del figlio ultraquattordicenne, che potrebbe essere qualificato come figlio che non voglia essere riconosciuto, possono raggrupparsi nella dizione “figli irriconoscibili”[46]. A tali fattispecie, inoltre, deve aggiungersi, come detto, quella in cui il giudice non ritenga di autorizzare il riconoscimento del figlio nato da persone tra le quali intercorra un rapporto di parentela o di affinità nei gradi indicati dall’art. 251 c.c. Anche prima della riforma della filiazione venivano annoverati in questa categoria i figli per i quali il riconoscimento, pur ammissibile, fosse in concreto inefficace, o perché mancava il consenso del genitore che per primo ha riconosciuto, o l’autorizzazione del giudice che tiene luogo del consenso mancante, oppure l’assenso del figlio ultrasedicenne[47].

Deve ritenersi venuta meno, inoltre, la categoria dei figli che non possono più esercitare l’azione di disconoscimento della paternità per decadenza del termine di legge. Rispetto a tale categoria di figli, la Suprema Corte aveva sostenuto che il figlio, rispetto al quale fosse decorso il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità legittima, avesse ugualmente il diritto all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c., salvo che avesse consapevolmente rinunciato al disconoscimento per lo specifico motivo di preferire la conservazione dello stato di figlio legittimo. Orbene, l’imprescrittibilità, per il figlio, dell’azione di disconoscimento, introdotta dal novellato art. 244 c.c., esclude dalla categoria dei figli non riconoscibili quelli per i quali è decorso il termine di decadenza per proporla[48].

Sotto il profilo ereditario, la riforma ha mantenuto integra la formula dell’art. 573 c.c., per cui le disposizioni relative alla successione dei figli nati fuori del matrimonio si applicano quando la filiazione sia stata riconosciuta o giudizialmente dichiarata. In ogni caso, tutti costoro sono titolari dei diritti di cui agli artt. 580 e 594 c.c., ovvero di un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbero avuto diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta[49]. Il tutto, con facoltà di domandare la capitalizzazione dell’assegno anzidetto. A ciò si aggiunga che, dopo l’abrogazione della commutazione a favore dei figli matrimoniali prevista dal previgente art. 537 comma 3° c.c., la facoltà contemplata dalla norma in esame, che costituisce una commutazione al contrario, appare niente più che un isolato retaggio della disparità di trattamento tra figli[50].

L’ultimo interrogativo a cui dare risposta è quello relativo ai diritti successori che possano e debbano essere riconosciuti ai figli nati fuori del matrimonio che, pur astrattamente riconoscibili, non intendano prestare il proprio assenso al riconoscimento o non abbiano intenzione di procedere in via giudiziale per la dichiarazione di paternità e di maternità. Ci si chiede, dunque, se ad essi vadano comunque applicate le regole poste dagli artt. 580 e 594 c.c. Se, allora, in passato, era considerato inammissibile lasciare ai figli naturali la scelta tra l’azione di accertamento del rapporto di filiazione e quella diretta a conseguire l’assegno vitalizio, non si è escluso che i figli naturali non riconosciuti o che non abbiano voluto ottenere il riconoscimento del legame genitoriale possano ugualmente conseguire l’assegno previsto dall’art. 580 c.c., ferma restando la possibilità di agire anche per l’accertamento del loro status e per il conseguimento dei correlati diritti successori[51].

L’aspetto più criticato dai commentatori della riforma va, tuttavia, rintracciato nella necessaria previa autorizzazione, che deve essere rilasciata dal giudice, ai sensi dell’art. 251 c.c., affinché il figlio cui si riferisce l’art. 279 c.c. possa esperire la relativa azione per ottenere il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e, nell’ipotesi prevista, gli alimenti e, conseguentemente, in ambito successorio, l’assegno vitalizio di cui agli artt. 580 e 594 c.c. Con l’art. 36 d.lgs. n. 154 del 2013, infatti, anche l’art. 279 è stato novellato, per cui anche l’azione c.d. “alimentare” è ammessa unicamente “previa autorizzazione del giudice ai sensi dell’articolo 251”. Quest’ultima si espone a tutte le critiche già svolte con riferimento all’analoga disposizione riversata nell'art. 278 c.c. e appare altresì illegittima, poiché “limitare così, attraverso una previa autorizzazione giudiziale, tale azione, significa limitare e rendere incerta, pur nella certezza del dato biologico, per il figlio la possibilità di vedersi riconosciuti diritti a lui attribuiti dall'art. 30 Cost.”[52].

