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Pubbl. Gio, 15 Feb 2024
Sottoposto a PEER REVIEW

Le pene sostitutive alla luce della c.d. riforma Cartabia

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Claudia Migliazza
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Catanzaro Magna Græcia



Il presente contributo mira a fornire un quadro generale sulle modifiche operate dalla Riforma Cartabia, con particolare riferimento al sistema sanzionatorio ed alle cd. pene sostitutive. In particolare, al fine di comprendere la rivoluzione operata, in un primo momento, ci si soffermerà sulla disciplina precedente prevista dalla L. n. 689 del 1981 nonché sulla distinzione tra pene sostitutive e misure alternative, fino ad approdare alle novità operate senza tralasciare le criticità e le ricadute sul sistema penale tutto.


ENG

Replacement sentences in the light of the c.d. reform Cartabia

This contribution aims to provide a general overview of the changes made by the Cartabia Reform, with particular reference to the sanction system and cd. replacement penalties. In particular, in order to understand the revolution that has taken place, at first, we will focus on the previous discipline provided for by L. 689/1981, as well as on the distinction between substitution sentences and alternative measures, up to land to the innovations operated without neglecting the criticalities and the fallen back on the criminal system everything.


Sommario: 1. Introduzione alla Riforma Cartabia 2. Le pene sostitutive: la disciplina precedente alla Riforma Cartabia; 3. Le pene sostitutive: la Riforma Cartabia; 3.1. La semilibertà sostitutiva; 3.2. La detenzione domiciliare sostitutiva; 3.3. Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; 3.4. La pena pecuniaria sostitutiva; 4.Profili procedimentali ed esecutivi; 5. La distinzione tra pene sostitutive e misure alternative, cenni; 6. Conclusioni.

1. Introduzione alla Riforma Cartabia in materia di pene sostitutive

La legge delega n. 134 del 27 settembre 2021, convertita nel d.lgs. n. 150 del 2022[1] – meglio noto come “Riforma Cartabia” – mediante l’art. 1, modifica profondamente la disciplina della penalità sostanziale, processuale e penitenziaria preesistente.  La ratio della Riforma – sia in ambito penale che civile – è quella di rendere più efficiente il processo e, più in generale, la giustizia, conformemente a quanto previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (P.N.R.R.).

In particolare, la ratio della riforma in ambito penale è da ricercarsi nell’esigenza di superare “l’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato[2], fino a ridurre la pena detentiva al ruolo residuale che le è stato assegnato dalla Costituzione[3]”.

La Riforma, dunque, vuole incidere sull’ampliamento delle pene sostitutive al fine di escludere e/o ridurre l’effetto di desocializzazione della detenzione in istituti di pena, relegando alla reclusione in carcere un ruolo di extrema ratio. Pertanto, alla base della scelta del legislatore vi è la volontà di favorire il fine rieducativo e risocializzante della pena, come previsto dall’art. 27 co. 3 della Costituzione[4], non soltanto nella corretta dosimetria della pena ma anche nel progetto sanzionatorio sostituito dal giudice e dalle parti.

La novella, mediante la nuova categoria delle pene sostitutive, ha spinto fuori dall’ordinamento penale le tradizionali sanzioni sostitutive, incidendo anche sul profilo processuale, in quanto il momento di applicazione della pena fuoriesce dal monopolio del giudice di cognizione per divenire un momento processuale centrale partecipato anche dall’imputato (e dal difensore), nell’ulteriore ottica di preservazione del principio del contraddittorio.

Novità della riforma, inoltre, è l’ampliamento e la previsione di “pene sostitutive delle pene detentive brevi”. L’espressione “pene detentive brevi”, infatti, pur essendo presente nella prima formulazione dell’art. 53 della L. n. 689 del 24 novembre 1981[5] – dove per le stesse si intendevano le pene con una previsione sanzionatoria fino a due anni – muta la sua ratio, ricomprendendo tutte le pene detentive che il giudice ritiene di dover determinare entro il limite di quattro anni.

Nella nuova formulazione, dunque, le “pene sostitutive delle pene detentive brevi”[6] costituiscono delle “vere e proprie” pene[7].

Presupposto fondamentale, affinché operi il meccanismo sostitutivo, è che il giudice decida di non sospendere la pena quando la stessa sia irrogata entro la misura prevista dall’art. 163 commi 1-3 c.p., in quanto vige un regime di incompatibilità tra la sospensione condizionale e l’applicazione delle sostitutive.

La ratio generale della riforma, in materia, è da ricercarsi nella razionalità e nella mitezza, aggettivi sconosciuti alla legislazione previgente.

2. Le pene sostitutive: la disciplina precedente alla Riforma Cartabia[8]

Storicamente le pene sostitutive delle pene detentive sono disciplinate da una lex specialis - n. 689 del 24 novembre 1981 – recante “Modifiche al sistema penale” e non dal codice penale. La stessa prevedeva quali pene sostitutive: la libertà controllata, la semidentenzione, il lavoro di pubblica utilità e la pena pecuniaria[9].

I primi due istituti menzionati erano connotati da afflittività, al fine di preservare la finalità di prevenzione speciale e, allo stesso tempo, garantendo la non desocializzazione del condannato.

Nello specifico, la semidetenzione – regolata dall’art. 55 della L. n. 689/1981 – si configurava come una misura privativa pro tempore della libertà personale, con l’obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno in un apposito istituto penitenziario. La misura prevedeva, inoltre, una serie di componenti accessorie, quali: sospensione della patente di guida, ritiro del passaporto, sospensione di altri documenti validi per l’espatrio, divieto di detenzione di armi, munizioni ed esplosivi e obbligo di conservazione ed esibizione dell’ordinanza determinante le modalità di esecuzione della pena.

La libertà controllata, invece, regolata dall’art. 56 della medesima legge, prevedeva una limitazione alla circolazione del soggetto, comportando, comunque, il divieto di allontanamento dal comune di residenza e l’obbligo di presentazione, almeno una volta al giorno, presso l’ufficio locale di pubblica sicurezza.

Il lavoro di pubblica sicurezza, diversamente dalle precedenti, è stato introdotto nell’ordinamento mediante la legislazione complementare alla L. n. 689/1981 e rivestiva molteplici ruoli, quali: a) sanzione sostitutiva in materia di circolazione stradale e stupefacenti; b) pena principale per i reati di competenza del giudice di pace; c) obbligo al quale può essere subordinata la sospensione condizionale della pena; d) obbligo al quale deve essere subordinata la concessione della sospensione del procedimento con messa alla prova; e) pena accessoria per i reati in materia di discriminazione razziale ; f) sanzione amministrativa accessoria in caso di condanna alla pena della reclusione per un delitto colposo commesso con violazione delle norme del codice della strada.

La pena pecuniaria, infine, poteva essere irrogata in sostituzione della pena detentiva entro il limite di sei mesi e il giudice, al fine di quantificare la pena pecuniaria sostitutiva, doveva, in primis, stabilire la somma giornaliera – compresa tra un minimo di 250 ed un massimo di 2.500 euro – e, in secundis, moltiplicare tale somma per il numero di giorni di pena detentiva inflitta[10].

