Inazione e diversion nell’orizzonte della Restorative Justice
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Veronica Virga
La messa in funzione degli ingranaggi riparativi da parte del Legislatore delegato induce a interrogarsi su quali possano essere gli spazi futuribili da accordare alla Restorative Justice nel procedimento penale. Dal raffronto comparativo con altri ordinamenti emerge che vi sono ulteriori istituti, tanto riferibili alle persone fisiche quanto giuridiche, che se introdotti nel sistema penale italiano potrebbero riuscire a congiungere le pratiche e gli esiti della riparazione con le esigenze di deflazione procedimentale.
Sommario: 1. Restorative vibes nella gestione fair dell’alternativa fra azione e archiviazione; 2. Shaping restorative solutions: l’archiviazione “meritata” come forma di inazione per condotte riparative; 3. Soggetti metaindividuali e favor reparationis: appunti per un restorative spin-off nel procedimento de societate; 3.1. Ipotesi di diversion riparativa e restorative compliance program; 4. Conclusioni.
1. Restorative vibes nella gestione fair dell’alternativa fra azione e archiviazione.
Attraverso l’innesto della giustizia riparativa[1] il legislatore ha orchestrato una risposta alla commissione di un illecito penale composita e differenziata; una risposta nella quale esigenze afflittive, pur immanenti ai sistemi di giustizia tradizionale, vengono mitigate e canalizzate da altre e alte ambizioni riparative che agganciate alla finalità rieducativa e a quel «ripetitore di tutele» che è il principio di eguaglianza, sembrano in grado di donare linfa nuova al dibattito sulla pena, non più solo passivamente subìta bensì agìta[2].
Coerentemente con le fonti internazionali in materia, l’opzione riparativa è resa accessibile prima della presentazione della querela, in ogni stato e grado del procedimento penale oltre che in sede esecutiva, senza preclusioni circa fattispecie e gravità di reato: tale previsione – contenuta nella legge delega 134 del 2021 e confluita poi nel decreto legislativo attuativo 150 del 2022 – se agganciata al pluralismo metodologico della RJ, consente di sperimentare una gestione fair[3] dell’alternativa tra azione e inazione[4], vagliando la praticabilità nel sistema italiano di strumenti di diversione processuale già impiegati con successo in altri ordinamenti – le archiviazioni c.d. condizionate per le persone fisiche, i pre-trial diversion agreements per le persone giuridiche – con l’intento di appurarne una loro possibile coniugazione riparativa.
Pur non abdicando alle logiche interrelazionali che connotano la Restorative Justice, si può tentare di profilare una strategia di early intervention, compatibile con il canone di legalità dell’azione penale e realizzabile per il tramite di istituti che hanno il pregio di coniugare esigenze intrinseche al sistema processuale – deflazione ed efficienza, stendardi in forza dei quali la riforma s’è prodigata – con finalità a esso estrinseche, come quelle tipicamente perseguite dalla giustizia riparativa, funzionali a rimarginare le fratture generate dall’illecito penale in una dimensione che bypassa quella diadica rappresentabile nei due fuochi nevralgici della vicenda giudiziaria – lo Stato e la persona (fisica o giuridica) nei cui confronti si procede – per approdare in uno spazio più ampio, «tripolare[5]» o «quadrilaterale[6]», che coinvolge la vittima – segnandone l’«uscita dallo stato di minorità» nel quale è stata tradizionalmente relegata[7] – e, per il tramite di una lettura audacemente evolutiva dell’art. 2 Cost., persino la comunità.
In questo senso, i tradizionali luoghi della lex – quello normativo, processuale, della decisione e della sanzione – si aprono, «despazializzandosi[8]», ai siti della riparazione, della mediazione e delle pratiche informali proprie della RJ: precipuamente su questo crinale, lungo il dilemma della giustizia tra il punire e il salvare[9], si innesta la questione, non marginale ma primigenia, delle dinamiche configurabili tra l’indicazione costituzionale del finalismo rieducativo della pena e le rinnovate colorazioni riparative[10].
Il primo tassello logico da incastonare nell’archetipo del “delitto riparato[11]” – che spiana la strada, dal punto di vista processuale, a una terza via tra l’esercizio dell’azione penale e l’archiviazione – attiene all’idea che l’universo composito della riparazione consta di due differenti anime: una di tipo prestazionale; l’altra di carattere interpersonale[12].
La natura bifronte dell’ideale riparativo si insinua anche all’interno della «grammatica del diritto[13]», allorché accanto ai lessemi che attengono alla riparazione dell’offesa in senso tecnico, di rilevanza squisitamente processuale e che convergono nel sintagma “rassicurante” – giacché conosciuto – di “esito riparatorio[14]”, si staglieranno d’ora in avanti, per effetto della riforma organica, parole semanticamente differenti, nate dalla trasmigrazione del nuovo modello di giustizia[15] e riconducibili sotto l’espressione proteiforme di “esito riparativo”, sia esso simbolico o materiale (art. 56 d.lgs. 150 del 2022).
Tanto ipotesi riparatorie già disseminate all’interno dei codici di diritto sostanziale e processuale quanto istituti restorative-friendly, siano essi di nuovo conio o declinati in senso (più) riparativo, potrebbero confluire in un futuribile, e non utopico, contenitore flessibile[16] – una terza via, per l’appunto – che permetterebbe al p.m. di apprestare «forme personalizzate di archiviazione[17]» per addivenire a una risposta rapida e diversificata alla domanda di giustizia che scaturisce dal reato e per consentirgli di avanzare strategie differenziate in ragione della persona cui l’offesa è riferita.
Beninteso, una simile prospettazione dogmatica rifugge dall’«utopia regressiva[18]» di una soppressione della pena dal diritto penale[19], né intende abbandonarsi al «romanticismo giuridico[20]» che i detrattori della Restorative Justice paventano; più blandamente, l’intento è quello di guardare al dibattimento – e alla pena carceraria, eventualmente consequenziale – come extrema ratio dell’intero sistema penale, di comprendere ciò che dentro al diritto – la fiducia – richiede riconoscimento rivendicando il suo spazio[21], di offrire una chance di riscatto ai soggetti coinvolti dalla vicenda criminosa, di concepire nuovi modi di agire la pena, di avallare un’idea «mite[22]» di giustizia, di consentire una penalità dialogica, orizzontale e progettuale, di favorire la «riparazione senza giudizio[23]» attraverso un ventaglio eterogeneo di opzioni di deprocessualizzazione[24] già concretizzabili all’esito delle indagini preliminari.