In virtù di quanto esposto, sia dato concludere che, in conseguenza della richiesta previa autorizzazione ex art. 251 c.c., introdotta sia nell’art. 278 c.c., che nell’art. 279 c.c., nell’ordinamento giuridico, oggi potrebbero sussistere le seguenti categorie di figli: figli che possiedono lo stato di figlio, ex art. 315 c.c.; figli non riconoscibili, e, dunque, privi di tale stato, ma almeno “assistibili” e con diritti successori (tali saranno i figli “incestuosi” per i quali il giudice, ai sensi dell’art. 251 c.c., non autorizzi la dichiarazione giudiziale, ma almeno autorizzi l’azione contemplata dall’art. 279 c.c.); figli, privi dello stato di figlio, e senza mantenimento o alimenti, né diritti successori (tali saranno i figli “incestuosi” per i quali il giudice, ai sensi dell’art. 251 c.c., non autorizzi nemmeno l’azione di cui all’art. 279 c.c.)[53].

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Ricostruzione di T. Auletta, La filiazione derivante da incesto, in AA.VV., La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Padova, 2015, p. 232.
[2] In tal senso, P. Vercellone, La filiazione, in Tratt. di dir. civ. it., fondato da F. Vassalli, Torino, 1987, III, 2, p. 89.
[3] Sulle origini del divieto di riconoscimento dei figli “incestuosi” cfr. G. Azzariti, voce Adulterini e incestuosi (figli), in Noviss. dig. it., I, Torino, 1957, pp. 307 ss.; Id, Adulterini e incestuosi (figli), in Noviss. dig. it., Appendice, I, Torino, 1980, pp. 111 ss.
[4] In questi termini A.C. Jemolo, I figli incestuosi, in Riv. dir. civ., 1976, 5, pp. 564 ss.
[5] Così, Corte Cost., 28 novembre 2002, n. 494, in Foro It., 2004, 1, p. 1053; in Fam. e dir., 2003, p. 119, con nota  di M. Dogliotti, La Corte costituzionale interviene a metà sulla filiazione incestuosa.
[6] Cfr. C. M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 3; T. Auletta, Riconoscimento dei figli incestuosi, in C.M. Bianca (a cura di) La riforma del diritto della filiazione, in Nuove leggi civ. comm., 2013, 3, pp. 475 ss.
[7] In questi termini, G. Lisella, Riconoscimento di figlio nato da relazione incestuosa e autorizzazione del giudice, in www.comparazionedirittocivile.it, 2013, 3. Cfr. sul punto, G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corr. giur., 2013, 3, p. 531 per cui “la previgente disciplina aveva dato luogo ad ampio dibattito, sembrando retaggio di una concezione del passato il voler sanzionare il comportamento dei genitori facendo ricadere sui figli le loro colpe. Ancor prima, quel che appariva frutto di una mentalità superata era l’idea stessa di “incesto in buona fede”, ipotesi romanzesca, a confronto della triste realtà in cui tali rapporti si consumano, segnata dall’emarginazione, dal degrado, spesso dalla violenza del padre e del fratello sulle giovani donne”.
[8] Così, B. De Filippis, La nuova legge sulla filiazione: una prima lettura, in Fam. e dir., 2013, 3, p. 294 per cui la modifica di legge assicurerà all’interesse del figlio la prevalenza su ogni altra valutazione ed abolirà, oltre ai divieti, anche l’ingiusta denominazione.