Nella disciplina in esame, le pene sostitutive erano inflitte dal giudice della sentenza di condanna o nella sentenza di patteggiamento, pertanto, venivano equiparate ex art. 445 co. 1 bis c.p.p. . La sostituzione poteva essere richiesta sia dall’imputato sia disposta d’ufficio[11] e, l’eventuale sostituzione, imponeva al giudice di seguire i dettami di cui all’art. 133 c.p., operandosi una distinzione tra il momento in cui il giudice decideva se sostituire la pena detentiva[12] ed il momento in cui decideva come sostituirla[13].

Appare opportuno sottolineare che nel vigore della disciplina in narrativa le pene sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata hanno trovato scarsa applicazione; di converso, molto spazio ha conquistato, nella prassi, il lavoro di pubblica utilità[14].

3. Le pene sostitutive: la Riforma Cartabia

Come anticipato in sede di introduzione, la riforma Cartabia ha inciso, in maniera significativa, sulla disciplina delle pene sostitutive previste nell’ordinamento penale.

Prima di addentrarsi in maniera analitica sulla nuova linfa apportata in materia dalla novella in esame, appare opportuno anticipare, in maniera sintetica, quali sono state le novità fondamentali della stessa.

La riforma, infatti, ha previsto: a) l’esclusione della sospensione condizionale delle pene sostitutive delle pene detentive brevi; b) l’eliminazione di pene sostitutive (semidetenzione e libertà controllata) che, come anticipato, avevano ruolo marginale nella vigenza della precedente normativa; c) la previsione di nuove pene sostitutive e l’ampliamento di talune circoscritte, quali: detenzione domiciliare e lavoro di pubblica utilità; d)la riduzione a cinque euro del valore minimo giornaliero per la determinazione dell’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva; e) il raddoppio della durata massima della pena detentiva suscettibile di sostituzione (da due a quattro anni) e, contestualmente, il raddoppio della durata massima della pena detentiva sostituibile con pena pecuniaria (da sei mesi ad un anno); f) l’ampliamento delle condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva[15]; g) una disciplina di revoca delle pene sostitutive con la previsione di ampio spazio alla discrezionalità del giudice.

Posto tale schema introduttivo, alla base della riforma vi è un passaggio fondamentale che si sostanzia nel fatto che la pena breve non è più quella che consente l’applicazione della sospensione condizionale, ai sensi dell’art. 163 c.p., bensì quella la cui esecuzione può essere sospesa, ai sensi dell’art. 656 co. 5 c.p.p., per come riformulato dalla pronuncia n. 41 del 2 marzo 2018 della Corte Costituzionale[16]. Su tale scorta vi è un’incompatibilità e, pertanto, conseguente inapplicabilità della sospensione condizionale della pena nel caso in cui venga disposta la sostituzione della pena detentiva[17]. In tal guisa, ove in astratto sia possibile ricorrere ad entrambi gli istituti, il giudice dovrà scegliere quale applicare.

La novella, sicché, prevede che il giudice può sostituire la pena detentiva solo se, dopo aver determinato l’aumento di pena per il concorso formale o la continuazione di reati, la pena detentiva risulti irrogata in misura non superiore a quattro anni[18] e, ancora, non sussiste un ordine gerarchico tra le pene sostitutive e l’applicazione dell’una o dell’altra rientra nella discrezionalità del giudice, discrezionalità che attiene sia all’an che al quomodo della sostituzione[19], con obbligo di motivazione[20].

Sul punto, infatti, appare opportuno rilevare che, come emerge dall’art. 53 co. 1 della L. n. 689/1981, le pene sostitutive si sovrappongono, parzialmente, tra loro: i) pene detentive non superiori ad un anno possono essere sostituite con pena pecuniaria, lavoro di pubblica utilità, detenzione domiciliare o semilibertà; ii) le pene detentive tra tre anni ed un giorno e quattro anno possono essere sostituite con la detenzione domiciliare e la semilibertà.

Il giudice, dunque, utilizzando il criterio discrezionale dovrà optare per la pena sostitutiva “più idonea alla rieducazione ed al reinserimento sociale del condannato con minor sacrificio della libertà personale”[21].

Alla luce di quanto dedotto, le pene sostitutive previste dal testo riformato si sostanziano in: a) semilibertà sostitutiva; b) detenzione domiciliare sostitutiva; c) lavoro di pubblica utilità sostitutivo; d) pena pecuniaria sostitutiva. Queste prevedono sì tratti distintivi ma anche prescrizioni comuni, a mero scopo esemplificativo, infatti, la semilibertà, la detenzione domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità sostitutivi costituiscono delle vere e proprie pene-programma, imperniate su prescrizioni positive fornite dal giudice all’esito del contraddittorio. Accanto a queste si collocano prescrizioni indefettibili, quali: divieto di detenere e portare armi a qualsiasi titolo; divieto di frequentare, in maniera abituale e senza giustificato motivo, pregiudicati o soggetti sottoposti a misure di sicurezza e/o prevenzione; obbligo di permanere nell’ambito territoriale stabilito dal giudice; ritiro del passaporto e sospensione di validità ai fini dell’espatrio di documenti equipollenti; obbligo di conservazione ed esibizione del provvedimento applicativo[22].

Di facile osservazione risulta il venir meno del ritiro della patente di guida, considerato strumento utile al condannato a pena sostitutiva, oltre alla previsione della concessione di specifiche licenze per giustificati motivi attinenti alla salute, al lavoro, alla formazione, alla famiglia ed alle relazione affettive.

3.1. La semilibertà sostitutiva

La pena sostitutiva della semilibertà – suppletiva della precedente pena sostitutiva della semidentenzione - è regolata dall’art. 55 della l. n. 689/1981, per come modificato dalla riforma Cartabia, questa è l’unica pena che prevede la permanenza negli istituti di pena ordinaria[23] per una parte della giornata (minimo 8 ore), accanto all’obbligo di svolgere, per la rimanente parte della giornata (fino a 16 ore), attività di lavoro, studio, formazione professionale o attività utili alla rieducazione e al reinserimento sociale, conformemente a quanto previsto dal programma predisposto dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE)[24], ai sensi dell’art. 118 del D.P.R. n. 230/2000, e approvato dal giudice.

La pena sostitutiva si ispira all’idea della cd. “pena-programma” e ciò a favore di una risposta al reato che rappresenti “un progetto – e non un contrappasso – inteso a gestire gli effetti del reato”[25]. Ruolo centrale, dunque, assume l’UEPE che svolge un ruolo che può essere suddiviso in due fasi principali: a) in un primo stadio, il giudice si determina a sostituire la pena detentiva con quella sostitutiva e ne sceglie il tipo. In questa fase, l’UEPE collabora nella ricostruzione del profilo personalistico del condannato. Ai sensi del comma 2 dell’art. 545-bis c.p.p., al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta della pena sostitutiva, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni da impartire, il giudice acquisisce dall’UEPE tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle “condizioni di vita personale, familiare, sociale, economica e patrimoniale dell’imputato; b) in un secondo momento, l’UEPE definisce il programma di trattamento (comma 4, art. 55), suggerendo gli obblighi inerenti la presenza oraria all’interno degli istituti detentivi e, in modo complementare, le attività e gli orari da rispettare per l’attività fuori dall’istituto, con le relative prescrizioni. Programma che il giudice andrà ad implementare con la propria approvazione.