2. Shaping restorative solutions: l’archiviazione “meritata” come forma di inazione per condotte riparative.
Le conseguenze della riforma organica sul piano del diritto sostanziale e processuale, checché se ne dica, a ben vedere, sono assai modeste. Le paratie stagne che il legislatore ha costruito tra i programmi restorative e il procedere della giustizia tradizionale vengono sollevate esclusivamente in poche ipotesi tutte normativamente individuate: è così consentita la fruizione dalla camera riparativa al processo penale del solo dato che attiene agli esiti del dialogo nella forma asettica della “relazione” o delle “comunicazioni all’autorità giudiziaria” (art. 57 del d.lgs. 150 del 2022) a opera del mediatore/facilitatore.
Gli effetti positivi – giacché solo a essi è consentito il transito, essendo viceversa correttamente precluso il passaggio di ogni risultato sfavorevole derivante dalla mancata effettuazione del programma, dall’interruzione dello stesso o dal mancato raggiungimento di un esito riparativo (art. 58) – possono rilevare: i) come circostanza attenuante ex art. 62, n. 6, c.p.; ii) ai fini della sospensione condizionale della pena ai sensi dell’art. 163, ult. co, c.p. e iii) secondo quanto stabilito dal combinato disposto degli artt. 152, cpv., c.p. e 129-bis, co. 4, c.p.p., per la remissione tacita della querela[25]; ipotesi, quest’ultima, in cui – a fronte di una precisa scelta normativa di intersecare i due modelli in maniera complementare – si configura l’unico effetto deflattivo-alternativo previsto dalla riforma.
L’impressione generale è che le potenzialità della RJ siano in parte rimaste imbrigliate, ben potendosi immaginare spazi più ampi da accordarle: modellare soluzioni in chiave riparativa – shaping[26] restorative solutions – è il suggerimento che proviene da numerosi ordinamenti europei, dal raffronto con i quali emerge come, sfruttando il dialogo riparativo, si sarebbe potuto procedere – come del resto era stato valutato anche dalla Commissione Lattanzi[27] da cui la riforma Cartabia è gemmata – a introdurre un’ipotesi di archiviazione “meritata” come forma di inazione per condotte riparative.
Le archiviazioni c.d. “condizionate” e “meritate” sono strumenti riconducibili al genus della diversion connotati dalla circostanza di permettere all’accusa di non esercitare l’azione penale (o di estinguere l’imputazione in un momento successivo alla sua formulazione), laddove l’indagato (o l’imputato) abbia realizzato condotte positive nei confronti della collettività e/o della vittima di reato, idonee a compensare l’interesse pubblico e privato leso[28].
Tali forme di diversion vengono impiegate in diversi ordinamenti europei – tanto ispirati a un principio di legalità dell’azione penale quanto improntati alla discrezionalità l’agere dell’accusa – quale principale trait d’union tra procedimento penale e restorative justice.
Qualificate come canali normativi di tipo processuale[29] – ossia quali «punti e momenti di complementarità[30]» – tra due mondi diversi, quello penale “classico” e quello riparativo[31], le archiviazioni c.d. condizionate si sono diffuse trasversalmente, anche in ragione dell’atteggiamento di favore mostrato dal Consiglio d’Europa e dall’Unione europea[32].
Tra i primi a dotarsi di una normativa in materia, agevolata dalla discrezionalità che ne informa l’ordinamento processuale, la Francia[33] ha adottato misure alternative all’azione penale in via pretoria già a partire dagli anni Settanta, confluite poi nel code de procédure pénale (artt. 41-1 e 41-2 c.p.p. franc.), dando vita a un sistema graduato di misure che il p.m. può attivare per le fattispecie di reato meno gravi quale «terza via» (troisième voie) rispetto al binomio esercizio dell’azione penale (engagement des poursuites) e archiviazione secca (classement sans suite). Rientrano nell’alveo delle archiviazioni condizionate (procédures alternati-ves aux poursuites) diverse misure tra cui: la mediazione penale, il richiamo agli obblighi di legge; l’indirizzamento del reo verso strutture sanitarie, sociali o professionali; la richiesta di regolarizzazione della situazione del reo rispetto alla legge ; il risarcimento del danno del reato con restituzioni, ripristino dei locali o delle cose danneggiate; il versamento di una somma di denaro a favore della persona offesa o di qualsiasi persona fisica o giuridica che abbia dovuto sostenere spese per ripristinare i locali o le cose danneggiate.
Anche in Germania[34], paese in cui vige un principio di obbligatorietà temperata dell’azione penale, per le fattispecie meno gravi di reato (i Vergehen) è concesso al p.m. di valutare l’archiviazione condizionata[35] all’adempimento da parte del prevenuto di una serie di prescrizioni: accanto a misure di carattere prestazionale, come la riparazione del danno cagionato, il pagamento di una multa, la prestazione di un lavoro di pubblica utilità, la norma contempla pure l’ipotesi della conciliazione tra autore e vittima, inserita nel §153a StPO nel 1999. Oltre al §155a StPO – che costituisce la regola centrale del Täter-Opfer Ausgleich nell’ordinamento processuale tedesco – s’è quindi prevista la possibilità di fare del tentativo di mediazione una delle condizioni del provvedimento archiviativo[36].
Gli esiti dell’analisi comparativa danno modo, dunque, di valutare una forma d’inazione per condotte (anche) riparative, che potrebbe essere così concepita[37]: all’esito delle indagini preliminari, laddove ritenga sostenibile l’accusa in giudizio[38], il p.m. dovrebbe valutare l’opportunità di attivare la misura alternativa alla formulazione dell’imputazione, presentando alla persona indagata una proposta formale – da sottoporre al controllo giudiziale[39] per assicurarne la compatibilità con il principio di obbligatorietà dell’azione penale – che contempli, tra le azioni positive da attuare, anche misure riparative a favore della vittima, la quale dovrà prestare il proprio consenso affinché si possa intavolare un programma restorative. L’eventuale suo rifiuto non dovrebbe essere causa immediata di mancato perfezionamento dell’accordo col p.m. atteso che potrà anche ricorrersi alle vittime c.d. surrogate.
Ove il g.i.p. si pronunciasse favorevolmente circa l’applicazione della misura di diversion, il pubblico ministero dovrebbe vigilare – tramite la polizia giudiziaria o l’ufficio esecuzione penale esterna – sull’effettivo svolgimento da parte dell’indagato delle attività promesse entro un lasso di tempo predeterminato dalla legge (ed eventualmente integrato dal giudice, seconda dalla complessità del legame da riparare), scaduto il quale, se tutto è stato adempiuto, il procedimento verrebbe archiviato. L’effetto preclusivo di un’archiviazione meritata dovrebbe essere maggiore rispetto a quello dell’archiviazione ordinaria.