[9] Sono parole di G. Casaburi, La nuova disciplina della filiazione: gli obiettivi conseguiti e le prospettive (specie inaspettate) future, in Corr. Merito., 2013, 8-9, p. 831.
[10] E’ la ricostruzione di M. Finocchiaro, Cancellato il divieto di riconoscere i figli incestuosi, in Guida al dir., Focus online, 2013, 2, p. 70. Cfr. precedentemente, V. Carbone, E’ costituzionalmente legittimo il divieto di riconoscere il figlio incestuoso?, in Fam. e dir., 2002, p. 463.
[11] Si tratta dell’impostazione di V. Barba, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di legge recante “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, in Fam. Pers. Succ., 2012, 10, pp. 666.
[12] Nel caso di successione necessaria non, invece, per quella legittima, l’assegno si calcolava seguendo le operazioni di cui all’art. 556 c.c. (relictum – debiti + donatum) e non sul relictum.
[13] Il testo di questa legge leggasi in www.camera.it.
[14] Come affermato da M. Cinque, Profili successori nella riforma della filiazione, in Nuova giur. comm., 2013, II, pp. 657 ss., che si riferisce alla locuzione “può essere riconosciuto”.
[15] Con la legge n. 219 del 2012, per A. Magnani, Il principio di unicità dello stato giuridico di figlio. Il nuovo concetto di parentela. Riflessi successori, Relazione tenutasi al Convegno “Legittimi, naturali, adottivi: figli tutti uguali dopo la Legge n. 219/2012?”, Pavia, 24 maggio 2013, p. 13, “viene rimosso il divieto di riconoscimento dei figli dei parenti, perché gravemente contrastante con lo spirito della riforma, che ha voluto non far gravare sui figli le colpe dei genitori o meglio dell’unione deplorevole dei loro genitori”. Per M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente L. n. 219 del 2012, in Giust. civ., 2013, 5-6, pp. 205 ss., bene ha fatto la l. n. 219 a rimuovere un’odiosa discriminazione che portava a discriminare i figli solo in ragione delle colpe dei genitori”. Per A. Busacca, Semplicemente figli, in Humanities, 2013, 4, p. 20, “accanto alla centrale considerazione dell’interesse del minore, viene in rilievo anche la situazione del genitore, il grado di maturità e la possibilità di adempiere all’ufficio genitoriale, nonché il contesto nel quale il figlio verrebbe ad essere cresciuto ed educato”. L’Autrice ritiene opportuno citare, tra le prime applicazioni giurisprudenziali della riforma: Tribunale Catanzaro, 5 marzo 1913, in www.ilcaso.it, con cui è stato autorizzato il riconoscimento del minore proprio in considerazione del contesto familiare, che avrebbe aiutato la giovane madre a vivere con coscienza e consapevolezza l’esperienza della genitorialità.
[16] Sull’autorizzazione del riconoscimento di minore di età da parte del tribunale per i minorenni, B. De Filippis, La nuova legge sulla filiazione: una prima lettura, cit., p. 294, per cui “la norma non indica le forme che il procedimento di autorizzazione deve assumere. Interpretando in senso estensivo il disposto dell’art. 38 disp. att. c.c., secondo il quale nei procedimenti di affidamento e mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e seguenti del codice di procedura, si può ritenere che anche questo tipo di controversia segua il rito indicato”. Sospetta che “in qualche angolo recondito della mente del legislatore vi fosse l’intenzione di imporre un procedimento di autorizzazione anche per il riconoscimento del figlio maggiorenne, riguardo al quale non era necessario precisare la competenza”, L. Lenti, La sedicente riforma della filiazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 4, p. 206, per il quale, altrimenti, non sarebbe stata precisata qui la competenza per il caso di figlio minorenne, ma nel nuovo art. 38 disp. att. cod. civ., ove invece non se ne fa menzione”. Per M. Finocchiaro, Cancellato il divieto di riconoscere i figli incestuosi, in Guida al dir., cit., p. 71, “la competenza è – in caso di autorizzazione al riconoscimento di un figlio di età maggiore – del tribunale in composizione collegiale ordinario, diversamente, ove il riconoscendo è un minore, del tribunale per i minorenni. L’autorizzazione è rilasciata a seguito di un procedimento in camera di consiglio, nel contraddittorio del pubblico ministero a norma dell’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del c.c., con decreto motivato, reclamabile ai sensi dell’articolo 739 del c.p.c e il provvedimento emesso in sede di reclamo è, a sua volta, ricorribile per cassazione a norma dell’articolo 111 della Costituzione”. Per G. Lisella, Riconoscimento di figlio nato da relazione incestuosa e autorizzazione del giudice, cit., p. 6, “la competenza del tribunale ordinario potrebbe rimanere operativa soltanto per il maggiorenne incapace, segnatamente per l’interdetto o il beneficiario di amministrazione di sostegno a questo equiparato ex art. 411, comma 4, c.c.”