La misura in narrativa può essere irrogata quando è prevista una condanna alla reclusione o all’arresto entro il limite di quattro anni.

Come anticipato, la sottoposizione a misura di semilibertà sostitutiva non prevede il venir meno della patente di guida o la possibilità di conseguimento, al fine di consentire lo spostamento del condannato per lo svolgimento delle attività previste dal programma[26].

3.2. La detenzione domiciliare sostitutiva

La detenzione domiciliare sostitutiva – regolata dal novellato art. 56 della L. 689/1981 – per come riformulata presenta un elevato grado di attitudine risocializzante, in quanto prevede lo svolgimento dell’esecuzione della pena in parte in stato di detenzione ed in parte in stato di libertà. Nello specifico, è previsto l’obbligo di rimanere in abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, di assistenza o di accoglienza ovvero in comunità o case-famiglia[27] – su determinazione del giudice – in un numero di ore non inferiore a dodici. La ratio della disposizione è da ricercarsi nel minor grado di afflittività della permanenza nel domicilio rispetto alla semilibertà.

Anche in questo caso è previsto un ruolo centrale dell’UEPE, in quanto lo stesso dovrà stilare un programma di trattamento e riferire, periodicamente, sulla condotta, sul reinserimento sociale e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui artt. 275 bis commi 2 e 3 c.p.p. e l’art. 100 del D.P.R. n. 230 del 2000.

Diversi sono gli obblighi previsti in capo al condannato, quali: a) obbligo di comunicare i cambiamenti di residenza o di posto di lavoro; b) divieto di frequentare determinati locali, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; c) le restrizioni al diritto di lasciare il territorio dello Stato di esecuzione; d) le istruzioni riguardanti il comportamento, la residenza, l’istruzione e la formazione, le attività ricreative o l’obbligo di presentarsi nelle ore fissate presso una determinata autorità; e) obbligo di evitare contatti con determinati soggetti; f) obbligo di risarcire finanziariamente i danni causati dal reato; g) obbligo di svolgere un lavoro o una prestazione socialmente utile; h) obbligo di cooperazione con un addetto alla vigilanza o un rappresentante del servizio sociale.

Inoltre, quando il giudice lo ritenga necessario per prevenire il pericolo di recidiva o tutelare la persona offesa può adottare procedure di controllo a distanza (braccialetto elettronico)[28].

Accanto ai citati obblighi si inseriscono taluni diritti, quali concessioni di licenze per giustificati motivi di salute, lavoro, studio, formazione, famiglia e relazioni affettive, per una massimo di 45 giorni[29].

3.3. Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo

Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo, come anticipato, è una delle pene che ha trovato molta applicazione nella prassi, pertanto, la riforma – mediante la novella all’art. 56 bis della L. n. 689/1981 - ha voluto incrementare tale forma di pena che, ora, è contemplata come pena sostitutiva generale nel caso di condanne non superiori a tre anni[30].

A differenza delle pene sostitutive trattate fino a questo momento, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo non presenta alcun aspetto detentivo, infatti, la pena si sostanzia in attività di lavoro non retribuito in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città Metropolitane, i Comuni o enti e organizzazioni di assistenza sociale e volontariato[31] e, lo stesso, può essere irrogato solo su consenso del condannato[32].

La durata del lavoro sostitutivo è prevista in non meno di sei ore e non più di quindici ore settimanali[33].

Di particolare rilevanza appare il profilo per cui, in caso di condanna con decreto penale di condanna o patteggiamento – ossia riti alternativi mediante il cui utilizzo si mira a ridurre i tempi di giustizia[34] - il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, se accompagnato dal risarcimento del danno o dall’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, comporta la revoca della confisca eventualmente disposta (salvo i casi di confisca obbligatoria)[35].

Anche in questo caso è fatta salva la possibilità di detenzione della patente di guida nonché la previsione di richiedere licenze – per un massimo di 45 giorni – per giustificati motivi di salute, lavoro, studio, formazione, famiglia o relazioni affettive. E, ancora, la stessa è regolata con lo schema della pena-programma[36].

La ratio della previsione è da ricercarsi nella volontà di sensibilizzare il condannato a valori di solidarietà sociale ed a incrementare la socializzazione del condannato.

Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo è geneticamente predisposto ad incarnare, meglio di ogni altro strumento punitivo, le più autentiche istanze di rieducazione, intesa come sintesi tra il percorso di recupero compiuto dal condannato e la sua ri-accettazione “a pieno titolo” nel tessuto sociale»[37].

3.4. La pena pecuniaria sostitutiva

La pena pecuniaria sostitutiva – regolata dall’art. 56-quater della L. n. 689/1981 – è l’unica “sopravvissuta” alla Riforma Cartabia, tuttavia, la stessa ha operato – alla luce delle recenti pronunce della Corte Costituzionale[38] – alcune, rilevanti, modifiche.

Come anticipato, nel vigore della precedente normativa, la quota giornaliera di conversione ammontava ad euro 250,00; oggi, di converso, è fissato un valore minimo – indipendentemente dalla somma indicata dall’art. 135 c.p. - ed un valore massimo per la detta quota (da 5,00[39] a 2.500,00 euro), determinato tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato. Al contempo, è aumentato del doppio il limite di pena sostituibile (da sei mesi ad un anno), con la possibilità di sostituzione in sede di decreto penale di condanna[40].

La novella, dunque, ha quale scopo quello di rispondere a due differenti esigenze: rendere la pena effettiva e, pertanto, percorribile da tutti e senza efficacia deterrente e, soprattutto, risocializzante[41].

L’esecuzione della pena pecuniaria[42] è indicata dal P.M. nell’ordine di esecuzione e, in linea generale, ingiunge al condannato il pagamento nel termine di 90 giorni, in mancanza del quale la pena sarà sostituita – mediante conversione ex art. 667 co. 4 c.p.p.[43] - con semilibertà sostitutiva[44], lavoro di pubblica utilità sostitutivo o detenzione domiciliare sostitutiva[45].

4. Profili procedimentali ed esecutivi

La riforma in esame, oltre ad ampliare il novero delle pene sostitutive, ha ampliato il potere del giudice del merito, estendendo allo stesso poteri prognostici[46] e propulsivi che, fino a poco tempo fa, erano riservati alla magistratura di sorveglianza[47]. Ciò emerge dal nuovo art. 545 bis c.p.p. che vuole adottare soluzioni altamente innovative anche in sede processuale di cognizione, al fine di dare forma al potere discrezionale del giudice. Affinchè ciò sia possibile, la riforma adotta un sistema processuale “bifasico”[48]: in un primo momento, vi è la decisione sulla responsabilità mediante la pubblicazione del dispositivo che avviene per lettura, ex art. 545 c.p.p.; successivamente, e solo eventualmente, vi è la sostituzione della pena detentiva mediante l’integrazione del dispositivo (indicando la tipologia di pena con le relative prescrizioni), previo avviso alle parti che devono prestare il consenso[49]. Il nuovo articolo del codice di procedura penale, pertanto, prevede e rende centrale l’inedita udienza per il rito ordinario ed abbreviato[50].