3. Soggetti metaindividuali e favor reparationis: appunti per un restorative spin-off nel procedimento de societate.
La logica premiale[40] che informa il diritto penale degli enti, se opportunamente agganciata ai neo-normati canali riparativi, dischiude nugoli che svelano creativi modi per fronteggiare e rimediare alla corporate criminal liability[41], spianando la strada a un restorative spin-off nell’ambito del diritto penale economico.
Nel sistema congegnato dal d.lgs. 231 del 2001, fondato sull’equilibrio punizione-premio e pragmaticamente orientato dal c.d. carrot and stick approach[42], si registrano ampissimi spazi di giustizia riparativa di tipo prestazionale[43], ben maggiori rispetto a quelli accordati ai reati comuni: purtuttavia, per ovviare al pericolo[44] che la riparazione premiante diventi «giustizia di classe» appannaggio esclusivo di chi goda di ingenti mezzi patrimoniali, occorre immaginare anelli di giuntura con l’universo riparativo, in sintonia con la riforma organica e in grado di valorizzare – sia pure se l’offesa è riferita a un «soggetto metaindividuale[45]» – il ruolo delle vittime.
D’altronde, i sentieri della giustizia negoziata[46], che attraversano integralmente diritto penale e processo, sono destinati a incrociarsi con quelli, non meno praticabili, della giustizia riparativa, giacché tra le «porosità» [47] del sistema avranno modo di transitare, come «diritto liquido[48]», le disposizioni dell’uno e dell’altro paradigma. Ed è tenendo conto di queste protasi che la consequenziale conclusione sia logicamente quella di immaginare di introdurre istituti naturaliter concepiti come snodo di convergenza tra le politiche di prevenzione made by compliance, le tendenze negoziali di diversion di matrice angloamericana e le ambizioni riparative, viepiù alla luce del decisum con cui il Supremo consesso[49], nella sua composizione più autorevole, ha escluso gli enti dal novero dei soggetti ammessi a godere della messa alla prova ex artt. 168-bis c.p. e 464-bis c.p.p.; humus, quello del probation, che nella prassi ha dimostrato di essere, almeno per le persone fisiche, assai fecondo di restorative experiences[50].
L’immediato referente comparatistico non può che essere rappresentato da quegli istituti – i c.d. pre-trial diversion agreements[51] (P.D.A), già largamente in voga negli States[52], in U.K.[53] e in Francia[54] – che scommettono sulle strategie premiali post factum in ragione della collaborazione processuale dell’ente[55] e che sono in grado non solo di incidere sul trattamento sanzionatorio, attenuandolo, ma sulla stessa possibilità di sottoposizione a processo penale per la corporation[56]: l’intento è quello di appurare la loro spendibilità nell’ordinamento italiano con finalità in parte anche riparativa.
Nella categoria dei meccanismi di diversione processuale, sospinti dalla logica del too big to jail[57], si iscrivono due differenti tipologie di accordi: i non prosecution agreements (N.P.A.) e i deferred prosecution agreements (D.P.A.). Per il loro tramite si attribuisce rilievo al ravvedimento operoso posto in essere dall’ente-indagato dopo la commissione dell’illecito, rendendo così il procedimento penale sede congeniale per incentivare il dialogo tra autorità giudiziaria e corporation con lo scopo di incoraggiare l’adesione volontaria all’esigenza di ripristino della legalità e di promuovere, seppur post factum, quell’attività di riorganizzazione interna della governance[58].
Il non prosecution agreements[59] è l’accordo con il quale l’autorità inquirente americana – il prosecutor – esercitando la discrezionalità che contraddistingue l’esercizio dell’azione penale nei paesi di common law, opta, al ricorrere di certe condizioni, per non perseguire la società (defendant) presunta autrice del reato, a fronte e della garanzia dell’impegno da parte della stessa corporation al rispetto futuro della legalità e di comportamenti virtuosi[60]. Il N.P.A. si connota precipuamente per alcuni elementi peculiari: intervenendo prima dell’iscrizione (c.d. filling) della notitia criminis nell’apposito registro di reato, l’accordo – che dunque si colloca in un momento antecedente all’apertura del procedimento – sfugge dal radar di qualsivoglia controllo giurisdizionale, lasciando all’organo d’accusa un potere di negoziazione, di fatto, incontrollato.
Strumenti di tal sorta, così congegnati, avrebbero ben poca ragione di essere nell’ordinamento italiano giacché si scontrerebbero impietosamente – e senza possibilità di recupero alcuno – con numerosi precetti costituzionali, entrando in aperto conflitto col principio di presunzione di non colpevolezza, con quello di legalità dell’azione penale e, prima ancora, col criterio di eguaglianza-ragionevolezza e, se ciò non sembrasse sufficiente, vi sarebbe poi da considerare l’insidia che l’intera “trattativa” per la conclusione dell’accordo si svolgerebbe fuori dai circuiti tracciati dal procedimento penale in una dimensione metagiuridica, evidentemente da scongiurare.
Sulla scia delle medesime argomentazioni, nell’importare i meccanismi di diversione processuale con il Crime and Courts Act del 2013[61], neppure gli inglesi, le cui tradizioni giuridiche sono certamente più affini a quelle statunitensi delle nostre, hanno incluso i N.P.A.
Discorso a parte vale per il deferred prosecution agreement ossia l’accordo tra pubblica accusa ed ente indagato, soggetto a valutazione del giudice, tramite cui la persona giuridica, allo scopo di sottrarsi al procedimento penale avviato nei suoi confronti, si impegna, per un periodo di sorveglianza (di regola da sei mesi a due anni) a intraprendere una serie di attività rieducative[62]. Se l’accordo è rispettato, all’esito del lasso di tempo individuato per adempiere alle statuizioni pattuite, il prosecutor archivia il procedimento penale.
Nel Regno Unito, affinché l’accordo possa avere luogo, è anzitutto indispensabile che ricorrano due presupposti: il primo, di carattere soggettivo, limita l’impiego dell’istituto ai soli enti collettivi, siano essi un body corporate, una partnership o una unincorporated association; il secondo, di natura oggettiva, attiene alle fattispecie criminose – i c.d. reati presupposto – al cui realizzarsi l’agreement può prospettarsi[63] nell’“interesse della giustizia”.
Venendo più da vicino ai contenuti – aspetto ai nostri fini ben più rilevante, atteso che una declinazione in senso restorative dei D.P.A. non può che giocarsi sul precipuo versante delle prescrizioni da seguire oltre che innovativamente anche su quello dei programmi di compliance[64] – il Crime and Courts Act del 2013 ne individua gli elementi essenziali di validità: anzitutto è indispensabile la dichiarazione relativa ai fatti oggetto di indagine, la quale può anche contenere un’ammissione di responsabilità da parte dell’ente; in seconda battuta, è altresì essenziale la previsione di un termine finale allo scadere del quale l’accordo cessa di avere effetto (sempre che ciò non sia già avvenuto per effetto di una violazione dei termini dello stesso).