[17] La contrarietà all’interesse del minore va intesa nel senso precisato dalla Suprema Corte (v. Cass., 3/11/2011 n. 2645, in Mass. Giust. civ., 2011, 2, pp. 178 ss.), ossia come esistenza di un “pericolo di un pregiudizio così grave per il minore da compromettere seriamente il suo sviluppo psico-fisico”.
[18] Così, G. Casaburi, La nuova disciplina della filiazione: gli obiettivi conseguiti e le prospettive (specie inaspettate) future, cit., p. 831. E’ noto che la norma abbia suscitato pesanti polemiche, paventandosi addirittura il rischio che essa comportasse una sostanziale legittimazione dell’incesto e, comunque, che fosse in contrasto con il reato di incesto previsto dall’art. 564 c.p. Sul punto si rinvia anche all’analisi di F. Prosperi, Unicità di “status filiationis” e rilevanza della famiglia non fondata sul matrimonio, in Riv. crit. dir. priv., 2013, 6, 2, p. 279, per il quale “l’incesto apre interrogativi angosciosi, tradendo i ruoli che consentono alla famiglia di assolvere alle proprie funzioni. Ritenere, però, che consentire ai genitori incestuosi di riconoscere i propri figli, quando ciò sia conforme all’interesse dei figli stessi, significhi legittimare di fatto l’incesto appare del tutto infondato, non vedendosi la ragione per cui una tale possibilità dovrebbe mitigare la riprovazione del comportamento tenuto dai genitori. Al contrario, è invece del tutto evidente l’irragionevolezza di far dipendere la condizione della prole dalla buona o mala fede dei genitori, non potendo in alcun modo considerarsi i figli responsabili delle modalità del proprio comportamento”.
[19] Proprio per verificare l’importanza del cambiamento giuridico e culturale in questo ambito, E. Falletti, Il riconoscimento del figlio naturale dopo la riforma, Santarcangelo di Romagna, 2013, p. 134, fa riferimento ad una giurisprudenza risalente agli ultimi anni del Novecento “dove si dichiarava addirittura che il riconoscimento del figlio incestuoso fosse contrario all’ordine pubblico”. Si tratta di Cass., 10/3/1995, n. 2788, in Riv. dir. internaz., 1996, p. 1068, per cui “l’ordine pubblico internazionale, che preclude l’applicazione di norme straniere richiamate dal diritto internazionale privato, va identificato con i principi fondamentali che caratterizzano l’ordinamento in un determinato momento storico e trovano la loro espressione nei principi costituzionali e in quelli contenuti nelle convenzioni o nelle dichiarazioni internazionali comuni a tutti gli Stati. Costituiscono espressione di tali principi fondamentali il divieto di riconoscimento e dichiarazione giudiziale di paternità in contrasto con lo stato di figlio legittimo o legittimato, i limiti posti al riconoscimento dei figli incestuosi nonché la valutazione preventiva di ammissibilità dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternità e della sua corrispondenza all’interesse del figlio minore”.