L’art. 545 bis c.p.p., tuttavia, potrebbe lasciare, in astratto, spazio ad alcuni dubbi, in quanto la disposizione prevede che “se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva, ne da avviso alle parti”, pertanto, il giudice, a fronte della compresenza di tutti i presupposti obiettivi della sostituzione, può omettere di dare avviso alle parti per aver ritenuto un pericolo di recidiva incompatibile con l’attivazione del meccanismo sostitutivo? Una interpretazione conforme alla riforma dovrebbe indurre, in tesi, a preferire una soluzione che imponga al giudice di dare avviso alle parti sulla base dei soli presupposti oggettivi[51].

La volontà della riforma, dunque, è quella di realizzare «una anticipazione dell’alternativa al carcere all’esito del giudizio di cognizione […] e che la valorizzazione delle pene sostitutive, irrogabili dal giudice di cognizione, promette una riduzione dei procedimenti davanti ai tribunali di sorveglianza, oggi sovraccarichi e incapaci, in molti distretti, di far fronte in tempi ragionevoli alle istanze di concessione di misure alternative, come testimonia il fenomeno dei cd. liberi sospesi (poiché) l’efficienza della giustizia penale […] non può ragionevolmente essere rapportata al solo processo di cognizione. Se la fase dell’esecuzione ha una durata irragionevole, il procedimento penale nel suo complesso non può dirsi certo efficiente»[52].

Si precisa, inoltre, che con la riforma Cartabia le nuove pene sostitutive possono essere applicate dal giudice della cognizione “su scala generale”, a prescindere, cioè, dalla richiesta di patteggiamento[53] o dalla ricorrenza a specifiche figure di reato[54].

Per quanto attiene, poi, all’esecuzione delle pene sostitutive, questa è disciplinata dagli artt. 62 e 63 della L. n. 689/1981 (richiamati nel novello art. 661 c.p.p.)[55]. L’esecuzione spetta al P.M. che, immediatamente[56], trasmette la sentenza al magistrato di sorveglianza, il quale, a sua volta, verificata l’attualità delle prescrizioni[57], entro 45 giorni, con ordinanza conferma o modifica[58] le modalità di esecuzione della pena. Successivamente, l’ordinanza della magistratura di sorveglianza è rimessa all’ufficio di sicurezza del comune di domicilio del condannato o, in mancanza, al comando dell’arma dei carabinieri territorialmente competente, ai fini della trasmissione al condannato e all’UEPE o, ancora, nel caso di detenzione del condannato, al direttore dell’ufficio penitenziario ospitante.

Le modalità appena evidenziate differiscono nei casi in cui vi sia la condanna a lavori di pubblica utilità sostitutivi , nel qual caso la competenza esclusiva è del giudice di cognizione, ai sensi degli artt. 186 co. 9 bis e 187 comma 8 bis del codice della strada, non occorrendo il coinvolgimento del P.M. e del giudice di sorveglianza e passando direttamente alla trasmissione al condannato, nelle modalità summenzionate. Si specifica, inoltre, che al termine del lavoro di pubblica utilità sostitutivo – se svolto positivamente – è dichiarata l’estinzione della pena ed ogni altro effetto penale.

Come ogni fase esecutiva anche quella delle pene sostitutive ha il suo alter ego patologico, regolato dall’art. 66 della L. 689/1981. La novella normativa vuole limitare al minimo la revoca delle pene sostitutive, infatti, la stessa è prevista solo nei casi di mancata esecuzione o per violazione grave o reiterata delle prescrizioni[59], nei qual casi la residua pena verrà convertita in pena “più grave” rispetto a quella sostitutiva revocata.

L’art. 72 della L. n. 689/1981 disciplina, poi, le ipotesi di responsabilità penale di chi si trova in esecuzione di pena sostitutiva, specificandosi che la revoca e la conversione non operano in maniera automatica, essendo sempre il giudice emittente la pena sostitutiva a dover disporre, in apposita udienza, in merito.

5.La distinzione tra pene sostitutive e misure alternative, cenni

Infine, al fine di comprendere a fondo come la riforma abbia impattato sul sistema penale sostanziale e processuale in materia, appare opportuno operare una distinzione tra pene sostitutive e le misure alternative.

Le pene sostitutive e le misure alternative alla detenzione, seppur accomunate dalla medesima ratio, sono misure distinte tra loro, in quanto rispondono a due momenti processuali differenti e a due competenze distinte.

Difatti, i due istituti hanno quale scopo comune quello di riconoscere al soggetto autore del reato la possibilità di espiare la pena mediante una misura differente da quella carceraria, tuttavia, come anticipato, differiscono nella parte sostanziale.

Sinteticamente, le pene sostitutive, seppur modificate dalla novella in narrativa, sono disciplinate dalla L. n. 681/1989, la quale prevede che possano essere, appunto, sostitutive delle pene detentive brevi. Le stesse, nella disciplina originaria, sono applicate dal giudice della cognizione, il quale, una volta affermata la responsabilità dell’autore, andrà ad applicare una pena sostitutiva evitando – in linea di massima - l’ingresso in carcere del soggetto autore del delitto.

Di converso, le misure alternative sono disciplinate dalla L. n. 354/1975 – meglio nota come “Legge sull’ordinamento penitenziario” – e la giurisdizione compete alla magistratura di sorveglianza, incidendo su un giudicato già formato.

Il legislatore al fine di distinguere le pene sostitutive dalla misure alternative accanto al nomen iuris della singola pena sostitutiva, aggiunge l’aggettivo “sostitutiva”.

Inoltre, mentre le pene sostitutive hanno quale scopo fondante la risocializzazione del condannato, nelle misure alternative occorre valutare, caso per caso, la possibilità di risocializzazione dello stesso.

Per quanto attiene le specifiche differenze tra le pene sostitutive e le misure alternative, in prima istanza occorre rilevare che, ad esempio, la misura della semilibertà sostitutiva si differenzia dalla semilibertà misura alternativa. L’art. 48 dell’ordinamento penitenziario, infatti, a differenza della normativa esaminata, fa riferimento ad un generico periodo della giornata da passare negli istituti di pena[60], in cui la presenza in istituto rappresenta la regola e non l’eccezione[61].

Accanto a tale previsione, ulteriore elemento di discrimen è la formulazione del programma da parte dell’UEPE nella pena sostitutiva, infatti, vi è un inversione temporale: l’art. 101 del D.P.R. n. 230 del 30 giugno 2000 – seppur compatibile nel merito con la nuova disciplina – prescrive che l’ordinanza di ammissione alla semilibertà sia inviata in copia alla direzione dell’istituto penitenziario e, successivamente (entro 5 giorni), il direttore formulerà il programma di trattamento[62]. Altrettanto evidenti sono le differenze tra la detenzione domiciliare sostitutiva e la detenzione domiciliare misura alternativa, disciplinata dall’art. 47 o.p. . L’articolo appena menzionato opera un espresso rinvio all’art. 284 c.p.p. e consente che il condannato si allontani dall’abitazione, su autorizzazione del giudice, per il tempo necessario a provvedere alle indispensabili esigenze di vita o per necessità lavorative, a condizione che non possa provvedersi senza spostamento. La distinzione è netta in quanto nella pena sostitutiva le ore di permanenza nell’abitazione sono previste in non meno di dodici giornaliere, mentre nella misura alternativa la permanenza può estendersi fino a ventiquattro ore e ciò in quanto la finalità della misura alternativa non si sostanzia nel reinserimento del condannato bensì al suo sostentamento[63].