Il provvedimento legislativo sancisce poi una serie di comportamenti cui, se inseriti nel D.P.A., la corporation deve confarsi onde evitare l’immediato venir meno di efficacia del negozio: tra questi spiccano il pagamento di una sanzione pecuniaria o di una somma compensativa alle vittime del reato contestato; la donazione di denaro ad enti di beneficenza o altri soggetti terzi; la restituzione del profitto conseguito dall’ente in seguito alla commissione del reato contestato; la modifica del programma di compliance o la sua adozione, se mancante.
Evidentemente – sebbene tra i D.P.A. e la GR sia stata individuata una comunanza di key-concepts[65]– nessuna di tali tipologie di accordi negoziati può essere stricto sensu qualificata come restorative, dal momento che mancano elementi essenziali, internazionalmente riconosciuti[66], congeniali a questo prototipo di giustizia.
Ciononostante, è innegabile che gli accordi di diversione processuale si avvalgano dell’utilizzo di un sistema di restaurazione extragiudiziale, basato su un concetto polisemico di riparazione che contiene, in misura maggiore o minore, elementi riparativi[67]: è a questi che in prospettiva de iure condendo deve guardarsi per costruire un’efficace corporate restorative justice.
3.1. Ipotesi di diversion riparativa e restorative compliance program.
L’applicazione della giustizia riparativa al campo della criminalità economica[68] e d’impresa[69] non è certamente una breaking news: si tratta, infatti, di una tendenza che si è affermata e affinata contestualmente al crescente interesse per la vittimologia d’impresa.
In prospettiva de iure condendo stabilire dei link tra la giustizia riparativa e il procedimento penale nella veste dei D.P.A. può rivelarsi una scelta politico-criminale assai vincente: attratte dall’idea di evitare le lungaggini del processo penale, il peculiare regime di prescrizione per gli enti, lo stigma reputazionale conseguente, la scarsa predictability delle decisioni[70] e per scongiurare il c.d. effetto Andersen[71], le imprese potrebbero essere invogliate a concludere accordi di diversion processuale che abbiano tra i loro capitolati anche prescrizioni di carattere riparativo. Non è difficile immaginare, stando così le cose, che l’ente sarà favorevole a prestare il proprio consenso a un accordo di differimento dell’azione penale che preveda anche – se non esclusivamente – la contestuale assunzione di impegni restorative. Il dialogo riparativo contempla però il benestare non solo della persona cui l’offesa è riferita ma, ça va sans dire, anche delle vittime. Sovente accade che tra le vittime dei reati di impresa vi siano i lavoratori-dipendenti della stessa: nel qual caso, la loro posizione presenta un duplice profilo di fragilità giacché si troverebbero a subire sia gli effetti dell’illecito (vittime di reato) che le ripercussioni di un’eventuale sentenza di condanna (vittime del processo). Questa situazione sì peculiare potrebbe in realtà essere la miccia che accende l’interesse, forse per questa ragione sollecitato, alla possibilità di incontri riparativi che, in linea con quanto previsto dalle fonti internazionali in materia, non potrebbe che avvenire alla presenza e sotto la guida di un facilitatore.
A prescindere però dalla circostanza che siano soggetti interni all’impresa, qualora le vittime non vogliano prendere parte a un’esperienza riparativa, resterebbe ferma la possibilità di ricorrere alle c.d. vittime surrogate, prevista anche dall’art. 53, co. 1, lett. a), del d.lgs. 150 del 2022.
Nell’ipotesi in cui tutte le prescrizioni dell’accordo, ivi incluse quelle riparative, vengano dall’ente attuate, il procedimento dovrebbe essere dal P.M. archiviato.
Viceversa, più complicata – dacché mette in campo la vexata quaestio dei rapporti tra procedimento penale e processo riparativo – è l’ipotesi in cui gli incontri mediativi con le vittime abbiano esito infausto: in tal caso, un grande sforzo da parte dell’azienda nonostante l’insoddisfazione delle vittime potrebbe essere ritenuto sufficiente e non condurre all’esercizio dell’azione penale?
Questa considerazione non può che toccare in sorte al dominus dell’indagini preliminari, il p.m., al quale dovrà essere comunicato solo l’esito negativo del tentativo: evidentemente, il punto di maggiore frizione è qui cagionato dalla circostanza che la relazione redatta dal mediatore, contenente la descrizione delle attività svolte e attestante il mancato raggiungimento dell’esito riparativo, coerentemente col principio di autonomia informativa che regola i due paradigmi, non può – né deve – trasfondere quanto avvenuto nella camera della mediazione.
I restorative D.P.A. non sono l’unico campo di sperimentazione in materia di criminal corporate liability. Facendo leva sul legame che corre tra i programmi di compliance e la c.d. responsabilità sociale d’impresa[72] (R.S.I.), taluni autori[73] hanno prospettato una correlazione tra la restorative justice, i compliance programs e la corporate social responsibility tale per cui la presenza di pratiche riparative, all’interno di una dimensione trinomiale in cui l’impresa si muove e opera, sia in grado di potenziare l’efficacia degli altri termini dell’equazione. È evidentemente, questo, un nuovo modo di prevenire e gestire i conflitti, anche penali, generati nella e dall’impresa che, lungi dal voler approdare a un sistema fittizio di “cripto-condanne”, scommette coraggiosamente sulla presenza di elementi restorative in forza dell’assunto che tanta più comunanza di valori coinvolgerà individui ed ente quanto più successo potrà avere una simile strategia.
Per parlare di programmi di compliance riparativi – intesi come strumenti per la risoluzione dei conflitti generati dall’attività aziendale – non è sufficiente la sola partecipazione dei vari stakeholders; occorre piuttosto l’individuazione di reali spazi di dialogo[74] che li mettano realmente in corresponsione con quanti, all’interno dell’impresa, godano del potere decisionale: l’aspetto riparativo richiede infatti che i portavoce degli interessi coinvolti siano rappresentati nell’organo di più alto livello dell’organizzazione. In secondo luogo, dovrebbe essere “neutralizzato” il più possibile, quanto meno nel momento di conferencing, lo squilibrio di potere[75] tra i leader aziendali e le persone che partecipano al dialogo riparativo. Infine, ai “nuovi attori” del percorso restorative dovrebbe essere consentito un grado di accesso alle informazioni rilevanti per il processo decisionale simile a quello dei rappresentanti dell’azienda[76].