[20] M. Scalisi, Considerazioni sulla riforma delle norme in materia di filiazione – Studio CNN n. 113-2013/C, in www.notaisalerno.it.
[21] In questi termini, A. Falcone, Prime applicazioni della riforma della filiazione: la contestata riconoscibilità dei figli nati da incesto, in www.filodiritto.com, 6 marzo 2014.
[22] Si tratta di Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494, in Giur. it., 2004, 15, cit.; in Fam. e dir., 2003, 119, con nota  di M. Dogliotti, La Corte costituzionale interviene a metà sulla filiazione incestuosa. cit. Rilevava giustamente la Corte che il divieto di accertamento del rapporto di filiazione generato dall’incesto comporta una “capitis deminutio perpetua e irrimediabile” per il figlio, conseguente ad un comportamento altrui, incompatibile con l’art. 2 della Costituzione per violazione del diritto all’identità personale, riconosciuto anche all’art. 8 della Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con la legge n. 176 del 1991.
[23] G. Ferrando, I diritti negati dei figli incestuosi. Studi in onore di C. M. Bianca, Milano, 2005, p. 211.
[24] Così, G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, cit., 531. Per V. Santarsiere, Le nuove norme sui figli nati fuori dal matrimonio. Superamento di alcuni aspetti discriminatori, in Giur. mer., 2013, 3, p. 524 “rileva l’interesse del figlio per salvarlo dalla possibilità di ricevere un danno piuttosto che un vantaggio, escamotage usato ante 2012 dagli interpreti dogmatici a giustificare il diniego del riconoscimento dei figli nati da incesto”. Per M. Finocchiaro, Superate le ultime discriminazioni esistenti ma la tecnica legislativa suscita perplessità, in Guida al dir., 2013, 5, p. 71, “non può non plaudirsi alle scelte del legislatore del 2012 che – molto opportunamente – ha anteposto ai pregiudizi che prima circondavano i genitori di tali figli, responsabili di una condotta così profondamente rifiutata dalla coscienza sociale e gli innocenti figli, la tutela dei figli stessi considerandoli sempre riconoscibili – previa autorizzazione giudiziale – a prescindere dalla buona o mala fede dei genitori al momento del concepimento”.
[25] Così, B. De Filippis, La nuova legge sulla filiazione: una prima lettura, cit., p. 294.
[26] G.F. Basini, "Braut und schwester bist du dem bruder - so blÜhe denn, wÄlsungen-blut!". considerazioni critiche riguardo alla rinnovata disciplina sul riconoscimento dei figli, così detti, “incestuosi”, in Fam. e dir., 2015, 1, pp. 62 ss.
[27] Osserva G. F. Basini, La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, III, Filiazione e adozione, Torino, 2007, 2a ed., pp. 191 ss., che nella dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale relativa ad un figlio maggiorenne, altro non si deve accertare se non la verità del rapporto biologico, e non è prevista, in termini generali, alcuna valutazione giudiziale della rispondenza del rapporto di filiazione all’interesse del figlio.
[28] Posizione di L. Lenti, La sedicente riforma della filiazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 4, p. 206.
[29] G. Lisella, Riconoscimento di figlio nato da relazione incestuosa e autorizzazione del giudice, cit., p. 6. L’Autore, tuttavia, ritiene una tale chiave di lettura “riduttiva” anche perché “prima di prospettare un eventuale dubbio di legittimità costituzionale di una disposizione normativa bisogna fare ogni sforzo nel tentativo di individuare una interpretazione conservativa compatibile con i principi fondamentali”.
[30] G.F. Basini, Sub art. 251 c.c., in G.F. Basini, G. Bonilini, M. Confortini (a cura di), Codice di famiglia, minori, soggetti deboli, Torino, 2014, p. 912.