Anche il lavoro di pubblica utilità sostitutivo si differenzia, non poco, dal proprio omonimo misura alternativa che è misura principale applicabile dal giudice di pace, ai sensi dell’art. 54 del d.lgs. n. 274 del 28 agosto 2000[64]. La prima differenza si sostanzia nel periodo massimo applicabile di pena, infatti, nel caso di misura alternativa vi è un limite di 6 mesi, mentre nella pena sostitutiva il limite è previsto in 3 anni e, ancora, le ore settimanali di lavoro sostitutivo nella condanna del giudice di pace sono un massimo di sei che nella pena sostitutiva rappresentano, di converso, le ore minime[65].

6. Conclusioni

Alla luce di quanto dedotto fino a questo momento, è evidente come la riforma abbia impattato notevolmente in materia di pene sostitutive, operando un cambio di rotta nella ratio generale[66].

Ovviamente, le modifiche apportate potranno dimostrare il loro sviluppo soltanto nel corso del tempo, fino a quel momento rimane l’auspicio del buon esito delle finalità, ossia la rieducazione ed il reinserimento del reo nel contesto sociale.

Sul punto appare utile rilevare che, per come emerge dal “Rapporto sullo stato dell’esecuzione delle misure e sanzioni di comunità”, le pene sostitutive hanno preso vita in quanto, dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022 al 15 novembre 2023, i provvedimenti applicativi delle stesse ammontano a 1.472[67]. Il dato, seppur in fase iniziale, è incoraggiante ma ciò che dovrà, successivamente, rilevarsi sarà il raggiungimento effettivo delle scopo perseguito dalla novella legislazione.

Dall’entrata in vigore della riforma Cartabia, inoltre, si assiste anche alle prime pronunce della Corte di Cassazione adita, in particolare, in tre differenti situazioni al fine di redimere questioni applicative[68].

Accanto agli apparenti benefici apportati dalla riforma nonché a quelli che potrebbero esserci nel lungo periodo sul sistema giustizia e sul fine rieducativo e risocializzante, appare, tuttavia, opportuno sottolineare le ricadute contraddittorie sul piano pratico-sistemico. Ad esempio, accanto al vantaggio per l’imputato di optare per l’accordo con il P.M. già in fase cognitiva, vi è l’altra faccia della medaglia per cui si impedisce allo stesso di percorrere la possibilità della misura alternativa “più favorevole” regolata dall’art. 47 o.p., non essendovi la possibilità di cambiare in executivis la tipologia di pena prescelta[69]. Pertanto, cosa dovrebbe spingere il reo a prestare il consenso alla pena sostitutiva ?

Nonostante l’esempio appena riportato, occorre evidenziare gli ulteriori benefici legati alla scelta della pena sostitutiva, in quanto la detenzione domiciliare, nella sostanza, è molto simile all’affidamento in prova previsto dall’ordinamento penitenziario, con il surplus di prevedere la sicurezza di non dover ripetere in carcere il periodo espiato preso il domicilio in caso di revoca, in quanto la pena in detenzione domiciliare sostitutiva dovrà essere considerata pena espiata e la conversione varrà solo per il residuo e non per l’intero periodo di pena[70].

A tutti i vantaggi previsti dall’utilizzo della pena sostitutiva ve n’è uno assai rilevante: le precedenti condanne non sono ostative al conseguimento delle pene sostitutive.

La Riforma Cartabia, in conclusione, non solo mira ed accelerare i tempi della giustizia ma, al contempo, rimodella il sistema sanzionatorio penale, al fine di ridurre, drasticamente, la presenza in carcere dei soggetti condannati a pena detentiva fino a quattro anni, contribuendo alla deflazione del contenzioso e all’obiettivo che voleva essere conseguito mediante il cd. decreto legge “svuotacarceri”. Pertanto, si vuole creare un sistema sanzionatorio meno sbilanciato a favore della pena carceraria[71].


Note e riferimenti bibliografici

[1] La Riforma della giustizia penale è iniziata con la L. 27 settembre 2021, n. 134, rubricata “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, la quale ha significativamente ampliato l’originario ambito della riforma delineata dal D.d.l. Bonafede (AC 2435), presentato il 13 marzo 2020.

[2] E. DOLCINI, Sanzioni sostitutive: la svolta impressa dalla riforma Cartabia, in www.sistemapenale.it, 2021.

[3] E. DOLCINI, Pena e Costituzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 7 ss.

[4] “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

[5] “Dalla fine dell’ottocento si ha la consapevolezza degli effetti criminogeni delle pene detentive brevi. Destinatari di queste pene sono gli autori di reati lievi, per lo più delinquenti primari, per i quali l’ingresso in carcere non solo segna la rottura dei rapporti di lavoro e familiari, ma può propiziare altresì il contatto con professionisti del crimine, dei quali il condannato apprende più sofisticate tecniche delittuose, spesso mutando scelte di vita definitivamente orientate verso la criminalità”; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di diritto penale. Parte generale, settima edizione, Giuffrè Editore, 2018, 680.

L’art. 53 in esame, testualmente disponeva che: “il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di due anni, può sostituire tale pena con quella della semidetenzione; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla anche con la libertà controllata; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di sei mesi, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente”.

[6] «Originariamente, la nozione di pena detentiva breve, spesso evocata in dottrina, veniva ricavata dalla disciplina della sospensione condizionale della pena: l’ammontare massimo della pena breve veniva così individuato in sei mesi […]. Sia l’ammontare massimo della pena detentiva sospendibile, sia quello della pena sostituibile erano peraltro destinati a spostarsi progressivamente verso l’alto. Il limite di applicabilità della sospensione condizionale è stato portato a un anno allorché la disciplina della sospensione condizionale della pena è stata trasferita nel codice penale e successivamente a due anni con la riformulazione dell’art. 163 c.p. realizzata nel 1974 […]. L’ammontare massimo della pena detentiva sostituibile è stato a sua volta portato a un anno nel 1993, per poi tornare ad allinearsi con l’ammontare massimo della pena sospendibile – due anni – nel 2003, per effetto della l. 12 giugno 2003, n. 134»; E. DOLCINI, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, in www.sistemapenale.it, 2022, 4.

[7] G.L. GATTA, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in www.sistemapenale.it, 2015, 5.

[8] Per quanto si dirà nel presente paragrafo si vd. G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, op. cit., 681-688.

[9] Appare opportuno rilevare che nella previsione della Commissione Lattanzi tra le pena sostitutive della riforma Cartabia vi era anche l’affidamento in prova al servizio sociale che, in sede di conversione, è venuto meno. Questo potrà essere concesso al condannato alle pene sostitutive della semilibertà o della detenzione domiciliare dopo l’espiazione di almeno la metà della pena, per come disciplinato dall’art. 47 co. 3 ter o.p. . In merito “all’occasione mancata” si richiama in dottrina R. BARTOLI, Verso la riforma Cartabia: senza rivoluzioni, con qualche compromesso, ma con visione e respiro, in Dir. pen. proc., 2021, 1168.

[10] Questo meccanismo, introdotto con la L. n. 134/2003, in riforma dell’art. 53 co.2 della L. n. 689/1981, ricalca il modello della pena pecuniaria per tassi giornalieri. La misura, tuttavia, per come prevista, rende estremamente gravosa la pena pecuniaria sostitutiva.