4. Conclusioni
L’introduzione della riforma organica in materia di giustizia riparativa potrebbe attivare ulteriori ripercussioni sistematiche. L’archiviazione per condotte riparative e l’accordo di differimento dell’azione penale dovrebbero poter confluire in un nuovo modulo procedimentale – una terza via tra l’azione e l’inazione – inteso a fornire una disciplina uniforme in punto di innesto, controllo del giudice ed epilogo decisorio per i percorsi riparativi che si collochino in esito alla fase delle indagini preliminari[77].
«Sotto un profilo pratico, il modello della giustizia intesa come orizzonte che si allontana continuamente, come aspettativa, come speranza in una futura visione di salvezza, pur apprezzabile, come tutte le speranze è chiaramente insufficiente per una definizione dell’idea di giustizia: per l’etica popolare la giustizia non può limitarsi ad una speranza, ma deve incarnarsi in qualcosa di concretamente tangibile, cioè in una riparazione dei torti, in un recupero delle perdite subite, in un premio per le sofferenze patite»[78]
[1] Sulla c.d. riforma organica in materia di Giustizia riparativa – destinata a entrare in vigore, salvo ulteriori slittamenti, a partire dal 30 giugno 2023 – cfr., ex multis, F. Parisi, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte I. «Disciplina organica» e aspetti di diritto sostanziale, in Sist. pen., 27 febbraio 2023; P. Maggio, Giustizia riparativa e sistema penale nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Parte II. «Disciplina organica» e aspetti di diritto processuale, ivi; E. Mattevi, La giustizia riparativa: disciplina organica e nuove intersezioni con il sistema penale, in Riforma Cartabia: la nuova giustizia penale, a cura di Castronuovo-Donini-Mancuso-Varraso, Milano, 2023, 233 ss.; L. Parlato, La giustizia riparativa: i nuovi e molteplici incroci con il rito penale, ivi, 268 ss.
[2] M. Donini, Pena agìta e pena subìta. Il modello del delitto riparato, in Quest. giust. on line, 10 ottobre 2020.
[3] La conformità delle procedure transazionali all’art. 6, §1, Cedu, è stata appurata anche da Corte Edu, 27 febbraio 1980, Deweer c. Belgio, decisione nella quale si legge che «le droit à un tribunal» non è assoluto: le procedure che ne implicano una rinuncia non contrastano, in linea di principio, con la Convenzione, purché detta rinuncia sia caratterizzata dalla volontarietà del consenso (§49).
[4] S. Ruggeri, Azione e inazione, in Aa.Vv., Riforma Cartabia, cit., 627 ss.
[5] M. Donini, Pena agìta e pena subìta, cit., 16; M. Bortolato, La riforma Cartabia: la disciplina organica della giustizia riparativa. Un primo sguardo al nuovo decreto legislativo, Quest. giust. on line, 10 ottobre 2022, 1; P. Maggio, Giustizia riparativa e sistema penale cit., 12.
[6] F. Palazzo, Plaidoyer per la giustizia riparativa, in www.lalegislazionepenale.eu, 31 dicembre 2022, 5.
[7] Volendo, V. Virga, Brevi considerazioni sulla necessità di emancipare la vittima dallo status di offeso, in Foro it., 4/2022, I, 1243; cfr. altresì G. De Marzo, La tutela della parte offesa non costituita parte civile, in La corte di Strasburgo, a cura di Buffa-Civinini, Roma, 2019, 43 ss.
[8] A. Garapon, La despazializzazione della giustizia, Milano-Udine, 2021.
[9] G. Zagrebelsky, Punire o salvare: il dilemma della giustizia, in La Repubblica.it, 3 luglio 2021: «Sono due concezioni diverse che, tuttavia, non si escludono. La prima guarda al passato delittuoso e ha a che fare con il diritto, la seconda guarda a un futuro virtuoso e ha a che fare con la morale».
[10] I termini dell’endiadi rieducazione-riparazione sono stati ricostruiti con diversità di accenti dalla dottrina penalistica che talvolta li ha ritenuti integrabili e talaltra irriducibili: cfr. al riguardo G. Fiandaca, Note su punizione, riparazione e scienza penalistica, in Sist. pen., 28 novembre 2020; G. De Francesco, Rieducazione, giustizia riparativa, logiche premiali: appunti minimi per un confronto, in Studi in onore di Carlo Enrico Paliero, Milano, 2022, 361 ss.; L. Eusebi, Qualcosa di meglio della pena retributiva. In margine a C.E. Paliero, Il mercato della penalità, ivi, 389 ss.; F. Palazzo, Plaidoyer, cit.; M. Donini, Pena agìta e pena subìta, cit.; R. Bartoli, Giustizia vendicatoria, giustizia riparativa, costituzionalismo, in Sist. pen., 22 marzo 2023; C. Mazzucato, Appunti per una teoria ‘dignitosa’ del diritto penale a partire dalla restorative justice, in Aa. Vv., Dignità e diritto: prospettive interdisciplinari, Libellula, Tricase, 2010, 99 ss.
[11] M. Donini, Pena agìta e pena subìta, cit., 3 ss. La nozione di «delitto riparato» ha un’estensione più ampia che ricomprende solo in parte quella di «giustizia riparativa»: il delitto riparato può rappresentare la categoria teorica entro la quale collocare anche la RJ. Sul punto v. ampliamente Id., Compliance, negozialità e riparazione dell’offesa nei reati economici, in La pena, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, Milano, 2018, 595 ss.
[12] Cfr. al riguardo M. Donini, Le due anime dalla riparazione come alternativa alla pena-castigo: riparazione prestazionale vs. riparazione interpersonale, in Cass. pen., 2022, 2027 ss.
[13] P. Maggio, Giustizia riparativa e sistema penale, cit., 8, richiama in questi termini la celebre opera di G. Fletcher, Basic Concepts of Criminal Law, Oxford, 1998, trad. Grammatica del diritto penale, Bologna, 2004.
[14] A titolo meramente esemplificativo, vi si possono ricondurre le ipotesi di oblazione contemplate dal nostro ordinamento e da ultimo ampliate dalla stessa riforma Cartabia (sul punto v. M. Riccardi, Dall’archiviazione meritata all’oblazione alimentare: il procedimento delle prescrizioni e l’estinzione delle contravvenzioni nella riforma Cartabia, in Dir. pen. proc., 1/2023, 28 ss.), quelle di estinzione del reato per condotte riparatorie.
[15] Cfr. al riguardo P. Maggio, Giustizia riparativa e sistema penale, cit., 8.
[16] M. Gialuz- J. Della Torre, Giustizia per nessuno. L’inefficienza del sistema penale italiano tra crisi cronica e riforma Cartabia, Torino, 2022, 325.
[17] M. G. Aimonetto, L’archiviazione “semplice” e la “nuova” archiviazione “condizionata” nell’ordinamento francese: riflessioni e spunti per ipotesi di “deprocessualizzazione”, in Leg. pen., 2000, 102.