[31] Si tratta dell’osservazione di M. Bianca, L’uguaglianza dello stato giuridico dei figli nella recente L. n. 219 del 2012, cit., 205 ss. Sul punto, anche F. Danovi, Nobili intenti e tecniche approssimative nei nuovi procedimenti per i figli (non più) naturali, , in Corr. giur., 2013, 4, p. 540, che riflette sulla circostanza che “sono stati ampliati i poteri riconosciuti in materia di riconoscimento al giudice, al quale è ora consentito di incidere, si auspica positivamente, sulla stabilizzazione dello status dei figli nati nelle particolari contingenze previste dalla legge”.
[32] Così, G. Lisella, Riconoscimento di figlio nato da relazione incestuosa e autorizzazione del giudice, cit., p. 7, per cui, proprio con riguardo a questo secondo profilo, “considerato il permanere di un giudizio sociale fortemente negativo sulle relazioni incestuose, forse è utile considerare che perché si possa ipotizzare un eventuale pregiudizio in senso morale non è necessaria l’instaurazione del rapporto di filiazione, dunque l’efficacia del riconoscimento, ma basta il semplice accertamento, in un atto ufficiale, della procreazione incestuosa”. Per L. Muglia, La mancanza di un “rito adeguato” per i figli naturali è una lacuna che snatura la ratio della nuova legge, cit., p. 7, “l’inciso della nuova legge “avuto riguardo all’interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio” appare del tutto insufficiente”. Per l’Autore, inoltre, “l’assenza di regolamentazione per tutti i casi purtroppo assai frequenti, in cui la relazione incestuosa sia frutto della consumazione di gravi ipotesi di reato, rende ancor più lacunosa la disciplina introdotta”.
[33] Così, G. Lisella, Riconoscimento di figlio nato da relazione incestuosa e autorizzazione del giudice, cit., p. 8, il quale precisa che nel primo caso, sia “comunque necessario l’assenso della persona capace (art. 250, comma 2, c.c.)”, mentre nel secondo “non è sufficiente né il pur sempre necessario assenso del figlio ultraquattordicenne (v. art. 250, comma 2, c.c.), né il consenso dell’altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento (comma 3). In ogni caso, là dove le circostanze lo consiglino o là dove si propenda per la concessione dell’autorizzazione al riconoscimento, il figlio “che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato” (art. 315 bis, comma 3, c.c.; v. anche, art. 250, comma 4, c.c.)
[34] Si tratta delle riflessioni di M. Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Riv. dir. civ., 2014, 1, p. 6.
[35] D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in www.gazzettaufficiale.it.
[36] Sul punto, cfr. G. Lisella, Dichiarazione giudiziale di maternità e di paternità di figlio nato da relazione incestuosa e autorizzazione del giudice, in Fam. e dir., 2014, 8, pp. 846 ss.
[37] Così, M. Dogliotti, La nuova filiazione fuori del matrimonio: molte luci e qualche ombra, in Fam. e dir., 2014, 5, pp. 480 ss.
[38] Ritiene contestabile la scelta di sottoporre ad autorizzazione giudiziale non solo il riconoscimento che sia stato assentito dal minore di quattordici anni, ma anche il riconoscimento del figlio maggiorenne, anche U. Salanitro, La riforma della disciplina della filiazione dopo l’esercizio della delega (II parte), in Corr. Giur., 2014, 5, pp. 675 ss.
[39] G.F. Basini, “Braut und schwester bist du dem bruder - so blÜhe denn, wÄlsungen-blut!”. Considerazioni critiche riguardo alla rinnovata disciplina sul riconoscimento dei figli, così detti, “incestuosi”, cit., pp. 62 ss. Id, Sub art. 278 c.c., in G.F. Basini, G. Bonilini, M. Confortini (a cura di), Codice di famiglia, minori, soggetti deboli, cit., p. 957.
[40] G.F. Basini, “Braut und schwester bist du dem bruder - so blÜhe denn, wÄlsungen-blut!”. considerazioni critiche riguardo alla rinnovata disciplina sul riconoscimento dei figli, così detti, “incestuosi”, cit., pp. 62 ss.; Id, Sub art. 278 c.c., cit., p. 957.