[11] Tale potere era escluso in appello in quanto la cognizione del giudice del gravame è limitata alle questioni eventualmente sollevate.

[12] Quanto al primo momento, i criteri fattuali di commisurazione della pena dovranno essere valutati in relazione alle finalità di intimidazione-ammonizione e non desocializzazione proprie delle sanzioni sostitutive. Pertanto, il giudice dovrà operare, secondo potere discrezionale, un bilanciamento tra ciò che è meno desocializzante per il condannato e se la scelta della pena sostitutiva sia sufficiente ad ammonire il condannato.

[13] In questo secondo momento, il giudice, utilizzando sempre il criterio della discrezionalità, dovrà decidere – tra le più opzioni sostitutive – le sanzioni meno desocializzanti per il condannato.

[14] Dai dati raccolti, il 31 dicembre del 2013, i soggetti sottoposti a lavori di pubblica utilità erano circa 4.100, lo stesso giorno del 2017 si ha un incremento a 7.100 soggetti.

[15] Scompaiono, ad esempio, le preclusioni collegate a precedenti condanne, con talune eccezioni. Permane il divieto di sostituzione nei confronti dei condannati di cui all’art. 4-bis o.p. al fine di evitare contraddizioni di sistema, salvo il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis co. 2 c.p.

[16] La sentenza della Corte, dunque, ha dichiarato incostituzionale il co. 5 dell’art. 656 c.p.p. nella parte in cui prevedeva la sospensione per pene residue fino a tre anni. «La sentenza rileva che il legislatore ha creato un “tendenziale parallelismo” tra la sospensione della pena e la possibilità di fruire dell’affidamento in prova, per cui il “filo” che le lega non può essere spezzato senza una ragionevole giustificazione, considerata la “natura servente” della prima rispetto alla misura alternativa. Tuttavia, all’introduzione dell’affidamento in prova per pene da scontare fino a 4 anni non è seguita, contestualmente, anche una modifica dell’articolo 656 sulla sospensione. Modifica peraltro prevista dalla delega sulla riforma dell’ordinamento penitenziario che però, ha osservato la Corte, ancora non è stata esercitata. Si tratta quindi di “un’incongruità” legislativa che si discosta dal “parallelismo” tra le due misure senza una ragionevole giustificazione», per approfondimenti sul tema si vd. Ufficio Stampa della Corte Costituzionale, comunicato del 2 marzo 2018: Con l’affidamento “allargato”, pena sospesa fino a 4 anni, in www.cortecostituzionale.it, 2 marzo 2018, 1.

[17] «La sovrapposizione delle aree applicative della sospensione condizionale e della sostituzione della pena detentiva aveva infatti portato al fallimento applicativo delle sanzioni sostitutive quali previste dalla legge n. 689/1981»; E. DOLCINI, op.cit., 5; G. GRASSO, La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, 1447 ss. .

[18] Nel vigore della precedente disciplina, non tenendo conto degli aumenti previsti, si consentiva la sostituzione della pena detentiva fino a dodici anni, contrastando con la logica ispiratrice della disciplina in materia.

[19] Sul punto si parla in dottrina di “discrezionalità a piramide”, i cui spazi crescono “via via che si scende verso la base della piramide, con un ulteriore surplus di discrezionalità nel caso in cui egli ritenga di fare ricorso alle opportune prescrizioni”, alle quali fa riferimento l’art. 1 co. 17 lett. c) della L. n. 134/2021; F. PALAZZO, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, in www.sistemapenale.it, 2021, 12.

[20] L’obbligo motivazionale è rafforzato quando il giudice adotta provvedimenti maggiormente restrittivi (semilibertà e detenzione domiciliare).

[21] Criterio evocato dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza n. 191 del 31 luglio 2020, in www.cortecostituzionale.it, mediante il quale è possibile collocare al primo posto la pena pecuniaria e poi, a seguire, il lavoro di pubblica utilità, la detenzione domiciliare e la semilibertà; L. GOISIS, Codice penale commentato, V ed., tomo I, a cura di E. DOLCINI, G.L. GATTA, 1997 ss. . Nella scelta, inoltre, il giudice dovrà tenere conto delle condizioni soggettive del reo legate all’età, alla salute fisica e/o psichica, alla maternità o paternità nonché di eventuali disturbi o di immunodeficienza certificati

[22] R. DE VITO, Le pene sostitutive: una nuova categoria sanzionatoria per spezzare le catene del carcere, in www.questionegiustizia.it, 2023, 7.

[23] Previsti dall’art. 48 co. 2 della L. n. 354 del 1975, situati nel comune di residenza, domicilio, lavoro o studio del condannato o in comune vicino, nel rispetto del principio di territorialità.

Prevedendosi una parte di sconto della pena negli istituti previsti per la reclusione o l’arresto e, nell’ottica del reinserimento sociale del condannato, la misura della semilibertà sostitutiva si staglia come misura estrema a cui far ricorso, in ossequio al principio del favor libertatis di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 58; A. ABBAGLIANO TRIONE, Il sistema delle pene sostitutive e il favor libertatis, in www.processopenaleegiustizia.it, fasc. 3, 2023.

[24] In riferimento a tale aspetto, appare opportuno evidenziare che la semilibertà sostitutiva assume connotati che la assimilano all’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale; D. BIANCHI, Il rilancio delle pene sostitutive nella legge-delega “Cartabia”: una grande occasione non priva di rischi, in www.sistemapenale.it, 2022, 14.

[25] L. EUSEBI, La pena tra necessità di strategie preventive e nuovi modelli di risposta al reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, 823 ss. .

[26] Per tale misura è, dunque, esclusa l’applicazione dell’art. 120 del d.lgs. n. 285 del 1992.

[27] L’unica condizione posta dal legislatore è che la detenzione domiciliare non possa essere espiata in un immobile occupato abusivamente.

[28] «All’indomani dell’entrata in vigore della Riforma, potrebbe porsi, a livello interpretativo e applicativo, la questione relativa alla possibilità di eseguire la detenzione domiciliare sostitutiva in territorio estero ai sensi del d.lgs. n. 38 del 2016, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008, avendo la tematica di recente interessato la giurisprudenza di legittimità, che si è pronunciata, con decisioni difformi, in relazione alle misure alternative alla detenzione dell’affidamento in prova e della detenzione domiciliare. Si è premesso che oggetto di riconoscimento nello Stato membro può essere una decisione definitiva, emessa da un organo giurisdizionale di altro Stato membro, con la quale è applicata, in luogo di una pena detentiva, una sanzione che non esclude, ma limita, la libertà personale, mediante imposizioni di ordini o di prescrizioni»; S. DEL GIUDICE, Pene sostitutive: le novità introdotte dalla Riforma Cartabia, in La Riforma Cartabia: Relazione su novità normativa dell’Ufficio del Massimario, 2022.

[29] Per come formulata la misura, sembra che la stessa possa essere ricondotta alle misure di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 38 del 2016, ossia quelle misure caratterizzate dallo svolgersi nella comunità esterna ove il condannato è collocato con margini più o meno estesi di libertà, imponendo al condannato comportamenti positivi variamente configurati, volti al reinserimento sociale, mediante l’assistenza degli organi pubblici preposti; S. DEL GIUDICE, op. cit., 11.