[18] L. Ferrajoli, Il diritto penale minimo, in Dei delitti e delle pene, 1985, 517. Cfr. altresì G. Mannozzi – G.A. Lodigiani, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, Torino, 2017, 63 ss.
[19] Per una bibliografia completa, v., ex multis, N. Christie, Limits to pain, Martin Robertson, 1982, trad. it. di G. Urzi, Abolire le pene? Il paradosso del sistema penale, Torino, 1985.
[20] F. Palazzo, Presente, futuro e futuribile della pena carceraria, in La pena, ancora, cit., 551.
[21] T. Greco, La legge della fiducia. Alle radici del diritto, Roma-Bari, 2021, 88.
[22] G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Leggi, diritti e giustizia, Torino, 1997.
[23] G. P. Demuro, L’incerta parabola della riparazione del danno nel sistema penale, in La pena, ancora, cit., 707.
[24] Il termine viene spesso adoperato come sinonimo di deflazione processuale. Esso, in verità, riguarda più specificamente le alternative all’esercizio dell’azione penale e costituisce una species del più ampio genus rappresentato dalla diversion. Sul punto, v. M. G. Aimonetto, La «durata ragionevole del processo penale», Torino, 1997, 100; A. A. Dalia, La deprocesualizzazione come obiettivo primario delle recenti «modifiche al sistema penale», in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, 475 ss.; A. Ciavola, Il contributo della giustizia consensuale e riparativa all’efficienza dei modelli di giurisdizione, Torino, 2010, 40.
[25] Per completezza è bene specificare che gli incontri restorative possono essere oggetto sia del programma di trattamento indispensabile ai fini della sospensione del procedimento con messa alla prova (art 464-bis c.p.p.) che rilevare in sede di esecuzione penale nelle forme e nei modi previsti dall’art. 15-bis l. O.P.
[26] Il verbo è preso a prestito dall’intuizione di J. Gerards-E. Brems (Eds.), Shaping Rights in the ECHR. The Role of the European Court of Human Rights in Determining the Scope of Human Rights, Cambridge, 2013.
[27] M. Gialuz, L’“archiviazione meritata” come terza via tra archiviazione ed esercizio dell’azione penale, in Proc. pen. giust., 2021, 309 ss.
[28] M. Gialuz- J. Della Torre, Giustizia per nessuno, cit., 325.
[29] Cfr. G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, 2003, 374; J. Della Torre, La giustizia penale negoziata in Europa. Miti, realtà e prospettive, Milano, 2019, 34-35.
[30] F. Palazzo, Giustizia riparativa e giustizia punitiva, in Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, a cura di Mannozzi-Lodigiani, Bologna, 2015, 67 ss.
[31] J. Della Torre, La giustizia penale negoziata in Europa, cit., 35.
[32] Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con la raccomandazione R (87) 18 relativa alla semplificazione della giustizia penale, ha esortato gli Stati membri a introdurre istituti di diversion fondati sul consenso del prevenuto e, tra cui le archiviazioni condizionate e le transazioni penali. In seno all’Unione europea, un favor verso le archiviazioni condizionate è stato manifestato, ad es. nell’art. 40 del Regolamento (UE) 2017/1939, istitutivo della figura del pubblico ministero europeo, che consente all’EPPO di avvalersi di meccanismi acceleratori quali archiviazioni condizionate e transazioni (nei Paesi che contemplano tali strumenti), allorquando si troveranno a perseguire una serie di reati lesivi degli interessi finanziari eurounitari.
[33] M. Gialuz- J. Della Torre, Giustizia per nessuno, cit., 327; A. Sanna- H.L. Canone, L’archiviazione “meritata” nella riforma processuale in itinere. Un confronto con l’ordinamento francese, in DisCrimen.it, 26 luglio 2021; L. Bartoli, La sospensione del procedimento con messa alla prova, Milano, 2020, 23 ss.; E. Mattevi, Una giustizia più riparativa. Mediazione e riparazione in materia penale, Napoli, 2017, 181 ss; C. Mauro, Dell’utilità del criterio della non punibilità per particolare tenuità del fatto in un sistema di opportunità dell’azione penale. Esperienze francesi, in I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, a cura di Quattrocolo, Torino, 2015, 143 ss.; I. Gasparini, La giustizia riparativa in Francia e in Belgio. Tra istituti consolidati e recenti riforme normative, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1982 ss.; M. G. Aimonetto, Le recenti riforme della procedura penale francese. Analisi, riflessioni e spunti di comparazione, Torino, 2002, 7 ss.; Ead., L’archiviazione “semplice” e la “nuova” archiviazione “condizionata” nell’ordinamento francese, cit.
[34] M. Gialuz- J. Della Torre, Giustizia per nessuno, cit., 326; L. Bartoli, La sospensione del procedimento, cit., 11 ss.; K. Jarvers, Uno sguardo critico attraverso la lente dei §§153, 153a Stpo, in I nuovi epiloghi del procedimento penale per particolare tenuità del fatto, cit., 171 ss., E. M. Mancuso, La giustizia riparativa in Austria e in Germania: uno sguardo d’insieme, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 1958 ss.
[35] L. Bartoli, La sospensione del procedimento, cit., 13 ss.: oltre a trattarsi di reati non gravi, è necessario che ricorrano altre due condizioni: i) il fatto concreto deve essere tale da suscitare il pubblico interesse alla reazione dello stato; ii) l’elemento non deve contrastare con la soluzione archiviativa. La misura deve essere approvata sia dal tribunale competente, sia dal diretto interessato: se quest’ultimo preferisse il processo, non avrebbe che da rifiutare la proposta del pubblico ministero e attendere l’apertura del giudizio. Non ha invece potere di veto la persona offesa dal reato: anche se agisse in nome proprio il pubblico ministero potrebbe sempre decidere d’intervenire e mettere fine alla disputa con l’archiviazione condizionata.
[36] L. Bartoli, La sospensione del procedimento, cit., 17.
[37] La proposta, così congegnata, è stata avanza da M. Gialuz, L’“archiviazione meritata” come terza via, cit.
[38] La novella normativa introdotta dalla riforma Cartabia, secondo quanto stabilito dalla neo-formulazione dell’art. 408 c.p.p., impone al p.m. di richiedere l’archiviazione «quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna». Questa regola ha sostituito quella che faceva perno sull’inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio. Osserva L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della «legge Cartabia», in Sist. pen., 15 ottobre 2021: «La prospettiva rimane prognostica, ma valorizza il momento diagnostico: il p.m. deve portare l’indagato davanti al giudice non per cercare la prova o corroborare gli elementi acquisiti, bensì solo se ritiene che ragionevolmente, sulla base degli elementi già acquisiti — allo stato degli atti, come nel giudizio abbreviato —, il giudice [possa pronunciare] una sen- tenza di condanna».