[41] Cfr. T. Auletta, La filiazione derivante da incesto, in AA.VV., La riforma della filiazione, in C.M. Bianca (a cura di), cit., p. 250.
[42] Sul punto, G. Lisella, Riconoscimento di figlio nato da relazione incestuosa e autorizzazione del giudice, cit., p. 7 che analizza anche l’ipotesi, più complessa, in cui il riconoscimento sia contenuto in un testamento.
[43] Così, M. Dogliotti, La nuova filiazione fuori del matrimonio: molte luci e qualche ombra, cit., pp. 480 ss.
[44] Così, C. Alessandrelli, Disposizioni generali, in Modifiche alla disciplina codicistica delle successioni e donazioni, a cura di M. Bianca, Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, 218. Per O. Clarizia, Innovazioni e problemi aperti all’indomani del decreto legislativo attuativo della riforma della filiazione, in Riv. dir. civ., 2014, p. 615, la soluzione dell’abrogazione tacita degli artt. 580 e 594 c.c. appare “incongrua poiché permane l’esigenza di ricorrere alla tutela specifica dettata dalle norme in questione”.
[45] Si tratta del contenuto del nuovo primo comma dell’art. 279 c.c., così come modificato dall’art. 36, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 154/2013. Per uno studio della norma, anteriormente alla riforma, cfr. G. Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 4, III, 2 ed., Torino, 1997; U. Majello, Della filiazione naturale e della legittimazione, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja, Branca, Bologna, Roma, 1982.
[46] La classificazione è di M. Sesta, La riforma della filiazione: profili successori, cit., 3 ss.
[47] Cfr. G. Cattaneo, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. dir. priv, dir. da P. Rescigno, 5, I, 2 ed., Torino, 1997, p. 480; G. Marinaro, I diritti dei figli privi di stato, Napoli, 1991, pp. 25 ss.
[48] In questi termini, C. Garlatti, I diritti dei figli nati fuori del matrimonio non riconoscibili, in Modifica alla disciplina codicistica delle successioni e donazioni, a cura di M. Bianca, Filiazione. Commento al decreto attuativo, cit., p. 238.
[49] La classificazione è di M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. e dir., 2013, p. 240.
[50] Così, A. Sassi, Accertamento indiretto di stato e diritti successori nella riforma della filiazione, in Riv. Dir. Civ., 2015, 3, pp. 612 ss.
[51] Sul punto, G. Salito, La successione dei figli nati fuori del matrimonio. Prime riflessioni, in www.comparazionedirittocivile.it, 2013, p. 12. Precedentemente, anche V. Barba, La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di legge recante “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, cit., pp. 666 si era posto l’interrogativo circa la possibilità di applicare lo statuto di cui agli artt. 580 e 594 c.c.., oltre che ai figli cui sia negata l’autorizzazione del giudice a che il genitore li possa riconoscere, anche “al figlio riconoscibile, ma non riconosciuto, che preferisca, in luogo di far accertare il proprio stato di figlio naturale, di conseguire i soli diritti successori di cui agli artt. 580 e 594 c.c.”. Quesito cui, lo stesso dà risposta positiva, asserendo che “non si debba negare al figlio, pur riconoscibile, di decidere, avendo riguardo alle proprie esigenze ed alle proprie necessità, se preferire la minore tutela successoria di cui agli artt. 580 e 594 c.c., in luogo di quella che gli competerebbe se ottenesse una dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale”.
[52] G.F. Basini, “Braut und schwester bist du dem bruder - so blÜhe denn, wÄlsungen-blut!”. Considerazioni critiche riguardo alla rinnovata disciplina sul riconoscimento dei figli, così detti, “incestuosi”, cit., pp. 62 ss.
[53] Riflessioni di G.F. Basini, Sub art. 279 c.c., in Codice di famiglia, minori, soggetti deboli, a cura di G.F. Basini, G. Bonilini, M. Confortini cit., 962.