[30] Si specifica che, in riforma all’art. 53 co. 2 della L. 689/1981, quando la pena è irrogata con decreto penale di condanna, la durata massima del lavoro di pubblica utilità sostitutivo è massimo di un anno.

[31] Per espressa previsione del co. 2 dell’art. 56 bis la struttura deve ricadere, di regola, nella regione di residenza del condannato.

[32] Il consenso è fondamentale, come è noto, in tutte quelle prestazioni che prevedono un facere da parte di un soggetto. Nel caso di specie, il legislatore delegato sembrerebbe essersi spinto anche oltre, ritenendo “necessario” che il “consenso” assuma “forme” assimilabili a quelle previste per la rinuncia all’impugnazione dal codice di rito; A. ABBAGNANO TRIONE, op. cit., 765.

[33] Sul punto si specifica che le ore possono essere più di quindici su specifica richiesta del condannato, ai sensi dell’art. 56 bis co. 2 L. n. 689/1981, nella versione dell’art. 71 co. 1 lett. d) della Riforma ma, comunque, la durata della prestazione non può superare le 8 ore giornaliere.

[34] Tale scopo è perseguito anche mediante la previsione di inappellabilità della sentenza che commina tale pena.

[35] Tale aspetto è stato introdotto in quanto nella previsione del lavoro di pubblica utilità previsto per le contravvenzioni stradali ha comportato un successo nell’applicazione della pena.

[36] Alcuni tratti della disciplina del lavoro di pubblica utilità sostitutivo vengono desunti anche dall’art. 63, che ne disciplina la parte esecutiva. Ai commi 3 e 4 viene precisato che l’UEPE riferisce periodicamente al giudice sulla condotta del condannato e sul percorso di reinserimento sociale e predispone una relazione finale una volta terminato il lavoro di pubblica utilità, per dare modo al giudice di dichiarare l’estinzione della pena e di ogni altro effetto penale (fatta eccezione per le pene accessorie perpetue) e di disporre la revoca della confisca nei casi di cui all’art. 56-bis, comma 5.

[37] T. TRAVAGLIA CICIRELLO, La riforma delle sanzioni sostitutive e le potenzialità attuabili del lavoro di pubblica utilità, in www.lalegislazionepenale.eu, 2022, 8.

[38] Il riferimento è alle pronunce n. 28 del 01/02/2022 e n. 15 del 11/02/2020, mediante le quali la Corte sottolineava il mancato utilizzo della misura in quanto la previgente quota giornaliera era considerata troppo elevata e, pertanto, utilizzabile dai soli condannati abbienti, contrastando la disposizione con l’art. 3 della Costituzione, pertanto, dichiarava l’art. 135 c.p. costituzionalmente illegittimo per violazione dei principi di uguaglianza e della rieducazione del condannato, prevedendo la sostituzione dei 250,00 euro con 75,00 euro e auspicando che il legislatore, nell’esercizio della delega di cui alla legge n. 134/2021, individuasse soluzioni diverse; in www.cortecostituzionale.it.

[39] Tale previsione minima allinea l’ordinamento italiano con gli altri ordinamenti europei; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, G.L. GATTA, Manuale di diritto penale, pt. gen., XI ed., Giuffrè editore, 2022, 722.

[40] Nel caso di specie il limite massimo giornaliero è pari ad euro 250,00, al fine di scongiurare eventuali impugnazioni del decreto.

[41] Nel vigore della precedente disciplina, infatti, la pena pecuniaria era una opzione percorribile solo dai soggetti abbienti, non rappresentando per gli stessi neppure una “vera e propria pena”, scalfendo poco la capacità patrimoniale del ricco. Di converso, non era neppure presa in considerazione dai meno abbienti, i quali, ex ante, avevano la consapevolezza di non potersela permettere. L’esempio è quello riportato dalla stampa nel marzo del 2015, in cui un pensionato – responsabile di furto di una salsiccia dal valore di euro due – veniva condannato a 45 giorni di reclusione, poi sostituti con 11.250,00 euro di multa. Cifra sproporzionata sia al furto commesso che al tenore di vita del reo; R. DE VITO, op.cit., 6. Sui problemi comportati dalla vecchia previsione si vd. anche A. DELLA BELLA, Sistema penale e “sicurezza pubblica”: le riforme del 2009, a cura di S. CORBETTA, A. DELLA BELLA, G.L. GATTA, 2009, 20 ed M. MIEDICO, Codice penale commentato, V ed., a cura di E. DOLCINI, G.L. GATTA, 2021, tomo I, 2051 ss. .

[42] Il procedimento de quo viene definito dalla dottrina come procedimento lineare caratterizzato da una spiccata propensione verso la “politica dei ponti d’oro”; F. FIORENTIN, Sull’effettività delle “pecuniarie” pesa la valutazione patrimoniale. L’esecuzione penale, in Guida al diritto, n. 44/2022, 48.

[43] Avverso l’ordinanza di conversione è ammesso ricorso che sospende l’esecuzione e, a conversione effettuata, oltre ad essere sempre ammesso il pagamento con revoca immediata della pena sostitutiva, è anche prevista la possibilità di chiedere un nuovo pagamento rateale, con sospensione dell’esecuzione della pena conseguente alla conversione dopo la verifica del pagamento della prima rata.

[44] La conversione nella presente pena sarà disposta solamente quando il mancato pagamento è considerato “colpevole”.

[45] Il pagamento della pena pecuniaria sostitutiva può avvenire mediante rateizzazione (aumentando da sei a sessanta), per la quale non sono previsti interessi, valutando le condizioni patrimoniali ed economiche del reo.

[46] Affinchè ciò sia possibile, il giudice della cognizione dovrà disporre della relazione e del programma trattamentale redatto dall’UEPE e, in via eventuale, della relazione sulle attività e sugli esiti dei programmi di giustizia riparativi. L’udienza ex art. 545 bis c.p.p. è la sede naturale di ultima acquisizione delle stesse.

[47] R. ORLANDI, Procedimenti speciali, in Compendio di procedura penale, a cura di M. BARGIS, Milano, 2020, 611-612.

[48] Il modello in questione si rifà al sentencing anglosassone. La scelta di effettuare il sentencing sostitutivo dopo la lettura del dispositivo è volto, da un lato, ad avere piena contezza delle possibilità di sostituzione e, dall’altro, a salvaguardare la bontà epistemologica del giudizio sul fatto; R. DE VITO, op. cit.,10. L’apertura ad un modello bifasico era da tempo auspicato da autorevole dottrina, si vd. G. CONSO, Prime considerazioni sulla possibilità di dividere il processo penale in due fasi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1968, 706 ss. nonché il cd. “progetto Grosso” di riforma al codice penale, istituita nel 1998.

[49] Qualora il giudice non sia nelle condizioni di decidere immediatamente, previo consenso dell’imputato, sospende il processo e fissa una apposita udienza non oltre 60 giorni, ai sensi dell’art. 448 comma 1 bis c.p.p. . Sul punto, in dottrina, ci si è interrogati se tale passaggio debba considerarsi automatico o meno; si vd. P. GAETA, Ragionando su alcuni ossimori della riforma in materia di pene sostitutive, in Relazione al X Convegno dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, 2022, 8-11. Inoltre, si specifica che, per espressa previsione normativa, il consenso debba essere espresso dalla parte personalmente o a mezzo di procuratore speciale, trattandosi di un cd. “atto personalissimo”, assumendo le forme previste per la rinuncia all’impugnazione, ai sensi dell’art. 589 c.p.p.; F. FIORENTIN, Al giudice penale e alla sorveglianza un nuovo “ventaglio” di competenze. L’applicazione delle pene sostitutive, in Guida al diritto, n. 44/2022, 34.