- Secondo da M. Gialuz, L’“archiviazione meritata” come terza via, cit., il giudice per le indagini preliminari dovrebbe compiere una triplice valutazione: i) un sindacato preliminare sulla non infondatezza della notizia di reato, sulla mancanza di una condizione di procedibilità, sulla non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis c.p.p., sull’estinzione del reato o sulla non previsione del fatto come reato; ii) un vaglio sulla natura informata e libera del consenso prestato dall’indagato; iii) infine, un esame dell’effettiva idoneità del programma riparativo a compensare l’interesse pubblico incrinato dall’illecito penale. Questo dovrebbe essere definito dal legislatore, almeno nella tipologia delle misure a disposizione - che non dovrebbe contemplare nessuna prestazione come obbligatoria - e nella durata massima.
[40] Sul tema v. F. Mazzacuva, L’ente premiato. Il diritto punitivo nell’era delle negoziazioni: l’esperienza angloamericana e le prospettive di riforma, Torino, 2020; cfr. altresì P. Astorina Marino, Premialità, collaborazione processuale e d.lgs. 231/2001: spunti per una riforma, in in www.lalegislazionepenale.eu, 27 febbraio 2023; R. Bartoli, Dal paradigma punitivo reattivo al paradigma punitivo reattivo-premiale. Secondo studio per un affresco, in Sist. pen., 29 marzo 2021; M. Donini, Le logiche del pentimento e del perdono nel sistema penale vigente, in Scritti in onore di Franco Coppi, II, Jovene, 2011, 889 ss.
[41] Secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001, gli enti possono essere chiamati a rispondere di un fatto penalmente rilevante a condizione che sia stato commesso, nell’interesse o a vantaggio degli stessi, da un intraneus, rivesta egli una posizione apicale o subordinata. È altresì necessaria – nel rispetto nel principio di colpevolezza – la sussistenza di un elemento soggettivo, consistente nella rimproverabilità all’ente di non aver approntato i presidi necessari a contenere il rischio di verificazione di reati al proprio interno: si tratta della c.d. colpa in organizzazione nella cui valutazione un ruolo primario giocano i modelli di organizzazione e gestione – vera architrave del sistema – i quali, se correttamente adottati e resi operativi, concorrono a sollevare l’ente da ogni addebito. Sul punto cfr. A. Bernasconi, Modelli organizzativi, regole di giudizio e profili probatori, in Il processo de societate, a cura di Bernasconi, Milano, 2005, 55 ss.; sulla colpa di organizzazione, v. V. Mongillo; La colpa di organizzazione: enigma ed essenza della responsabilità “da reato” dell’ente collettivo, in Cass. pen., 2023, 704 ss.
[42] P. Severino, La responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231 del 2001, cit., 1121.
[43] V. art. 12, commi 2 e 3, e art. 17 del d.lgs. n. 231del 2001. In dottrina, C. Trabace, Le procedure definitorie delle contravvenzioni antinfortunistiche e il rito de societate: due modelli all’insegna del favor reparationis, in Diritto della sicurezza sul lavoro, 1/2022, 66 ss.; Più in generale, G. Canzio -L. Luparia (a cura di), Diritto e procedura penale delle società, Milano, 2022.
[44] Il rischio è prospettato da M. Donini, Le due anime dalla riparazione, cit., 2030-2031.
[45] Così definiti da definiti da G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato. Profili storici, dogmatici e comparatistici, Pisa, , 2012, 27. Sul punto, osserva P. Maggio, Giustizia riparativa e sistema penale, cit., 11: «Altrettanto incisiva, non solo lessicalmente, è la scelta soggettiva della “persona indicata come autore dell’offesa”, comprensiva sia della persona fisica, sia dell’ente con o senza personalità giuridica. Segno linguistico importante poiché riassume e potenzia il rilievo assegnato alla presunzione di non colpevolezza nel nostro ordinamento che, come vedremo, impatterà anche sul mancato riconoscimento dei fatti essenziali».
[46] Per una perimetrazione tra Restorative justice e negotiated justice v. J. Della Torre, La giustizia penale negoziata in Europa, cit., 2019, 24 ss.
[47] Di «porosità delle frontiere tra processo giudiziario e pratica mediativa» parla G. Di Chiara, Scenari processuali per l’intervento di mediazione: una panoramica sulle fonti, in Riv. it. dir. pen. proc., 2004, 506 ss.
[48] L’espressione è presa a prestito da M. Quiroz Vitale, Il diritto liquido. Decisioni giuridiche tra regole e discrezionalità, Milano, 2012.
[49] V. Cass., sez. un., 27 ottobre 2022 (dep. 6 aprile 2023), n. 14840, in CED Cass., n. 284273. In motivazione la Corte ha affermato che la messa alla prova degli adulti ha natura di “trattamento sanzionatorio” penale, modulato sull’imputato persona fisica e sui reati allo stesso astrattamente riferibili, non estensibile, per il principio della riserva di legge, agli enti, la cui responsabilità amministrativa è riconducibile a un “tertium genus”.
[50] Per i dati cfr. la relazione del Ministro della Giustizia al Parlamento sull’andamento della messa alla prova nel 2021, in Sist. pen., 20 agosto 2022.
[51] Storicamente i P.D.A. sono stati impiegati negli Stati Uniti a partire dagli anni Trenta nell’ambito della juvenile delinquency. Soltanto negli anni Novanta il loro utilizzo venne poi esteso anche alla responsabilità delle corpoations. Con riguardo al nostro ordinamento, la proposta di attuare per le persone giuridiche strumenti di diversione processuale su modello di quelli angloamericani circola già da qualche tempo nel panorama dottrinale: al riguardo cfr. P. Astorina Marino, Premialità, collaborazione processuale e d.lgs. 231/2001, cit.; P. Severino, La responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231 del 2001, cit.; R. Sabia-I. Salvemme, Costi e funzioni dei modelli di organizzazione e gestione ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, in Tutela degli investimenti tra integrazione dei mercati e concorrenza di ordinamenti, a cura di Del Vecchio-Severino, Bari, 2016, 445 ss.; G. Fidelbo-R.A. Ruggiero, Procedimento a carico degli enti e messa alla prova: un possibile itinerario, in Rivista 231, 2016, 4, 3 ss.; F. Mazzacuva, Deferred prosecution agreements: riabilitazione “negoziata” per l’ente collettivo indagato. Analisi comparata dei sistemi di area anglo-americana, in Ind. pen., 2013, 737 ss.
