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Pubbl. Gio, 21 Mar 2024

Per la Cassazione è stalking perseguitare l´ex marito per il versamento del mantenimento

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Editoriale a cura di Ilaria Taccola



La Corte di cassazione, con la sentenza 7 marzo 2024, n. 9878, ha evidenziato che il delitto di cui all´art. 612 bis c.p. ha natura di reato abituale; in quanto tale, è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza e, in tal senso, l´essenza dell´incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo.


Nella vicenda in esame, l'imputata con reiterate condotte di molestia e di minaccia (ossessive e ripetute chiamate telefoniche, nel corso delle quali pronunciava frasi offensive e ingiuriose, frasi che venivano ripetute anche negli incontri con la persona offesa) avrebbe richiesto in maniera insistente le somme dovute a titolo di sostentamento, così come determinate nel corso del giudizio di separazione coniugale nei confronti dell'ex coniuge e della sorella di quest'ultimo.

La Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, ha evidenziato che il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. ha natura di reato abituale; in quanto tale, è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza e, in tal senso, l'essenza dell'incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo. È dunque l'atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l'appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell'evento richiesto per la sussistenza del reato.

Secondo la difesa, nel caso concreto, in entrambi i gradi di giudizio sarebbe stata illogicamente trascurata l'assenza del dolo generico - che necessariamente integra la sussistenza del reato di atti persecutori - ossia la volontà di porre in essere, in un congruo intervallo temporale, condotte di minaccia e molestia tese a cagionare nelle vittime un perdurante stato di ansia e di paura per la propria incolumità, così da indurle a modificare le proprie abitudini di vita.

La Corte di cassazione, invece, ha evidenziato il complesso di atti, di varia natura, posti in essere dalla ricorrente nei confronti della parte offesa, che si sono tradotti in una vera e propria attività persecutoria. I giudici d'appello si sono infatti specificamente riferiti ad atti quali, tra gli altri, appostamenti, minacce, offese, insulti, messaggi - egualmente offensivi, pubblicati su Facebook, ripetute e ossessive telefonate, episodi di danneggiamento. Tali atti, ha osservato la Corte, hanno trovato conferma non soltanto nelle dichiarazioni dei testi escussi (segnatamente, nel concordante narrato della vittima, ritenuta pienamente attendibile, e della sorella, C.C.). ma in quelle dell'imputata, la quale aveva tentato di dar conto dei propri comportamenti alla luce delle problematiche economiche esistenti con l'ex coniuge.

Infatti, la ratio dell’art. 612 bis c.p. non è da cogliere nnell'individuazione degli atti considerati tipici, ma nella loro reiterazione.

Ebbene, le condotte dell'imputata, proseguite per anni, hanno non soltanto indotto uno stato di perenne ansia nella persona offesa, altresì condizionando quest'ultimo al punto da costringerlo a cambiare le proprie abitudini di vita (per tema di incontri con la A.A., di altri insulti e minacce). Risultano, pertanto, correttamente applicati al caso di specie i consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di atti persecutori: a tal proposito, si è affermato che la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.

Si ricorda anche che ai fini della individuazione dell'evento cambiamento delle abitudini di vita, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate. 


Note e riferimenti bibliografici