[50] L’udienza in esame è prevista anche nel caso in cui venga utilizzato il patteggiamento e la stessa è regolata dal nuovo articolo 448 co. 1 bis c.p.p.  . La fissazione dell’udienza in commento appare doverosa non solo per il carattere probatorio dei documenti che dovranno essere forniti dall’UEPE e dalla polizia giudiziaria ma anche al fine di evitare che, in assenza di contraddittorio con l’imputato ed il suo difensore, questi siano costretti a proporre appositi motivi di appello e, comunque, per avere la possibilità di beneficiare della sanzione sostitutiva non concessa dal giudice di prime cure, sul solco di quanto precisato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; cfr. Cass., sez. un., 19 gennaio 2017, n. 12872, in CED Cass., 269125.

[51] R. DE VITO, op. cit.,11.

[52] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, in Gazzetta Ufficiale, 19 ottobre 2022, Suppl. straordinario n. 5, Serie generale n. 245, 353.

[53] In realtà il patteggiamento sembra rimanere la sede privilegiata di applicazione delle “nuove” pena sostitutive, prevedendosi dei veri e propri “saldi” di pena, anche in considerazione del fatto che, una volta passata in giudicato la sentenza, sarà immediatamente esecutiva, in quanto non suscettibile di sospensione condizionale; A. GARGANI, La riforma in materia di sanzioni sostitutive, in Leg. Pen., 2022, 12 ss. .

[54] A. GARGANI, op. cit., 10 ss. .

[55] L’esecuzione della pena pecuniaria sostitutiva, invece, è regolata dall’art. 660 c.p.p. .

[56] L’utilizzo dell’avverbio, ovviamente, ai fini di una sua applicazione pratica, dovrà essere verificato nel tempo; E. DOLCINI, op. cit., 20.

[57] Come emerge dalla Relazione Illustrativa questa è la norma cardine ispiratrice della riforma che si sostanzia nell’immediata esecutività senza meccanismi sospensivi.

[58] La modificabilità delle prescrizioni in sede di esecuzione della misura in realtà è limitata o, meglio, è da considerarsi esclusa in quanto non si tratta di misura alternativa.

[59] L’obbligo di comunicazione al giudice competente delle violazioni è in capo agli ufficiali di polizia giudiziaria, al direttore dell’istituto o al direttore dell’UEPE. Il giudice competente, compiuti eventuali accertamenti, deciderà sulla revoca e sulla conversione all’esito dell’udienza di cui all’art. 666 c.p.p. . Il filo rosso che collega le diverse ipotesi di revoca/conversione delle pene sostitutive è rappresentato dal carattere discrezionale del provvedimento; si vd. in dottrina, E. DOLCINI, A. DELLA BELLA, Per un riordino delle misure sospensivo-probatorie nell’ordinamento italiano, in Le misure sospensivo-probatorie. Itinerari verso una riforma, a cura di E. DOLCINI, A. DELLA BELLA, Giuffrè, 2020, 363.

[60] La pena sostitutiva, di converso, specifica che il condannato debba passare in carcere almeno 8 ore giornaliere.

[61] L'art. 48, comma primo, dell'Ordinamento penitenziario recita, infatti: "Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale". Non è corretto, quindi, parlare di misura alternativa alla detenzione, poiché il soggetto mantiene la veste di persona privata della libertà ed inserita in istituto penitenziario; tuttavia gli ampi margini di libertà concessi all'interessato e le possibilità di ripresa di contatto con l'ambiente libero integrano gli estremi di "una vicenda profondamente modificativa delle modalità di esecuzione della pena"; M. CANEPA, A. MARCHESELLI, S. MERLO, Lezioni di diritto penitenziario, Giuffrè, 2002, 141.

[62] Nella semilibertà sostitutiva, invece, la formulazione del programma è affidata all’UEPE e solo successivamente vi sarà l’ordinanza di ammissione da parte del giudice

[63] V. VALENTINI, Manuale di diritto penitenziario, a cura di A. GIARDA, F. GIUNTA, G. FORTI, G. VARRASO, Cedam, 2021, 166. Come rilevato, inoltre, nella pena sostitutiva il condannato ha l’obbligo di rimanere in abitazione per non meno di 12 ore al giorno avuto riguardo delle esigenze familiari, di studio, affettive nonché del programma di trattamento stilato dall’UEPE e, ancora, in ogni caso il condannato ha la possibilità di allontanarsi dall’abitazione per almeno quattro ore giornaliere.

[64] Come anticipato nei precedenti paragrafi, il lavoro di pubblica utilità svolge molteplici funzioni all’interno dell’ordinamento italiano.

[65] Sul punto la Relazione illustrativa alla novella, a pagina 200, precisa che vi sia un “ragionevole equilibrio tra l’estensione temporale della pena e del correlato programma di trattamento, da un lato, e le esigenze personali, di vita e lavoro del condannato, dall’altra parte”. Si sottolineano, inoltre, i benefici menzionati per l’omonima pena sostitutiva di poter ottenere la revoca della confisca nonché la sospensione dell’esecuzione.

[66] I reali punti di forza della riforma sono anche da ricercare nella limitazione operata sulle carenze della delega che, in fase attuativa, sono state colmate ed inseriti aspetti innovativi.

[67] In particolare sono state applicate 246 detenzioni domiciliari sostitutive; 2 semilibertà sostitutive e 1.224 provvedimenti di lavoro di pubblica utilità (è facile osservare come quest’ultimo sia il più utilizzato sulla scorta anche del successo riscosso in passato). Si specifica, inoltre, che i dati racconti non prendono in considerazione la pena pecuniaria sostitutiva, i cui dati rientrano nel genus della pena pecuniaria;  A. DELLA BELLA, I primi dati ufficiali sulle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi: già oltre 1.400 in esecuzione, in www.sistemapenale.it, fasc. 12/2023, 2.

[68] Il riferimento è alle sentenze n. 11/2023 della prima sezione della Corte di Cassazione, n. 12/2023 della prima sezione della Corte di Cassazione ed alla n. 19/2023 della quinta sezione della Corte di Cassazione; per approfondimenti sul tema si vd. G. M, Nuove pene sostitutive: tre prime pronunce della cassazione, in www.sistemapenale.it, 2023.

[69] Ad esempio non è possibile optare per la detenzione domiciliare o la semilibertà per poi passare, successivamente, all’affidamento in prova ai servizi sociali; G. VARRASO, Gli approfondimenti della riforma Cartabia - 6. Riforma Cartabia e pene sostitutive: la rottura “definitiva” della sequenza cognizione - esecuzione, in Riforma Cartabia, 2023, 10.

[70] R. DE VITO, op. cit., 14.

[71] G. GIOSTRA, Questione carcerario, insicurezza sociale e populismo penale, in Questione giustizia, 2014.