[52] Sui riti alternativi di natura negoziale previsti dall’ordinamento statunitense v. F. Mazzacuva, L’ente premiato, cit., V. D’Acquarone-R. Roscini Vitali, sistemi di diversione processuale e d.lgs. 231/2001: spunti comparativi, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2/2018, 123 ss.; P. Severino, La responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231 del 2001, cit., 1122 ss.; F. Mazzacuva, La diversione processuale per gli enti collettivi nell’esperienza anglo-americana, in Dir. pen. cont., 13 ottobre 2016; R.A. Ruggiero, Non prosecution agreements e criminalità d’impresa negli USA.: il paradosso del liberalismo economico, in Dir. pen. cont., 12 ottobre 2015; G. Mannozzi, Razionalità e «Giustizia» nella commisurazione della pena. Il Just desert model e la riforma del sentencing nordamericano, Padova, 1996; V. Fanchiotti, Profili privatistici della giustizia penale statunitense, in Giur. it., 1992, 313 ss.
[53] Sull’applicazione dei D.P.A. nell’ordinamento inglese, v. F. Mazzacuva, L’ente premiato, cit.; V. D’Acquarone-R. Roscini Vitali, sistemi di diversione processuale, cit.; P. Severino, La responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231 del 2001, cit.; A. Mangiaracina, Persone giuridiche e alternative al processo: i deferred prosecution agreements nel Regno Unito e in Francia, in Cass. pen., 2018, 2182 ss.
[54] In letteratura e per gli opportuni riferimenti bibliografici anche in lingua francese, cfr. A. Mangiaracina, Persone giuridiche e alternative al processo, cit., 2182 ss.
[55] Al riguardo cfr. P. Astorina Marino, Premialità, collaborazione processuale e d.lgs. 231/2001, cit.
[56] P. Severino, La responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231 del 2001, cit., 1123 ss.
[57] B. Garrett, Too big to jail. How prosecutors compromise with corporations, Harvard, 2014.
[58] D’Acquarone-R. Roscini Vitali, sistemi di diversione processuale, cit., 138-139.
[59] Sui N.P.A. – incentivati dalla pronuncia Cass., sez. un., 6 aprile 2023, n. 18840 che esclude la M.A.P. per gli enti – v. E Davì, Quel no delle sezioni unite alla «messa alla prova» per l’ente che spiana la strada ai non prosecution agreements, in Foro it., 2023, II, 346 ss.
[60] Cfr. al riguardo F. Ruggieri, Reati nell’attività imprenditoriale e logica negoziale. Procedimenti per reati d’impresa a carico di persone ed enti tra sinergie e conflitti, in Aa.Vv., Criminalità d’impresa e giustizia negoziata: esperienze a confronto, Milano, 2017, 55 ss.
[61] Crime and Courts Act 2013, Schedule 17, consultabile on line all’indirizzo www.legislation.gov.uk
[62] Pur essendo ispirati dalle medesime logiche, la disciplina dei D.P.A. è differentemente modulata negli U.S.A e in U.K.: sul punto v. V. D’Acquarone-R. Roscini Vitali, sistemi di diversione processuale e d.lgs. 231/2001, cit., 127 ss.
[63] Al termine dell’elencazione dei “reati presupposto” è inserita una “valvola di chiusura” che ha l’effetto di estendere “la normativa in commento a tutti i reati ‘strumentali’ – i c.d ancillary offences – e a quelli espressamente indicati”.
[64] Infra, par. 3.1.
[65] Cfr. D. Mcstravick, Deferred prosecution agreements and the restorative justice paradigm: Justice restored or corporate cop out?, in Corruption, Integrity and the Law: Global Regulatory Challenges, Routledge, 2020, 116: «There is, therefore, an argument that both DPA’s and restorative justice are symmetrically entwinned in many of their rationales, principles and ultimate requirements. Such symmetry can be evidenced within a number of key elements including that of discretion, contractual agreements, ‘collateral consequences’ theory and compliance plans as part of restorative and deferred prosecution agreements».
[66] Per le fonti internazionali in materia di RJ, v. P. Maggio, Lo sguardo alle fonti internazionali, in corso di pubblicazione.
[67] A. Nieto Martín, Justicia empresarial restaurativa y víctimas coorporativas, in www.lalegislazionepenale.eu, 17 marzo 2021, 17.
[68] G. Mannozzi, Il crimine dei colletti bianchi: profili definitori e strategie di contrasto attraverso i metodi della giustizia riparativa, in Europe in crisis: crime, criminal justice, and the way forward. Essays in honour of Nestor Courakis, editors Spinellis-Theodorakis-Billis-Papadimitrakopoulos vol. II, Ant. N. Sakkoulas Publishers L.P., Athens, 2017, p1365 ss.; Z. D. Gabbay, Exploring the limits of the restorative justice paradigm: restorative justice and white collar crime, in Cardozo Journal of Conflict Resolution, 2007, 8, 421 ss.;
[69] A. Nieto Martín, Una pieza más en la Justicia restaurativa empresarial: Programas de cumplimiento restaurativos, in Revista de Victimología, 2023, 147 ss.; I. Aersten, Restorative Justice for victims of corporate justice, in Victims and Corporations. Legal Challenges and Empirical Findings, editors Forti-Mazzucato-Visconti-Giavazzi, Milano, 2018, 235 ss.
[70] P. Severino, La responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231 del 2001, cit., 1122.
[71] «Quando la persona giuridica prende un raffreddore, starnutisce qualcun altro»: cfr. F. Mazzacuva, L’ente premiato, cit., 163, che riprende C. Coffee Jr., “No Soul to Damn. No Body to Kick”: An Unscandalized Inquiry into the Problem of Corporate Punishment, in Michigan Law Review 1981, 401. Evitare il c.d. effetto Andersen vuol dire tenere lontano il rischio di ripercussioni, personali e sociali, che i procedimenti penali normalmente riversano su dipendenti, azionisti, investitori, risparmiatori e, più in generale, sul mercato nel suo complesso.
[72] Per una panoramica cfr. M.M. Molteni, Responsabilità sociale d’impresa, in Dizionario di dottrina sociale della chiesa, 2021, 1, 267 ss.
[73] A. Nieto Martín, Una pieza más, cit., 148 ss.
[74] A. Nieto Martín, Una pieza más, cit., 160.
[75] A. Nieto Martín, Una pieza más, cit., 160.
[76] A. Nieto Martín, Una pieza más, cit., 161.
[77] A. Sanna- H.L. Canone, L’archiviazione “meritata”, cit., 7.
[78] F. Stella, La giustizia e le ingiustizie, Bologna, 2006, 221.
[79] A. Ciavola, Il contributo della giustizia consensuale e riparativa, cit., 49.